Una riflessione irriverente, laica e provocatoria sul tema del low cost in odontoiatria. Non sarà con la foglia di fico dell’etica che riusciremo a vincere la paura dei gruppi economici e non sarà con la nostra presunta superiorità morale che vinceremo la sfida del mercato.
L’avvento del Low Cost nel “mercato” dell’odontoiatria italiana ha generato paure e sospetti che io ritengo in gran parte ingiustificati:
Per questo ho deciso di scrivere qualche riga sull’argomento, dopo averne discusso in molte occasioni con amici e colleghi, di persona e sul web.
A titolo di premessa diciamo subito che non si tratta, qui, di legittimare o delegittimare nulla: l’esercizio dell’attività odontoiatrica in forma societaria e attraverso forme aggressive di concorrenza basate sul prezzo è perfettamente lecito senza alcuna ombra di dubbio, che ci piaccia oppure no. È un argomento che non può neppure essere affrontato se si è dotati di un minimo di onestà intellettuale.
Si tratta piuttosto di rispondere ad altri tipi di domande:
Alla prima domanda (se siano conciliabili etica professionale e low cost) è difficile rispondere in modo assoluto, perché i valori individuali di ciascuno di noi sono molto eterogenei e variamente combinati tra loro in termini di priorità e di peso specifico. Sui miei convincimenti personali mi sono già esposto in un articolo precedente dal titolo La piramide deontologica: trattato di pace tra etica e profitto, dunque ora posso affrontare la discussione in modo laico senza permettere ai miei valori di condizionarla.
Allora cominciamo con una considerazione che è anche una provocazione.
Possiamo affermare che l’esecuzione di prestazioni sanitarie a pazienti bisognosi di cure ha per tutti noi una cifra etica superiore se, a parità di qualità della prestazione, ha un costo più basso per chi lo sostiene. Sia esso il paziente, lo Stato oppure un terzo pagante.
Se inquadriamo la prestazione odontoiatrica nell’ambito di tutte le prestazioni mediche è facile concordare sul fatto che il valore etico di una prestazione medica è inversamente proporzionale all’interesse economico del medico che la effettua, al punto che i “migliori” (eticamente parlando) tra di noi sono quelli che prestano la propria opera gratuitamente nei confronti dei soggetti bisognosi.
Chi condivide queste considerazioni si troverà improvvisamente in un mondo capovolto rispetto ai propri convincimenti di partenza: low cost è più etico degli altri scenari.
Occorre poi fare un’osservazione imparziale: se è vero che non tutti quelli che fanno low cost hanno una qualità troppo bassa è altrettanto vero che non tutti quelli che non fanno il low cost hanno una qualità adeguatamente alta.
Detto che dal punto di vista strategico entrambe le strade sono fallimentari, la questione etica, come si vede, potrebbe essere allargata a tal punto da ricomprendere anche coloro che la pongono sul tavolo della discussione. Tralasciando questi ultimi, che non sono oggetto di discussione (anche se dovrebbero riflettere molto su se stessi e sul proprio gruppo di appartenenza), possiamo ammettere che se il low cost è associato ad una qualità minima accettabile (non parliamo di eccellenza, ma di una qualità “onesta”) della prestazione, allora eticamente non solo è “etica”, ma addirittura “migliore” della nostra pratica corrente, per i motivi appena detti.
Questa conclusione ci porta diritti alla seconda domanda: se sia o meno economicamente sostenibile una attività odontoiatrica low cost, o meglio, una attività low cost con qualità alta, o almeno sufficiente.
Nella quasi totalità dei casi l’odontoiatria low cost nasce da progetti imprenditoriali pianificati da manager per conto di portatori di capitali che investono nel nostro mercato con lo scopo dichiarato (e legittimo) di ricavare dei profitti. Il fatto che investano nell’odontoiatria privata non è assolutamente incidentale o casuale: avrebbero potuto fare lo stesso investimento nelle coltivazioni dei cereali oppure nell’intelligenza artificale.
Se il grande capitale ha scelto questo mercato può avere fatto solo due tipi di calcolo (escludendo implicitamente l’ipotesi umanitaria):
Scartiamo la terza ipotesi e cioè che i costi vengano ridotti a discapito della qualità professionale, strumentale, organizzativa o dei materiali, perchè saremmo di fronte ad una bancarotta programmata e usciremmo da perimetro dell’etica disegnato sopra (low cost NON etico con leva sulla qualità). [Scordiamoci questa possibilità: un imprenditore di successo non farebbe mai un errore del genere, infatti è un imprenditore di successo!]
Il low cost è dunque certamente economicamente sostenibile ed è proprio la modalità con la quale si realizza che definisce anche il giudizio etico proposto nella prima domanda.
Non rimane quindi che rispondere alla terza domanda.
Tale questione rappresenta spesso anche la motivazione che ci porta più o meno inconsapevolmente a porci le prime due: come se un giudizio etico e/o economico negativo sul low cost ci fosse di conforto per la paura che proviamo a confrontarci con questo tipo di realtà.
Dobbiamo dunque avere paura del low cost?
Tra i dentisti “normali” esiste una folla estremamente eterogenea di professionisti ciascuno con le proprie tendenze e strategie, per quanto a volte non esplicitamente dichiarate.
Volendo semplificare al massimo, per amore di ragionamento, potremmo dire che anche i professionisti “normali” si dividono in due categorie:
Le due posizioni sono alternative una all’altra: è impossibile coltivare contemporaneamente due linee strategiche tra loro opposte, a meno che non si disponga di una struttura cosi ampia ed articolata da permettersi due linee “di produzione” (se mi passate il termine) diverse. Ma anche in questo caso è come se parlassimo di due soggetti diversi, con logiche di programmazione e di controllo diverse, piani di lavoro diversi e risorse umane e materiali distinte.
La leva prezzo presuppone una strategia di marketing orientata verso una specifica tipologia di clientela che sommariamente potrebbe essere descritta come segue: altamente infedele (perché insegue il prezzo più basso, indipendentemente da chi lo offre), scarsamente orientata alla qualità, non interessata ai servizi accessori dello studio (confort, prestigio, assistenza, facilities varie), molto interessata ad elementi superflui (la vicinanza, l’adesione dello studio alla moda corrente, la velocità di esecuzione), estrazione socio-culturale medio bassa. Cambiando prospettiva possiamo dire che questo tipo di pazienti trova la propria collocazione ideale in uno studio low cost.
La leva qualità invece presuppone una strategia di marketing orientata verso una tipologia di clientela completamente opposta: estrazione socio-culturale medio alta, fidelizzazione su criteri di qualità erogata con la prestazione e con i servizi di contesto dello studio, sensibile alla massima personalizzazione possibile degli output. Anche in questo caso, invertendo la prospettiva, questo tipo di pazienti trova la propria collocazione ideale in uno studio orientato alla qualità.
Ebbene, la risposta alla domanda diventa ora più semplice:
Il vero pericolo, per tutti gli studi, è rappresentato dai low cost che dissimulano la propria natura sul versante della qualità facendo credere al paziente che le proprie prestazioni siano di alta qualità e prezzo basso, sfruttando la differenza che corre tra qualità erogata e qualità percepita.
Il processo di falsificazione della qualità è una strategia adottata da alcuni low cost per aggredire gli studi del secondo tipo sul loro terreno, cercando di appropriarsi di quel segmento di pazienti che non apparterrebbe loro naturalmente. In attesa di una presa di posizione comune tra tutti noi contro questo fenomeno ci consoli il fatto che, sul lungo periodo, la scarsa qualità delle prestazioni dà quasi sempre notizia di sé al paziente, anche senza che noi ci scomodiamo troppo.
Anche il tema del Low Cost verrà affrontato al prossimo Master Dentista Manager che inizierà tra poche settimane a Milano.
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13 Commenti
Egregio collega, quanto da te scritto nel tuo articolo ha una base di verità ma mi permetto di sollevare qualche osservazione. Le strategie per ridurre il costo finale al paziente sono certamente quelle da te illustrate. Il problema è che spesso il paziente basa la sua scelta solo sul risultato finale, inteso come prezzo e non come analisi o qualità della prestazione, in quanto non può conoscerla in anticipo. Ho una struttura odontoiatrica all’estero dove il low cost è ottenuto, per i pazienti stranieri, riducendo il costo del servizio. Per i pazienti locali si può solo ridurre il margine di profitto per scongiurare la concorrenza senza ridurre la qualità delle prestazioni. Abbinando le due cose – riduzione dei costi e dei profitti – ottengo prezzi competitivi in maniera diversa per i due mercati: accattivanti per il mercato straniero, standard per il mercato locale. Credo quindi che la paura del low cost possa essere propio quella dei mercati esteri che possono proporre prestazioni di qualità – anche se, ahimè, non sempre – a prezzi competitivi. Una sola precisazione: la pressione fiscale dove ho la struttura è del 16%, mentre nel mio ambulatorio italiano… bhe, lasciamo perdere… 🙂 . Buon Natale e felice anno nuovo.
Caro Giuseppe, casualmente arriviamo tutti alla stessa conclusione. Mantenere la qualità minima decente ed abbassare i prezzi significa fare leva sui margini. Non c’è futuro, almeno nell’immediato, per chi non è in grado di elaborare in proprio un piano strategico di attacco al mercato (o di resistenza) che faccia leva sui margini di profitto. A quanto detto in risposta a Francesco, aggiungo solo che in uno studio dentistico il controllo dei costi richiede una sensibilità clinica ed un’etica personale sopra la media per essere efficace. Ecco perché noi dentisti siamo in grande vantaggio rispetto all’imprenditore puro che investe nell’odontoiatria. Però dobbiamo giocare ad armi pari e per fare questo serve uno sforzo culturale.
Grazie del contributo-
Lele
Caro Gabriele, ti risponde un professionista del campo odontoiatrico, che esercita odontoiatria da 27 anni e che ha attraversato diverse fasi economiche ed evoluzioni tecnologiche e manageriali nella propria carriera. Quando iniziai a lavorare, ebbi la fortuna d’avere un fratello già odontoiatra, convenzionato con il S.S.N. e ciò mi servì per fare gavetta, come si suol dire, evadendo (termine poco umano e molto utilitaristico) circa 20 prestazioni giornaliere per 6 giorni la settimana. Erano i tempi del dott. Tersilli, medico della mutua, magistralmente interpretato dal compianto Alberto Sordi e il mio entusiasmo per questa professione mi portò ad accelerare l’apprendimento e il miglioramento qualitativo, frequentando corsi di tutti i tipi, a partire dal mitico Studio De Chiesa Pescarmona a seguire…Mi resi conto, di lì a poco, che però la qualità creava in me molta più soddisfazione professionale e non, con grandi benefici sul mio equilibrio psico-fisico, perchè lavoravo poco e guadagnavo molto, e così, passai da una situazione di odontoiatria di massa ad una di odontoiatria elitaria, spingendo sulla mia preparazione professionale e sulla tecnologia ed evoluzione dei materiali e procedure odontoiatriche. Erano i periodi delle vacche grasse e nessuno di noi immaginava che di lì a poco, la crisi economica ci mettesse in gravi difficoltà. Così, di fronte alla crisi evidente, decisi, anzichè smettere di lavorare o falciare i prezzi, di superspecializzarmi e mi dedicai anima e corpo all’ortodonzia, branca che amavo particolarmente e che a quei tempi, pensavo, mi riparasse dalla crisi che stavamo vivendo. Ed in effetti, per i primi anni ebbi un boom in Studio, organizzai corsi di perfezionamento e molte altre attività che tralascio, perchè di poca importanza specifica. Ma veniamo ai giorni nostri, quando, nel 2010 mi resi conto che la sindrome da poltrona vuota aveva ormai vinto e la crisi degli Italiani era sempre più evidente, rivolsi l’attenzione al fenomeno low cost, del quale studiai la filosofia. Era subito chiaro, a parer mio, che la qualità era in picchiata e che per sostenere i costi, gli operatori erano prevalentemente colleghi inesperienti o poco deontologici, guidati da burattinai. Il che non significa che il “low cost” in quanto tale era un fenomeno da trascurare, ma che era necessario estrapolare il meglio dell’idea, per ottenerne soddisfazione professionale. Decisi, uno dei primi da Napoli in giù, di trasformare il mio Studio d’elite, in grave crisi economica, in Studio low cost, rivolgendomi ad alcuni validissimi colleghi e mantenendo uno standard qualitativo molto alto. Il che si traduceva evidentemente in una ridottissima diminuzione dei costi e in una notevolissima, intorno al 50%, riduzione del costo delle prestazioni, in definitiva ho ridotto i margini, cioè l’utile lordo, circa del 70%. Questa mossa mi ha permesso, d’altra parte, di mantenere gli utili annui, sebbene debba lavorare molto di più, ma anche d’essere soddisfatto del mio lavoro e, a differenza di parecchi colleghi, mantenermi sul mercato, in attesa delle prossime vacche grasse. Per concludere, penso che la nostra professione sia in continua evoluzione e che bisogna adeguarsi alle mutevoli condizioni del mercato. Fermi restando due principi basilari: la qualità delle prestazioni e il rapporto medico-paziente. Il low cost dei grandi investitori, secondo me, è destinato a fallire, se non lo è già, ma in questo momento storico, è necessario ridurre di molto i margini di guadagno e mantenere alta la qualità delle prestazioni, senza dimenticare che il Paziente non vuole una protesi o una devitalizzazione, piuttosto un medico che lo curi come si aspetta. Saluti
Caro Francesco, la tua storia è interessante e meritava di essere condivisa. La conclusione che traggo è che ti sarebbe stato impossibile farcela se non avessi conosciuto con discreta precisione il margine di contribuzione e il margine di guadagno di ogni singola prestazione ovvero del mix delle tue prestazioni. Giocare sulla riduzione di questi margini presuppone due cose: padronanza dei fondamentali economici della professione e delle dinamiche basilari del controllo di gestione. Questo è quello che molti colleghi si rifiutano di capire e paradossalmente è proprio questo che ti ha consentito di sopravvivere e di essere un clinico migliore.
In bocca al lupo e grazie per il tuo contributo.
Lele
Il low cost ormai imperversa in tutte le attività ; il punto secondo me è un altro , al di sotto di un certo prezzo oggi non è possibile lavorare ovvero nasconde certamente o evasione fiscale o prodotti scadenti o di concorrenza collaborazioni a nero . Basta farsi due conticini e tirare le somme , La finanza dovrebbe girare in quelle attività in cui i prezzi troppo bassi puzzano.
Grazie Gabriele, ottimo intervento che condivido pienamente. sono curiosissimo di leggere il seguito. Ciao
nicola de simone