La trasformazione dello studio dentistico in una vera e propria impresa è solo una delle modalità con la quale il dentista può passare da una forma tradizionale di gestione della propria attività in una più organizzata e complessa. La trasformazione prevede che la natura giuridica dello studio cambi, da attività professionale propriamente detta, per approdare alla Srl Odontoiatrica, alla Stp o ad altre forme di società possibili. Analizziamo tutte le implicazioni che tale passaggio comporta.
La trasformazione di una struttura semplice (come uno studio dentistico tradizionale) in una struttura complessa significa sostanzialmente il passaggio da una gestione di tipo professionale ad una imprenditoriale in forma societaria.
Quindi, la prima questione da porsi è proprio quella delle differenze tra professionista e imprenditore sotto il profilo giuridico:
A differenza del professionista, nella struttura complessa la figura dell’imprenditore inteso come persona fisica è ovviamente importante ma non essenziale, nel senso che la sua impresa può sopravvivergli, fare a meno di lui e comunque andare avanti anche con un altro imprenditore.
Ecco perché nell’impresa è l’organizzazione a prevalere sull’imprenditore, esattamente il contrario di quanto accade per il professionista, che non può mai vedere la prevalenza dell’organizzazione (che può anche esistere in qualche caso e anche di una certa importanza) nello studio.
E se anche il professionista lavora per lucro, dal punto di vista giuridico ciò non lo fa divenire automaticamente un imprenditore. Perché non è quello il fulcro, l’elemento distintivo della sua attività. Per lucro lavoriamo tutti e non può essere questo a distinguerci l’uno dall’altro.
Il requisito della complessità, quindi, è figlio di questa dicotomia giuridica insanabile ed è normalmente associato all’impresa sanitaria.
Non si tratta di interpretazioni nate dal nulla e le intese Stato-Regioni come le legislazioni regionali sono tutte costruite, in questo senso, su solidissime basi giuridiche.
Uno studio mono professionale o associato o una stp possono essere anche molto organizzati, ma rimangono comunque strutture legate al professionista e alla sua persona, quella ben precisa persona, in cui l’attività tipica è, e rimane, quella di esercitare l’arte o professione sanitaria nella relativa specialistica.
Un ambulatorio, una casa di cura, un presidio sanitario sono invece imprese (sanitarie, ma sempre imprese) in cui l’attività tipica NON E’ l’esercizio della professione, ma la gestione e l’organizzazione di una struttura sanitaria complessa, in cui è ricompreso anche l’esercizio della professione, per il tramite di persone fisiche abilitate a farlo.
Ciò che distingue lo studio dall’ambulatorio (o struttura complessa) non è quindi il fatto di avere diversa allocazione o allestimento (chè gli stessi potrebbero essere persino del tutto identici senza minimamente inficiare la profonda differenza tra i due istituti) ma la natura profondamente diversa che li caratterizza:
Questa dicotomia è stata scolpita non solo nelle Leggi (e in primis nel Cod. Civ.), ma anche in decenni di sentenze e tonnellate di letteratura giuridica. E in alcuni casi, ancora oggi, favorisce il professionista rispetto all’imprenditore, perché, anche se tale protezione viene progressivamente limitata, rimane il fatto che il medico esercita una professione protetta che compete solo a lui. E anche se ha perso alcune prerogative (tariffario minimo, divieto pubblicitario, etc ) in favore dell’impresa, ne ha conservato una molto importante, che è quella di non poter fallire e di poter pretendere un compenso per il proprio servizio.
Tale distinzione può essere frantumata dalla concezione giuridica del Diritto Comunitario, che a differenza di quello nostrano non vede sostanziali differenze tra la figura del professionista e quella dell’imprenditore?
La risposta non può che essere negativa.
E’ chiaro che il Diritto nostrano è stato contaminato dal Diritto Comunitario, ma non nel senso di annullare quella distinzione, quanto invece nel senso di aver cstretto il Nostro Diritto interno a riformulare una serie di istituti, in modo tale da addivenire a una nuova sintesi, che potremmo grossolanamente definire in questo modo: il professionista è diverso dall’imprenditore ma non come lo era prima.
Fa sempre parte di questa nuova sintesi la circostanza che il medico oggi è più libero di decidere se assolvere le sue funzioni usufruendo della forma giuridica tradizionale o di quella dell’imprenditore, e sono poi le tendenze competitive, molto più delle novità giuridiche, a spingerlo verso quest’ultima soluzione.
Non è un caso se in molti all’interno della categoria stanno interrogandosi sulla possibilità di operare una trasformazione dello studio dentistico cambiando veste giuridica alla propria attività.
Sulle tematiche della opportunità e della convenienza sono state in questo blog già spese tutte le considerazioni del caso, per cui le do per acquisite. Concentriamoci invece su una serie di questioni tecniche che caratterizzano questa trasformazione o passaggio da studio tradizionale a struttura complessa, indipendentemente che si tratti di società di capitali (srl-ambulatorio) o STP.
La prima questione di cui conviene occuparci è la seguente: lo studio è un complesso aziendale come quello che sta alla base dell’impresa?
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Il complesso di beni costruito dall’imprenditore, che è appunto l’azienda, è cosa ben diversa dal primo tipo di complesso di beni, quello cioè organizzato attorno al professionista.
Una differenza, questa, che riverbera i suoi effetti su tutta una serie di questioni. Ad esempio, sul fatto che, se tale complesso di beni non è un azienda, non può essere conferito in una società di capitali o di persone (Srl o Stp).
La Giurisprudenza, e in particolare la Cassazione, si sono occupate lungamente di questo tema (ci sarebbe da scrivere un tomo solo su questo). Ma per risolvere la questione e soprattutto i suoi effetti pratici – e già pure nell’ambito delle cessioni degli studi da un professionista ad un altro – , hanno, nel tempo e con interpretazioni non sempre coerenti, coniugato un nuovo tipo di concetto – inesistente nel nostro codice civile, ma comunque lecito e ammissibile nell’ambito della libertà di contrarre contratti atipici e cioè non contemplati nell’ambito dello Stesso, e cioè quello dell’azienda o meglio del complesso aziendale del professionista, diverso dall’azienda dell’imprenditore e quindi dall’azienda vera e propria.
Tuttavia esso si può configurare – attenzione alle sfumature – quando il complesso dei beni assume una certa rilevanza rispetto alla semplice opera del professionista che rimane pur fondamentale: quindi il grande studio mono professionale o associato con un complesso organizzativo rilevante sia pur organizzato attorno alla persona del o dei titolari.
Con ciò è ancora una volta dimostrato che il concetto di complessità, utile a distinguere studio da ambulatorio o casa di cura e adottato da quasi tutte le legislazioni regionali, posa su solide basi giuridiche.
Tutto ruota intorno alla prevalenza del titolare (professionista) o dell’organizzazione (impresa e quindi struttura complessa).
Solo attraverso questo concetto – e sopratutto solo se questo concetto ha ottenuto un riconoscimento e quindi un valore giuridico – è possibile valutare l’azienda professionale come un complesso di beni il cui valore va oltre la somma delle singole parti.
L’avviamento, la pazientela, le competenze dell’equipe e il complesso delle attrezzature per capirci, vanno intese come un corpus e rappresentano un valore unico, come tale monetizzabile e quindi vendibile o conferibile in una struttura complessa (anche mediante trasformazione). Solo così si può determinare un prezzo di cessione e sopratutto cedere lo studio. In caso contrario lo studio rimarrebbe incedibile, perché totalmente legato alla persona del professionista.
I beni poi, valutati uno per uno, sarebbero anche cedibili ma con quali complicazioni e soprattutto a quale valore ? Quello che dà valore è l’appartenenza a un complesso di beni che è appunto l’azienda del professionista.
La Giurisprudenza è giunta tuttavia a concepire la possibilità di cedere lo studio anche in quei casi in cui l’organizzazione NON prevalga sul professionista.
Ma per farlo ha dovuto giocoforza utilizzare altri strumenti, diversi da quelli della valutazione del complesso aziendale e della sua cessione o suo conferimento. Li ha quindi legati ad obblighi di fare e di non fare, successivi e vincolanti alla cessione vera e propria. Per cedere la clientela, il medico deve impegnarsi a presentarla al professionista che ha acquistato il pacchetto e contestualmente non deve fare concorrenza allo stesso nella stessa zona di operatività. Sono questi gli elementi condizionanti la validità della cessione del piccolo studio e la valorizzazione e cessione dietro corrispettivo del pacchetto clienti.
Tornando al caso dell’azienda del professionista, che permette una cessione comprensiva e non condizionata dell’intero pacchetto aziendale, va detto che una volta valutata l’azienda stessa, si può anche procedere con un conferimento.
E questo conferimento che regole deve seguire? Dipende dai casi.
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La trasformazione dello studio associato in una Stp, regolata secondo la veste di società di persone, è l’operazione più immediata e semplice (in gergo giuridico: trasformazione omogenea progressiva). Lo studio associato è già considerato da parte della Dottrina e dalla Legge fiscale come assimilato a una società semplice.
Tale operazione richiede, per l’arrivo alla STP-snc o STP-sas, il consenso unanime dei soci e la scrittura privata autenticata o l’atto pubblico e, dopo i successivi adempimenti in tema di pubblicità del negozio giuridico, previsti nel D.M. n.34/2013, si perfeziona.
I principi generali della trasformazione di questa tipologia li trovate nell’art. 2498 e ss del Cod. Civ.
In realtà esiste anche un altro caso di trasformazione da studio associato a società, cui aderisce quella parte di Dottrina che considera lo studio associato non già come una società semplice, ma come un’associazione non riconosciuta. Vi evito tutta la disquisizione giuridica e vi dico che all’atto pratico, per stabilire a quale delle due tipologie appartiene la vostra trasformazione, occorre leggere lo statuto dello studio e farsi assistere da un esperto, anche perché a seconda del tipo cambiano anche alcuni adempimenti.
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Nel caso in cui la società di arrivo sia quella di capitali, la disciplina di riferimento è quella descritta nell’art. 2500-ter e ss del Cod. Civ.
Quindi la decisione sulla trasformazione in struttura complessa avverrà a maggioranza, secondo la parte attribuita a ciascuno negli utili come risultante dallo statuto e al socio dissenziente è comunque garantito il diritto di recesso.
Il capitale sociale, risultante dalla trasformazione, deve ovviamente rispettare i minimi legali della tipologia prescelta di STP (stp-srl o stp-sapa o stp-spa) – nel caso della srl odontoiatrica non esistono tali vincoli – e deve essere determinato sulla base dei valori risultati da una relazione di stima fatta da un perito, con ulteriori varianti a seconda del tipo di stp-sdcap d’arrivo.
Quando lo studio si trasforma in stp-sdcap, quest’ultima andrà iscritta al Registro delle Imprese. E tale società non potrà operare fino a che non avrà perfezionato anche l’iscrizione nell’apposita sezione dell’Albo.
Lo stesso ovviamente andrà fatto con la srl odontoiatrica, limitatamente a quanto concerne l’iscrizione nel Registro delle Imprese come anche la perizia.
Il conferimento di uno studio mono professionale in una stp invece, presenta peculiari problematiche, in particolare, in merito al fascio di contratti che appartengono al professionista conferente. Tra questi, gli unici a comportare problemi sono quelli relativi ai “lavori in corso” sulla pazientela, che richiedono il consenso della stessa per perfezionare la cessione.
Le norme applicabili sono quelle del conferimento d’azienda e in particolare:
Prima di passare ad analizzare i metodi di valutazione dello studio (semplice o associato), dobbiamo preliminarmente guardare al caso della cessione dello studio, che costituisce una alternativa al conferimento dello studio stesso nella stp, di cui abbiamo parlato nella seconda parte.
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Le considerazioni sulla cessione dello studio nella struttura complessa (Srl o Stp) assumono ovviamente rilevanza specifica anche nel caso in cui si volesse avere semplicemente notizie relative alla cessione dello studio in generale.
La problematica della cessione dello studio – e ben prima della legge istitutiva della STP – è stata lungamente discussa dalla Dottrina e dalla Giurisprudenza e ne abbiamo già parlato nella prima parte di questo scritto.
Avevamo individuato, all’inizio di questo articolo, una nuova fattispecie giuridica, coniata per l’occasione dalla Cassazione: quella della azienda del professionista o del complesso aziendale del professionista.
Spostandoci sulle sfumature del concetto, possiamo dire che tale fattispecie non è applicabile indistintamente a tutti gli studi mono professionali e associati, ma solo a quelli in cui l’organizzazione, pur rimanendo strettamente funzionale alla persona del o dei titolari, assume una certa rilevanza, tale da poter essere assimilata a quella di una azienda vera e propria.
In questa direzione, è andata ad esempio la Cassazione (Cass. 7/8/2002 n. 11896; Cass. 3/5/2007 n. 10178).
Solo rispetto a queste realtà il contratto di cessione dello studio può condividere la disciplina applicabile al trasferimento d’azienda, emergendo, a livello interpretativo, la fattispecie della cessione della c.d. azienda professionale.
Ne deriva che nei contesti maggiormente organizzati, la cessione dello studio comprensivo della cessione della clientela e dell’avviamento, viene definitivamente ammessa.
La Cassazione ha poi rielaborato definitivamente questo concetto nel 2010 (Cass. 9/2/2010 nr. 2860), stabilendo che, anche nel caso opposto a quello ora ventilato, e cioè quello in cui il professionista prevalga sull’organizzazione (parliamo quindi, per capirci, degli studi piccoli), è comunque lecito e stipulabile l’atto di cessione dello studio; ma solo come complesso di arredi, di beni strumentali e di rapporti contrattuali di fornitura e della clientela.
Tuttavia, con riferimento in particolare alla clientela, non si può parlare di cessione d’azienda in senso stretto.
Il contratto atipico che ne deriva, infatti, richiede anche l’impegno scritto del professionista cedente a favorire la prosecuzione del rapporto professionale tra i propri clienti e il subentrante, con la contestuale assunzione di obblighi positivi di fare (mediante una attività promozionale di presentazione e di canalizzazione della pazientela) e di non fare (astensione dell’esercizio della stessa attività nello stesso luogo).
A queste condizioni, la cessione atipica a titolo oneroso è ammessa anche per questi casi, il che risponde anche a regole di puro buon senso.
Lo studio piccolo dipende troppo, anche dal punto di vista della sua valutazione economica, dalla persona del professionista e la cessione DEVE tener conto di questo (sul punto ritorneremo presto).
Mentre nel caso della cessione dello studio con larga organizzazione (azienda del professionista), queste condizioni non saranno necessarie e avremo una cessione d’azienda tipica. Entrambe le situazioni potranno regolare la cessione dello studio anche verso una società.
Poiché immagino che a questo punto qualcuno di voi potrebbe essere confuso , al fine di diradare la nebbia, vi dico che queste nozioni possono esservi utili in generale ma anche per lo specifico caso STP o per quello srl odontoiatrica.
Immaginate che due o tre professionisti, titolari ciascuno di proprio studio, decidano di associarsi con la formula della stp, magari scegliendo come studio quello più grande disponibile tra i tre. Uno dei tre dentisti conferirà lo studio alla STP, ma gli altri due dovranno per forza entrare tramite una cessione delle loro attività nella stp. Cessione e conferimento in questo caso convivono nella nascita della nuova realtà associativa.
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Ora concentriamoci sulla valutazione dello studio ai fini del conferimento o cessione dello stesso in una STP o SRL.
Le vere attività oggetto di conferimento sono tutte intangibili e in particolare lo sono le relazioni di clientela e l’avviamento.
Entrambe traggono origine dalla capacità dello studio di generare un extra-reddito positivo, dopo aver remunerato i fattori della produzione (capitale investito per realizzare lo studio e lavoro del titolare).
L’extra-reddito non coincide, si badi bene, con l’utile. Da quest’ultimo va detratto il costo figurativo del lavoro svolto dal professionista, oltre che la remunerazione del capitale investito. E’ per questo motivo, che spesso sfugge ai dentisti, che non tutti gli studi hanno veramente un avviamento e una intangibile relazione di clientela.
Se l’extra-reddito, così come descritto, è negativo, vuole dire che non esiste alcun avviamento né relazione intangibile di clientela, o perlomeno non esiste nulla di ciò che basti a poter avere un valore positivo e quindi un prezzo di cessione.
A voler meglio descrivere questa dicotomia, aggiungo che, a rigore, la relazione di clientela definisce una attività intangibile a vita definita (tutte le relazioni di clientela prima o poi finiscono), mentre l’avviamento rappresenta normalmente una attività intangibile a vita molto protratta o addirittura indefinita, e cioè quella capacità che hanno alcuni studi di RIGENERARE la clientela (quella vecchia) e di ATTRARNE di nuova.
Tale capacità indefinita può essere in qualche caso legata all’organizzazione dello studio (studi grandi), ma più spesso è legata al professionista dotato di speciali capacità (il rainmaker, come dicono gli inglesi), che, proprio perché speciale, è in grado di attrarre sempre nuova linfa.
In questo caso, l’avviamento è personale per cui, se tale professionista entra nella società, il rischio è forte perché basta che lui un domani esca e sono guai; e se si è pagato un prezzo per il suo avviamento, a quel punto saranno stati soldi buttati.
Quindi, l’avviamento personale è trasferibile alla condizione che il professionista accetti di firmare un patto di non concorrenza, per un periodo sufficientemente ampio, da consentire il consolidamento di quell’avviamento in capo alla nuova impresa.
Tenendo presente tutto ciò, gli step della valutazione dello studio saranno i seguenti:
Ricordo che, se la società di arrivo è di captali (STP-srl o Srl Odontoiatrica), tale valutazione deve essere redatta da un perito in una certa forma e obbligatoriamente.
Ma non sarebbe male affidare comunque tali valutazioni ad un perito esterno IN OGNI CASO. Al solo fine di evitare clamorosi errori di sopra o sotto valutazione.
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E’ chiaro che se il professionista cede semplicemente per ottenere un corrispettivo, la questione si riduce- come vedremo alla fine del post – alla scelta tra tassazione separata o ordinaria.
Se invece cede per entrare in uno studio associato o in una srl o ancora in una stp, può, a certe condizioni, evitare la tassazione.
Per comprendere la questione, dobbiamo partire dalla comprensione della natura del reddito del professionista, per come la intende il Fisco. E quindi partite dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi.
Il reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra l’ammontare dei compensi percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’arte e della professione, salvo quanto stabilito nei successivi commi.
Ì compensi sono computati al netto dei contributi previdenziali e assistenziali stabiliti dalla legge a carico del soggetto che li corrisponde.
Concorrono a formare il reddito le plusvalenze ( e le minusvalenze ) dei beni strumentali, esclusi gli immobili e gli oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione, SE:
Le minusvalenze dei beni strumentali di cui al comma 1-bis sono deducibili se sono realizzate ai sensi delle lettere a) e b) del medesimo comma 1-bis.
Si considerano plusvalenza o minusvalenza la differenza, positiva o negativa, tra il corrispettivo o l’indennità percepiti e il costo non ammortizzato ovvero, in assenza di corrispettivo, la differenza tra il valore normale del bene e il costo non ammortizzato.
L’art. 36 del D.L. n. 223/2006 ha poi modificato l’art- 54 del TUIR con l’aggiunta del comma 1-quater, che discliplina il trasferimento dello studio a titolo oneroso, prevedendo che:
CONCORRONO A FORMARE IL REDDITO I CORRISPETTIVI PERCEPITI A SEGUITO DI CESSIONE DELLA CLIENTELA O DI ELEMENTI IMMATERIALI COMUNQUE RIFERIBILI ALL’ATTIVITÀ ARTISTICA E PROFESSIONALE.
Partiamo da qui.
L’agenzia delle entrate è intervenuta due volte sul tema, nel corso del 2009 (il punto 1 quater è stato infatti aggiunto all’art 54 tuir da una legge del 2006 e in particolare dall’art 36 del d.l. n. 223/2006), e precisamente: con la circolare 8 del 13 marzo 2009 e con la risoluzione 177 del 9 luglio 2009.
E in entrambi i casi ha sostenuto che, in mancanza di una cessione a titolo oneroso, qualora il professionista stia cedendo per conferire in una forma associata e quindi per continuare l’attività in una nuova forma giuridica -da solo o con altri colleghi- non vi sono i presupposti per una plusvalenza fiscalmente rilevante in capo al professionista, a patto che si verifichino due condizioni:
In sostanza, la cessione è fiscalmente neutrale solo se è prodromica alla trasformazione dello studio in qualche altra forma associata o societaria e (st. associato o srl o stp) e se il conferente non prende un corrispettivo in denaro.
In caso contrario, e cioè nel caso di semplice cessione per fine attività in cambio di conquibus, occorre ancora una volta distinguere: se gli importi dovuti sono ricevuti in unica soluzione o, sempre secondo l’Agenzia delle Entrate, anche in più rate ma nello stesso periodo di imposta, gli stessi importi possono fruire del regime a tassazione separata.
Se le rate vanno oltre al periodo di imposta si procede con tassazione ordinaria.
E’ chiaro che conoscere queste cose può aiutare a minimizzare il carico fiscale, predisponendo le opportune misure preventive (variazione di statuto e regolazione delle modalità di pagamento del corrispettivo quando esistente), prima di affrontare la trasformazione in associazione o società.
Anche l’eventuale indennità di recesso, che il socio dissenziente all’operazione di trasformazione in società può ricevere , va assoggettata a tassazione separata. Ma solo se sono trascorsi più di cinque anni dalla costituzione dello studio associato alla votazione per la trasformazione che lo ha visto dissenziente.
In caso contrario, il corrispettivo riscosso andrà tassato a tassazione ordinaria (IRPEF).
In alternativa al recesso però, il socio potrebbe anche cedere la partecipazione. E perché dovrebbe farlo ? Ve lo dico io perché.
In questo caso soccorre l’art. 67 comma 1, lett. C e c-bis del TUIR, a stabilire che tale cessione a titolo oneroso non dà luogo a plusvalenza tassabile.
Quindi, tirate Voi le relative conclusioni: pianificare e conoscere aiuta a non pagare tasse evitabili.
Dal punto di vista dell’assoggettamento ad Iva, non potendosi parlare in alcune delle operazioni analizzate di trasferimento d’azienda in senso stretto, unanimemente si conviene che sia più prudente affermare che la cessione dello studio, inteso come cessione dei beni (studi piccoli con scarso rilievo della organizzazione), sia pienamente assoggettabile ad IVA, qualificandosi per espressa dizione dell’AdE, in una prestazione di servizi derivanti dall’obbligazione del cedente.
Mentre può essere considerata un’operazione esclusa in tutti quei casi in cui il trasferimento o il conferimento non comporta necessariamente una prestazione di servizi, contestuale ad opera del cedente.
In questi casi, ciò che viene trasferito è il complesso aziendale del professionista più che l’avviamento personale dello stesso.
Non avremo IVA quindi nei casi di conferimento di uno studio associato in una srl/stp o di studio associato in STP di qualunque genere.
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La norma anti-elusione (quella generale perché ne esistono anche per specifiche fattispecie) è scolpita nell’art. 37 del DPR 600/197.
Che prevede una serie di caratteristiche che un negozio giuridico (o una serie di questi che hanno una stretta concatenazione) debbano avere per essere considerati aggredibili dalla norma anti-elusione.
Tra questi, la più rilevante è la evidente inesistenza di valide ragioni economiche.
E’ molto importante comprendere di cosa stiamo parlando.
Il Fisco sa benissimo che il contribuente cercherà sempre di eludere le imposte, avvalendosi di prerogative concesse dal sistema normativo tributario. Nei casi in cui stiamo trattando, possono esistere diversi tipi di trasformazione (tipicamente da studio a soc. di capitali) che comportano un sostanziale abbassamento del carico fiscale. E il Fisco ha tutto l’interesse a dimostrare che Voi questa trasformazione l’avete fatta al solo scopo di eludere le imposte.
Non può entrare più di tanto nel merito di una decisione economica oppure può provare anche a farlo, ma sa che in Giudizio corre dei rischi: vige sempre infatti il principio della libertà di iniziativa economica, per cui ogni limitazione a questa libertà deve essere ben motivata. E infatti il Fisco, quando il contribuente impugna le sue decisioni, non è che vince sempre.
Ora però bisogna evitare di rendergli la vita troppo facile, andando a costruire schemi in cui è evidente che l’unico scopo è quello di eludere le tasse.
Il Fisco impugnerà questa serie di negozi ed emetterà una bella cartella, addebitando al dentista tutte le imposte che ha eluso più interessi e sanzioni.
Il caso tipico è quello della srl odontoiatrica unipersonale, magari costituita persino nella forma semplificata e a capitale ridotto, per chi ha proprio voglia di andarsi a cercar guai.
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Che problema c’è? Si pagano meno imposte con la srl? Faccio così, costituisco la srl (magari a capitale ridotto e cioè con 1000 euro di capitale sociale), ci trasferisco lo studio anche mediante trasformazione, lo faccio periziare e cedo a titolo gratuito tutti gli asset alla srl che chiede l’autorizzazione sanitaria e poi inizio ad operare come ambulatorio con il dentista che ne diviene amministratore e Direttore Sanitario.
Lo pago bene per i due ruoli (Amministratore e Direttore Sanitario) e la società se lo scarica. Gran parte di tali emolumenti li trasformo in pluriennali (polizza tfm) e quindi da precettore non me li trovo in dichiarazione ma a tassazione separata. E quindi abbasso il carico fiscale su di me rispetto al caso in cui operavo da semplice professionista.
Qui la mancanza di valide motivazioni economiche diverse dalla voglia di eludere le imposte è evidente.
La società ha come unico socio il dentista, che è anche, guarda caso, il conferitario e sempre lo stesso che fino a ieri pagava le imposte sulle persone fisiche. Non ci sono nuovi soci con cui allargare il perimetro delle attività. Nessuna altra modifica significativa dell’oggetto sociale, lo stesso immobile, lo stesso quadro di dipendenti. Si vede da lontano un miglio.
Cosa si deve fare allora per evitare queste censure ?
Elaborare piani che abbiano valide ragioni economiche diverse da quelle di semplicemente eludere le imposte: è evidente.
E quindi, se proprio la si deve fare unipersonale questa srl, la trasformazione da studio ad ambulatorio deve giustificarsi per altre ragioni come quelle di condividere una struttura più grande con più professionisti, un allargamento dell’oggetto sociale (reale ed effettivo) o il trasferimento in uno studio più grande e meglio allestito; o ancora una autorizzazione sanitaria e una conseguente attività da poli-specialistico.
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