Il confronto tra Studio tradizionale, Società tra Professionisti e Srl Odontoiatrica investe una serie di variabili estremamente elevata e sconta anche un certo numero di pregiudizi. Ogni precedente discussione sul tema è stata poi falsata da una malcelata volontà politica di indirizzare le scelte verso forme societarie ben precise a discapito di altre. Nonostante questo il mercato si muove in direzione “ostinata e contraria”. Con il contributo di PP Mastinu analizziamo il fenomeno delle società attraverso una comparazione diretta di alcune tra le variabili implicate.
Prima del 2011, anno di nascita delle Società tra Professionisti, l’esercizio in forma societaria della professione odontoiatrica non era contemplato nel nostro ordinamento. Faceva eccezione solamente lo studio associato, sostanzialmente assimilato alla società semplice.
La professione odontoiatrica infatti rientrava e rientra ancora oggi nel novero delle professioni protette.
Le forme societarie potevano invece essere utilizzate per l’esercizio di attività sanitarie complesse, in cui l’opera del professionista era certamente ricompresa ma prevaleva l’aspetto organizzativo e imprenditoriale dell’attività stessa.
Il discrimine tra una forma e l’altra, nella discussione molto accesa che si è fatta nel settore su questo argomento, era sostanzialmente incarnato nel carattere imprenditoriale dell’attività societaria, rispetto a quello professionale di quella medica o odontoiatrica.
Ma è utile comprendere che, in senso giuridico, il significato che viene dato a quella dicitura è ben diverso da quello che viene attribuito nelle discussioni del nostro settore.
A complicare ulteriormente il quadro, va sottolineata la differenza tra la visione giuridica italiana e quella comunitaria.
Infatti, se per il Diritto italiano esiste ancora una marcata differenza tra professionista e imprenditore, per quello comunitario si considera operatore economico – concetto che equivale a quello nostrano di imprenditore – qualsiasi soggetto (persona fisica o giuridica) che eserciti una attività economica e costituisce attività economica qualsiasi attività consistente nell’offrire beni e servizi su un mercato determinato.
Conseguentemente, poiché i libero professionisti offrono servizi sul mercato dietro pagamento di un corrispettivo e sopportano il rischio di eventuali perdite, essi devono essere considerati, ai fini del diritto comunitario, come imprese.
In ragione di ciò, in ambito comunitario, le professioni intellettuali sono diventate un elemento chiave delle politiche volte allo sviluppo delle economie competitive e all’eliminazione degli ostacoli alla concorrenza, a partire dall’individuazione della categoria di restrizioni individuate dalla Commissione UE che sarebbe opportuno rimuovere, per incrementare la concorrenza e l’efficienza dei servizi:
Questo contrasto tra normative nazionali e comunitaria giustifica ancora oggi un diverso trattamento del professionista rispetto all’imprenditore, con un contenuto di privilegi che viene svuotato progressivamente. Se di privilegi vogliamo parlare, oggi essi si riducono sostanzialmente due elementi: il diritto al compenso e la sottrazione al fallimento.
Uno degli elementi appartenenti all’ancien régime, che andava prima o poi rimosso in questa nuova sintesi, era proprio quello del divieto della professione in forma societaria.
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È proprio questa rimozione che ha formato il focus della Legge del 2011, quella che ha istituito la Società tra Professionisti.
Quest’ultima, infatti, non eguaglia la Srl Odontoiatrica e non permette dunque l’adozione di un oggetto sociale tipico delle attività imprenditoriali complesse.
In realtà, tale formula liberalizza semplicemente la pura attività odontoiatrica (o medica) in forma societaria.
Ma nella sostanza fa molto di più, perché ammettendo la presenza di soci non professionisti nella compagine sociale, avvicina la pura attività odontoiatrica a quella imprenditoriale.
In realtà, che piaccia o no, è proprio l’ingresso di questo elemento esterno alla categoria – la presenza di soci non professionisti, appunto – che ha reso forte o semi forte (a seconda dei punti di vista) la creazione di questo nuovo istituto, la Società tra Professionisti.
E questo è vero – ed è quello che mi propongo di dimostrare – anche dal punto di vista fiscale; ma non solo.
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Per cominciare, definiamo una caratteristica che molti considerano un plus – un plus puramente ideologico e del tutto apparente sul piano fattuale – che la Società tra Professionisti (o StP) avrebbe a differenza di tutte le altre forme societarie: essa è l’unica che permette in forma societaria l’esercizio della pura attività odontoiatrica o medica.
In realtà tale presunto vantaggio deve essere rivisto alla luce di due importanti considerazioni:
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Il legislatore ha previsto che la Società tra Professionisti possa avere solo un oggetto sociale ristretto e questo non è certamente un vantaggio.
Forse dal punto di vista squisitamente ideologico potrebbe anche esserlo (esistono dentisti che considerano l’esercizio in forma imprenditoriale come non appetibile in funzione della sua pretesa impurità).
Ma dal punto di vista pratico, proprio non lo è.
Perché dovrebbe essere meglio avere un oggetto sociale limitante, che non permette di somministrare formazione clinica, magari anche accreditata ECM o commercializzare elettromedicali, o molto altro? Chiunque abbia una minima dimestichezza con il concetto di deducibilità dei costi in una società sa perfettamente cosa intendiamo dire: un oggetto sociale limitato porta con se una grande limitazione nella possibilità di dedurre costi dall’imponibile.
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A parziale compensazione di questa pratica in diminutio, la Società tra Professionisti permette anche la presenza, sia pur con ruoli tecnici e di completamento rispetto all’attività odontoiatrica o medica principale, dei soci non professionisti, i quali possono entrare al puro scopo di conferire capitali, ma anche per collaborare nella gestione complessa dello studio in attività ovviamente non mediche.
Tuttavia, a volerla dire proprio tutta, il solo fatto di innestare in una società di puri professionisti medici o odontoiatri dei soci non professionisti costituisce la prima prova che la natura di questa società tra professionisti è comunque e irrimediabilmente resa spuria rispetto alla pura attività medica.
Ed è spuria proprio perché non ci sono solo medici, ma anche altre figure che, per il fatto di investirci o collaborarci, innestano nella società quel carattere commerciale che in caso diverso non avrebbe.
D’altra parte, uscendo dai pregiudizi ideologici, questa contaminazione è tutt’altro che negativa dal punto di vista strettamente giuridico. Infatti attraverso di essa si vuole dare ai professionisti la possibilità di realizzare una struttura sanitaria professionale molto simile a quella di una tipica Srl Odontoiatrica, e lo si vuole fare proprio perché la si considera – del tutto sensatamente – più adatta ai tempi e al contesto concorrenziale.
In una Società tra Professionisti la Legge riserva ai soci professionisti la preminenza nelle decisioni (2/3 dei voti in assemblea), proprio allo scopo di salvaguardare il principio fondante dell’Istituto e, come detto, impone che l’oggetto sociale sia ristretto alla pura attività professionale. Ma nell’aggiungere quell’elemento commerciale di cui sopra, regala alla società anche la possibilità di avvalersi di quelle opportunità che La legge e il nostro Ordinamento attribuiscono alle attività commerciali pure.
Ad allargare queste caratteristiche, il legislatore ha anche previsto che la Società tra Professionisti possa costituirsi con qualunque veste societaria specifica contemplata dal nostro ordinamento: può dunque essere una qualunque tra le società di persone (snc o sas) o di capitali (srl, spa o sapa). A seconda della veste scelta, sia pur non per diretta definizione legislativa, potrà assorbire il regime fiscale di quelle (sul punto si ritornerà): quindi Ires+Irap per Società tra Professionisti-srl e Irpef+Irap per la Società tra Professionisti-snc o la Società tra Professionisti-sas.
Per paradosso, persino nell’ambito fiscale, in mancanza di una chiara definizione legislativa, è stato proprio il tanto vituperato elemento commerciale che ha permesso, nelle pronunce giurisprudenziali e nelle statuizioni regolamentari, emanate rispettivamente dalla Cassazione e dall’Agenzia delle Entrate, di attrarre il regime dei redditi di impresa nel suo alveo oppure di permettere l’accesso ai Finanziamenti europei – e non solo – dedicati alle imprese. E molto altro.
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Le caratteristiche appena descritte, tuttavia, non sono sufficienti ad eguagliare i vantaggi di una Srl Odontoiatrica per quanto si sia fatto ogni sforzo in questo senso. Infatti, in una Srl Odontoiatrica:
Per tutti questi motivi, agli occhi del tecnico, la soluzione Srl Odontoiatrica rappresenta indubbi vantaggi rispetto a quella della Società tra Professionisti. Le discussioni in merito alla Società tra Professionisti e ai suoi veri o presunti plus sono purtroppo viziate da considerazioni di natura sindacale e concorrenziale: questo elemento sporca il quadro della discussione e spesso crea più confusione di quella che servirebbe a decidere per questa scelta; e forse è anche per questo che la scelta Società tra Professionisti è ancora del tutto minoritaria per gli odontoiatri e pressoché inesistente per altre categorie mediche.
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Torno quindi e subito a rivestire i panni del tecnico, ponendo la prima questione essenziale.
Sotto il profilo autorizzativo come deve essere inquadrata la Società tra Professionisti e soprattutto quanto questa attuale distinzione può reggere ai futuri sviluppi normativi?
Andiamo con ordine: abbiamo già definito l’attività tipica della Società tra Professionisti come strettamente appartenente all’universo della professione protetta, sia pur in forma societaria, distinguendola dall’esercizio complesso di una attività sanitaria tipico della Srl Odontoiatrica.
Ma abbiamo anche aggiunto che in realtà, nonostante tutti gli sforzi profusi per attribuire caratteri etici e deontologici a tale veste giuridica da parte di taluni attori del Settore, il germe della commercialità è penetrato ben presto in questa forma e aggiungerei anche per fortuna, visti i vantaggi che tale contaminazione porta al professionista.
Il profilo etico e deontologico, quando in discussione è la forma giuridica attraverso la quale esercitare un’attività sanitaria, sia detto per inciso, non ha alcun peso nella visione del Giurista e del Legislatore e nemmeno in quella dell’uomo di buon senso.
(Forse che vestire o meno l’abito talare rende più o meno etica e deontologica la pedofilia?)
Non è la forma giuridica in cui si esercita la professione ma il contesto, la cultura, la formazione della categoria e i meccanismi di controllo e sanzione che vengono effettivamente esercitati sulla stessa, che delineano il profilo etico e deontologico.
Si tratta di una tale ovvietà che non ci sarebbe neanche bisogno di dirle queste cose.
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Il punto che però a me interessa sviscerare è un altro: e cioè che la distinzione tra struttura semplice e complessa, tra esercizio professionale e imprenditoriale e organizzato di una attività sanitaria, ancora una volta, dal punto di vista squisitamente giuridico, funziona ben diversamente ed appare molto più sfumata di quanto possa apparire ai tanti che hanno alimentato le ben note polemiche sul tema negli ultimi anni.
Il D.Lgsvo 502/92 aveva infatti distinto, anche dal punto di vista autorizzativo, le strutture semplici da quelle complesse, in un momento in cui la Società tra Professionisti era ben lontana dal nascere; ma i requisiti con cui definire tale complessità li aveva pressoché totalmente delegati alla normativa regionale.
La Conferenza Stato Regioni aveva a sua volta definito un quadro di massima, cui le Regioni si sono tutte, chi più chi meno, adeguate.
Ma il discrimine con cui di fatto quella complessità hanno definito è stato messo più fortemente in relazione al criterio organizzativo che a quello dei requisiti minimi, che sono rimasti per gran parte comuni a tutte le strutture, quelle semplici come quelle complesse.
E qual è questo elemento organizzativo?
Nello studio mono-professionale lavora il titolare. Se quel titolare si limita ad effettuare procedure semplici non abbisogna di alcuna autorizzazione sanitaria, ma può cavarsela con una semplice SCIA. Possono collaborare con lui altri professionisti nel suo studio, ma a rigore questo potrà avvenire in via complementare all’attività principale, e cioè per offrire ai pazienti di quel medico anche altre prestazioni che lui preferisce lasciar fare agli altri colleghi più esperti in quel campo.
E’ possibile per quel medico concedere in uso un riunito ad un altro medico che va in quello studio in affitto? Dal punto di vista civilistico sì, ma per un ispettore ASL particolarmente fiscale, che applica la normativa speciale sanitaria, non sempre. In teoria, infatti, in uno studio mono-professionale non potrebbero neanche esserci due medici che lavorano contemporaneamente su diversi pazienti, se ognuno procura la propria pazientela; e solo in alcune regioni è permesso – meglio sarebbe dire, non è vietato – il cosiddetto condominio odontoiatrico di cui ha parlato anche Gabriele Vassura; e persino ove è permesso, rimane comunque condizionato ad alcuni requisiti (sterilizzazione indipendente per ciascun medico, etc).
Non parliamo poi di una segreteria o altri servizi in comune. So benissimo che la realtà è diversa, ma deve essere chiaro che la realtà è diversa perché per anni si è fatto finta di non vedere e sono mancati i controlli. E la tolleranza non muta le fattispecie giuridiche in automatico.
Diversa è la situazione per lo studio associato, che infatti sta lì come istituto proprio perché si vuole dare una possibilità diversa di esercitare insieme la professione tra diversi professionisti. In questo caso, è nella natura del contratto la coesistenza di diversi professionisti che agiscono contemporaneamente su diversi pazienti.
Il perimetro delle attività sanitarie effettuabili è poi limitato e, se si decide di sconfinare, in un caso come nell’altro, si deve ricorrere all’autorizzazione sanitaria.
La Srl Odontoiatrica o ambulatorio o struttura sanitaria complessa in genere nasce come istituto quando l’attività dei singoli professionisti abbisogna di qualcosa di più della semplice coesistenza di diversi professionisti nello stesso locale.
Ben presto, al crescere dei volumi di attività, questa situazione diviene ingestibile, se non si creano delle articolazioni organizzative ulteriori, come ad esempio una segreteria in comune, la presenza in organico di figure para sanitarie a disposizione di tutto il quadro medico, la contabilità, il marketing, etc., che non possono che configurare una situazione complessa che definisce il perimetro di una Struttura sanitaria, appunto, complessa.
Sono molto meno rilevanti, nell’attuale assetto organizzativo regionale, i profili legati alla minore o maggiore presenza di strumentario vario (che può anche e del tutto coincidere nei diversi tipi di struttura) o di mq.
Le questioni legate ai cosiddetti requisiti minimi attengono molto più a questioni di sicurezza che a distinzioni tra istituti giuridici.
Il fatto che molti studi abbiano nel passato sconfinato nella generale tolleranza di queste pratiche non comporta in automatico la mutazione genetica di una distinzione giuridica che c’è e rimane ed appare anche fondata su ragioni condivisibili e che non c’entra nulla con il fatto che la struttura complessa può essere posseduta da figure mediche e non, perché tali distinzioni valgono anche a favore del medico, quando di quella struttura ne è il proprietario.
Tale proprietario potrebbe ben chiedere che un concorrente si limiti a fare quello che è autorizzato a fare e che costa anche di più farsi autorizzare a fare. Anche solo dal punto di vista concorrenziale e della correttezza, per tacer d’altro.
In questo quadro e sulla scia dell’analisi sulla Società tra Professionisti che si è già realizzata fino a questo momento, come dobbiamo inquadrare dal punto di vista autorizzativo la SOCIETÀ TRA PROFESSIONISTI?
E’ chiaro, e ne abbiamo una immediata controprova, che il fatto che la società eserciti la pura attività odontoiatrica non ci aiuta a definirlo questo profilo.
Dobbiamo tenere conto invece e ancora una volta del profilo organizzativo.
E come possiamo considerare un’organizzazione che tiene al suo interno soci medici e soci non medici, i quali ultimi, possono assumere anche ruoli tecnici e di completamento all’attività principale, in questo quadro appena delineato?
Dal punto di vista dei profili autorizzativi, è facile rispondere se mi avete seguito fino a ora.
Come ad un organizzazione che, pur rimanendo incentrata sull’operato del professionista/i, diviene sostanzialmente complessa o semi-complessa, anche perché costituita sotto forma societaria e che quindi possiede una natura imprenditoriale.
Poiché il profilo autorizzativo attiene a profili squisitamente legati al conseguimento di obbiettivi di vario grado – adeguatezza della struttura e degli ambienti, sicurezza del lavoro, etc. – ma che servono ad assicurare la sicurezza degli operatori e dei pazienti, è evidente che la differenza con una struttura complessa è del tutto relativa e direi addirittura assente.
Una struttura di questo genere richiede sicuramente ed almeno l’autorizzazione all’esercizio.
E’ sicuro che tale organizzazione semi-complessa sia sostanzialmente assimilabile a quella di uno studio associato autorizzato tramite autorizzazione regionale all’esercizio a procedure diagnostiche e chirurgiche invasive.
Ed infatti questa è la stessa impostazione che di fatto stanno dando anche le Asl, che richiedono sempre per le Società tra Professionisti proprio questa autorizzazione e non una semplice scia.
Possiamo quindi tirare la prima conclusione: la Società tra Professionisti dovrebbe poter fare a meno dell’autorizzazione alla realizzazione e quindi almeno in questo richiedere una procedura autorizzativa meno complessa di quella richiesta per l’ambulatorio, che le autorizzazioni (realizzazione ed esercizio) le richiede tutte e due.
E tale situazione potrebbe rimanere tale anche dopo l’entrata in vigore della Nuova Intesa Stato Regione 2016 sui requisiti minimi, che non a caso ha reso ancora più sfumata la distinzione tra studio e ambulatorio, sia pur per motivi diversi.
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Completamente destituita di fondamento invece è la pretesa di prendere a rinforzo la famosa Circolare Mise del dicembre 2016 per ventilare l’ipotesi di una presunta esclusiva per l’attività odontoiatrica per la Società tra Professionisti.
Intanto, perché la citata circolare e soprattutto i successivi chiarimenti (uno dei quali redatto in risposta ad un interpello che ho curato personalmente, in qualità di rappresentante della mia Associazione) non hanno mai messo in dubbio la liceità della struttura complessa e basta leggerle per capirlo facilmente.
Inoltre va ricordato che i tentativi di precostituite tale esclusiva per la Società tra Professionisti sono naufragati anche in sede legislativa (DDL Concorrenza e DDL Lorenzin).
E infine perché tutta la legislazione italiana ed europea va in tutt’altra direzione. E per fortuna, aggiungerei.
Privare il medico della possibilità di usufruire anche della soluzione ambulatorio al solo scopo di impedire l’ingresso o quantomeno il controllo maggioritario ai soci non professionisti, costituirebbe il più clamoroso autodafé della storia della categoria. Il perché è facile capirlo.
Un’eventuale “vittoria” in questo senso, per esempio, porterebbe ad una situazione facilmente aggirabile dal titolare non medico, cui basterebbe costituire un polispecialistico magari con solo altre due specialistiche oltre all’odontoiatria, per aggirare facilmente l’ostacolo.
O magari entrate in una Società tra Professionisti con una persona giuridica a fargli da comodo schermo. E così ai medici resterebbe in mano non solo il danno ma anche che la beffa.
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La legge del 2011, come noto, impone che i soci professionisti debbano detenere almeno i 2/3 dei diritti di voto in assemblea e che possano essere, per ovvie ragioni, solo persone fisiche, visto che debbono essere professionisti iscritti all’albo.
E’ previsto peraltro un vincolo pesante, perché la perdita dell’iscrizione comporta de plano la perdita del diritto a restare in qualità di socio.
Queste particolari limitazioni – lo ricordiamo di passaggio – non sembrano essere molto attraenti verso questa opzione.
Ma le regole cambiano per i soci non professionisti, tra i quali ben può essere presente una persona giuridica. Tale persona giuridica può tranquillamente detenere il 51% delle quote anche se formalmente è un socio non professionista.
Infatti, al contrario di quanto strumentalmente raccontato, sono i 2/3 dei diritti di voto e non i 2/3 del capitale quelli obbligatori, come anche confermato dal Consiglio del Notariato.
Ben può il titolare effettivo di quella società, che detiene il 51% della Società tra Professionisti, far stabilire in statuto diverse regole di voto rispetto alle maggioranze di capitale. Trasformandosi così nel vero socio forte e al riparo da eventuali conseguenze legate a fatti e procedimenti disciplinari.
Questa possibilità non rimane aperta solo per un abusivo o magari una catena, che potrebbe mettere come soci professionisti giovanissimi odontoiatri senza risorse e manovrarli a piacimento, proprio sfruttando le peculiarità offerte dalla Società tra Professionisti (proprio lo strumento che per paradosso era stato indicato come quello adatto per farli fuori).
Peraltro il socio non professionista può avere partecipazioni in più Società tra Professionisti – e nemmeno è tenuto ad utilizzare ogni volta una società ad hoc – mentre i soci professionisti – per paradosso – non possono farlo. La legge impone che possano essere presenti in una sola Società tra Professionisti e in nessuna altra forma di esercizio professionale, compreso un proprio studio (mentre niente del genere vale per la srl-ambulatorio).
Va però anche aggiunto che dietro a quella società può esserci come titolare effettivo anche un medico (magari un primario di un ospedale pubblico che non potrebbe svolgere attività privata e non ama far sapere che possiede una struttura sanitaria privata).
Anche a lui la Società tra Professionisti offre un ottimo sistema per nascondere a chiunque i suoi affari, magari sfruttando il nome di giovani medici, esattamente come farebbero e probabilmente faranno alcune catene. Gli basta fare in modo che la società, socia non professionista della Società tra Professionisti, sia controllata da una fiduciaria estera a lui riconducibile, e domiciliata in qualche bel paradiso fiscale in black list, e il gioco è fatto.
Certo, potrebbe utilizzare anche una srl odontoiatrica; ma come non approfittare della opportunità di controllare, senza apparire come socio non professionista di una Società tra Professionisti formalmente in mano a medici prestanome, che sono anche responsabili personalmente sotto il profilo penale di eventuali malpractice, senza alcuna conseguenza di natura patrimoniale o implicazione sul suo lavoro principale nella Sanità pubblica?
Peraltro, anche se il Nostro dovesse veicolare la pazientela dell’ospedale verso la sua struttura privata, ha la garanzia che nessuno potrà accusarlo di lavorare pro domo sua.
Per questo, da consulente guardo con interesse a questo strumento, come una nuova e possibile opzione che almeno io suggerirei come alternativa nei casi “puliti” di cui sopra, ma che sono certo altri non avranno certo scrupoli a considerarli – e tutti – come valide opzioni.
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L’Art. 12 del D.M. n. 34/2013 con titolo “Regime disciplinare della società” testualmente recita:
Questo articolo – di cui non a caso non si sente mai parlare – disciplina un regime davvero pesante e basterebbe da solo a illuminare di nuova luce la questione della scelta di questa forma di esercizio.
Perché, se è vero che viene effettuata una netta distinzione tra la responsabilità della società e quella del socio, è altrettanto vero che una volta ritenuta colpevole la società, l’Ordine può arrivare a inibirne l’attività pro tempore o in via definitiva.
E persino nel caso in cui sia il professionista a ricevere l’addebito disciplinare, possono crearsi situazioni in cui anche la società ne viene coinvolta; e altre in cui viene coinvolto lui al punto da poter essere escluso – ex lege – dalla compagine sociale.
In una situazione di settore normale, queste regole potrebbero anche essere viste come giustificate e ponderate.
Ma in un contesto in cui si assiste addirittura a scontri feroci tra organi dello stato come l’Antitrust e organi ausiliari o sussidiari dello Stato quali sono gli Ordini, in materie quali la pubblicità sanitaria e simili, francamente la firma di questo contratto equivale a quella di una cambiale in bianco, la cui riscossione può essere legata anche a motivazioni molto meno serie di quelle a cui si potrebbe pensare a prima lettura.
Se fossi un medico o un odontoiatra e dovessi scegliere, anche solo per questo profilo, questa opzione a qualunque altra disponibile, non avrei dubbio alcuno: io non la sceglierei.
Perché perdere la società e tutti gli investimenti, licenziare i dipendenti, dover pagare un affitto, etc. etc., non è proprio agevole quando non puoi lavorare e non è detto che si trovi così facilmente un altro posto dove andare a fare il dentista collaboratore.
Alquanto discutibile poi è l’idea che una persona giuridica possa essere sanzionata per profili deontologici che attengono normalmente, da che mondo è mondo, alle persone e non ad un astrazione come una persona giuridica; e/o che si possa dare all’Ordine un potere molto lontano da quelli per cui è nato, che è quello di sanzionare gli individui professionisti e non la loro proprietà privata.
Soprattutto, se si pensa che alle società, buona per essere sanzionata, questa legge non permette di entrate nella Società tra Professionisti come socia professionista.
Il sospetto che questo sistema regolamentare della Società tra Professionisti cosi delineato risenta di forti influenze esercitate per il conseguimento di fini non sempre cosi virtuosi, come si lascia spesso e volentieri far credere, è assai più che lecito.
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Sotto il profilo assicurativo, in considerazione della recente entrata in vigore del DDL Gelli-Bianco, che ha reso obbligatoria la sottoscrizione di una polizza di copertura per la struttura sanitaria, non possono ormai più rinvenirsi differenze sostanziali tra gli obblighi della Società tra Professionisti e quelli della Srl Odontoiatrica.
Già nel 2013 il Consiglio dei Commercialisti si era pronunciato in maniera inequivocabile: affermando che il fatto che i singoli soci professionisti detengano autonome coperture assicurative per l’esercizio professionale, non fa venir meno l’obbligo della copertura ad hoc per la società, che è e rimane una persona giuridica e quindi titolare di un autonoma individualità, ben distinta e separata da quella dei singoli professionisti che vi partecipano come soci.
E’ quindi scontato che la Società tra Professionisti debba avere una autonoma copertura assicurativa, del tutto in linea con quella prevista per le srl-ambulatori.
Il che significa, esattamente come per l’ambulatorio, che occorre mettere in business plan una spesa aggiuntiva di almeno 5000 euro se si trasforma uno studio in Società tra Professionisti, situazione assolutamente identica a quella che si avrebbe trasformandolo in Srl Odontoiatrica.
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Fino all’entrata in vigore del DDL Concorrenza, era facile rispondere negativamente a questa domanda. Pur avendo molte similitudini con la struttura imprenditoriale societaria, la Società tra Professionisti non è un ambulatorio ma una Società tra Professionisti e non dovrebbe abbisognare di un Direttore Sanitario.
Ma il DDL Concorrenza ha introdotto l’obbligo per tutte le società operanti in Odontoiatria di un Direttore Sanitario iscritto all’Albo degli Odontoiatri. Ed essendo la Società tra Professionisti una società, non può ritenersi possa sfuggire a tale obbligo.
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Paradossale è stato l’effetto dell’Ultima Legge Bilancio che ha imposto per le stesse società attive in Odontoiatria di cui al DDL Concorrenza, il versamento di un importo pari allo 0,5% del fatturato annuo.
Questa incombenza andrebbe ovviamente estesa anche alle Società tra Professionisti, ma l’Enpam ha ultimamente emanato una circolare ad hoc – di cui ci siamo già occupati e che ci appare assai discutibile – in cui ha definito le Società tra Professionisti come soggetti esclusi da tale contributo.
Magra consolazione è quella di indicare in questa misura un modo per recuperare gettito nei confronti degli ambulatori non in mano a medici. Perché il medico che costituisce una Srl Odontoiatrica è comunque più bersagliato di un non medico, che alla peggio paga solo sul fatturato.
Rimane comunque obbligatorio per la Società tra Professionisti pagare il contributo sull’utile e sui compensi di amministratori e odontoiatri.
Purtroppo questo contributo sul fatturato per le società odontoiatriche va a finire poi nel calderone della Quota B a vantaggio delle pensioni di tutti i medici e quindi non solo degli odontoiatri. Si presta poi a diverse censure che potrebbero ben essere accolte, visto che riguarda solo le società odontoiatriche e non tutte le società mediche.
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La scelta per la Società tra Professionisti presenta pochi vantaggi e molti svantaggi rispetto alla soluzione Srl Odontoiatrica.
A parte casi particolari, non esiste alcun motivo tecnico valido per preferirla alla seconda opzione.
Questo dipende in parte da come sono state scritte le leggi e i regolamenti attuativi ma anche da limiti intrinseci legati alla natura di questa fattispecie giuridica, che, configurando sostanzialmente un ibrido tra esercizio professionale e imprenditoriale, presenta più vincoli che opportunità.
I professionisti per parte loro mostrano di averlo capito chiaramente: pochissime le iscrizioni di Società tra Professionisti nella sezioni speciali degli albi provinciali (meno di 100), a fronte di migliaia di società ambulatoriali già costituite e autorizzate, la gran parte delle quali in piena mano medica.
In un contesto italiano ed europeo che vede sempre più sfavorire il professionista rispetto all’imprenditore da ogni punto di vista, ci si augura che questa presa di coscienza da parte della categoria si traduca, presto o tardi, in una simile consapevolezza da parte di chi la categoria rappresenta.
I professionisti italiani devono già combattere su mille fronti per esercitare la propria attività. Non si vede per quale motivo si debbano vedere addossare ulteriori vincoli che all’occhio del tecnico appaiono del tutto inutili e ingiustificati, con le sole poche eccezioni che sono state illustrate, ma che di certo non giustificano la promozione di questa forma di esercizio come l’unica valida ed esperibile.
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