Quando il pubblico critica la nostra categoria non possiamo negare che ci sia molto di vero nelle accuse. Tra decine di migliaia di dentisti ci sono professionisti brillanti e apprezzati in tutto il mondo, ma ci sono anche autentici esempi di scadente professionalità, basso livello culturale e qualità umane inadeguate al ruolo. Le stesse considerazioni possono essere fatte in qualsiasi settore, compreso quello dei commercialisti, la cui intima correlazione con la nostra attività rende però il fenomeno meritevole di attenzione. Che tu sia un commercialista o un dentista considera questo articolo come un atto di riconoscenza nei confronti del mio commercialista cui devo moltissimo (così come migliaia di altri dentisti), ma anche come un “j’accuse” per tante situazioni che oggi non sono più tollerabili.
Difficilmente si trovano due professionisti così legati a doppio filo come il Commercialista ed il Dentista.
Per quanto esistano eccezioni importanti, generalmente un dentista di successo ha alle spalle un commercialista di grande valore.
Al contrario, molto spesso dentisti di valore non hanno successo perchè assistiti in modo pessimo dal proprio commercialista.
Chi scrive questo articolo ha un debito di riconoscenza insanabile nei confronti del proprio consulente, ma ciò non gli impedisce di tentare una analisi imparziale del tema.
Non si tratta di una provocazione ma di fare emergere un vero e proprio problema che per le caratteristiche microeconomiche della professione odontoiatrica assume talvolta i caratteri dell’emergenza sociale all’interno della nostra comunità professionale.
Perchè questo accade? E’ presto detto.
Perchè molti commercialisti hanno performance scadenti o propriamente dannose per i loro assistiti?
In un articolo indipendente pubblicato sul Sole 24 ore risulta che il 6% dei commercialisti italiani sia transitato davanti alla commissione disciplinare del proprio ordine professionale. Tra le cause più frequenti figura il mancato rispetto degli obblighi formativi.
La verità è che l’appartenenza ad un Ordine professionale non rappresenta più, ipso facto, una garanzia di qualità delle prestazioni. E questo vale per i dentisti, i medici, gli avvocati, i giornalisti e qualunque altra professione.
Nella comunità eterogenea dei commercialisti (come nella nostra) non ci sono solo gli ignoranti (ovvero quelli che ignorano una parte più o meno piccola della materia) ma trovano luogo, per esempio, anche gli abusivi. Una piaga che non colpisce solo la nostra categoria.
Poi c’è il commercialista pigro, ovvero quello che non ha voglia di sbattersi per il dentista. Costui si limita a fare il compitino: la dichiarazione dei redditi, due o tre informative sulle novità normative, un paio di colloqui all’anno che non sono altro che una constatazione di fatti già accaduti e per i quali non esiste margine di manovra.
Il commercialista pigro è come il dentista pigro: meno cambia lo status quo più sarà facile drenare risorse economiche senza dover impegnare il cervello.
Una categoria particolarmente velenosa di commercialisti (o di dentisti) è rappresentata da quelli che io definisco asserviti alla politica: indipendentemente dal fatto che sia la politica del gruppo alla quale appartiene il commercialista stesso oppure quella della comunità dei dentisti. Costoro non sono pigri e neppure ignoranti, sono semplicemente in malafede. Il consulente asservito all’ideologia dominante è una sorta di daimon negativo che non ti consiglia per il tuo interesse e neppure per il suo, quanto piuttosto per un interesse superiore, quello di terzi.
Vogliamo forse dire che il dentista non ha alcuna responsabilità sulle prestazioni del commercialista che lo assiste? Assolutamente no.
Il primo errore commesso dai dentisti è lo stesso identico errore che noi stessi imputiamo ai nostri pazienti. Il 90% dei dentisti che conosco hanno scelto il proprio commercialista come se fosse una commodity: è uno di famiglia, ha lo studio vicino al mio, era il commercialista di mio padre, costa poco, ha il parcheggio comodo, ha personale simpatico e disponibile, e via così con le solite amenità da catena low cost.
Quando è proprio un professionista a confondere un bene ispezione come una mela con un bene credenza come una prestazione professionale, non c’è da stupirsi che vada allo stesso mercato dei propri clienti con la moneta sbagliata.
Il commercialista deve essere scelto sulla base delle sue qualità, indipendentemente da quanto ci costi. Se valutare la qualità di un altro professionista è difficile senza possedere competenze specifiche ci si potrà affidare a degli indicatori specifici:
Tutto questo non ha nulla a che fare con la comodità dei suoi divani o le amicizie importanti che frequenta. Tanto meno ha a che fare con l’ammontare delle sue parcelle.
Un dentista non può pensare che un commercialista come quello descritto sopra possa ricevere gli stessi compensi di un commercialista scadente. Ci ricordiamo di questo solo quando dobbiamo giudicare le scelte del paziente che si rivolge ad un dentista.
Se abbiamo un commercialista scadente la colpa è nostra, non sua.
In questi ultimi anni ho incontrato centinaia di dentisti e molto spesso erano accompagnati dal proprio commercialista: master, corsi, congressi, consulenze.
Faccio un accorato appello ai commercialisti straordinari che ho conosciuto, dalla Sicilia al Piemonte, dalla Sardegna a Trieste: consulenti eccezionali con i quali mi sono arricchito e sono cresciuto sia come uomo che come formatore.
Non potete tollerare che una minoranza numerica di vostri colleghi (che detiene la maggioranza numerica di clienti miei colleghi) possa pronunciare impunemente bestialità come quelle seguenti.
Faccio solo un breve elenco delle scemenze con le quali ogni dentista tutti i giorni deve fare i conti:
Stendiamo un pietoso velo su quei (pochi) commercialisti che:
Perchè questo accade? Come è possibile che il mercato consenta una popolazione così eterogenea di professionisti attivi? Perchè non si verifica quella selezione naturale che invece nel nostro campo sta operando epurazioni in massa da almeno vent’anni?
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Fino ad ora abbiamo visto quante similitudini accomunino l’attività odontoiatrica e quella del commercialista, tanto che abbiamo intitolato questo articolo citando Plutarco.
Ma c’è un punto sul quale i due profili (dentista e commercialista) divergono, e parecchio. Questo punto risponde alle domande appena poste.
Il dentista è abituato a pagare per i propri sbagli: paga in termini di successo professionale e di gradimento presso i propri pazienti, ma anche in termini medico legali veri e propri. In qualche modo il dentista è inibito all’utilizzo sconsiderato della medicina difensivistica perchè la sua attività deve rimanere ancorata a concetti di efficacia clinica.
Egli si espone dunque, per il bene del paziente, a correre un rischio professionale continuo, ben sapendo che pagherà comunque un prezzo per i propri (inevitabili errori) sia sul piano dell’immagine che su quello strettamente patrimoniale.
Al commercialista non accade lo stesso.
Il commercialista (mediamente) non è un imprenditore, non immobilizza capitali importanti come i nostri, non utilizza attrezzature costose e tecnologiche, non è soggetto ai controlli della parte pubblica, non vive la tensione e la precarietà di una clientela aggressiva e di una opinione pubblica ostile.
Per questo il commercialista può adottare, molto spesso, una linea difensivistica attendista che lo porta a stare sempre all’interno della trincea della sicurezza personale. I suoi consigli sono talvolta mirati a minimizzare il proprio rischio professionale personale anche quando potrebbero risultare dannosi per lo sviluppo dell’attività del proprio cliente.
Inoltre l’atteggiamento prudenzialistico non richiede sforzi intellettivi o culturali particolarmente intensi, né una conoscenza fine ed aggiornata della materia. In molti casi il rapporto microeconomico (ma anche umano) tra commercialista e dentista è semplicemente orientato alla rendita di posizione (dominante) nella quale la asimmetria informativa tra le parti si trasforma in quella che Nassim Taleb chiamerebbe una asimmetria di rischio.
Il dentista è un imprenditore, e non c’è niente di più lontano dagli interessi di un imprenditore dell’atteggiamento burocratico e standardizzato dietro il quale alcuni commercialisti sono barricati. Rinunciare al ruolo di broker di conoscenze e quindi non mediando tra il mondo della professione medica e quello delle norme fiscali e giuridiche, degli incentivi economici e finanziari, del controllo di gestione, del diritto societario, ecc, significa tradire il rapporto fiduciario intrinseco alla natura stessa della consulenza.
Ma questo non è il peggio. Il peggio è rappresentato dall’atteggiamento reazionario che il commercialista difensivista assume nei confronti di ciò che è nuovo. Egli sconsiglia al proprio cliente le opportunità che si aprono e che questi potrebbe cogliere, qualora tali opportunità lo costringessero a rivedere i binari consolidati e lubrificati della propria consulenza, a fare uno sforzo e a correre un rischio, benché minimo.
Ci sono poi due stili di consulenza particolarmente deprecabili (e di frequente riscontro) nelle dinamiche che legano il dentista ad alcuni commercialisti.
Il primo è lo stile paternalista che la medicina occidentale ha oramai dismesso da almeno 30 anni. L’atteggiamento autoritario e poco autorevole con il quale alcuni commercialisti non accettano il confronto con il loro cliente su argomenti che invadono il loro campo. L’idea che le decisioni strategiche da assumere all’interno di uno studio dentistico (impresa) possano essere calate dall’alto è sempre sbagliata, a prescindere dal contesto.
La dinamica top down di alcuni consigli assume molto spesso la connotazione negativa di una direttiva inderogabile svincolata dal contesto specifico in cui si genera. Il commercialista, in questi casi, non accetta il dialogo o il confronto sulla normativa fiscale o giuridica in quanto considera ciò una invasione di campo. Egli intravvede inoltre un pericolo di turbativa dei rapporti con i sistemi politici o sindacali di riferimento alla cui aderenza spesso deve riconoscenza per la riprova sociale di cui gode.
Il caso di nostri rappresentanti sindacali costretti a fare società commerciali di nascosto non è isolato. Anche molti commercialisti sono portati a demonizzare pubblicamente la srl odontoiatrica per non doversi giustificare di fronte alla santa inquisizione dei propri pari.
Poi c’è una dinamica ancora più perversa fatta di sottili illazioni, di persuasione sfumata e continua, se non di vero e proprio ricatto. Ci sono frasi del tipo: “io te l’ho detto che questo non si può fare, sappi che il rischio te lo assumi tu”.
Non importa se in questo Paese ci sono seimila atti notarili di costituzione di srl odontoiatrica, seimila altri commercialisti che le gestiscono, seimila iscrizioni in camera di commercio, seimila funzionari dell’agenzia delle entrate che ricevono i dati delle fatture ogni anno. Miliardi di euro ogni anno vengono fatturati da imprese costituite in forma di srl; su quei miliardi di euro vengono pagati ogni anno miliardi di imposte; migliaia di persone lavorano all’interno di queste società e milioni di euro vengono pagati in contributi Inps o Enpam, attraverso seimila consulenti del lavoro.
Mi pongo, caro collega, e ti pongo qualche domanda, nel caso in cui tu fossi assistito da un commercialista ostile alla srl odontoiatrica:
Se ti ha liquidato con semplici affermazioni (false) come quelle sopra riportate, te lo ha detto a voce con tono persuasivo ed intimidatorio (magari perchè tu sei così fesso da fare ancora il nero e quindi sei ricattabile) oppure te lo ha messo per iscritto e ti ha riportato i riferimenti normativi?
Il tuo commercialista sa cos’è una impresa oppure l’ha solo studiata sui manuali di diritto? Conduce il suo studio come una impresa competitiva sul mercato oppure si pone come un semplice intermediario tra te ed il fisco? Assume dipendenti, sviluppa attività di consulenza di impresa vera e propria, svolge attività di ricerca, fa o riceve formazione continua? Partecipa ad eventi culturali nella propria comunità? Pubblica articoli esponendosi alle critiche dei suoi colleghi? Di quale credibilità o reputazione gode all’interno della sua stessa comunità? Accetta il dialogo e la discussione sui temi che gli proponi?
Ricordati che queste domande sono le stesse sulle quali vorresti che il tuo paziente scegliesse il proprio dentista, cioè te! Tu vorresti che proprio su queste risposte il paziente costruisse con te un rapporto di fiducia sano abbandonando il dentista precedente.
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