La Srl Odontoiatrica rimane il gold standard dell’odontoiatria in forma di impresa. Tuttavia alcuni dentisti hanno resistenze culturali, altri difficoltà autorizzative, altri ancora hanno dimensioni di attività troppo ridotte. Quale che sia il motivo per cui un dentista non adotti la forma della società di capitale, esiste anche la soluzione dell’impresa individuale: semplice, economica, universale. In questo modo ogni dentista può accedere ai benefici del credito d’imposta previsto nel Piano Transizione 4.0 e altri benefici fiscali e finanziari riservati alle imprese e non ai professionisti. Si perde qualcosa, ma non tutto.
L’impresa individuale può essere definita come la forma di impresa più semplice oggi esperibile nel nostro Paese. Anche un dentista comune può accedere a questo tipo di forma giuridica per condurre la propria attività, se ricorrono le condizioni previste e, soprattutto, se vi è un interesse a farlo.
Dopo aver scritto per anni centinaia di articoli e un libro di 700 pagine sulla Srl Odontoiatrica, dopo aver parlato dello studio associato, delle Stp e perfino del condominio professionale, mi sono accorto di aver trascurato (colpevolmente) l’impresa individuale.
In realtà, come dicevo, non c’è mai stato un grande interesse da parte del dentista comune a ricorrere alla soluzione dell’impresa individuale, dato che non comportava, in passato particolari vantaggi rispetto alla professione pura.
Con l’avvento del credito di imposta (nelle sue varie formulazioni Transizione 4.0 della Legge di Bilancio 2021), con l’incremento degli strumenti di finanza agevolata e con i nuovi criteri di accesso al credito bancario non è più così.
Il contesto muta e anche il dentista si evolve. In questo articolo spieghiamo bene quello che sta accadendo e quali opportunità apra l’impresa individuale al professionista classico.
L’impresa individuale è una forma primitiva e semplice d’impresa che si realizza intorno alla figura di una sola persona.
In sostanza quando una persona svolge una attività professionale, commerciale o artigianale nella quale siano riconoscibili le caratteristiche qualitative e quantitative di una impresa, può costituirsi in impresa vera e propria anche senza ricorrere alle formule societarie classiche (società di persone, società di capitali e cooperative).
L’impresa individuale dunque è una impresa vera e propria senza necessità di integrare alcuna forma di aggregazione. Per certi versi è molto simile alla Srl Unipersonale di cui abbiamo parlato altrove, con qualche vantaggio in più e qualche vantaggio in meno, come vedremo di seguito.
Questo tema è trattato anche all'interno del Corso Economia e Controllo di Gestione organizzato da Dentista Manager. Partecipa anche tu.
L’impresa individuale non richiede particolari formalità rispetto alle società. Infatti non è necessario rivolgersi ad un notaio né predisporre un atto costitutivo formale.
Di fatto l’impresa individuale si concretizza con la sua iscrizione in Camera di Commercio attraverso una partita iva personale e la dichiarazione di un settore di attività specifico.
Nel caso del dentista egli costituirà la propria impresa individuale con la partita iva abitualmente utilizzata per lo svolgimento della professione e codice ateco 86.23.00.
La propria domanda di iscrizione deve essere formalizzata attraverso il portale del Registro Imprese come indicato di seguito.
Per poter operare professionalmente un dentista deve essere iscritto obbligatoriamente all’Albo e non è necessario che si iscriva anche in Camera di Commercio. Ma “non è necessario” è una cosa, “non può” è un’altra.
La liceità e la legittimità di tale iscrizione trovano conferma in alcune autorevoli fonti giuridiche.
In primo luogo il Codice Civile all’art. 2238 recita come segue:
Se l’esercizio della professione costituisce elemento di un’attività organizzata in forma di impresa, si applicano anche le disposizioni del titolo II.
Per chi non lo sapesse le disposizioni del titolo II sono quelle che riguardano le imprese vere e proprie (quindi anche l’impresa individuale).
Del resto anche l’articolo 2083 del C.c. afferma che:
Sono piccoli imprenditori […] coloro che esercitano un’attività professionale [quindi anche i dentisti, n.d.a.] organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia.
Seguono sentenze della Cassazione particolarmente interessanti. Una è la Cass. civ. n. 8989/2008, dove si stabilisce che:
Il professionista intellettuale [quindi anche il dentista, n.d.a.] assume la qualità di imprenditore commerciale quando esercita la professione nell’ambito di una attività organizzata in forma d’impresa anche acquisita a seguito di cessione di ramo d’azienda ex art. 2112 c.c., norma applicabile rispondendo la nuova formulazione al precedente e consolidato orientamento giurisprudenziale in quanto svolga una distinta ed assorbente attività che si contraddistingue da quella professionale per il diverso ruolo, non meramente strumentale, che riveste il sostrato organizzativo e per il diverso apporto del professionista, involgente una prevalente azione di organizzazione, ossia di coordinamento e di controllo dei fattori produttivi, che si affianca all’attività tecnica ai fini della produzione del servizio.
La seconda è ancora più utile, perchè parla proprio dell’ambito odontoiatrico e fuga ogni dubbio. Si tratta della Cass. civ. n. 11896/2002 :
Gli studi professionali in genere, ed in particolare quelli in cui venga esercitata l’attività medica (nella specie, odontoiatrica), possono anche essere organizzati sotto forma di azienda c.d. professionale tutte le volte in cui, al profilo personale dell’attività svolta, si affianchino un’organizzazione di mezzi e strutture diagnostico-terapeutiche, un numero di titolari e di dipendenti, un’ampiezza dei locali adibiti all’attività medica tali che il fattore organizzativo e l’entità dei mezzi impiegati sovrasti l’attività professionale del (dei) titolare (i), o quantomeno si ponga, rispetto ad essa, come entità giuridica dotata di una propria autonomia strutturale e funzionale che, seppur non separata dall’attività dei titolari, assume una rilevanza economica tale da essere suscettibile di una propria valutazione e divenire, per sé stessa, oggetto di possibile contrattazione in base al combinato disposto di cui agli artt. 2238, 2082, 2112, 2555 c.c.
Una fonte molto meno autorevole può essere di grande aiuto alla comprensione del tema, perchè lo espone in modo più esteso e compiuto di quanto non faccia il codice civile. Su Wikilabour alla voce “Esclusione della natura imprenditoriale” si legge infatti:
Esercizio di una professione intellettuale non implica lo svolgimento di un’attività imprenditoriale: le professioni intellettuali rappresentano attività produttive per le quali è escluso in via di principio dal legislatore il carattere imprenditoriale.
Ciò si ricava dal testo dell’art. 2238, comma 1, c.c. il quale stabilisce che le disposizioni del Titolo II in tema di impresa si applicano alle professioni intellettuali solo se “l’esercizio della professione costituisce elemento di un’attività organizzata in forma di impresa” (l’esempio tipico è quello del medico che gestisce una clinica privata nella quale opera). In tali ipotesi si è in presenza di due distinte attività: quella intellettuale e quella d’impresa; quindi, nei confronti del medesimo soggetto, troveranno applicazione sia le norme in tema di impresa (ad esempio quelle inerenti l’obbligo di garantire la regolare tenuta delle scritture contabili), sia quelle in tema di professioni intellettuali (ad esempio quelle inerenti la necessità di iscrizione all’albo).
Se quindi il professionista si limita a svolgere la propria attività non diventa imprenditore, neppure qualora si avvalga di collaboratori, anche se numerosi. Infatti il comma 2 dell’art. 2230 c.c. dispone che al professionista intellettuale che impieghi sostituti o ausiliari si applicano le disposizioni delle Sezioni II, III, IV del Capo I del Titolo II del Libro V c.c. e cioè solo le norme che disciplinano il lavoro nell’impresa e non anche la restante disciplina dell’impresa.
In estrema sintesi dunque: se il professionista intellettuale svolge un’attività d’impresa nella quale viene inserita l’attività professionale, assume anche la qualifica d’imprenditore ed è soggetto anche alla disciplina relativa. Nel caso di un sanitario che eserciti la propria attività professionale all’interno di una propria impresa organizzata, tale soggetto deve essere considerato professionista per l’attività professionale e imprenditore per l’altra attività.
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La pratica per iscriversi in Camera di commercio è estremamente semplice. Si effettua presentando, per via telematica, la cosiddetta Comunicazione Unica al Registro delle Imprese.
Ogni dentista potrà fare questa comunicazione alla CCIAA competente per territorio (solitamente ogni provincia ha la propria CCIAA).
Come riportato sullo stesso sito del Registro delle Imprese:
La Comunicazione Unica permette di assolvere con un unico adempimento a tutte le formalità necessarie alla costituzione dell’impresa, in particolare:
Questa iscrizione è sostanzialmente l’analogo di quanto il dentista fa quando si iscrive al proprio Albo professionale. Infatti il Registro delle Imprese costituisce un vero e proprio Albo delle imprese.
L’iscrizione può anche essere eseguita per il tramite del proprio commercialista. Bisogna essere dotati di una PEC (e tutti i dentisti ne hanno obbligatoriamente una) e di un dispositivo di firma digitale (reperibile facilmente ovunque).
Ci sono due sezioni distinte cui richiedere l’iscrizione come impresa individuale:
Per descrivere i vantaggi e gli svantaggi che un dentista riceve dalla costituzione di una impresa individuale è necessario indicare prima rispetto a cosa vengono misurati.
Per semplificare il discorso e far capire all’odontoiatra quando e perchè costituire una impresa individuale in parallelo all’attività professionale facciamo dunque una premessa generale.
Solo una Srl Odontoiatrica è in grado di assicurare al dentista tutti i vantaggi di una dimensione imprenditoriale della professione, anche grazie alla flessibilità e versatilità dello strumento giuridico, che permette di adattare una Srl alle necessità specifiche del professionista (allo stesso modo in cui una protesi viene confezionata sulle necessità specifiche del paziente).
Se la Srl Odontoiatrica dunque rappresenta il gold standard di riferimento è pur vero che tale soluzione non è adottabile da tutti i dentisti indistintamente:
Fatta questa premessa generale esaminiamo dunque prima i vantaggi che l’impresa individuale comporta rispetto al dentista professionista tradizionale e poi vediamo gli svantaggi che comporta rispetto alla Srl Odontoiatrica.
Il vero grande vantaggio che la costituzione dell’impresa individuale offre al dentista è rappresentato dai benefici fiscali e/o finanziari introdotti di recente dal legislatore in favore delle imprese. Molti di questi provvedimenti infatti, come sappiamo, non sono aperti al professionista in quanto tale, poichè tale soggetto non è riconosciuto come impresa, salvo che non si faccia riconoscere come tale (questo appunto è lo scopo dell’articolo che stai leggendo).
In sostanza un dentista che diventi impresa individuale (o impresa familiare) senza troppi adempimenti formali, senza troppi costi e con pratiche amministrative molto semplici potrà accedere alle seguenti misure:
Beninteso, il reddito d’impresa di una impresa individuale odontoiatrica è soggetto all’imposta Irpef, quindi non beneficia dell’Ires come una Srl. Da questo punto di vista, sul piano fiscale, per il dentista imprenditore non cambia nulla.
Il vantaggio fiscale dei crediti di imposta (e del loro eventuale cumulo) assomiglia molto di più ad un vantaggio finanziario vero e proprio dal momento che assume la valenza di un finanziamento a fondo perduto.
Altri vantaggi dell’impresa individuale, invece, si registrano rispetto alle società (di persone o di capitali). Sommariamente i vantaggi sono questi:
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L’impresa individuale ha dei limiti che, al contrario, la Srl Odontoiatrica non ha.
I più importanti sono i seguenti:
Anche l’Agenzia delle Entrate è entrata nel merito di questo tema esaminando la natura del reddito prodotto da un professionista che sia al contempo iscritto alla Camera di Commercio e che produca un reddito (risposta a Interpello Dre Lazio n. 913-309 del 28 luglio 2014).
Vale la pena considerare in primis che l’Agenzia non si pone neppure il problema della liceità o della legittimità di questa situazione, quanto piuttosto dalla natura del reddito prodotto dal professionista:
Detto che l’interpello riguarda una fattispecie diversa da quella che stiamo considerando (attività di commercialista), ci sono alcune considerazioni interessanti che possiamo trarre ai nostri scopi:
Alcuni passaggi interpretativi li impone anche la lettura del cosiddetto DDL Concorrenza , cui a suo tempo abbiamo dedicato un apposito articolo su questo blog.
Il famoso comma 153 della Legge 4 agosto 2017, n. 124, recita come segue:
L’esercizio dell’attività odontoiatrica è consentito esclusivamente a soggetti in possesso dei titoli abilitanti di cui alla legge 24 luglio 1985, n. 409, che prestano la propria attività come liberi professionisti.
L’esercizio dell’attività odontoiatrica è altresì consentito alle società operanti nel settore odontoiatrico le cui strutture siano dotate di un direttore sanitario iscritto all’albo degli odontoiatri e all’interno delle quali le prestazioni di cui all’articolo 2 della legge 24 luglio 1985, n. 409, siano erogate dai soggetti in possesso dei titoli abilitanti di cui alla medesima legge.
Qualcuno si è posto il problema di capire se il primo capoverso del comma 153 potesse in qualche modo limitare lo svolgimento dell’attività odontoiatrica in forma di impresa individuale costituita dal professionista stesso. Altre ipotesi le consideriamo residuali e di scarso interesse per un odontoiatra (mi riferisco all’impresa individuale costituita dal soggetto laico che punta ad entrare nel mercato in forma personale).
Per una serie di ragioni che andiamo ad esporre di seguito, riteniamo che si tratti di un falso problema, poichè il legislatore, con questa norma di natura civilistica ha inteso definire il perimetro dei soggetti aventi titolo all’esercizio della professione. Non si tratta di una norma fiscale tesa a qualificare la natura del reddito conseguito, ovvero la liceità di ricorrere per il professionista regolarmente abilitato alla dimensione di impresa individuale.
Il professionista in questione non cessa di essere un professionista per il fatto di aver costituito una impresa (sia essa individuale, familiare o societaria). La propria qualifica professionale (laurea, abilitazione ed iscrizione all’ordine) non solo non vengono meno con la costituzione dell’impresa, ma addirittura ne sono una precondizione, senza la quale quel tipo specifico di impresa individuale non può essere costituita.
Chi di noi ha presentato la domanda al Registro delle Imprese avrà senz’altro notato come il sistema richieda più volte di dimostrare i propri titoli (sia professionali che autorizzativi). Il buon esito della pratica, infatti, è anche funzione di una autorizzazione che è stata rilasciata alla persona.
In buona sostanza l’attività odontoiatrica professionale (così come recita il comma 153) è svolta da un professionista abilitato ed iscritto all’ordine (non un abusivo) e questo non ha nulla a che fare con la qualifica del reddito come reddito d’impresa che senza la costituzione di una impresa individuale (o altro) non sarebbe possibile, mentre invece con la costituzione dell’impresa diviene possibile.
Teniamo dunque separati i titoli necessari per effettuare le prestazioni dalla qualifica del reddito conseguito.
Un caso emblematico è quello dello studio associato: società a tutti gli effetti tranne quello fiscale, dal momento che la qualifica del reddito è quello del lavoratore autonomo.
Un altro caso è quello delle stp-srl: attività professionale che rientra nel reddito di impresa.
Altri casi ancora sono quelli in cui la stessa Ade ha qualificato (o ha tentato di qualificare) come reddito da lavoro autonomo il reddito conseguito da Srl Unipersonale costituite da professionisti, e ha addirittura tentato di qualificare come redditi di impresa quelli di un professionista con uno studio particolarmente complesso e articolato.
Il punto giuridico è dunque quello di tenere separato il profilo autorizzativo da quello fiscale perchè non sempre sono coincidenti.
Ultima nota che avvalora il ragionamento: l’autorizzazione all’esercizio dello studio dentistico, in una impresa individuale, è quella rilasciata al libero professionista non all’impresa (che può essere costituita anche molto tempo dopo, senza alcuna variazione autorizzativa). La prestazione è dunque resa dal soggetto autorizzato (libero professionista) mentre la qualificazione del reddito è d’impresa (posto che le caratteristiche dell’impresa esistano veramente, come già detto).
Se il legislatore avesse scritto che possono esercitare l’odontoiatria solo soggetti che conseguono un reddito da lavoro autonomo, allora la norma sarebbe stata limitativa per l’impresa individuale, ma ha scritto che devono operare come liberi professionisti e tali rimangono i dentisti con impresa individuale per i motivi detti sopra.
(integrazione di Pietro Paolo Mastinu)
Chi ci ha seguito nelle trattazioni relative alla società di consulenza sa già che il servizio diverso e più complesso che travalichi la semplice prestazione professionale – condizione in mancanza della quale non si possono realizzare né l’impresa individuale né la società di consulenza – potevano realizzarsi solo in presenza di determinate condizioni.
Il primo caso che può riguardare in teoria anche l’impresa individuale è quello che può concretarsi nella realizzazione di una struttura sanitaria complessa, che può essere solo un ambulatorio o un poliambulatorio, almeno nel più ristretto ambito odontoiatrico che ci riguarda.
Perché dico che può riguardare solo in teoria l’impresa individuale? Perché questa soluzione noi la suggeriamo per tutti quei dentisti che operano in regioni dove il problema è rappresentato dall’impossibilità di farsi autorizzare l’ambulatorio e non la srl. Ha poca importanza che a servire l’ambulatorio sia posta come soggetto giuridico gestorio una società o un’impresa individuale. L’autorizzazione non la ottieni in nessun caso. Quindi, all’atto pratico, l’impresa individuale non ci interessa in questo senso, perché laddove si può scegliere l’ambulatorio non si fa di certo una ditta individuale, ma una società.
Siamo proprio sicuri che una impresa individuale che gestisce uno studio non possa essere comunque considerato come un’attività complessa?
La risposta la anticipo subito: assolutamente sì, ne siamo completamente sicuri. Anche se nell’equivoco sono caduti in molti e persino l’Amministrazione Finanziaria, sia pure pro tempore.
È infatti capitato che l’AdE abbia tentato nel passato di ricondurre i redditi di uno studio professionale, molto ampio e articolato, nei redditi di impresa. La tesi iniziale dell’Agenzia era che uno studio con una dimensione organizzativa rilevante potesse essere, dal suo punto di vista, del tutto assimilabile ad una impresa, perché nella sostanza lo è (e quello che abbiamo sempre sostenuto praticamente in ogni occasione utile). Abbiamo anche sempre sostenuto, tuttavia, che se questo è vero sul piano fattuale, non altrettanto può dirsi sul piano giuridico. Perché sotto questo profilo va tenuta in debito conto la normativa relativa alle autorizzazioni sanitarie, che divide il mondo delle strutture semplici – cioè quelle del professionista – da quelle complesse (e cioè da quelle imprenditoriali, quali la casa di cura, il presidio sanitario, l’ambulatorio medico) in maniera assai precisa.
Limitandoci alla distinzione ai noi più prossima tra studio e ambulatorio, tale normativa infatti delinea lo spartiacque in maniera chiara, individuando nelle strutture semplici quelle in cui l’apporto della prestazione intellettuale del professionista risulta prevalente, mentre in quelle complesse quelle in cui a prevalere è l’assetto organizzativo e il carattere di imprenditorialità. Per andare nello specifico e rendere il concetto più chiaro, non è tanto importante che esistano tre o quattro riuniti, un certo numero di collaboratori e una dimensione organizzativa più o meno prevalente, quanto il fatto che l’organizzazione non sia semplicemente al servizio del titolare, ma assuma una connotazione autonoma dal titolare stesso. E quindi più operatori che lavorano su più poltrone contemporaneamente, una segreteria che organizza appuntamenti e richiami per tutti i medici presenti, i quali agiscono non solo e non tanto su pazientela del titolare, ma sulla pazientela dell’ambulatorio, globalmente inteso.
In realtà, quando entriamo nello specifico di ogni normativa regionale, tale nozione di complessità appare declinata in maniera non sempre del tutto coincidente, ma perlopiù si tratta di sfumature che non alterano la forza della distinzione di fondo, sempre presente, è che è quella che abbiamo sinteticamente appena illustrato.
E infatti l’Ade, dopo un tentativo iniziale di forzare il concetto dell’imprenditorialità e dell’organizzazione, di fronte alla risposta del dentista e dei suoi consulenti, che ponevano l’accento proprio sulla prevalenza dell’elemento intellettuale del professionista titolare sull’aspetto organizzativo, pur senza negarne l’esistenza di quest’ultimo, si è fermata e non hanno dato seguito alla cosa. E persino la Cassazione, nella sentenza citata nell’articolo sulla ditta individuale di Gabriele, coniavano la fattispecie dell’azienda del professionista non per giungere alla conclusione che quest’ultima è uguale all’azienda vera e propria, ma per concedere anche al professionista la possibilità di cedere il complesso organizzativo costituito dalla studio come un complesso unitario, similmente a quanto è possibile fare con un’azienda vera e propria ( e cioè l’organizzazione sottesa ad una impresa ), sia pur a condizioni più limitative. Per la Cassazione, persino in quell’occasione, la differenza tra professionista e impresa resta netta e certa.
In altri termini, ciò che mi propongo di dimostrare è che quando la complessità organizzativa è relativa alla struttura sanitaria, e cioè nel nostro ambito all’ambulatorio, la distinzione è molto più stringente e chiara: non si può far passare uno studio per ambulatorio in mancanza delle caratteristiche richieste dal combinato disposto della normativa fiscale e di quella sulle autorizzazione sanitarie e non lo si può fare verosimilmente in ogni caso, persino se lo studio ha assunto dimensioni e articolazioni organizzative molto rilevanti.
(integrazione di Pietro Paolo Mastinu)
Diverso è il caso quando la complessità organizzativa è coniugata al di fuori dell’ambito tipico della struttura sanitaria. Perché qui non esistono i vincoli legati alla normativa sulle autorizzazioni e il campo di interpretazione è molto più vasto.
Si potrebbero ripercorrere le stesse orme della famosa società di consulenza.
Una impresa individuale può offrire servizi sanitari realizzati dall’impresa stessa (per il tramite del titolare e/o dei suoi collaboratori medici e igienisti) a strutture sanitarie terze. Servizi di consulenza, che travalicano la semplice prestazione professionale, disciplinati da un contratto ad hoc stipulato tra l’impresa individuale e le citate strutture terze e che preveda l’erogazione sia di servizi professionali tipici (prestazioni sanitarie) che prestazioni di natura accessoria: messa a disposizione di strumentario, know how, materiale dentale, risorse, un nucleo stabile di collaboratori che potrebbero alternarsi e offrire un servizio sempre puntuale anche nel caso di indisposizione di uno tra essi, dipendenti al seguito (Aso, infermiere), dispositivi protesici.
In un caso come questo e a differenza della semplice vendita di materiale sanitario al pubblico, non esiste neanche il rischio che, per la parte di attività non propriamente medica, qualche Ente esterno (ad esempio l’INPS) possa avanzare qualche pretesa, visto che per una attività medica o sanitaria non esiste alcun dubbio che si debba restare in ambito ENPAM, anche se la impresa è individuale.
Da queste prime considerazioni già possiamo trarre alcune conclusioni pratiche e utili che possono aiutarci intanto a capire quali dentisti possano tranquillamente ipotizzare di passare senza particolari timori all’impresa individuale.
Sicuramente non chi ha piccoli studi con uno o due riuniti, con pochi collaboratori e nessuna attività sanitaria esterna e fatturati e imponibili bassi. Sono gli stessi che non possono pensare alla società e per gli stessi motivi non possono neanche pensare alla ditta individuale. Del resto, questa ipotesi noi l’abbiamo elaborata con un occhio a quelle particolari regioni dove la srl non la puoi fare e ti rimane come possibilità solo la stp, magari con l’appoggio di una srl di mezzi o lo status quo.
Ebbene, ora si aggiunge al ventaglio di possibili scelte anche quella della ditta individuale. Una soluzione, quest’ultima, che costituisce certamente un second best, perché non risolve nulla dal punto di vista della tutela patrimoniale (l’imprenditore individuale, esattamente come il professionista, risponde con tutti i suoi beni dei rischi e dei debiti legati all’attività) e tantomeno può conseguire risparmi fiscali pari a quelli permessi da una srl, ma può almeno contare su un regime fiscale maggiormente favorevole, sia perché deduce più del professionista (anche se non quanto la srl), ma soprattutto perché può beneficiare di tutti i crediti di imposta così come di tutte le altre agevolazioni concesse alle imprese.
Ovviamente, tutto questo è vero se e solo se la complessità organizzativa è reale e dimostrabile, altrimenti l’Ade avrà buon gioco nel contestare gli eventuali vantaggi conseguiti: non è davvero il caso di tentare facili scorciatoie.
Tra le forme di impresa oggi consentite al dentista si può percorrere una sorta di graduatoria a complessità crescente di benefici ricevuti: impresa individuale, società di persone (sas, snc), stp, società di capitale (srl).
Il consiglio è di impiegare preferibilmente i due estremi di questa speciale scala:
Per chi volesse verificare quanto scritto in questo articolo, consiglio di provare di persona l’attivazione della propria impresa individuale a questo link del Registro Imprese.
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