Il dentista è esposto più di altri professionisti al rischio della aggressione da parte di terzi ostili ai propri beni personali e familiari. Viene presentata in questo articolo una ampia panoramica sugli strumenti disponibili oggi per la tutela patrimoniale nella professione odontoiatrica. I contenuti di questo articolo derivano dalla competenza specifica del suo autore, Pietro Paolo Mastinu, e dalla esperienza professionale maturata nel mondo dell’odontoiatria.
Perchè parlare ai dentisti di tutela patrimoniale? La risposta è semplice: pochi individui assommano rischio clinico, rischio di impresa e rischio medico legale come capita quotidianamente al dentista. Il più delle volte un odontoiatra non ha nè formazione adeguata nè strumenti idonei per difendersi dalla possibile aggressione di terzi ostili.
La tutela patrimoniale di un dentista può essere realizzata con forme e strumenti diversi di cui daremo conto in questo articolo. Accanto alle polizze per la responsabilità civile trovano luogo strumenti meno conosciuti come ad esempio un diverso layout giuridico della propria attività, il fondo patrimoniale, il vincolo di destinazione, il trust, ecc.
Prima di parlare degli strumenti attraverso cui realizzare la segregazione del patrimonio personale, dobbiamo partire dal patrimonio professionale in senso lato, anche in relazione alla forma giuridica con cui è possibile esercitare l’attività.
Il lavoro di un Consulente non può certo trascurare questo elemento essenziale della Tutela patrimoniale. E oggi le cose si son fatte per certi versi più semplici e per certi altri molto più complicate.
Il DDL Gelli, recentemente entrato in vigore, ha in realtà cristallizzato in un istituto giuridico, quello della responsabilità diretta, una prassi che era già nei fatti per via delle pronunce giurisprudenziali, sia pur sotto la forma di responsabilità solidale. Quando il Medico collabora con una struttura, è la struttura che ha un rapporto contrattuale con il paziente ed è la struttura che risponde del suo operato (con limiti che nei fatti sono più ridotti di quanto si possa credere).
Ma in realtà il DDL Gelli ha fatto molto di più. Ha legato ancora di più medico e struttura sanitaria allo stesso comune destino. Nonostante alcune voci contrarie le cose stanno proprio così e vi spiego il perché.
Intanto, non è superfluo ricordare che tali strutture iniziano ad essere la forma scelta per esercitare la professione da un numero sempre maggiore di medici e soprattutto odontoiatri. Questi, quindi, non agiscono più e solo come diretta controparte dei loro stessi pazienti, ma come collaboratori di una persona giuridica che ha un diretto rapporto con paziente anche se la struttura è la loro. Agiscono quindi come stessero facendo due parti in commedia, per così dire.
Onde evitare che tale commedia si tramuti in tragedia, non è affatto male saperne un po’ di più su questo tema, che è assai più complicato e spinoso di quanto generalmente si pensi.
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Abbiamo sostanzialmente tre casi dopo il DDL Gelli:
Tutto questo per dire che in tutti i casi le caratteristiche della polizza del medico sono determinanti ed è inutile parlare di tutela patrimoniale senza aver prima indagato bene come deve essere fatta questa polizza. Se poi il medico lavora da solo e non per una struttura complessa che ha oggi tutto l’interesse a coprirlo come si deve, per paradosso sotto questo profilo è svantaggiato, perché tutte queste conoscenze le deve acquisire in proprio.
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Il tema è assai articolato e dipende anche dalla specialistica che andiamo ad indagare. Esistono categorie di medici che sono molto più esposte di altre (ginecologi, ortopedici, chirurghi plastici e cardiochirurghi) ad esose richieste di risarcimento, nell’ordine anche di diversi milioni di euro. Ma le strutture ospedaliere e ambulatoriali – oltre che i medici quando agiscono in proprio – hanno motivo di preoccuparsi anche di risarcimenti molto meno importanti e che quindi attengono a qualunque specialistica medica, come ad esempio l’odontoiatria.
Voglio sottolineare che il problema è assai più antico del DDL Gelli. Esiste da molto tempo. Perciò è il caso di presentare un sia pur sintetico quadro della situazione che ci ha portato a questo.
Intanto, cominciamo con lo sfatare alcuni falsi miti, tra i quali due meritano particolare rilievo:
In alcuni convegni promossi dalle varie associazioni di categoria medica o odontoiatrica vengono spesso citate alcune sentenze che hanno smontato trust o fondi patrimoniali per dimostrare la veridicità dei due miti precedenti. Spesso viene lasciato all’argomento lo spazio di un dibattito tra vari esperti o sedicenti tali, strumento che per sua natura ben si presta a dire tutto e il contrario di tutto. Nessuno racconta a quei medici il vero motivo di quelle sentenze. E cioè che quasi sempre si era ricorsi allo scudo quando ormai era troppo tardi o per scudare l’inscudabile (e cioè un reato penale).
I motivi per cui accade questo sono diversi ma l’impressione è che si abbia più a che fare con gli interessi in gioco e l’insufficiente professionalità di taluni che con la verità dei fatti. Gli strumenti di protezione vengono utilizzati eccome da altre categorie professionali e con largo successo. Non si vede per quale motivo ciò non debba valere anche in campo medico legale. In questo caso il problema è ben altro e ha diretta relazione con il contesto in cui i Medici per molto tempo hanno operato.
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La verità è che per molti anni, i Medici hanno sottoscritto polizze largamente sub-ottimali, non sempre comprendendo che tipo di contratti stavano in effetti firmando. A volte, si trattava di polizze negoziate a monte dalle Associazioni di categoria direttamente con le Compagnie, polizze standardizzate e raramente mirate agli effettivi bisogni del singolo Medico, in cui la priorità era pagare il premio più basso possibile, tema sul quale la categoria dei Medici è sempre stata assai sensibile. In altri casi, si trattava di polizze proposte da un agente assicurativo che non sempre pensava alle effettive e specifiche esigenze di quel Medico o che, più semplicemente, non era così addentro alla materia, oggettivamente complessa.
La questione non ha assunto forte rilevanza fino a che il contenzioso ha viaggiato in termini normali, anche in relazione all’immagine del Medico nella società, che è andata via via deteriorandosi. L’aumento delle cause e i nuovi orientamenti della Giurisprudenza hanno modificato di molto il quadro, rendendo in molti casi tali polizze assolutamente inadatte a coprire i rischi crescenti in termini di tutela patrimoniale.
Analizzare questo contesto serve non certo a polemizzare sulle responsabilità di questo o quello, ma a comprendere perché è davvero consigliabile che la questione rischio debba essere analizzata con particolare attenzione e in prima persona, e in particolare da chi – pur non essendo un Medico – potrebbe esserne coinvolto e pagarne le conseguenze.
Premesso tutto ciò, partiamo dalla polizza rct professionale, la cui importanza è evidente; eppure, non sempre i Medici sono in grado di valutarne la maggior o maggiore rispondenza ai propri specifici bisogni.
Parliamo intanto di alcuni caratteristiche generali che dovrebbero avere sempre le polizze dei medici indipendenti e semi-indipendenti – e cioè quelli che non collaborano o collaborano anche con le strutture complesse- e anche prima del DDL Gelli e poi ci concentreremo sulle novità introdotte da quest’ultimo.
In realtà, la polizza va studiata con attenzione (e se necessario sostituita o integrata) per verificare se la stessa prevede una tutela legale effettivamente utile al Medico: tutti i casi in cui la Compagnia impone i propri legali non appartengono a questa categoria, in quanto il Medico dovrebbe poter scegliere il proprio legale e il proprio perito di parte. Il legale della Compagnia molto spesso fa gli interessi della Compagnia e non quelli del Medico.
In alcuni casi, è opportuno di sottoscrivere una polizza di tutela legale a latere che preveda espressamente la copertura del contenzioso penale, sempre escluso dalla polizza di responsabilità civile professionale. Questa soluzione è migliorativa di qualsiasi garanzia aggiuntiva o estensiva della polizza principale. Va poi ricordato che, nel limite del 25% del massimale indicato in polizza, la Compagnia sostiene tutte le spese fin dalla comunicazione di sinistro; bisogna porre attenzione ad alcune polizze presenti sul mercato che, a fronte di premi molti contenuti, prevedano la liquidazione dell’indennizzo solo alla fine del terzo grado di giudizio, il che significa che tutte le spese e le eventuali preventive escussioni, sempre più frequenti negli ultimi tempi, le deve anticipare il Medico facendo fronte con il proprio patrimonio personale.
Altro punto da verificare è che la polizza non preveda franchigie, esclusioni e massimali tali da rendere effettivamente poco utile la copertura al concreto dipanarsi degli eventi a seconda della specialità presa in considerazione.
Dovremmo anche assicurarci che la polizza sia emessa da una Compagnia solida, riconosciuta come tale a livello almeno nazionale e che non abbia un capitale sociale ridicolo (in alcuni casi si è visto che alcuni Medici hanno sottoscritto in massa assicurazioni con compagnie con un capitale sociale di tre milioni di euro! Qualcuna di queste Compagnie è già fallita; basta citare i casi Faro, Forte, etc).
Per questi ed altri motivi una polizza rct dovrebbe essere analizzata anche con l’ausilio di un consulente di fiducia.
Nei casi in cui si vogliano coprire alti massimali, si deve verificare se esiste la possibilità di stipulare non una, ma due o tre polizze con diverse Compagnie, di cui una di primo, una di secondo e una di terzo rischio, e così via perché utilizzando questo modello di sottoscrizione per questa via si può ottenere un sensibile risparmio sul premio annuo complessivo rispetto all’ipotesi di sottoscrivere una sola polizza per lo stesso massimale, inteso integralmente a primo rischio. Si copre così in maniera più articolata sia l’evento estremo (con le polizze di secondo e terzo rischio) che quelli più probabili e più frequenti (con la polizza di primo e massimale standard).
In una polizza rct devono poi essere analizzate, con grande attenzione, tutte le ipotesi di carenza come più in generale tutte le limitazioni alla copertura (mancanza di consenso informato, documentazione clinica, mancata copertura per contaminazioni, etc). Non sempre è possibile ottenere tutto, ma almeno esserne consapevole porterà il Medico ad una particolare cura proprio dove sa che è scoperto. Un esempio classico sono proprio i consensi informati: sempre più difficilmente le Compagnie copriranno carenze in questo ambito, visto che la Cassazione a sezioni unite ha recentemente suggellato il principio che tale mancanza equivale a malpractice.
Volete quindi una tutela patrimoniale efficace? Iniziate dal controllare il vostro studio o il vostro ambulatorio e rivedete tutto: i consensi ci sono? Per ogni specialistica? Vengono davvero compilati? E come? Se c’è solo la firma e nessuna annotazione personale, servono a poco. Dove li avete presi? Meglio utilizzare quelli stilati dalle Società scientifiche che su questi temi fanno riflessioni attente. Stesso discorso vale per il questionario anamnestico e per il diario clinico. Ricordate che per un professionista prima di tutto viene l’archivio, perché è solo quello che conta in giudizio.
Occorre poi verificare se sia compresa in copertura oltre all’imprudenza, la negligenza e l’imperizia, anche l’inutilità del trattamento e il conseguente non giustificato esborso delle somme pagate dal paziente per il relativo piano terapeutico. Diversamente, il Giudice potrebbe disporre il rimborso integrale delle spese per le cure sostenute dal paziente e la Compagnia non coprirebbe questo rischio.
Tutto ciò valeva prima del DDL Gelli e vale ancora adesso, con buona pace dei decreti attuativi ancora mancanti. Mancano in particolare il nuovo contratto quadro obbligatorio cui dovranno conformarsi tutte le Compagnie attive sul medmal ed il Fondo Nazionale di Garanzia cui tutte tali compagnie dovranno versare l’obolo.
Tutto questo mostruoso meccanismo dovrebbe assicurare per i medici indipendenti e per le strutture complesse che:
Ad oggi non troverete polizze già conformi al DDL Gelli e non le troverete – diffidate di chi racconta il contrario – perché la normativa è ancora monca e nessuno conosce i termini con cui verrà fatta.
Forse l’unica eccezione è rappresentata dalle polizze di colpa grave per il medico. Ma di sicuro non troverete nessuna polizza che vi garantisce una retro e una ultra attività di dieci anni.
Quello che troverete è largo circa quello che c’era anche prima: poche compagnie disposte ad assicurarvi e polizze – tutte – con la clausola claims made. Detta in breve, questa clausola significa che la Compagnia paga solo il sinistro commesso nell’anno se denunciato entro l’anno. Paga anche entro certi limiti quello degli anni precedenti ma sempre che tu non abbia nel frattempo cambiato Compagnia. E per andare ai nostri casi, ben difficilmente troverete una polizza per un ambulatorio odontoiatrico che costi meno di euro 7.000 l’anno. Mentre un dentista con implantologia lo assicurano con premi pari ad un quarto di questa cifra. Nessuno può dire oggi a quanto ammonterà questo premio quando la copertura sarà ampliata a vent’anni e dovrà coprire anche parte della responsabilità del Medico. E’ vero che si sono abbassati i massimali del risarcimento, ma è altrettanto vero che il periodo di copertura è aumentato a dismisura. Quindi è assai probabile ipotizzare che il premio quando tutto il meccanismo dettato dal DDL Gelli sarà entrato in vigore, sarà più alto.
Tornando all’ambulatorio odontoiatrico, diffidate di polizze che costano molto meno, in quanto è certo che andando a guardare le condizioni contrattuali si scopra che il rischio coperto per danni a terzi non è quello dei collaboratori odontoiatri a partita iva, ma solo quello dei dipendenti. Questo rischio costa molto meno, ovviamente, ma non è quello che volevate coprire.
Il DDL Gelli ha imposto la copertura assicurativa come obbligatoria da subito per cui oggi la polizza la si deve stipulare per forza ma non quella che il DDL Gelli vorrebbe, poichè, come detto, quella non è ancora pronta.
E qui abbiamo subito altri due problemi:
Concludo spezzando una lancia a favore dei medici quando collaborano nelle strutture complesse. Tutti gli aspetti di cui abbiamo parlato impattano pesantemente sia sulla copertura effettiva sul singolo caso della polizza che sul contenzioso ad esso relativo in senso più o meno sfavorevole, per tacer d’altro. Tutte tematiche che spesso i Medici non riescono a cogliere nella loro pienezza anche perché racchiuse in formule “legalesi” di non immediata comprensione per i non addetti ai lavori ed è davvero il caso di darci un’occhiata molto attenta. Peraltro, le strutture, con la loro capacità contrattuale, dovrebbero riuscire più agevolmente a negoziare a monte con le Compagnie polizze per i propri medici anche più convenienti per gli stessi sottoscrittori sotto il profilo economico, oltre che con condizioni di tutela migliori.
Del resto è ben noto che il rischio per la tutela patrimoniale, dal punto di vista legale, attiene a profili civili e penali. Quasi sempre, entrambe le azioni comportano alla fine un esborso pecuniario, che sia a titolo di ammenda o sanzione pecuniaria o vero e proprio risarcimento conta poco ai nostri fini.
Ma il tema della colpa e del reato sono tali da mettere psicologicamente a terra molti medici e quindi creare problemi anche alla struttura ospitante che quasi sempre generano nuovi costi e/o evitabili complicazioni gestionali, oltre che condotte ispirate alla c.d. medicina difensiva che, al di là di altre considerazioni, per una struttura ospedaliera o ambulatoriale privata non appaiono certo opportune.
La protezione è quindi un tema ad ampio respiro, sul quale le strutture ospedaliere e ambulatoriali hanno tutti i motivi di investire tempo e risorse, anche per ciò che riguarda il singolo rischio di ciascun componente le proprie equipe mediche.
E sono strutturate a fare scelte avvedute molto più di un singolo professionista che deve fare tutto da solo.
Se tuttavia il medico o l’odontoiatra vogliono mantenere la propria autonomia – cosa di cui hanno pieno diritto – devono strutturarsi in modo nuovo e faticarci sopra. Non farlo potrebbe essere pericoloso.
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Questo Istituto, pensato per la Famiglia, è stato istituito con la Riforma del Diritto di Famiglia del 1975 e recentemente modificato con la Riforma della Giustizia (Decreto Legge 83/2015). La sua ratio è quella di realizzare la salvaguardia di una parte di patrimonio da eventuali debiti futuri, vincolando al soddisfacimento dei soli interessi della famiglia: un complesso di beni determinati (che possono essere solo immobili, mobili registrati o titoli di credito) destinati in questo modo unicamente al soddisfacimento dei diritti di mantenimento, assistenza e contribuzione derivanti dalla famiglia stessa.
Si costituisce generalmente con atto pubblico presso un Notaio ed è disciplinato dagli articoli 167 – 171 del codice civile. Il suo costo si aggira intorno ai 1500-2000 euro.
Qualunque professionista coniugato dovrebbe farlo subito dopo aver contratto il matrimonio e richiesto il regime della separazione dei beni. A maggior ragione se ha figli o se pensa di averne .
Per la creazione un fondo patrimoniale è necessario essere sposati. Il matrimonio è infatti condizione per la sua esistenza ed il fondo patrimoniale viene meno per annullamento, scioglimento e cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Se si è in presenza di figli minori inoltre, si estingue al compimento del loro diciottesimo anno d’età.
Il fondo patrimoniale infatti, potrebbe essere un’utile strumento per destinare, ad esempio, un appartamento al nascituro, garantendogli l’esistenza dell’immobile e, se locato, l’accantonamento dell’eventuale somma dei canoni riscossi sino alla sua maggiore età. Se il vincolo di destinazione ricade su un appartamento, l’eventuale
Mi raccomando: se si vuole evitare guai bisogna rispettare requisiti di coerenza e soprattutto di buon senso. Evitate quindi di inserire nel Fondo Patrimoniale 12 immobili perché per quanto quello che conti è l’effettivo tenore di vita della Famiglia il che relativizza il discorso alle varie possibili situazioni di fatto (il tenore di vita della Famiglia Berlusconi è un po’ diverso da quello del Ragionier Brambilla) non si può dimenticare (e di sicuro non lo dimentica il Giudice) che un Fondo Patrimoniale non è un Trust e soprattutto non dovrebbe mai essere l’unico strumento per scudare il proprio patrimonio. Anche perché se fatto male è del tutto penetrabile, come vedremo.
Il buon senso poi suggerisce di evitare di inserire la Mercedes in questo vincolo; anche se la cosa è permessa, diventa difficile andare dal Giudice a farsi autorizzare la vendita di quella per comprare la BMW e pretendere di giustificarla con motivazioni inerenti il benessere della Famiglia.
Il fondo patrimoniale può essere costituito da un solo coniuge, entrambi o anche da terzo benefattore della coppia.
Possono essere vincolati tutti i beni che permettono la “pubblicità del vincolo”, ovvero lo strumento che, mediante l’annotazione del vincolo su appositi registri pubblici, permette di presumere che chiunque ne sia a conoscenza.
La costituzione del fondo patrimoniale e le sue eventuali modifiche devono essere annotati sia a margine dell’atto di matrimonio e se imposto a beni immobili e mobili, dovrà essere annotato rispettivamente nei registri immobiliari e mobiliari. Per i titoli di credito bisognerà effettuare l’annotazione del vincolo sul documento. Tale forma di pubblicità rende il fondo patrimoniale opponibile ai creditori che vogliano acquistare diritti sullo stesso. In altre parole, rendendo conoscibile a chiunque la presenza del vincolo sul bene, si crea quella difesa rafforzata che tutela il fondo patrimoniale da eventuali creditori futuri
Tutti gli altri beni (disponibilità liquide, opere d’arte e altri beni mobili non registrabili) non possono essere inclusi nel Fondo Patrimoniale e quindi occorrerà trovare altri sistemi per tutelarli. Ne parleremo, ovviamente in altri post dedicati.
Non si può ovviamente tutelare con tale Istituto un immobile per cui si è richiesto un mutuo per l’acquisto e si sta ancora pagando le rate, perché in tal caso sopravvivendo l’ipoteca, nei confronti della banca, il vincolo del fondo non avrà alcun effetto.
Uguali considerazioni possono farsi in qualsiasi altro caso in cui sul bene sia stato iscritto un pegno o un ipoteca che ovviamente renderanno nullo ogni tentativo di iscrivere un vincolo patrimoniale successivo come quello del Fondo Patrimoniale.
Per quanto invece riguarda i debiti contratti dopo la creazione del fondo occorre distinguere tra i debiti che sono stati contratti dopo la costituzione del fondo patrimoniale per scopi inerenti all’interesse della famiglia e quelli che hanno avuto origine da scopi extra-familiari.
Il creditore non dovrà più dimostrare nulla ed il suo pignoramento potrà andare avanti anche se il bene esecutato era stato inserito nel fondo patrimoniale (art. 2929 bis). La riforma, infatti, stabilisce che il creditore può ugualmente procedere ad esecuzione forzata, ad esempio mettendo all’asta la casa, con l’unica condizione che quest’ultimo trascriva nei pubblici registri il pignoramento entro un anno dalla data di trascrizione del fondo patrimoniale. In pratica la nuova legge, invertendo gli oneri, presume che il debitore abbia agito in malafede. A prescindere dalla veridicità, nel caso in cui un creditore inizi il pignoramento sui beni oggetto del vincolo entro un anno dalla sua costituzione, il coniuge-debitore potrà solo opporsi giudizialmente al pignoramento, cercando di dimostrare che il fondo patrimoniale non è stato costituito allo scopo di frodare il creditore e correndo il rischio che nel frattempo il giudice gli ordini di lasciare l’immobile.
In conclusione, nonostante nell’ultimo anno abbia subito dei ridimensionamenti, il fondo patrimoniale potrebbe essere ancora un buono strumento per tutelare alcuni beni dalle aggressioni di creditori futuri.
L’efficacia del fondo patrimoniale dipende anche dalla situazione debitoria dei coniugi e dall’eventuale presenza di altri beni sui quali i creditori si possano soddisfare, prima di valersi sui beni del fondo.
Nulla può il Fondo Patrimoniale contro eventuali azioni penali e relative richieste di denaro sotto qualsiasi forma ( pignoramenti ) derivanti da responsabilità penale. Se non paghi le tasse che hai dichiarato, il Fisco lo buca in un attimo.
Ma rimane comunque una soluzione possibile per chi non può permettersi di più e se al suo interno viene inserita la casa di proprietà e poco altro con largo anticipo rispetto all’eventus damni.
Esiste poi un altro istituto di recente acquisizione e disciplinato nel novellato art. 2645-ter del codice civile: lo definiamo Vincolo o Fondo di destinazione.
Somiglia al Fondo Patrimoniale ma non richiede il matrimonio e può essere anche utilizzato dal coniuge separato o da un singolo. A differenza del Fondo Patrimoniale, tale Vincolo prevede che, mediante atto pubblico, determinati beni immobili e mobili registrati possono essere destinati “alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela” per una durata non superiore a novant’anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria.
In altri termini, “imprimendo” su determinati beni questo vincolo di destinazione (che viene trascritto nei pubblici registri ove sono iscritti i beni oggetto dell’atto di destinazione) si ottiene l’effetto di “isolare” questi beni dal patrimonio “generale” del soggetto che ne è il titolare, in modo da destinarli al perseguimento del fine per il quale l’atto di destinazione è stato istituito.
Con l’imposizione del vincolo di destinazione, i beni che ne sono oggetto vengono, in particolare, sottratti alle vicende in cui può essere coinvolto il loro proprietario; e così essi non possono essere assoggettati a procedure esecutive o concorsuali, si sottraggono all’eventuale regime di comunione legale dei beni tra i coniugi, non fanno parte dell’asse ereditario, eccetera.
Si pensi al caso – spesso ricorrente – di una persona, non coniugata e priva di figli, che presti continuativa assistenza a un parente (ad esempio: un fratello) disabile. Queste persone si pongono inevitabilmente il problema dell’assistenza al disabile nel caso in cui esse non possano più provvedervi (in ipotesi: per premorienza, infortunio o altra sopravvenuta incapacità).
Secondo quanto prescrive testualmente l’articolo 2645-ter del Codice civile, per effetto della trascrizione dell’atto istitutivo di un vincolo di destinazione quest’ultimo diviene opponibile ai terzi, con la conseguenza che i beni “vincolati” e i loro frutti sono sottratti a qualsiasi azione esecutiva che non dipenda da debiti assunti proprio con riferimento al vincolo stesso. In altre parole, imprimendo ad alcuni beni un vincolo di destinazione, un soggetto dell’ordinamento può creare un patrimonio separato rispetto a quello “generale” di cui sia titolare. L’effetto di questo vincolo – una volta trascritto – è che i creditori del soggetto che ha impresso il vincolo di destinazione possono continuare ad aggredire il patrimonio del loro debitore secondo i principi generali, ma non invece i beni oggetto del vincolo, che restano così “isolati” dal patrimonio del debitore.
Questo Istituto è molto giovane e non abbiamo abbastanza Giurisprudenza ma è assai facile prevedere che se utilizzato con criterio e in mancanza di altre possibilità troppo onerose per patrimoni non cospicui (TRUST) possa costituire un altro valido pezzo del nostro puzzle.
Con il contratto di intestazione fiduciaria, un persona può incaricare una Fiduciaria (praticamente ogni Banca ne ha una) di agire in nome e per conto suo, senza che il suo nome compaia. Per molti anni, tale istituto era effettivamente utile a segregare anche il patrimonio posto sotto il contratto, perché non era per niente facile sapere chi c’era dietro ogni contratto. Si sarebbe dovuto scrivere a tutte le fiduciarie d’Italia e non era neanche detto che ti dessero informazioni.
Oggi è tutto cambiato. Perchè c’è Serpico, cioè il mega cervellone della Agenzia delle Entrate che di noi, semplicemente inserendo il nostro codice fiscale, sa tutto in pochi secondi, compreso il sapere se si è stipulato un contratto del genere.
Quindi questo istituto regge al massimo per tutelare la privacy di certi affari nei confronti dei terzi ma tra questi terzi non rientra certo il Fisco o l’ufficiale giudiziario.
Questo perché nel diritto italiano così come più in generale nei sistemi di Civil Law non è concepibile separare la proprietà dal godimento.
La stessa cosa non vale invece per i sistemi giuridici afferenti alla Common Law, di derivazione britannica.
Gli inglesi, a differenza di noi, sono molto più pratici e assai poco bizantini.
Già nel Medioevo in Inghilterra i vari nobilazzi locali avevano il problema di trovare qualcuno cui affidare i propri patrimoni quando dovevano assentarsi per periodi prolungati, ad esempio per partire per le Crociate.
Dopo un periodo di tentativi naïve (e anche parecchie fregature) fu coniato questo istituto, appunto il Trust, che permetteva di stipulare un contratto con cui spogliarsi della proprietà dei beni in favore di una figura, il Trustee, che avrebbe dovuto restituirlo ad una certa scadenza. A differenza di quello che non sarebbe mai potuto accadere in un sistema di Civil Law, il disponente (Settlor) si spogliava completamente della proprietà e manteneva solo il godimento, seppur traslato, dei suoi beni. Questo poteva anche avvenire per sempre, nel senso che il Trustee avrebbe potuto tranquillamente non ri –trasferire mai più la proprietà al Settlor, ma semplicemente avrebbe dovuto far godere, sulla base di un contratto più o meno articolato, i frutti di quel patrimonio al medesimo.
La possibilità di costruire un regolamento con la massima libertà e ampiezza possibile, ha quindi e ben presto trasformato il Trust in uno strumento incredibilmente ampio e soprattutto tagliabile su misura.
In questa sede non si può parlare di tutti gli utilizzi che si possono fare di questo incredibile strumento, ma ci conviene concentrarci su una Sua particolare variante che è costituita dall’Asset Protection Trust. Un Trust cioè fatto e pensato per la tutela patrimoniale del Settlor, blindandolo da qualunque richiesta risarcitoria di terzi.
Questo è possibile perché tale strumento realizza il trasferimento della Proprietà, quindi il bene non è più del Disponente.
I limiti che tale Trust incontra sono solo quelli della Legislazione del Paese prescelto, ma poiché è possibile stipularlo con il regime giuridico di molti e diversi Paesi, si trova sempre quell’ordinamento che conviene di più in una analisi costi-benefici alla peculiare situazione dell’interessato.
L’unico problema era: come diavolo faccio a fare un contratto estero in Italia e per di più con regimi giuridici che cozzano frontalmente con quello italiano?
La questione è stata risolta da una Convenzione Internazionale che ha permesso di realizzare questa cosa. Oggi un italiano può costituire un trust estero e i suoi effetti verranno per così dire trascinati anche in Italia.
Fondamentale però è ricordare che:
Capite bene perché sorrido quando sento di medici che hanno fatto un trust per la tutela patrimoniale con 3000 euro. Per fare una cosa del genere fatta bene (e si può e si deve solo farla bene) si deve spendere tra i 30 e i 40 mila euro. Ovvio che una soluzione del genere si giustifica solo per patrimoni superiori a 10 mln di euro.
Nel Trust però può entrare tutto (immobili, mobili registrati e mobili, denaro, titoli, opere d’arte). Non ci sono limitazioni di alcun genere. Ed è altrettanto ovvio che se fai un trust non hai bisogno di fare altro (fondi patrimoniali o vincoli di destinazione).
Il Trust può anche essere intestatario delle vostre società e quindi schermarle due volte. Niente del genere è possibile fare con una StP, perché non può avere tra i soci persone giuridiche. Ma tutte le altre società sì. Ci sarebbe un mare di altre cose da dire, ma non è questo il luogo adatto.
Sappiate però che questo strumento può anche permettere di gestire tematiche successorie e di passaggio generazionale delle famiglie, unendo il massimo grado di tutela patrimoniale.
Tutela patrimoniale mediante Fondo pensione complementare
Nell’ambito del lavoro autonomo destinare una parte dei propri redditi ad un Fondo Pensione permette di ottenere subito una deduzione annua che può arrivare fino a 5.164,57 euro l’anno. E persino di ottenere una tassazione separata al momento in cui tale strumento passerà nella fase della distribuzione. Parte di questo capitale potrà essere prelevato alla scadenza – che corrisponde con l’effettiva età pensionabile – sotto forma di versamento unico e parte in pagamenti periodici ( rate di pensione integrativa ) che vengono erogate al fine di integrare la pensione vita natural durante e in qualche caso tali rendite sono anche reversibili ( e cioè attribuibili al coniuge in caso di morte del beneficiario ).
Il Fondo Pensione assolve quindi a finalità di integrazione previdenziale, permette di investire in strumenti finanziari simili a quelli che si possono utilizzare nella finanza pura e quindi senza il cappello assicurativo; strumenti tra i più diversi ed adatti a qualunque profilo di rischio ed esigenza personale del cliente. Quando vengono stipulati in giovane età e quindi in un momento in cui si profilano davanti a noi diversi decenni di attività, dovrebbero essere allocati su strumenti più rischiosi nel breve ma molto più redditizi nel lungo termine ( vedi video 2 sull’analisi del rischio e dell’incertezza ). Perchè il rischio in finanza è una variabile legata fortemente al tempo per cui dura l’investimento. La stessa operazione, che è molto rischiosa in un arco di tempo breve, diventa la meno rischiosa se vista in un ottica di 30 anni. Così come un prodotto finanziario poco rischioso, se visto a un anno, in trent’anni diventa rischioso eccome, perché i suoi bassi rendimenti, se si considera l’inflazione, ti portano in trent’anni a non coprire neanche il capitale investito a parità di potere d’acquisto .
Ma chi è più diffidente può sempre decidere di investire in maniera prudente anche nel lungo termine.
In un caso come nell’altro, rimane il fatto che tale strumento permette di godere di una tassazione previlegiata e per di più consente di proteggere il patrimonio allocato in questo strumento, almeno in parte e da qualunque attacco o richiesta risarcitoria dei terzi ( a parte le azioni penali ).
In materia di previdenza complementare, vi è da considerare infatti quanto disposto dall’articolo 11, comma 10, del decreto legislativo numero 252/2005, il quale stabilisce il principio di intangibilità della posizione individuale nella fase di accumulo e fissa dei limiti alla sequestrabilità e pignorabilità della prestazione previdenziale erogata al termine della fase di accumulo.
Le regole fissate dalla predetta norma possono essere così sintetizzate:
La ratio sottesa al principio di intangibilità della posizione individuale dell’iscritto nella fase di accumulo, e ai limiti alla sequestrabilità/pignorabilità e cedibilità della prestazioni pensionistiche, deve essere ravvisata nella tutela della funzione previdenziale propria della previdenza complementare.
Il pignoramento delle forme di previdenza complementare, così, trova precisi limiti, in analogia a quanto previsto per la pensione di previdenza obbligatoria. E’ infatti necessario contemperare la finalità sociale del risparmio previdenziale con le pretese creditorie degli aventi titolo.
Ciò significa che il montante che si versa al fondo pensione (tfr e contributi) non è assoggettabile né a sequestro né a pignoramento, né è cedibile da parte dell’interessato. Durante tale fase, infatti, le risorse rientrano nel patrimonio del fondo pensione e, dunque, non sono più nelle disponibilità dei soggetti iscritti.
Va sottolineato che tale istituto è configurabile sia per lavoratori dipendenti che per quelli autonomi. Per i primi è molto facile che tali Fondi pensione siano di istituzione sindacale. Ma nessuno impedisce anche ai lavoratori dipendenti di stipulare contratti con Compagnie assicurative che offrono la stessa tipologia di strumento a base privata. Dal punto di vista dei rendimenti offerti, questi fondi, se scelti bene, rendono quasi sempre di più dei loro cugini di emanazione sindacale.
I lavoratori autonomi invece quasi sempre stipulano Fondi Pensione di tipo privato.
Un altro strumento che ci interessa da punto di vista della protezione è il prodotto assicurativo a vita intera nelle sue diverse varianti. Questo strumento – da non confondersi con il cugino denominata temporanea caso morte, prodotto utile ma per ben diversi fini e che a differenza del primo permette di usufruire di un capitale solo se la morte dell’assicurato avviene entro una precisa data – permette ad un contraente di stipulare una polizza che consente di vincolare un capitale, con un versamento in unica soluzione o con un piano di accumulo, che alla morte del soggetto assicurato, deve ritornare al soggetto beneficiario indicato in polizza, sotto forma di capitale rivalutato e/o di una rendita vitalizia.
Pur senza usufruire degli stessi ma di minori vantaggi fiscali di un Fondo Pensione, tale strumento può assolvere anche funzioni previdenziali di “quarto pilastro” (dopo la pensione pubblica, la previdenza integrativa e quella complementare), così come funzioni successorie; ma può anche e semplicemente rilevarsi molto utile per tutelare una parte più o meno grande del patrimonio finanziario. Lo stesso soggetto può stipularne diverse, il che rende questo strumento molto utile per chi deve quadrare più obiettivi.
Le tre figure – contraente, colui che stipula; assicurato, cioè la persona sulla cui vita e’ stipulata l’assicurazione; e beneficiario, cioè quello che beneficierà del capitale rivalutato o di una rendita -, possono anche coincidere nella stessa persona, ma più spesso sono persone diverse, il che rende tale strumento adatto a realizzare anche finalità diverse dalla semplice tutela patrimoniale, su cui torneremo a breve.
Può servire, ad esempio, per trasmettere una somma ad un beneficiario fuori dall’asse ereditario, svincolandolo anche dall’obbligo di pagare l’imposta di successione.
Tale strumento lascia sempre comunque aperta al contraente-assicurato la possibilità di riscattare prima della sua morte il capitale maturato, anche se nel caso quel capitale perderà lo scudo della protezione dagli attacchi dei terzi. Ma il fatto di poter decidere il momento del riscatto dona al contraente assicurato un vantaggio non da poco.
Se questo è lo schema, sia pur delineato in breve e con molte volute omissioni tecniche, è opportuno specificare almeno che l’investimento del capitale può essere poi investito in una gestione separata ( un fondo che normalmente investe in titoli di Stato e in obbligazioni a medio-lungo termine ) o in una polizza di tipo unit o index linked.
Nel primo caso, si può beneficiare di una peculiarità che è solo dell’ambito assicurativo e non finanziario. E cioè quella di valutare anno per anno il valore del portafoglio a base contabile e non di mercato. Se quindi, per capirci, quel portafoglio contasse, per fare un semplice esempio, un solo titolo quale il BTP pluriennale 2026 e quel titolo nel tempo subisse (come accaduto anche recentemente) un momentaneo ribasso del prezzo di mercato molto forte (anche nell’ordine del 40%), la gestione separata non risentirebbe minimamente di questo effetto delle sue quotazioni (volatilità), perchè viene valutata sempre al valore d’acquisto o di libro (che corrisponde largo circa e quasi sempre a quello di scadenza del titolo).
Niente del genere accadrebbe se lo stesso titolo fosse in pancia a qualunque prodotto finanziario o se lo si detenesse direttamente sulla propria custodia titoli. Questa peculiarità permette di usufruire sempre del consolidamento del risultato anno per anno, dipendente dallo stacco delle cedole periodico offerte dal titolo, e quindi di avere sempre un capitale in crescita (sia pur di poco) ogni anno. Anche se ovviamente anche di rendimenti contenuti.
Molto importante è comunque la scelta della compagnia e del contratto, che non deve prevedere esosi caricamenti (cioè commissioni di ingresso) nè penali di uscita troppo alte all’atto del riscatto eventuale, prima della morte dell’assicurato.
Nel secondo caso, la polizza è investita in un portafoglio di risparmio gestito (fondi e sicav) che può essere diversificato anche con una scelta di prodotti multibrand, i quali danno l’ulteriore vantaggio, precluso se lo stesso portafoglio non fosse assistito dal cappello assicurativo, di rendere possibile la compensazione tra guadagni e perdite dei diversi fondi presenti in portafoglio, persino quando gli stessi appartengono a diverse case di gestione.
Questo perché l’imposizione è applicata al risultato netto di portafoglio e non ad ogni singolo fondo o sicav. I motivi tecnici per cui vale questa differenza ve li risparmio, al solo scopo di non appesantire ulteriormente l’esposizione. Quel che conta è comprendere che tale possibilità fa molta differenza sul peso fiscale cui è assoggettato questo strumento e a favore del cliente.
Altra variante è costituita dalle gestioni index linked, che si hanno quando il capitale viene investito nella replica di determinanti indici di borsa. Sono però polizze minori che si utilizzano molto meno.
Ovviamente, sia le polizze unit linked che index linked non possiedono le caratteristiche della gestione separata. Fluttuano con il mercato ma possono anche in un arco di tempo molto lungo rendere molto di più di una gestione separata. Ancor più che nel mondo finanziario, proliferano diverse offerte di polizze con condizioni e costi occulti inaccettabili o modalità di investimento incomprensibili a volte persino agli esperti senza l’ ausilio di sofisticati software. Per cui lasciate perdere il fai da te e fatevi seguire da un consulente di fiducia.
A parte le varianti tecniche della forma di investimento, ci interessa però ora evidenziare che le opportunità che sempre la polizza ramo vita a vita intera offre al suo sottoscrittore sono, come sempre, condizionate a determinati fattori, che non vanno mai dimenticati.
E cioè, se questo strumento è stipulato in bonis e se non lede le quote di leggittima in maniera sensibile e in un arco di tempo non coincidente con i tempi dell’eventuale azione revocatoria, richiesta eventualmente dagli eredi ( 5 anni indietro a partire dal decesso dell’assicurato ), questo capitale gode di un certo livello di protezione che non è paragonabile a quello del Fondo Pensione, ma rimane comunque alto. Ovviamente è sempre esclusa l’azione penale e il sequestro conservativo.
E la Giurisprudenza, se letta correttamente, lo conferma. Citiamo a rinforzo alcuni casi emblematici.
Con sentenza numero 16658/2007 la Corte di Cassazione ha precisato che il principio dell’insequestrabilità delle polizze vita, al pari di altre disposizioni analoghe del nostro ordinamento, attiene esclusivamente alla definizione della garanzia patrimoniale a fronte delle responsabilità civili e in nulla tocca la disciplina della responsabilità penale, nel cui esclusivo ambito ricade invece il sequestro preventivo. La struttura e la natura del sequestro preventivo rendono evidente e non equivocabile la differenza con le fattispecie civilistiche, tanto cautelari che espropriative.
Il sequestro preventivo può, quindi, legittimamente riguardare anche una polizza vita, potendo la stessa derivare dalla trasformazione ed impiego del profitto di un reato. Ciò ha trovato poi ulteriore conferma nella sentenza numero 27710/2008 sempre della Corte di Cassazione.
Come precisato con sentenza della Corte di Cassazione numero 43026/2009 non è, invece, assoggettabile a sequestro conservativo una polizza vita, considerato che tale istituto è, nel processo penale, posto a presidio della garanzia patrimoniale a fronte di responsabilità per obbligazioni di natura civilistica, pagamento delle spese o risarcimento dei danni.
Sulla scorta dei chiarimenti giurisprudenziali si può pertanto ritenere che tale rete di protezione trovi sempre applicazione laddove vengano in rilievo ragioni creditorie di soggetti terzi ( pretese cioè di carattere civilistico ), se a questi strumenti si sia ricorso per tempo e cioè anni prima dell’eventuale eventus damni.
E quindi viene confermato il principio per cui la pianificazione diviene essenziale in ogni campo della tutela patrimoniale. Chiaro che se si ricorre a questi strumenti ( tutti, questi e altri ) dopo che si è combinato il pasticcio, non vi è alcuna possibilità di parlare di tutela patrimoniale per quel pasticcio ma semplicemente di tentativi disperati.
Per questo, quando mi viene chiesto qual è il momento migliore di proteggere il patrimonio, rispondo da sempre senza alcun indugio: ora. E anche se, purtroppo, molti si accorgono di tale esigenza dopo che il problema è sorto, rimane doveroso informarli che, se per quel problema ormai è troppo tardi, si è sempre in tempo a tutelarsi da quelli eventuali e futuri.
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Abbiamo passato in rassegna i principali strumenti che possono essere utilizzati per difendere il patrimonio del professionista medico e dentista. Ne esistono in realtà anche altri ma non è il caso di appesantire la trattazione analizzando casi minori che se del caso saranno illustrati in consulenza.
Quanti di questi strumenti possono essere effettivamente utili per il professionista odontoiatra ?
Sicuramente un ginecologo è molto più esposto di un dentista. Ma va tenuto presente che:
Da questa sia pur sintetica disamina avrete intuito che i vari strumenti possono essere utilizzati, in tutto o in parte, per costruire questa tutela. Ci sarà chi deve limitarsi a rifare un’assicurazione decente, chi è già a posto così e chi invece deve costruire uno scudo ben articolato: partendo dalla sua attività a finire alle sue proprietà.
In questo percorso che abbiamo fatto insieme, mi premeva aprirvi gli occhi su un mondo di cui nel settore nessuno Vi parla e che invece oggi è importante almeno conoscere. Così come è importante comprendere che questi strumenti, in mano ad un consulente degno di questo nome e della sua equipe, possono servire a costruire una soluzione personalizzate alle Vostre esigenze, che spesso diverge da un caso all’altro.
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