La forma di aggregazione più frequente tra i dentisti italiani è lo Studio Associato. Questo è dovuto principalmente ai limiti culturali dei professionisti che sono poco avvezzi all’utilizzo di strumenti societari più evoluti come la Srl odontoiatrica. Per il dentista che ha in mente un progetto di aggregazione è dunque bene conoscere i vantaggi, ma soprattutto i limiti di una associazione professionale rispetto ad un’altra.
Lo Studio Associato è una delle soluzioni possibili al problema dei costi elevati di uno studio dentistico.
Nei post precedenti abbiamo già introdotto le forme di aggregazione più semplici: il Contratto di Rete e il Condominio Professionale. Come detto, entrambe queste soluzioni sono caratterizzate da una forte connotazione personale degli individui che ne prendono parte. Sono particolarmente adatte a quei professionisti che non intendono rinunciare alla propria individualità in cambio dei benefici derivanti dalla costituzione di un gruppo. Per questa ragione potremmo dire che i soggetti coinvolti isolano le proprie componenti attive (incassi, clientela, utili, produzione) dal contesto associativo del gruppo, limitandosi a condividere quelle passive (acquisti, fornitori, magazzino, comunicazione, manutenzioni, ecc) in una mera prospettiva di riduzione dei costi di gestione.
Queste soluzioni comportano rischi e benefici (o vantaggi e svantaggi) che abbiamo sommariamente già riassunto nei post dedicati e che, almeno in parte, possono essere superati con forme più strutturate di aggregazione. Tra queste ultime, proseguendo il percorso in ordine crescente di complessità pratica, troviamo lo Studio Associato.
Vediamo di cosa si tratta.
L’istituto dello “Studio Associato” o Associazione Professionale ha rappresentato per circa 70 anni nel nostro Paese l’unica forma possibile di associazione tra professionisti, almeno fino alla permanenza in vigore della legge 1815/1939. Tale norma, infatti, precludeva ogni forma associativa diversa, con particolare riferimento per le società di capitali, che sono state introdotte con molte difficoltà soltanto con la Legge Bersani di cui parleremo prossimamente.
Lo Studio Associato consente, economicamente ed organizzativamente, il superamento di quello stato di isolamento che storicamente caratterizza il professionista, con lo spostamento degli obiettivi di risultato tanto sul fronte delle passività, quanto su quello delle attività, da una prospettiva soggettiva ad una condivisa.
Ma il convincimento di base che dovrebbe animare i suoi componenti è che fare insieme le cose aiuta a farle meglio, gratificando tutti di più in termini sia umani che professionali.
Sul piano puramente teorico infatti lo Studio Associato presuppone un impegno “relazionale” tra le persone che lo costituiscono: filo conduttore è un sentimento comune in termini di:
Senza queste tre caratteristiche lo Studio Professionale rappresenta certamente un progetto fallimentare.
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Sul piano pratico la costituzione di uno Studio Associato non prevede formalità particolarmente impegnative.
Legalmente è sufficiente una scrittura privata tra i professionisti che lo andranno a costituire, senza obbligo di registrazione o di costituzione davanti al notaio. Due o più professionisti non devono fare altro che sottoscrivere un contratto di associazione ed adottare, se lo desiderano, una sorta di statuto o regolamento interno che normi la vita associativa in tutti i suoi aspetti gestionali e relazionali.
Dunque, anche se non è consigliabile farlo, il contratto di associazione può essere concluso anche solo verbalmente per essere valido a tutti gli effetti. L’unica previsione obbligatoria per legge è che ufficialmente la denominazione dello Studio Associato riporti il nome, il cognome e la qualifica di Dottore dei singoli associati.
È importante sapere che, in assenza di un atto notarile o di una scrittura privata registrata che dispongano diversamente, le quote di partecipazione agli utili si presumono fiscalmente proporzionate al valore dei conferimenti dei soci. Ciò significa che se l’apporto economico di un socio nella costituzione dello studio è pari al 70%, questi avrà diritto a ricevere il 70% degli utili. Per gli altri soci il calcolo sarà analogo e proporzionale.
Nel caso in cui il valore di conferimenti non risultasse determinato (come quando il contratto scritto non esista o non lo preveda) le quote si presumono uguali e quindi anche la partecipazione agli utili. Questo avviene sul piano fiscale indipendentemente dalla reale ripartizione del denaro tra soci.
Quando si desidera che gli utili vengano ripartiti in modo diverso è necessario che vi sia un atto notarile con la specifica della previsione desiderata.
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Possono associarsi in uno Studio Associato soltanto i professionisti iscritti all’Albo. Dunque non è permessa la partecipazione di soggetti (per es. familiari, odontotecnici, dipendenti, portatori esterni di capitale) che non siano professionisti.
Fino al 2006 i professionisti dovevano anche obbligatoriamente essere iscritti allo stesso Albo professionale (nella fattispecie l’Albo degli Odontoiatri). Dopo l’introduzione del Decreto legge n.223/2006 (cosiddetto Bersani bis) è consentita invece anche la costituzione di studi associati multidisciplinari, quindi costituiti da professionisti di area diversa tra loro.
Per quanto ci riguarda, dunque, noi dentisti possiamo costituire due tipi di associazione:
In quest’ultimo caso, naturalmente, ciascun professionista risponde al proprio Ordine di competenza ed espleta le prestazioni che l’appartenenza a tale Ordine gli consente.
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Lo studio associato assume una rilevanza esterna verso i terzi per la sua natura di contratto associativo ma nello stesso tempo è caratterizzato dal principio fondamentale della personalità della prestazione. Questa è la differenza più significativa, in termini civilistici, rispetto alla Srl odontoiatrica.
Lo studio associato ha dunque la capacità giuridica di concludere contratti che obbligano l’associazione; ma a livello di responsabilità professionale, il rapporto non è tra lo studio ed il cliente, ma tra il singolo associato ed il cliente stesso.
Lo studio associato è una forma contrattuale atipica per il fatto che la prestazione professionale richiesta dal cliente può essere effettuata dal singolo associato, mentre l’onorario per tale prestazione è invece incassato dall’associazione che, nei confronti dei terzi, rappresenta pertanto un centro d’imputazione di interessi.
In uno studio associato, inoltre, l’obbligo contrattuale verso il paziente è solidale tra i soci, pur rimanendo in capo al paziente il diritto di scegliere, all’interno dello studio, da quale dentista farsi assistere. Ciò significa che una volta instaurato il rapporto di fiducia tra un dato paziente ed un dato dentista all’interno dello studio, qualora quest’ultimo fosse impossibilitato per qualsiasi ragione a portare a termine l’incarico assunto, tale obbligazione deve ritenersi estesa agli altri componenti dello studio che dovranno farsene carico.
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La partecipazione ad una associazione richiede le qualità umane necessarie alla ricerca del consenso e alla accettazione del compromesso sulle questioni strategiche e gestionali dello studio. Chi è privo di queste qualità non può in alcun modo prendervi parte: molto spesso il dentista non è abituato al confronto democratico essendo l’autorità assoluta la sua maggior forza ma anche il suo più grande limite nella ricerca del successo.
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18 Commenti
E’ molto chiaro, un’altra domanda chiedo per cortesia: un dentista può aprire più di uno studio associato?
Un dentista in linea di principio può avere partecipazioni ad un numero illimitato di studi associati. La legge non lo vieta. E’ necessario solo che non vi siano previsioni diverse nel contratto di associazione dei singoli studi. Ovvero se nell’atto costitutivo di uno studio associato è esplicitamente esclusa la possibilità per gli associati di partecipare ad altre associazioni analoghe, tale vincolo è valido per i professionisti che vi prendono parte, diversamente sono liberi di agire come desiderano. Il mio consiglio è comunque quello di limitare la propria partecipazione ad un solo studio a vantaggio sia dello studio che del singolo professionista.
La ringrazio tantissimo della risposta, ma mi hanno detto, e non so se è vero, che è l’ordine dei medici a vietarlo, eventualmente fosse cosi in quali sanzioni si incorrerebbe aprendo un altro studio associato? La ringrazio anticipatamente
Ciao Gabriella, facciamo la solita premessa. In questo Paese niente è chiaro. Come si suol dire manca la certezza del diritto. Però non facciamo confusione: è espressamente vietata la partecipazione di un professionista a più “società tra professionisti”, ovvero le cosiddette stp, che sono sotto il controllo dell’Ordine. Ma tu parlavi di studio associato. Non mi risulta che vi sia alcun divieto ad essere socio di due o più studi associati, salvo che non sia espressamente previsto il contrario dai singoli statuti degli stessi. Lo stesso vale per le srl ordinarie: un professionista può essere socio di più srl allo stesso tempo, salvo che gli atti costitutivi non lo vietino. Se per te è di vitale importanza un parere pro veritate rivolgiti all’avv. Silvia Stefanelli di Bologna oppure all’avv. Luca Maria De Grazia. Se hai notizie diverse dalle mie scrivile in questo blog così lo sanno tutti. Fammi sapere. Lele
Ancora grazie della risposta. Mi sono informata direttamente all’ordine dei medici i quali mi hanno confermato ciò che mi ha già detto lei. La ringrazio della sua gentilezza e disponibilità.