Welfare aziendale e Premi di risultato sono strumenti interessanti di risparmio fiscale con i quali anche il dentista può ridurre il livello di tassazione dei compensi destinati al personale dipendente dello studio, in misura diversa a seconda del layout giuridico adottato.
Il complesso sistema di misure che vengono ricondotte sotto il cappello del cosiddetto welfare aziendale si dividono sostanzialmente in due sottoinsiemi:
- Il primo è quello dei cosiddetti premi di risultato, i quali, a determinate condizioni che poi vedremo, permettono importanti detassazioni anche in capo al dipendente.
- Il secondo, applicabile solo alle imprese, riguarda invece tutto il resto delle misure di welfare aziendale.
I premi di risultato
Per quanto riguarda i premi di risultato, va subito detto che la Legge di Stabilità 2016 ( Legge 208/2015), dopo lo stop del 2015, ha reintrodotto il regime fiscale agevolato per i citati premi, rendendo così strutturale la detassazione, prevista negli anni precedenti ( dal 2008 al 2014 ) in via sperimentale.
L’obiettivo del Legislatore era e rimane quello di ridurre, con riferimento alle voci retributive premiali, l’onere fiscale gravante sui lavori subordinati e, contestualmente, di estendere il più possibile la platea dei lavoratori beneficiari del regime fiscale agevolato.
Le novità, rispetto alle detassazioni del passato, si sostanziano nell’assoggettamento fiscale ad aliquota agevolata del 10%, sostitutiva di IRPEF e addizionali regionali e comunali dei soli premi di risultato e delle somme derivanti dalla partecipazione agli utili dell’impresa da parte dei lavoratori ( questa seconda voce non è ovviamente applicabile ai professionisti ), rimanendo così escluse, a differenza di quanto accadeva prima con le misure temporanee già accennate, tutte quelle voci retributive aggiuntive ( straordinari,, maggiorazioni, indennità varie ) non qualificabili come premi di risultato – anche se riconducibili a maggiore produttività o come partecipazioni agli utili.
La regola generale, infatti, per quanto riguarda i redditi da lavoro dipendente è ben diversa e, salvo eccezioni prescritte da norme di Legge come quelle che stiamo esaminando, è scolpita dal comma 1 articolo 51 del TUIR:
Il reddito la lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro.
Uno dei principali motivi per il quale la incentivazione dei lavoratori risulta poco conveniente sia per il datore di lavoro che per il lavoratore, risiede proprio nel dettato di quest’articolo: infatti, a fronte di un esborso più o meno importante effettuato da parte del datore di lavoro a favore del dipendente meritevole, sia pur deducibile per il datore stesso, corrisponde un’entrata netta per il dipendente assai minore, sia perché tale somma deve subire la tosatura da Parte del Fisco ( IRPEF e addizionali ) come anche quella a fini previdenziali in misura piena.
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Il coinvolgimento paritetico dei lavoratori
In base a quanto sancito dal comma 189 dell’art. 1 della Legge 28 dicembre 2015, n. 208,
il coinvolgimento paritetico dei lavoratori è uno strumento realizzato mediante schemi organizzativi che permettono di coinvolgere in modo diretto e attivo i lavoratori, da un lato, nei processi di innovazione e di miglioramento delle prestazioni aziendali, con incrementi di efficienza e produttività, e dall’altro, nel miglioramento della qualità della vita e del lavoro.
In base alla normativa, il coinvolgimento paritetico dei lavoratori deve essere formalizzato a livello aziendale mediante un apposito Piano di Innovazione. Tale piano è elaborato dal datore di lavoro, secondo le indicazioni del contratto collettivo, oppure mediante comitati paritetici aziendali.
Il Piano di Innovazione
Il Piano di Innovazione deve riportare:
- la disamina del contesto di partenza,
- le azioni partecipative, gli schemi organizzativi da attuare e i relativi indicatori,
- i risultati attesi in termini di miglioramento e innovazione
- il ruolo delle rappresentanze dei lavoratori a livello aziendale, se costituite.
Inoltre, il Piano può contenere progetti di innovazione già avviati, dai quali si attendono ulteriori specifici incrementi di produttività, nonché progetti da avviare.
Quello che è importante sapere è che in presenza di tale citato modello di coinvolgimento paritetico, aumentano i vantaggi sia per il datore che per il prestatore in termini fiscali e contributivi.
Regime agevolato per lavoratori dipendenti
Tornando al tema principale, quello dei premi di risultato, è stato anche stabilito che a tale regime agevolato possano aderire solo lavoratori dipendenti del settore privato che, nell’anno precedente a quello di percezione del premio, siano stati titolari di reddito da lavoro dipendente non superiore ad 80.000 € annui.
Inoltre, ai fini della detassazione, è altresì richiesto che la contrattazione collettiva nazionale e territoriale – condizione essenziale – facciano riferimento a tali premi di risultato (nel nostro ambito lo fa esplicitamente il Contratto collettivo per gli studi Professionali siglato dal SIASO e dal Sindacato di Odontoiatria Democratica, cui abbiamo già accennato e il contratto integrativo territoriale ch ha dato attuazione a quello collettivo, integrandolo con la precisa indicazione delle modalità di calcolo degli incrementi di cui sopra) e subordinatamente al raggiungimento degli incrementi di produttività, reddittività, qualità, efficienza ed innovazione degli stessi prefissati.
E’ stato il DM 25 marzo 2016, attuativo della Legge 208/2015, al comma 187, a stabilire questa riserva per la contrattazione collettiva.
Una successiva Circolare dell’Agenzia delle Entrate (n. 28/E/2016) ha stabilito ulteriori condizioni e chiarimenti utili a individuare le caratteristiche essenziali per usufruire della detassazione agevolata su questa tipologia di premi.
In mancanza del rispetto di queste condizioni, il premio di risultato conserva la sua validità ovviamente, ma non potrà essere detassabile.
E’ quindi di vitale importanza che questa normativa di primo e secondo livello sia bene tenuta presente dalle controparti sindacali nel momento in cui vanno a concepire e a stilare la contrattazione collettiva nazionale e territoriale. In mancanza di indicazioni precise, infatti, mancano i presupposti per l’applicazione di tale opportunità. Ovviamente, lo stesso discorso, mutatis mutandis, vale anche per i datori di lavoro nel momento in cui vanno a redigere e stipulare i contratti aziendali tra le parti.
Il comma 1, art. 2 del DM 25 marzo 2016 precisa poi che:
per premi di risultato di intendono le somme di ammontare variabile la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione.
Nella citata Circolare 28/2016, l’AdE ha specificato che tale variabilità non richiede necessariamente la gradualità dell’erogazione del premio in funzione del grado di raggiungimento dell’obiettivo. Obiettivo che deve essere misurabile, misurato nel concreto ed effettivamente conseguito ai fini dell’erogazione del premio. Ovviamente, l’AdE specifica anche che è sufficiente il raggiungimento di tale obbiettivo con riguardo anche solo ad uno dei criteri (efficienza, redditività, etc.).
Tutto quanto detto finora è pienamente applicabile anche ai datori di lavoro che esercitano l’attività in qualità di professionisti. E quindi, è applicabile, in ultima analisi a tutti i dentisti titolari di studio professionale o associato e persino a coloro che si limitano a collaborare in strutture sanitarie altrui, sempreché lo facciano con l’ausilio di dipendenti in rapporto di subordinazione.
Si specifica che nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato ai fini della normativa in parola rientrano sia i lavoratori a tempo indeterminato come anche quelli a tempo determinato.
Rimangono esclusi dalla normativa tutti coloro che sono titolari di redditi assimilati al lavoro dipendente (collaboratori coordinati e continuativi, tirocinanti, stagisti, etc.) di cui all’art. 50, comma 1, lettera c-bis del TUIR.
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La partecipazione agli utili
L’art. 3 del DM 25 marzo 2016 specifica che:
per somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili si intendono gli utili distribuiti ai sensi dell’art. 2102 del codice civile.
L’Agenzia delle Entrate nella già citata Circolare 28/E/2016 ha specificato che non deve intendersi come tale l’attribuzione di quote di partecipazione al capitale sociale ma unicamente una diversa modalità di erogazione della retribuzione, prevista dal titolo V del Cod. Civ. nell’ambito della disciplina del rapporto di lavoro, secondo la quale il prestatore di lavoro ben può essere retribuito in tutto o in parte anche con partecipazione agli utili (netti di impresa risultanti da bilancio regolarmente approvato e, se richiesto, pubblicato).
SI tratta di una misura distinta e separata rispetto ai premi di risultato, che può quindi coesistere con essi – alle condizioni indicate dalla Legge – o vivere di vita propria. Ovviamente, la principale differenza risiede nel fatto che i premi di risultato – a fronte di effettivi e misurati incrementi di produttività, reddittività etc – possono essere distribuiti anche se l’impresa fosse in perdita.
La condizione richiesta di inserimento nei contratti collettivi nazionali e territoriali permane tuttavia anche per questa partecipazione agli utili.
Dopo aver effettuata questa disamina sul premio di risultato e assimilati, ci interessa ora addentrarci in altre misure che a rigore configurano il vero e proprio welfare aziendale.
Le misure strettamente connesse al cosidetto welfare aziendale.
Il welfare aziendale (per le imprese)
Diamo una semplice definizione di welfare aziendale:
Con il termine welfare aziendale si intende l’insieme di beni, servizi e prestazioni che l’azienda decide di erogare al fine di migliorare la qualità della vita e il benessere dei dipendenti e dei loro familiari.
Circostanza comune a tutte queste misure è quella di ricomprendere tutti quei trattamenti che la normativa fiscale (art. 51 del TUIR) consente di escludere dalla determinazione del reddito imponibile del lavoratore e per i quali stabilisce, ai predetti fini, regole agevolative.
Quindi, ancora una volta abbiamo una normativa che si prefigge di rendere più forti i citati incentivi per il fatto di renderli pieni e non decurtati da una tassazione piena nei confronti dei lavoratori.
Ovviamente, tali misure restano pienamente deducibili dai redditi di impresa del datore di lavoro, ma la novità sta nel fatto che risultano maggiormente incentivanti e comunque più incisivi nell’ambito reddituale del lavoratore.
Esempi di Welfare Aziendale
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