Una analisi minuziosa sul piano numerico di quale differenza corra tra srl odontoiatrica e studio professionale tradizionale, un confronto impietoso del vantaggio fiscale che si può conseguire mutando il proprio layout giuridico professionale. Questo è il lavoro compiuto da Pietro Paolo Mastinu, comparando Irpef, Ires, Iva, Enpam, Inps tra scenari simulati e situazioni reali. Ne emergono conclusioni dirompenti di natura economica, fiscale, finanziaria e contributiva che inchiodano molti consulenti alle proprie responsabilità e molti colleghi alla propria pigrizia intellettuale.
Capita sempre più spesso che ci chiediate di dimostrare con i numeri il vantaggio fiscale della soluzione societaria rispetto a quella professionale classica per gestire lo studio dentistico.
Effettuare calcoli su situazioni simulate appare sempre esercizio arbitrario. Infatti, troppe sono le variabili che possono cambiare il risultato finale.
Per questo noi lo facciamo raramente in queste pagine – a parte il caso di Gabriele Vassura – e con esempi estremamente semplificati. Non è un caso, anche se purtroppo permette a taluni di contestare evidenze incontestabili.
La realtà è più complicata di qualsiasi esempio si possa fare e se non ci spingiamo troppo oltre è per motivi ben precisi. Ciò non toglie che alcune evidenze possano essere affermate nettamente e che non si prestino ad alcuna forma di obiezione.
Una prima considerazione domina tutto il tema:
per usufruire dei vantaggi al massimo grado possibile per ogni situazione bisogna sapere e molto bene dove mettere le mani.
La questione merita subito un chiarimento preliminare: se si fa un paragone generico tra professionista ed imprenditore societario, la critica solita dei nostri detrattori appare come una “vera” banalità. Il meccanismo fiscale infatti è stato studiato dal Legislatore proprio allo scopo di equiparare la tassazione del socio della società a quella che avrebbe conseguito agendo da privato (e cioè all’aliquota marginale IRPEF corrispondente). E questo ben prima che fosse introdotta la nuova tassazione sui dividendi.
Questa banalità, tuttavia, non porta de plano a sconfessare l’eventuale convenienza fiscale della srl rispetto allo studio professionale, per certi livelli di utile. Significa solo che il confronto alla pari tra l’utile del professionista e quello della srl odontoiatrica (unipersonale) non può che portare ad una sostanziale equivalenza che il Legislatore ha pienamente voluto.
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Tuttavia, tale equivalenza può essere modificata con una serie di operazioni pienamente lecite e tali da modificare in misura sensibile la situazione: ovviamente, ciò non significa che si può arrivare fino a risparmi del 50% o del 60%. Queste sono fantasie che si possono realizzare unicamente con operazioni non lecite e che ci guardiamo bene anche solo di prendere in considerazione.
Le operazioni lecite poi si arricchiscono di una serie di contenuti collaterali che non a caso sfuggono agli esperti del Diritto Tributario, per la fondamentale ragione che i più tra questi ignorano tutto quello che esula l’ambito fiscale e riguarda le strutture sanitarie e le peculiari caratteristiche che possono motivare un professionista nel realizzare una tale trasformazione.
In particolare, sfugge ai medesimi che:
Tali operazioni lecite richiedono poi la piena conoscenza della situazione di quel professionista e devono realizzarsi con una soluzione costruita su misura. E’ per questo che in consulenza mi confronto sempre con il commercialista del cliente, peraltro con reciproca soddisfazione. Il commercialista sa tutto di Voi – anche se non sempre è aggiornato su tutte le questioni che interessano l’impresa sanitaria – e il suo ausilio è del tutto insostituibile.
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Trasformare uno Studio dentistico in una Srl Odontoiatrica è una operazione complessa, anche dal punto di vista fiscale, e richiede una pianificazione, in mancanza della quale la trasformazione stessa potrebbe non comportare vantaggi significativi. D’altra parte, credo che pochi tra Voi sarebbero così sprovveduti da buttarsi in un’operazione del genere da soli.
Abbiamo visto che queste operazioni di pianificazione servono anche ad evitare le possibili censure del Fisco (abbiamo ampiamente scritto sulle norme anti elusione, che hanno depenalizzato il relativo illecito, ma non hanno certo cancellato le salate sanzioni e interessi a valere sulle differenze tra pagato e dovuto, che ovviamente andrà comunque pagato).
Sappiamo già che il risparmio fiscale deve essere consistente per assorbire i maggiori costi che la trasformazione in società comporta ed è facile prevedere che questo aumento di costo pesi per alcune migliaia di euro l’anno.
Sappiamo anche che la srl odontoiatrica comporta una serie di importantissimi vantaggi extra-fiscali: tutela patrimoniale, pianificazione successoria e facilitazioni importanti in sede di cessione.
E abbiamo anche già detto che la srl in capo ai titolari medici usufruisce di una serie di vantaggi non di poco conto, quale quello, ad esempio, di essere assoggettata a Enpam in luogo che all’INPS (almeno 9 punti percentuali in meno di contributi sul reddito imponibile); quella di poter utilizzare, anche gratuitamente, la figura del titolare medico anche come Direttore Sanitario (invece che pagare un esterno).
Questo (il profilo fiscale e contributivo) è un elemento che differenzia nettamente la gestione di un ambulatorio effettuata da un medico rispetto ad altre figure non mediche. Nel senso che la srl di gestione in mano ad un medico ha costi minori rispetto a quella gestita da altri.
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Ovviamente, il medico quando opera nella forma societaria, può comunque usufruire di una serie di vantaggi di non poco conto e validi anche per i titolari non medici, quali ad esempio:
In realtà, per dirla in modo sintetico ed efficace:
quello che distingue il regime fiscale del professionista da quello dell’imprenditore sanitario è proprio la possibilità, che esiste solo nel secondo caso, di ripartizione dell’utile sulle teste del nucleo familiare (in Francia, ad esempio, 100.000 di utile di un nucleo monofamiliare viene trattato ben diversamente di quello relativo ad un nucleo di quattro persone -marito, moglie e due figli ), oltre al fatto che il reddito del professionista – diversamente da quanto accade al reddito della società- , viene tassato per intero, a prescindere dalla sua effettiva distribuzione nella sua cassa personale.
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Ecco perché dire che il reddito della srl subisce una tassazione del 24% + il 26% è dire una stupidaggine. Intanto perché questa addizione riguarda solo uno dei due regimi previsti per la tassazione delle società.
Ma soprattutto perché il 26% lo si pagherà da quest’anno in poi solo sulla parte dell’utile che viene distribuito, al netto delle imposte sul reddito che paga la società e quindi verrà sempre calcolato su una parte di utile necessariamente minore di quella esposta in bilancio. Il che comporta che l’aliquota EFFETTIVA, alla fine della fiera, varierà in base ad un numero molto ampio di variabili.
Se questo è vero, è altrettanto vero che ben difficilmente, in presenza di utili cospicui, un socio di maggioranza o una compagine societaria più o meno nutrita potrà mai decidere di distribuire interamente gli utili al netto dell’IRES.
Una parte di tali utili li terrà comunque a riserva, perché questa è la condotta più sensata nella società, al fine di tenere al riparo la stessa da eventuali imprevisti e relativi esborsi, o semplicemente per alimentare futuri processi di investimento (rinnovo parco macchine o acquisto di nuove apparecchiature, ammodernamenti dello studio etc.).
Deve essere chiaro che la società la si fa proprio per non distribuire tutto l’utile, onde evitare di riportare la situazione al punto di partenza.
Infatti, il professionista, quando agisce come tale nel proprio studio, non ha che questa unica possibilità: il suo reddito viene tassato interamente come se fosse stato interamente distribuito.
Da questo punto di vista, è giusto dare ragione a quei professionisti che lamentano un trattamento di sfavore nel trattamento fiscale del professionista rispetto a quello che colpisce la società, che si potrebbe benissimo – se solo lo si volesse – almeno in parte mitigare, senza per questo alterare la natura delle due fattispecie prese in considerazione (professionista e imprenditore).
Al momento però in Italia non è così e questo costituisce un indubbio svantaggio.
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Peraltro, è appena il caso di sottolineare un’altra importante differenza che esiste tra il regime fiscale dei redditi di lavoro autonomo da quello dei redditi di impresa. Nel primo caso, che riguarda il professionista che esercita nel proprio studio, le perdite di un esercizio possono essere compensate all’interno dello stesso esercizio con le altre tipologie di reddito della persona fisica (redditi catastali, redditi diversi e redditi di capitale se portati in dichiarazione) ma non possono mai essere portati in compensazione negli esercizi successivi (come è possibile fare, sia pur entro certi limiti, nell’ambito dei redditi di impresa).
E si tratta di una differenza che già presa isolatamente dalle altre cambia il quadro del confronto in misura assai sensibile. Perché non fa che aggravare la situazione del professionista nel momento in cui viene pienamente tassato su tutto l’utile conseguito come se l’avesse interamente prelevato, nel momento in cui, magari l’anno dopo, non lo può compensare con una perdita del nuovo esercizio.
Tornando all’argomento principale del nostro discorso, perché sostengo che bisogna sapere dove mettere le mani?
Perché non si può non tenere conto di quello che accade al reddito imponibile del professionista e della società tenendo presenti le interrelazioni che si creano tra le imposte sul reddito (Irpef e Irap o Ires e Irap + cedolare sui dividendi distribuiti) ed Enpam.
Oggi nel calcolo intervengono anche delle novità da cui scaturiscono alcune considerazioni:
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Nella scelta del metodo migliore per estrarre il reddito dalla società e trasferirlo nella sfera privata del o dei titolari, non può poi mancare la attenta analisi di alcuni vincoli ed opportunità, quali ad esempio:
Come se non bastasse, esiste una giurisprudenza fiscale ormai consolidata che addossa l’IRAP per la parte dei compensi ricevuti in qualità di amministratore a tutti i soggetti la cui attività professionale risulta strettamente connessa con l’oggetto sociale, come è il caso dell’amministratore medico.
Il dentista dunque per queste somme pagherebbe l’Irap, almeno parzialmente, due volte e cioè sulla società e sulla sua posizione personale. Esistono in realtà, e ne parleremo, alcune forme di compenso forfettarie (circa 1000 euro al mese al max) che non sono assoggettabili a tassazione per il percettore ai fini IRPEF, ma lo rimangono comunque e sempre ai fini IRAP.
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Va tenuto infatti presente che 5.000 di costi indeducibili pesano ben diversamente sull’utile della società rispetto a quanto accada per un professionista. Per la semplice ragione che quei 5.000 alzano in tutti i casi l’utile, ma quest’ultimo sconta una diversa tassazione nel primo caso rispetto al secondo.
Una cosa è sottoporre 5000 ad un IRES del 24%, ben altra è sottoporla all’IRPEF del 30 o 35% o più a seconda della misura complessiva del reddito tassato. Se acquisto un’auto da 50.000 strumentale, e quindi vado ben oltre i limiti di deduzione ammessi per questa tipologia di costo, quello che pago sulla differenza in termini di imposta cambia in misura sensibile; il che, detta in altro modo, rende diverso per chi lo sostiene il costo effettivo della stessa auto.
Tutto questo permette – sapendoci fare – al professionista bene assistito che trasforma la veste giuridica della propria attività di arrivare ad una base imponibile – e quindi ad un utile netto tassabile-, più basso, con tutte le conseguenze che ne derivano e che possono sintetizzarsi in una affermazione semplice
a parità di attività, la parte di utile che gli rimane in tasca è più alta.
La parte di utile non distribuita è un’altra delle questioni che non vi fa dormire la notte: ma si tratta di un falso problema anche e solo dal punto di vista fiscale.
Come vedremo meglio in articoli dedicati, questo problema non si pone per una serie di motivi di non poco conto:
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Dopo tante chiacchiere, ora voglio portarvi nella simulazione vera e propria. Preparatevi, perché adesso si fa dura.
Simulazioni ne faremo tante e il bello è che i risultati sono quasi sempre gli stessi per livelli di utile di un certo ammontare, quando a prevalere è la componente consulenziale. Quello che cambia è il modo per abbassare il carico fiscale, a seconda dei casi.
Ipotizziamo la situazione di un professionista con un utile lordo di € 300.000 e proviamo ad immaginare che lo stesso decida di valutare la trasformazione in srl odontoiatrica unipersonale.
Dovremo per forza di cose effettuare alcune ipotesi semplificate, che espliciterò ogni volta che vi ricorro. Tuttavia sono semplificazioni accettabili e assai vicine alla realtà di molti casi reali. Le variabili, in altre parole, pur se presenti, non cambierebbero comunque di molto il risultato finale (con la sola eccezione che vale per componenti straordinarie di reddito o casi assai particolari).
Procediamo anzitutto al calcolo del contributo Enpam (mi limito a calcolare la quota B, perché la quota A varia in almeno cinque versioni, dai 300 ai 1.450 € circa).
La quota B salirà rispetto ad oggi nei prossimi anni (dal 16,50% in su), ma non complichiamoci la vita.
Calcoliamo il 16,50% fino ai 101.427 e l’1% sull’eccedenza, che è la regola vigente su 300.000. Ricordo che su quell’1% solo lo 0,50% è pensionabile, per cui più ti allontani dai 101.427 e minore sarà l’incremento di versamento che si tradurrà in pensione. Fattore di cui occorre tenere conto in quanto tutti i regimi che portano nella posizione personale del professionista somme tassabili ai fini IRPEF superiori ai 101.500 comportano anche un versamento Enpam in parte ininfluente dal punto di vista previdenziale (esattamente come nel caso del neo-introdotto contributo Enpam sul fatturato della srl, di cui parleremo più avanti).
Quindi:
101.427 x 16,50% = 16.735,46
198.573 x 1% = 1.985,73
Enpam = 18.721,19
Mettiamoci anche la quota A calcolando una media pari a 700 €
Enpam globale A + B = 19.421,19
Utile al netto Enpam: 280.578,81
Ora, per procedere al calcolo dell’IRAP, dobbiamo procedere a illustrare la regola e procedere ad opportune semplificazioni
Base di calcolo:
Infatti, l’IRAP, per il professionista, si calcola sottraendo ai compensi percepiti gran parte dei costi sostenuti inerenti all’attività (ma non tutti).
Una volta calcolata l’IRAP dovuta, si deve poi calcolare le deduzione dall’IRPEF (o dall’Ires per le società, come vedremo poi). Le deduzioni sono di due tipi:
In realtà tutti i conti dovrebbero seguire il principio di cassa, nel senso che conta ai fini del calcolo non l’IRAP di competenza dell’esercizio, ma quella versata nell’esercizio (a titolo di saldo dell’esercizio precedente e di acconto di quello in corso, con la sola limitazione che gli acconti non possono essere presi come base di calcolo per importi superiori all’IRAP di competenza dell’esercizio). Per semplicità, tuttavia, effettueremo tutti i calcoli sull’IRAP di competenza dell’esercizio, assumendola come base di calcolo (anche se nella realtà si deve fare diversamente).
Ipotizziamo quindi che il nostro abbia un bello studio con costi del personale più contributi pari a 180.000 euro di cui 30.000 di contributi previdenziali, assistenziali e assicurativi e che paghi interessi passivi.
Imponibile 280.578,81 + Costi del Personale 180.000 (30.000 contributi Previdenziali) con presenza di interessi passivi.
L’IRAP pesa per il 3,90% + addizionali (+/- 0,92) che ovviamente variano da Regione a Regione. Nel Lazio, Abruzzo e Puglia, ad esempio, l’aliquota ordinaria è fissata al 4,82%, mentre per Lombardia, Emilia e Veneto pesa per il 3,90%.
Possiamo dire in generale che le Regioni più ricche fanno pagare il 3,90% mentre quelle meno ricche arrivano alla variazione massima.
Calcoliamo un 4,40% medio globale.
280.578,81 x 4,40% = 12.345,47
Questa è l’Irap dovuta.
Questo importo Irap è parzialmente deducibile dall’IRPEF, in ragione del 10% nel caso in cui il professionista abbia sostenuto interessi passivi:
Avremo quindi:
12.345,47 x 10% = 1.234,54
questa somma è la prima parte di Irap che può dedursi dall’IRPEF.
Aggiungiamo ora la quota parte di IRAP relativa ai costi di lavoro dipendente (al netto dei contributi)
180.000- 30.000 = 150.000 x 4,40% = 6.600,00
che è la seconda parte che può dedursi dall’IRPEF e quindi
6.600 + 1.234,54 = 7.834,54
che è appunto l’importo esatto della deduzione IRPEF.
Prima di andare avanti, specifico subito che questi conti sono reali nell’ipotesi in cui il costo del lavoro si riferisca a dipendenti a tempo indeterminato e assimilato diversi da categorie peculiari e dai compensi degli amministratori. Queste voci, diversamente, sarebbero infatti indeducibili e quindi andrebbero ad aumentare – ove presenti – la base imponibile dell’IRAP. Aggiungo infine che nel caso in cui l’ammontare delle deduzioni pesi per una somma superiore all’IRAP pagata, la deduzione non è ammessa per la parte che eccede l’IRAP dovuta, come già calcolata.
L’utile imponibile ai fini IRPEF quindi cambia e precisamente corrisponde all’utile post deduzione Enpam, diminuito da questa somma:
280.578,81 – 7.834,54 = 272.744,27
Calcoliamo ora l’IRPEF, nell’ipotesi semplificata che non esistano deduzioni e detrazioni sul professionista e che le addizionali regionali e comunali pesino, complessivamente, per il 3% (ovviamente variano entrambi nel territorio ma questa è una media abbastanza attendibile).
Irpef = 110.449,92
Addizionali = 272.744,27 x 3% = 8.182,33
Irpef + addizionali = 109.760,63 + 8.134,21 = 118.632,25
IRAP = 12.345,47
Enpam = 19.421,19
Il nostro professionista paga di imposte euro 130.977,72, pari al 43,65% rispetto all’imponibile lordo e 150.398,91 di imposte e contributi pari al 50,13% dell’imponibile lordo.
300.000 – 150.398,91 = 149.601,09 è la somma che gli resta in tasca.
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Ipotizziamo ora che il nostro voglia trasformare la sua attività in srl unipersonale.
Facciamo un conto semplice, senza introdurre ulteriori qualificazioni che eventualmente introdurremo dopo, con ipotesi sempre più articolate.
Ipotizziamo che il nostro non preveda di scaricare propri costi sulla società, che non voglia assumere la moglie, che l’utile della società rimanga pari a 300.000 (ipotesi irrealistiche ma che mi servono per accertare se esiste la convenienza pura su certi livelli di utile in qualunque situazione, anche la più sfavorevole).
Tuttavia, per il solo fatto di passare da studio ad ambulatorio, il nostro deve comunque e necessariamente mettere in conto un aumento di costi di gestione ordinaria, persino nell’ipotesi in cui non cambi nulla nel suo modus operandi. Tali variazioni in aumento dei costi riguardano il passaggio a contabilità ordinaria e alla redazione obbligatoria del bilancio, l’aumento della parcella del commercialista, adeguamenti assicurativi, etc.
Vanno poi calcolati altri costi legati alla gestione delle strutture sanitarie aperte al pubblico: tasse sulle insegne, tasse o costi per la musica diffusa, maggiori imposte sull’immobile, sulle insegne e vetrofanie pubblicitarie e sui costi del personale aggiuntivi che si sostengono sempre per il fatto che le incombenze crescono per diretta conseguenza della trasformazione, maggiori tasse sui rifiuti solidi urbani, sito internet e adempimenti connessi, etc.
Calcolo forfettariamente un aumento dei costi di gestione annui nella realistica cifra di 30.000 euro annuo. Si tratta ovviamente di costi interamente deducibili dal reddito di impresa.
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Il punto di partenza: 300.000 euro di utile societario (da bilancio come differenza tra costi e ricavi) – 30.000 euro di nuovi costi tipici ineliminabili = 270.000
La base di calcolo dell’IRAP per i soggetti IRES si calcola in maniera diversa da quella del professionista. Più precisamente, si determina come:
Specifico che sono da considerare costi indeducibili anche i costi e i compensi per lavoro autonomo, co.co.co e co.co.pro; l’ICI o IMU, le perdite su crediti, la quota interessi del canone di leasing.
Anche per le società tuttavia vale la deduzione totale dei costi del personale relativi al lavoro a tempo indeterminato.
Devo per forza semplificare molto per poter fare un confronto ragionato, ma sono confortato dal fatto che siamo partiti dall’ipotesi che la gestione tipica non sia sostanzialmente cambiata nella trasformazione dello studio in ambulatorio.
Avremo quindi
270.000 utile lordo + Costo del Personale 180.000 deducibili (con presenza interessi) =
IRAP = 270.000 x 4,40% = 11.880
Le deduzione dall’IRES sono le stesse di cui beneficia il professionista dall’IRPEF e cioè:
11.880 x 10% = 1.399,20 Irap deducibile dall’IRES in presenza di interessi passivi
(180.000 – 30.000) x 4,40% = 6.600 Irap deducibile dall’IRES per la parte relativa ai costi del personale.
Totale deducibile dall’IRES = 7.999,20
Base di calcolo dell’IRES al netto della deduzione IRAP
270.000 – 7.999,20 = 262.000,80
IRES:
262.000,80 x 24% = 62.880,19
Utile al netto imposte:
270.0000 – 62.880,19 – 11.880 = 195.239,81
Ipotizziamo ora che il nostro prelevi dalla società ciò che gli serve per vivere senza altra forma che quella di percepire i dividendi.
Una parte minoritaria li lascia in azienda come riserva e ne preleva il 70%.
Ho scelto apposta di ipotizzare una distribuzione per una percentuale così alta, proprio perché mi prefiggo di indagare la convenienza anche in un caso limite come questo.
195.239,81 x 70% = 136.667,87
Tali dividendi sono tassati a titolo d’imposta per il 26%, quindi cedolare sui dividendi = 35.533,65
La srl paga quindi imposte sul reddito pari a:
Totale 110.293,84, pari al 40,84% dell’utile lordo di bilancio.
nb Attenzione perché se anche avesse distribuito tutto l’utile netto pari a 195.239,81 avrebbe pagato imposte per dividendi pari a 50.762,35 e pagato imposte totali per 125.522,54, pari al 46,48% dell’utile lordo. Che è ovviamente cosa ben diversa dal 50% (24% Ires + 26% DIVIDENDI) come potrebbe sembrare apparentemente.
Il socio a questo punto, se non ha percepito altri redditi diversi da quelli da capitale – e cioè i dividendi – e avendo pagato la società una ritenuta a titolo di imposta per suo conto, non dovrà portare quei redditi in dichiarazione. Siamo proprio partiti dall’ipotesi che non percepisca altri redditi né dalla società né da altri.
Non sfugge però all’ENPAM, che tassa non solo quelli distribuiti di utili, ma l’intero utile conseguito dalla società, in proporzione alle quote sociali.
Tuttavia qui il socio è uno solo, quindi l’utile imponibile gli viene interamente attribuito.
Inoltre, proprio perché il socio non porta quei redditi in dichiarazione, non potrà neanche dedurre i contributi dovuti all’Ente dall’IRPEF e tanto meno dall’imposta sui dividendi che ha pagato la società.
Ne deriva che la base imponibile corrisponde a euro 270.000 a fini Enpam
Quindi avremo:
101.427,00 x 16.50% = 16.735,46
168.573 x 1% = 1.685,73
Totale 18.421,19
Mettiamoci anche i 700 euro della quota A e arriviamo ad un Enpam totale pari a 19.121,19 .
Enpam però imporrà ben presto il contributo anche sul fatturato della società.
Per un utile di bilancio pari a 270.000 euro, è sensato ipotizzare un fatturato pari a 1.350.000 (20% utile lordo). Non tutto però verosimilmente sarà soggetto al contributo, escludendo prestazioni di igiene et similia possiamo ipotizzare realisticamente il 90% di quella somma.
1.350.000 x 90% x 0,5% = 6.075,00
In sostanza, il socio ha pagato direttamente o attraverso la società complessivamente
110.239,84 + 6.075 + 19.121,19 = 135.436,03
Gli sono rimasti in tasca
101.134,22 (utili distribuiti netti) – 19.121,19 (Enpam) = 82.013,03
E in pancia alla società
195.239,81 – 136.667,87 (utili distribuiti al lordo imposta sui dividendi) – 6.075 (Enpam sul fatturato srl) = 52.496,94
Che per ora lasciamo lì e poi vedremo come poterli progressivamente utilizzare per portarli a subire un carico fiscale inferiore all’imposta sui dividendi o sulle plusvalenze del 26%.
A volerli impropriamente sommare, arriviamo comunque ad euro 134.509,97, pari al 49,81% dell’utile di bilancio, ma sempre meno di quelli che si sarebbe messo in tasca puliti esercitando da professionista, come da esempio precedente (149.601,09).
C’è poco da dire: l’operazione, così come ipotizzata, non conviene e non conviene neanche incorporando nella simulazione i maggiori costi legati alla gestione dell’ambulatorio.
Ora veniamo al punto da cui siamo partiti: per rendere conveniente anche sotto il profilo fiscale la trasformazione è necessario inserire una forte componente consulenziale.
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Infatti, dal punto di vista del tecnico, l’ipotesi finora esplorata si caratterizza per avere alcuni minus rilevanti:
Insomma, ho fatto una ipotesi di una trasformazione fatta da una persona cieca e sorda che non sa quasi nulla di Fisco e procede a tentoni.
Nelle prossime simulazioni faremo ipotesi tecniche più realistiche e basate sulle conoscenze dei meccanismi fiscali e previdenziali.
Ipotizziamo infatti di verificare con il professionista se è possibile e per lui fattibile la scelta di fondare una srl con più soci invece che solo con lui stesso (la unipersonale di cui all’esempio precedente) con una ripartizione del tipo 90/10 delle quote.
Poiché i soci che lavorano nella srl devono pagare l’Enpam, se sono medici, o l’INPS se non lo sono e le aliquote vanno dal 26% in su a seconda dei casi sull’INPS e dal 16,50% al 19% sull’Enpam, forse la soluzione migliore non è quella di inquadrare la moglie socia come collaboratrice a partita IVA, ma invece quella di assumerla direttamente in qualità di dipendente.
Un dipendente, infatti, costa all’azienda oneri contributivi pari al 29% ma in questo caso di tratta di oneri che contribuiscono a formare una pensione alla moglie e che sono interamente deducibili dall’imponibile IRES; e per di più su una base di calcolo che è quella della retribuzione di un dipendente che più di tanto non può crescere.
Anche il TFR viene accantonato dalla srl e poi finisce in un’unica soluzione, con un trattamento fiscale agevolato, nelle tasche della moglie.
La srl deduce interamente i relativi accantonamenti e trattiene comunque parte di quei soldi nella cassa (potendoli reinvestire pro tempore) e, quando li versa, lo fa nei confronti della moglie del titolare.
Alla fine della fiera, quei soldi ritornano comunque nelle tasche del titolare (o meglio del suo nucleo familiare), ma beneficiando di deduzioni di cui, agendo in veste di professionista, il titolare non avrebbe potuto godere.
Inoltre, i compensi di collaborazione in questo caso entrerebbero interamente anche nell’imponibile IRAP della società, esattamente come gli stipendi dei dipendenti, per cui tanto vale assumerla come dipendente.
E questo significa che l’imponibile della società, tenuto conto del fatto che un dipendente costa alla stessa circa 30.000 euro l’anno, si abbassa della stessa cifra (perché gli stipendi della moglie nella società sono interamente deducibili, mentre per il professionista non lo sono).
Quei soldi entrano comunque nel nucleo familiare, e quindi abbiamo individuato un altro modo di estrarre utili della società pagando meno imposte, perché li stiamo sostanzialmente dividendo su più teste.
Ipotizziamo poi di caricare sulla società – dopo aver bene lavorato sull’atto costitutivo in maniera tale da rendere quei costi inerenti all’attività della stessa, relativamente ad attività che poi dovrò effettivamente andare ad effettuare, – una serie di costi che da professionista non potevo inserire tra quelli tipici.
Rimborsi spese vari, auto strumentali in uso al dipendente per l’attività (e indovinate quale dipendente), rimborsi chilometrici nella misura consentita senza portarli in dichiarazione per l’amministratore (1000 euro al mese circa).
Ipotizziamo di riuscire a creare costi deducibili con questo sistema pari a 20.000 euro l’anno. Assolutamente realizzabile senza alcuna forzatura.
Abbiamo già abbassato la base imponibile della società per euro 50.000.
Ora ipotizziamo di remunerare il medico con un compenso professionale fisso o variabile (non come Direttore Sanitario, perché sulle relative fatture si deve calcolare anche l’iva): può quindi spiccare fatture per l’attività sanitaria nei confronti della società con un variabile sulle prestazioni effettuate, come tutti gli altri professionisti collaboratori. O prendere una somma fissa, sempre fatturata alla società.
Ipotizziamo che complessivamente tale somma equivalga a 40.000 l’anno.
Faccio notare di passaggio che queste operazione hanno giù permesso di far entrare nel bilancio familiare del professionista somme pari a
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Abbiamo già raggiunto una prima conclusione: al medico non conviene mai percepire compensi da amministratore eccedenti ai limiti di esenzione per il suo reddito: perché ci paga comunque l’Enpam e perché tali compensi entrano nella base di calcolo dell’IRAP della società.
Inoltre, l’aver percepito tali contributi lo obbliga al pagamento dell’IRAP anche come persona fisica (doppia imposizione parziale).
I compensi forfettari (ca 12.000 euro l’anno ) entrano però nella base imponibile Enpam.
Se poi l’amministratore è un non medico, invece che Enpam pagherà INPS (9 punti percentuali in più di contributi), con il rischio che qualche sentenza lo obblighi a pagare contributi ancora più alti, imponendogli di pagare una doppia contribuzione INPS (ne abbiamo parlato in alcuni post recenti).
Al medico non conviene poi percepire compensi per la Direzione sanitaria, perché sulle relative fatture ci paga l’iva, che non potrà mai recuperare visto che nel nostro settore sulle fatture attive c’è l’esenzione.
Quindi, a meno che non esista altra possibilità, si deve evitare compensi tassabili in capo al percettore per l’amministrazione e per la Direzione sanitaria.
Adesso facciamo qualche conto:
90.000 euro di spese in più portano l’utile lordo di bilancio a 270.000 – 90.000 = 160.000.
Valore netto della produzione (VN) = Utile di bilancio (UB) (160.000 + 12.000 rimborsi forfettari amm) + Costo del personale 210.000 (30.000 + 8.000 deducibili) + presenza int. Pass
Il costo del personale è salito da 180.000 ai 210.000 dell’esempio precedente, per il fatto che c’è da considerare lo stipendio della moglie che prima non c’era. Lo stesso dicasi per i contributi.
Tuttavia, tale aumento non cambia di una virgola la base imponibile dell’IRAP visto che la signora è stata assunta a tempo indeterminato.
Lo scorporo dei contributi sui dipendenti ci servirà al momento di calcolare le deduzione dell’IRAP dall’IRES.
IRAP (160.000 + 12.000) (12.000 = rimborsi forfettari amministratore) x 4,40% = 7.568,00
IRAP deducibile dall’IRES 7.568,00×10% = 756,80 per interessi passivi
(210.000 – 38.000 costo personale – contributi) = 172.000,00 x 4,40% = 7.568
LA somma delle due deduzioni supera l’IRAP pagati, che quindi in questo caso costituisce l’importo deducibile dall’IRES
IRES
160.000 – 7.568 X 24% = 152.432 x 24% = 36.583,68
Enpam fatturato
1.350.000 x 90% x 0,5% = 6.075
L’utile netto sarà pari a
160.000 – 7.568 – 36.583,68 – 6.075 = 109.773,32
Ipotizziamo ora che il medico decida di prendere la stessa somma che nella prima simulazione – quella del professionista – e cioè 150.000 euro.
Poiché ne ha già percepiti 90.000 sotto varia forma, dovrà percepire 150.000 – 90.000 = 60.000 sotto forma di dividendi.
Poiché tali somme devono entrare pulite nelle tasche del professionista socio, non si può non considerare l’effetto dell’imposta sui dividendi.
Ipotizziamo quindi di staccare dividendi pari a 82.000.
Imp. Div. 82.000 x 26% = 21.320
82.000 – 21.320 = 60.680 netti in tasca al socio
Rimarranno in pancia alla srl 109.773,32 – 82.000 = 27.773,32.
Entrano nelle tasche del professionista euro 60.680 nette.
La società ha pagato imposte per
Per un totale di 71.546,68, pari al 71.564,68 / 160.000 = 44,71% dell’utile lordo di bilancio.
Ora però il professionista ha due vantaggi che nella simulazione precedente non aveva e precisamente:
La base di calcolo dell’Enpam sarà formata per una parte degli utili lordi ai fini IRES della società e per un’altra dai compensi professionali che il nostro ha ricevuto dalla srl come professionista, quindi:
Titolare e socio di maggioranza 160.000 x 90% + 40.000 = 144.000 + 40.000 =184.000
Socia di minoranza 160.000 x 10% = 16.000
Socio di maggioranza:
184.000 – 101.427 = 82.573
101.427 x 16,50% = 16.735,45
82.573 x 1% = 825,73
Totale quota b = 17.561,18
Quota a = 700
Enpam = 18.261,18
Quanto alla sua IRPEF personale, il Nostro avrà una base di calcolo pari a
40.000 – 18.261,18 = 21.738,82
Irpef = 5.269,26
Addizionali 21.738,82 x 3% = 652,16
Totale = 5.941,42
Anche la moglie, avendo percepito una somma pressoché identica a titolo di stipendio, pagherà un Irpef assai vicina a questa somma.
In questo caso semplifico molto, perché a fare i conti giusti perdiamo solo tempo inutile: dico solo che una busta paga di 30.000 lorde (costo per la srl) equivale ad un netto pari a circa il 59% di tale somma (il 41%, su questi livelli di stipendio lordo) è all’incirca il costo per la società tra contribuiti e ritenute Irpef e addizionali).
Per semplicità, mettiamo in conto = 6.000 ca di Irpef a carico del lavoratore e un netto per lui pari ad euro 17.800.
Una parte dell’imposta sui dividendi (il 10%) è di sua competenza, ma quella parte per semplicità l’abbiamo già calcolata sulla società.
Non è soggetta ad Enpam, e quindi la sua parte di utile non entra nella relativa base imponibile.
Quindi il professionista – considerando anche l’IRPEF della moglie – ha pagato 18.261,18 di Enpam e 11.941,42 di Irpef.
Pari a complessivi 30.202,60
E ne ha percepiti:
Per un totale di euro 138.480 che al netto di imposte e contributi
138.480 – 5.941,42 (Irpef titolare) – 18.261,18 (Enpam titolare) = 114.277,40
I redditi della moglie sono già al netto di imposte e contributi a suo carico ed è per questo che evitiamo di inserirli nel calcolo.
Attraverso la trasformazione da posizione professionale ad imprenditoriale, il titolare odontoiatra, attraverso alcune operazione pianificate, razionali e lecite, ha abbassato l’utile di 90.000, e ha pagato tra lui e la società imposte e contributi per un totale di:
Dei 300.000 euro di utile originario da professionista, questo significa che ha pagato tra imposte e contributi una percentuale pari a
101.749,38/ 300.000 = 33,91%
E cioè:
14 punti percentuali in meno di quanto avrebbe pagato da professionista per fare LE STESSE COSE che faceva prima da professionista.
Da professionista pagava imposte e contributi per euro 150.398,91.
Quindi stiamo parlando di minore aggravio per euro 48.649,53.
Residuano poi ben 27.773,32 di utili non distribuiti, che andranno ad aumentare il patrimonio della società.
Il professionista e la moglie si sono comunque messi in tasca euro 114.277,40, ne hanno in riserva, nella pancia della società, altri 28.174,96. Quindi in tutto circa 140.000 euro, cifra non molto diversa da quella che rimaneva in tasca al titolare quando operava in veste di professionista (149.601,09). Anche perché andrebbe considerato anche il TFR accantonato dalla srl per la moglie.
D’altra parte, non si può non considerare l’aggravio di costi della srl (30.000 in più nella nostra simulazione) che, se pure abbattono il reddito imponibile, in via indiretta intaccano pure il reddito al netto delle imposte e contributi del beneficiario.
N.B. Le scelte sulla modalità di percezione hanno anche vincoli non di natura fiscale.
Prima di andare avanti nelle simulazioni, specifico che non sempre la scelta di percepire compensi professionali e dividendi (uno o l’altro o una loro combinazione) può dipendere solo da calcoli di convenienza fiscale.
In primis, perché in una impresa sanitaria la priorità è quella clinica e tutto il resto deve essere subordinato ad essa (con la sola eccezione della copertura dei costi e dell’avanzo di gestione, senza i quali ben presto non ci sarebbe più niente e neanche la clinica).
Ma soprattutto perché i direttori di banca non amano i bilanci con utili bassi. E se l’ambulatorio fa un intensivo ricorso al credito, l’obiettivo di far scendere l’utile attraverso i compensi professionali e i costi e distribuire di conseguenza dividendi più bassi e relativa tassazione, andrà mitigato per diretta conseguenza, anche se questo comporta un più alto aggravio fiscale rispetto a quello che si potrebbe potuto raggiungere.
L’impresa sanitaria è un meccanismo assai complesso e ogni decisione merita attenta ponderazione, considerando tutti le opportunità e i vincoli esistenti.
Alla fine dell’articolo vi sarà chiaro il motivo per il quale si giustificano queste mie affermazioni.
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La vera differenza rispetto al caso precedente sta tutta nel fatto che i soldi che prima il professionista ha preso come dividendi ora li prende come maggiori compensi professionali.
Vediamo cosa succede.
82.000 + 40.000 = 122.000
La società questa volta paga IRES su un base di calcolo lorda più bassa perché quei 82.000 euro in più per il professionista sono costi per la stessa srl e quindi abbassano l’utile per la stessa somma.
160.000 – 82.000 = 78.000
Vnp = UB 78.000 + 12.000 (Cpers 210.000 di cui 38.000 contributi + presenza int pass) = 90.000
IRAP 90.000 x 4,40% = 3.960
Deduzione interessi (90.000) x 10% = 12.800
Deduzione costo del lavoro (210.000 – 38.000) x 4,40% = 7.568
L’IRAP pagata è più bassa della somma tra i due e quindi la parte deducibile dall’IRES equivale all’IRAP pagata.
78.000 – 3.960 = 74.040
IRES 74.040 x 24% = 17.769,60
Enpam fatturato 6.075
La società paga in tutto euro 27.804,60
Non dobbiamo calcolare distribuzione di dividendi, visto che siamo partiti dall’assunto che la società non li vuole distribuire.
Il professionista invece paga contributi sulla base di calcolo coincidente con gli utili di bilancio e sui compensi.
E cioè su 74.040 e precisamente:
74.040 x 90% x 16,50% = 10.994,94
Poi paga sulle spettanze effettivamente prodotte pari a 122.000.
122.000 – 74.040 = 47.960
47.960 x 16.50% = 7.913,40
E sulla differenza tra 122.000 e 47.960 = 74.040
74.040 x 1% = 740,40
Quota A = 700
In totale
Enpam titolare = 20.348,74
122.000 – 20.348,74 = 101.651,26
Che è la nuova base di calcolo dell’IRPEF
Irpef 36.879,93
Addizionali 3.049,54
Totale = 39.929,47
Dobbiamo considerare anche l’Irpef della moglie:
6.000
Per un totale tra imposte e contributi di 45.929,47
Tra professionista e società abbiamo:
27.804,60+ 45.929,47 = 73.734,07
Contro i 101.749,38 del caso precedente (con i dividendi e i compensi professionali).
Il professionista, evitando i dividendi e mettendosi in tasca (nella tasca sua e in quella della società) le stesse somme, paga in tutto circa 28.015,31 euro in meno rispetto al caso in cui parte della stessa somma la percepisce sotto forma di dividendi.
Poiché questa evidenza potrebbe cambiare se l’ammontare dei soldi che finiscono in cassa (del professionista) fosse più alta (perché l’aliquota marginale cresce e ben presto “batte” l’aliquota fissa che colpisce i dividendi), occorre fare SEMPRE le simulazioni ogni volta sul caso specifico, ma è agevole comprendere, a questo punto, che lo scopo di queste simulazioni è quello di trovare la migliore combinazione che minimizza il carico fiscale e contributivo tra percezione tramite compensi professionali, rimborsi forfettari non tassabili sul percettore, stipendio della moglie e percezione dei dividendi.
E’ tuttavia agevole concludere che a fronte di somme elevate che devono finire nella cassa del professionista, è meglio percepirli sotto forma di dividendi in proporzione crescente e non sottoporli alla imposizione IRPEF.
Rimane il fatto che si si parte da una base imponibile di 300.000 euro sul professionista e si trasforma la modalità di esercizio dell’attività con la veste imprenditoriale e la società di capitali, tanto più è alta la componente consulenziale e la conoscenza dei meccanismi fiscali e contributivi, tanto è più alta la convenienza.
Tale convenienza aumenta tanto più si è esperti e ben guidati e quando si realizza una seria pianificazione fiscale. La parcella di un bravo consulente che lavora su queste operazioni per due tre giorni non è dunque una spesa ma un investimento.
Possiamo tirare qualche conclusione del lavoro svolto fino ad ora:
all’aumentare dell’utile, con le opportune operazioni e pianificazioni e con le coperture che abbiamo più volte analizzato (costituzione di una valida ragione economica diversa dalla semplice volontà di eludere le imposte per evitare l’abuso del diritto), aumenta il vantaggio marginale della trasformazione in impresa dello studio.
Adesso passiamo ad esaminare un caso diverso che ci serve ad indagare cosa accade quando l’utile di partenza è più basso.
Fino ad ora abbiamo visto che da un utile di partenza di 300.000 per il professionista ante trasformazione si può arrivare ad abbassarlo in misura molto consistente attraverso una serie di scelte fiscalmente rilevanti.
Ma se l’utile di partenza del professionista è di 150.000 euro?
La risposta la posso anticipare per aver fatto molte altre simulazioni.
Finché siamo intorno ad utili pari a 150.000, la convenienza può ancora esserci, ma vanno realizzate alcune condizioni e sfruttata l’opzione della tassazione per trasparenza.
E’ però fondamentale che i soci siano moltiplicati. Con la unipersonale non puoi farcela praticamente mai.
Un utile di 150.000 per il professionista può diventare – lo abbiamo già visto nelle simulazioni precedenti e spiegato – un utile di bilancio di 100.000 nella società. Se i soci sono almeno tre, meglio ancora se sono quattro, la tassazione rimane la stessa a prescindere da quanti sono i percettori.
Vediamo perché se il socio rimane uno solo il professionista batte la società su questi livelli di utile:
SRL
100.000 euro di utile per società
IRAP
Per un professionista che fattura 100.000, possiamo ipotizzare costi del personale e altre voci influenti ai fini IRAP pari ad un terzo di quelli che abbiamo visto per gli il caso del professionista con utili di 300.000.
E quindi
Vnp 100.000 + 12.000 (60.000 di cui 12.000 contributi + presenza int. Pass.).
112.000 x 4,40% = 4.928
Deduzione interessi 4.928 x 10% = 492,80
Deduzione costi lavoro (60.000 – 12.000) x 4,40% = 2.112
Totale deduzioni = 2.112 + 492,80 = 2.604,80
Base imponibile IRES 100.000 – 2.604,80 = 97.395,20
IRES = 97.395,20 x 24% = 23.374,84
ENPAM professionista
Quota B 97.395,50 x 16,50% = 16.070,26
Quota A 700
Totale 16.770,26
Enpam fatturato società (500.000 x 95% x 0.5%) = 2.375
Utile netto = 100.000 – 4.928 – 23.374,84 – 16.770,26 – 2.375 = 52. 551,19
Utile distribuito 52.551,19 x 70% = 36.786,33
Imposta sui Div (base di calcolo 36.000) = 9.360
Dividendi netti in tasca al professionista
36.000 – 9.360 = 26.640
Carico fiscale in capo alla società
52.551,19 + 9.360 = 61.911,19
Utile netto rimasto in società
100.000 – 61.919,19 – 26.640 = 11.440,81
Enpam professionista
Quota B 26.640 x 16.50% = 4.395,60
Quota A 700
Totale 5.095,60
Irpef professionista =
26.640 – 5.095,60 = 21.544,40 base di calcolo
Irpef 5.218,88
Addizionali 3% = 646,33
Totale 5.865,21
Totale imposte e contributi professionista
5095,60 + 5.865,21 = 10.960,81
Totale imposte e contributi socio-srl
61.911,19 + 10.960,81 = 72.872,02
72.872,02/ 150.000 = 48,58%
Il professionista con proprio studio su 150.000 euro di utile paga certamente di meno e quindi l’operazione non conviene.
Vediamo se è vero:
150.000 utile
Vnp = 150.000 (60.000 di cui 12.000 contr + pres int pass = 150.000
IRAP 150.000 x 4,40% = 6.600
Deduzione interessi 150.000 x 10% = 15.000
Deduzione costo lavoro 48.000 x 4,40% = 2.112
Totale deduzioni 17.112
IRPEF base imponibile 150.000 – 6.600 = 143.400
Irpef = 54.832
Addizionali 3% = 4.302
Totale IRPEF = 59.134
Enpam 143.400 – 101.427 = 41.973
101.427 x 16,50% = 16.735,45
41.973 x 1% = 419,73
Totale quota B = 17.155,19
Quota A = 700
Totale Enpam = 17.855,19
Totale = 59.134 + 17.855,19 + 5.865,21 = 82.854,40
Contro i 72.872,02 del caso precedente. 10,000 euro in più, poca roba.
Ma con il regime della trasparenza e in presenza di più soci, la società paga solo l’IRAP mentre l’utile viene diviso tra i soci nella stessa proporzione che gli stessi hanno nelle quote sociali e viene portato in dichiarazione da ciascuno di loro.
E’ chiaro che se l’utile è di 100.000 euro, per trasparenza si divide per 3 e siccome viene tassato in proporzione sull’IRPEF dei singoli soci, è chiaro che viene tassato ad un aliquota marginale molto bassa, anche perché gli stessi potranno dedurre dall’IRPEF i contributi pagati.
Per questo motivo, la soluzione per trasparenza conviene quando, dividendo l’utile per il numero dei soci – se l’utile è abbastanza basso da permettere, dividendolo per i soci, una tassazione a basse aliquote marginali-, ognuno di essi viene assoggettato ad un aliquota effettiva IRPEF bassa.
E’ chiaro che se l’utile è pari a 800.000, anche dividendolo per 10 soci non si ottiene ovviamente alcun vantaggio.
Permangono ovviamente le condizioni da rispettare per usufruire di tale regime della trasparenza: lo devi richiedere in opzione, lo devi mantenere almeno tre anni e soprattutto i soci divengono responsabili personalmente nei confronti del fisco anche delle imposte della società. L’autonomia patrimoniale della società viene quindi limitata e nel caso specifico annullata nei confronti del Fisco.
Ma questo, a giudicare dalla recente Giurisprudenza, è ormai molto frequente anche nelle srl in regime ordinario, perché il Fisco considera gli utili non dichiarati come imputabili ai singoli soci e richiede il pagamento delle imposte relative in solido anche a loro.
Ricordo poi che la srl unipersonale che deriva dalla trasformazione dello studio è di per sé attaccabile sotto il profilo dell’abuso del diritto, per cui costringe a cercare un’altra ragione economica per evitare le sanzioni. Avere più soci è sempre meglio da tutti i punti di vista quando si trasforma in essa uno studio mono-professionale.
Ipotizziamo quindi la stessa srl di prima ma con tre soci (che possono essere anche figlio e moglie) e optando per il regime della trasparenza.
Ipotizziamo che le quote siano 51% al titolare, 25% moglie e 24% il figlio.
Irap è la stessa in capo alla società che nell’esempio precedente
IRAP = 4.928
Enpam società sul fatturato (500.000×95%x0,5%) = 2.375
Enpam titolare
Titolare 100.000 x 51% = 51.000
Enpam 51.000 x 16,50% = 8.415
Quota A = 700
Totale Enpam = 9.115
Irpef base di calcolo 51.000 – 9.115 = 41.885
Irpef = 12.236,30
Addizionali 3% = 1.256,55
Totale 13.492,85
Moglie
100.000 x 25% = 25.000
Irpef 6.150
Addiz 750
Totale 6.900
Figlio 100.000 x 24% = 24.000
Irpef = 5.880
Addizionali 3% = 720
Totale = 6.600
In totale i tre soci hanno pagato – tra Irpef e contributi e nell’ipotesi che i due soci di minoranza non siano medici e quindi siano esenti Enpam – 13.492,85 + 6.900 + 6.600 = 26.992,85 di Irpef; 9.115 di Enpam personale sul titolare; 4.928 di Irap sulla società e 2375 di Enpam società per un totale complessivo pari a 43.410,85.
Che un po’ diverso rispetto ai 82.854,40 del professionista e ai 72.872,02 della srl unipersonale in regime ordinario. La situazione non cambierebbe di molto neanche se i soci di minoranza fossero medici.
Siamo giunti quindi alla fine di questo corposo e defatigante lavoro e possiamo tirare alcune conclusioni importanti.
La convenienza della srl appare evidente quanto più si lavora con mani esperte su tutte le variabili, dati alcuni vincoli iniziali che dipendono dalla peculiare situazione, volontà e possibilità del professionista.
Senza commettere alcun illecito si possono pianificare le condizioni di miglior compromesso che aumentino questa convenienza.
Tutto questo per utili tra i 250.000 in su si può fare più facilmente.
Tanto più tali utili crescono sopra questo limite, tanto più aumenta tale convenienza per effetto della fissità della tassazione sui dividendi e della diminuzione della contribuzione Enpam sul reddito complessivo superiore ai 101.427 euro. Tutto quello che supera tale soglia infatti è colpito al 1% (e di questo 1% solo la metà contribuisce alla Vostra pensione).
Per utili dai 150.000 ai 250.000 (imponibile del professionista) si può trovare comunque la convenienza quasi sempre aumentando la base sociale della srl.
Ovviamente, tale convenienza deve essere abbastanza corposa per coprire i maggiori costi della srl; tuttavia, in considerazione del fatto che i 30.000 euro in più abbassano l’imponibile, basta anche un risparmio fiscale intorno ai 20.000 per coprire tali costi.
Sotto i 150.000 la convenienza è molto più difficile da trovare e quasi sempre non c’è.
Concludo aggiungendo una riflessione sulle probabili e già ricevute critiche su queste mie simulazioni.
Non ha distribuito tutti i dividendi – dicono i detrattori – e il confronto quindi non è corretto.
Rispondo molto semplicemente: distribuire tutti i dividendi, con poche eccezioni, non ha alcun senso. In primis perché la società si fa proprio per non distribuire i dividendi e per non farsi tassare su tutto l’utile, cosa che avviene per il professionista SEMPRE, a prescindere dal fatto che quei dividendi (o utili o avanzi come li si voglia definire) li spenda tutti o no. In secundis, perché a parità di condizioni, il Legislatore ha costruito il sistema fiscale proprio per evitare questa convenienza, e basta leggersi le relazioni introduttive delle rispettive leggi per averne piena conferma.
Considerazioni di queste genere possono appartenere solo a gente che ragiona come un contabile e non a chi ragiona come un consulente.
Ho comunque ipotizzato di distribuire una parte considerevole di questi dividendi (70%), utilizzando tutte le opzioni che la legge permette.
Rimangono poi tutte le possibilità su cui ritorneremo e che in parte sono state anche accennate di prelevare con vari metodi e con soluzioni temporanee o sempre disponibili quelle riserve pregresse senza vedersele ritassare o vendendosele tassate con aliquote fortemente agevolate.
Effettuare queste critiche con confronti scolastici a me pare assai miope.
Come si fa a negare i vantaggi di una soluzione che permette di dedurre più costi e fruire di diverse opzioni di tassazione, tra le quali, lavorandoci sopra, si può sempre trovare una minore imposizione rispetto ad un regime – quale è quello del professionista – che non lascia alcuna scappatoia?
Certo, occorre lavorarci e la cosa costa fatica. Ma un consulente deve o dovrebbe fare questo lavoro. Se poi non ne ha voglia o non ne ha il tempo, questo è un altro discorso.
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