Quando il dentista Dott. Rosso pensa alle proprie tariffe è sempre in imbarazzo.
Nessuno gli ha mai insegnato all’Università come si calcola il valore economico di una prestazione e, di conseguenza, a quale tariffa la prestazione possa essere venduta ai propri pazienti. Così ha fatto come tanti: ha fatto leva sul proprio intuito, ha proceduto per tentativi o per imitazione di altri colleghi più esperti. In alcuni casi ha utilizzato piccoli calcoli empirici come quello del moltiplicatore di costi, di cui gli aveva parlato qualche anziano collega, ex dentista dei tempi d’oro che furono.
Rosso non ha mai posseduto gli strumenti ed il metodo necessari per stabilire con accuratezza quanto valessero le prestazioni che effettua e quindi quanto dovessero essere pagate dal paziente che le riceve. Per questo motivo, ogniqualvolta la sua attività ha vissuto momenti di crisi o di tensione è stato attratto dalle sirene della competizione low cost attuate da alcuni centri odontoiatrici, mentre quando l’attività prospera è tentato di agire in maniera opposta, sempre facendo leva sul “sentimento” del momento piuttosto che su un ragionamento analitico gestionale.
Durante il suo ultimo incontro con l’amico dott. Verde questi gli aveva parlato del Break Even (che per lui rimane ancora una incognita) ma soprattutto gli aveva fatto una domanda la cui risposta era tutt’altro che scontata: qual è la tariffa minima cui puoi eseguire una prestazione in modo che questa risulti ancora conveniente dal punto di vista economico?
Ha riflettuto molto su questa domanda ed in effetti si è reso conto che la risposta non è semplice, ma soprattutto non è univoca: dipende da molte variabili e non tutte sono sotto il suo controllo. “Controllo, ancora controllo” pensa tra sé e sé Rosso mentre si avvicina allo studio del suo amico Verde. “Controllo, variabili, obiettivi, metodo, gestione … Possibile che per fare il dentista sia costretto a pensare anche a queste cose …?”. Ancora non si dà pace mentre, con un certo fastidio, suona il citofono dello studio di Verde.
“Bentornato amico mio” gli dice Verde quando lo accoglie sulla porta dello studio. “Hai trovato la risposta alla mia domanda? Qual è la tariffa minima che puoi concedere per una prestazione perché questa sia ancora conveniente per te?”
Rosso: “Sono qui apposta per parlarne. Suppongo che tu non abbia specificato “conveniente per te” in modo casuale. Giusto?”
Verde: “Giusto. Non volevo ingannarti facendoti credere che esista una tariffa minima accettabile per tutti i dentisti. Questo è un retaggio culturale dei tempi in cui i margini di guadagno erano così alti che l’unica preoccupazione dei professionisti era il rispetto del decoro. Per questo gli ordini professionali avevano imposto le tariffe minime. In quei tempi su una prestazione odontoiatrica si guadagnava così tanto che le tariffe avrebbero potuto essere abbattute in modo drastico e si sarebbe guadagnato ancora. Questo avrebbe potuto scatenare una guerra al ribasso dannosa per i dentisti che avrebbero perso profitto inutilmente, visto che il mercato (cioè i pazienti) erano disponibili a pagare di più. Ora la situazione è cambiata: i margini di guadagno sono molto bassi (come abbiamo visto insieme), i pazienti hanno ridotto notevolmente la propria capacità di spesa per via della crisi e vi è stata la liberalizzazione delle tariffe. Tutte queste cose hanno reso importante e delicato il processo di definizione del prezzo della prestazione, perché il successo o l’insuccesso dello studio e quindi della nostra vita professionale si gioca su una linea molto sottile.
Rosso: “Ma questo processo di definizione della tariffa è una cosa che si può imparare?”
Verde: “Certo, è una delle cose che insegno al mio corso, ma voglio anticiparti alcuni punti che potranno aiutarti”.
Rosso: “Grazie, sono tutto orecchie”
Verde: “Cominciamo intanto con il dare un nome a questo processo, che in modo molto pratico è stato definito pricing dai microeconomisti anglosassoni. È un misto di analisi oggettiva dei dati e di sensibilità e intuito personali: ovvero le doti principali di un buon manager, quindi anche di un buon dentista … Se vogliamo estremizzare subito il concetto, giusto per capirci, potremmo dire che la tariffa minima accettabile per una prestazione è quella che mi consente di guadagnare almeno “qualcosa”. Questo “qualcosa” però non è uguale per tutti: dipende dagli obiettivi personali, dalle necessità contingenti, dalle congiunture economiche, dalle aspettative individuali. Pertanto la prima parte del ragionamento, quella che definisce se e quanto margine di guadagno ti rimane, è la componente analitica del processo (tariffa ipotetica – costi fissi – costi variabili = guadagno). La seconda parte del ragionamento, quella che definisce se questo guadagno è “sufficiente per te” si rifà ad un contesto di variabili più complesso ed articolato alcune delle quali dipendono semplicemente dai nostri desideri e che solo in parte rientrano nel vasto mondo del controllo di gestione che io ti invito ad adottare.”
Rosso: “Beh, è come supponevo. Non mi hai detto niente di nuovo. Per capire se la tariffa è adeguata mi basta sottrarre il valore dei costi fissi e di quelli variabili, come già mi hai spiegato, e verificare che mi rimanga un numero positivo. Dopodichè posso decidere se questo numero positivo soddisfa o meno le mie aspettative o il mio tenore di vita. Cosa c’è di tanto misterioso o segreto in tutto questo?”
Verde: “Ok, siamo arrivati al punto. Di misterioso (e anche un po’ paradossale) c’è che non è obbligatorio un numero positivo alla voce “guadagno” per stabilire che una prestazione possa essere per te conveniente sul piano economico. Ecco perché nella domanda che ti ho fatto ho usato l’espressione “conveniente per te”. Infatti anche un numero negativo potrebbe essere conveniente.”
Rosso: “Mi stai prendendo in giro? Vuoi dire che se io sottraggo dalla tariffa il valore dei costi e mi rimane un valore negativo (cioè sono in perdita) mi conviene lo stesso fare la prestazione? Quindi posso usare tariffe che mi danno una perdita anziché un guadagno finale? Ma questo contraddice tutto quello che mi hai detto in questi mesi, ti rendi conto?”
Verde: “Stai calmo: io non ho detto che ti conviene sempre. Ti dico che potrebbe essere conveniente per te anche una prestazione che non ti da nessun margine di guadagno, che sia in pareggio o che sia addirittura in perdita: entro certi limiti, naturalmente!”
Rosso: “Vorrei anche vedere che non ci fosse un limite… Ma qual è questo limite?”
Verde: “Questo limite ha un nome preciso, che noi dentisti neanche conosciamo. È il limite sul quale si costruisce tutta la macchina bellica della competizione tra le imprese di tutto il mondo. È il parametro sul quale il low cost odontoiatrico ha aggredito il mercato in Italia e nel mondo mettendo con le spalle al muro migliaia di dentisti italiani, alcuni dei quali hanno chiuso ed altri si trovano nella tua situazione. Ma, bada bene, la colpa non è dei low cost, la colpa è solo nostra che siamo ignoranti (nel senso meno offensivo del termine) e presuntuosi (nel senso offensivo del termine). Ignoranti perché non conosciamo nulla del controllo di gestione né di questo limite di cui stiamo parlando. Presuntuosi perché continuiamo a pensare di poterne fare a meno.”
Rosso: “Si amico, ma vuoi dirmi come si calcola questo limite di cui stai parlando?”
Verde: “Intanto chiamiamolo con il suo nome: margine di contribuzione. Il margine di contribuzione è l’indicatore più sensibile della “convenienza economica” di una prestazione. Si ottiene sottraendo dalla tariffa della prestazione i soli costi variabili, ovvero, come sai, i soli costi legati alla produzione effettiva della prestazione. Se il valore che ottieni da questa sottrazione è positivo la prestazione è economicamente ancora conveniente per te. In sostanza si può dire che una prestazione con un margine di contribuzione positivo (fosse anche solo di 1 euro) contribuisce a pagare i costi fissi, quindi conviene. Tanti piccoli margini di contribuzione (anche solo di 1 euro ciascuno) contribuiscono ad abbattere il monte dei costi fissi che io avevo paragonato al peccato originale di ogni dentista, ti ricordi?”.
Rosso: “Mmmh, si mi ricordo benissimo. Quindi io potrei settare tutte le mie tariffe in modo tale da avere un margine di contribuzione positivo, pur essendo in perdita. In questo modo potrei vincere la concorrenza dei colleghi con tariffe bassissime e risultati economici soddisfacenti?”
Verde: “Assolutamente no, lavorare solo sul margine di contribuzione è molto pericoloso. L’uso che devi fare di questo margine è un altro. Di regola devi avere un margine di guadagno positivo sulle prestazioni. Questo ti mette al riparo da eventuali sorprese negative consentendoti di costituire fondi di riserva in caso di necessità. Se in qualche caso fossi costretto ad usare tariffe basse oppure ad effettuare sconti, oppure se avessi spazi in agenda che non siano già saturi di prestazioni con guadagno positivo, allora (e solo allora!) puoi accettare di effettuare anche prestazioni con guadagno negativo e margine di contribuzione positivo, perché sai che quel poco di margine che producono ti servono comunque per abbattere il debito dei costi fissi. Arriverà un giorno dell’anno nel quale, tra prestazioni con guadagno positivo e prestazioni con guadagno negativo ma margine di contribuzione positivo, sarai riuscito nell’impresa di sanare tutto il tuo debito di costi fissi.”
Rosso: “Caspita, quello è davvero un grande giorno. Vuol dire che dal giorno successivo i costi fissi li ho pagati tutti e dalla tariffa dovrò scontare solo i costi variabili, giusto?”
Verde: “Esattamente. Da quel giorno potrai dire di avere effettuato tutte le prestazioni che servivano per abbattere il debito dei costi fissi e quindi produrrai dei guadagni veri e propri. Questa situazione si chiama Break Even. Raggiungere il Break Even è il principale obiettivo di ogni impresa, anche quella odontoiatrica. Prima raggiungi il Break Even, nel corso dell’anno di esercizio, e prima cominci a produrre degli utili veri, quelli che incidono concretamente sul tuo tenore di vita. Se non raggiungi il Break Even significa che non hai fatto un numero sufficiente di prestazioni oppure che le tariffe di queste prestazioni erano troppo basse per raggiungere l’obiettivo. In questo caso il guadagno della singola prestazione rappresenta un guadagno solo virtuale, perché nella realtà dovrà essere versato per pagare il debito residuo dei costi fissi.”
Rosso: “Quindi non è sufficiente stabilire una tariffa adeguata per la prestazione (con il giusto mix di guadagno e di margine di contribuzione), ma è necessario anche calcolare a priori quante prestazioni devo effettuare a quelle condizioni tariffare per poter raggiungere il Break Even e, soprattutto, quanti mesi ci metto per fare quel numero di prestazioni”.
Verde “Bravissimo. In fase di pianificazione potresti scoprire che ti servono 1.000 prestazioni per andare a Break Even ma che nel corso di un intero anno, solitamente ne effettui soltanto 900 di media. Capisci cosa vuol dire?
Rosso: “Capisco benissimo. Significa che la partita l’ho già persa prima di cominciare a giocare. Posso solo ritoccare le tariffe verso l’alto oppure avviare una strategia di marketing che mi porti a fare più prestazioni”.
Verde: “Oppure un mix di entrambe le cose. Ora, prima di lasciarci, ti assegno, come al solito, una piccola indagine da compiere. Riprendiamo l’esempio originale delle ablazioni del tartaro, che come sai è una di quelle prestazioni che vengono regalate da molti colleghi o centri low cost. Sulla base dei numeri che ci siamo detti le volte scorse e facendo finta, per semplificare, che nel tuo studio si facciano solo ablazioni del tartaro e nient’altro: sapresti dirmi quante prestazioni dovresti fare per andare a Break Even. In altre parole quante prestazioni dovresti fare per avere la certezza che il tuo studio produca dei guadagni reali?”.
Rosso: “ehm, temo che non sarà facile, ma ci proverò. Intanto grazie per le spiegazioni. Ci vediamo a cena la prossima settimana … sei mio ospite!”
Verde: “Bene! Alla prossima!”.
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