Il fringe benefit è definito in italiano come “beneficio accessorio” e rappresenta una forma particolare di corresponsione di emolumenti ai lavoratori da parte del datore di lavoro. La loro disciplina fiscale è così complessa da essere scoraggiante per la maggior parte dei dentisti, tuttavia dischiude importanti opportunità per chi sapesse coglierle o coltivarle. In questo articolo vengono ripercorsi analiticamente tutti gli ambiti del welfare aziendale di possibile interesse per il dentista titolare di studio e per la Srl Odontoiatrica.
La normativa del lavoro e quella tributaria prevedono diverse forme di remunerazione del lavoratore oltre a quella classica in denaro e, in particolare, concedono al datore di lavoro la possibilità di articolare la stessa anche sotto forma di piani di welfare, che vanno ad aggiungersi alla remunerazione ordinaria sotto forma di beni o servizi, anche definiti come redditi in natura o fringe benefit.
Tale articolazione ha preso sempre più piede in ambito aziendale e professionale (la nozione di datore di lavoro o ddl infatti è pienamente applicabile anche a quei ddl che agiscono in veste professionale) perché può portare alla riduzione dei costi sia in capo al datore stesso che in capo al lavoratore.
Il campo di applicazione del welfare è peraltro molto vasto, spaziando dalla previdenza complementare alla sanità integrativa, dalle iniziative per la conciliazione tra vita e lavoro alla formazione e al miglioramento della vita in senso largo, anche al di fuori del più ristretto contesto lavorativo.
Oltre a queste forme di remunerazione, è regolamentata anche la disciplina dei rimborsi spese sostenute dal lavoratore.
La normativa principale di riferimento è rappresentata dal TUIR (Testo Unico Imposte Dirette) e precisamente dal DPR 22 dicembre 1986, n. 917.
Con specifico riferimento al welfare, dobbiamo anche aggiungere che oltre a quello disciplinato dalla Legge, esiste anche un welfare generato dalla contrattualistica collettiva nazionale e territoriale che ha comunque la stessa efficacia normativa per esplicita disposizione di Legge (ne abbiamo parlato nell’articolo sul Contratto Collettivo Nazionale per lo Studio dentistico). Forniremo qualche informazione utile a questo proposito nella parte conclusiva dell’articolo che state leggendo ora.
Esiste poi un’altra disciplina relativa alla remunerazione in natura del dipendente che è quella del cosiddetto welfare di produttività di cui ci siamo già occupati in un articolo dedicato (vd.: welfare aziendale e premi di risultato).
Prima di proseguire, è appena il caso di specificare che tale normativa si applica ai lavoratori dipendenti e agli altri collaboratori parasubordinati e cioè a tutte quelle figure di prestatore d’opera che rientrano nel regime fiscale del lavoro dipendente e in quello assimilato al lavoro dipendente.
In particolare:
Sono quindi esclusi dal campo di applicazione della normativa di cui stiamo argomentando i professionisti e gli imprenditori, sia nel caso in cui gli stessi siano soggetti iva che quando esercitino occasionalmente l’attività e non siano quindi in possesso di partita iva. Tra questi ultimi rientrano anche i tirocinanti, coloro che percepiscono borse, premi o sussidi di studio.
Va ancora specificato che non tutte le norme di cui parleremo si applicano indistintamente a tutti i lavoratori e a tutti i collaboratori. Per distinguere le varie ipotesi parleremo di:
Per comprendere il significato di questa distinzione occorre tenere presente che, soprattutto per quanto riguarda i collaboratori amministratori, occorre tenere conto del contesto in cui gli stessi operano al fine di stabilire se alcune delle norme che passeremo in rassegna possono applicarsi anche a loro, in tutto, in parte o solo in particolari casi. Non entreremo tuttavia in questa casistica, perché ci porterebbe lontano dal focus dell’articolo e perché richiede un esame attento di ogni singola fattispecie al fine di poter esprimere un giudizio in merito.
Fatta questa doverosa premessa metodologica, possiamo tornare ad esaminare le fonti giuridiche da cui trae origine la disciplina che stiamo passando in rassegna, a partire dal TUIR. Il TUIR definisce una disciplina generale per la remunerazione del lavoratore e una disciplina specifica per alcune forme di fringe benefit.
Partiamo con una sommaria analisi della prima.
Iniziamo col dire che per i lavoratori i rimborsi spese che rispettano le condizioni che stiamo per esaminare sono esenti da irpef e addizionali, da ritenuta d’acconto, contributi previdenziali e premi INAIL. Sono anche interamente deducibili per il ddl.
Mentre quei rimborsi che non rispettano le condizioni di cui parleremo appresso sono pienamente imponibili sia ai fini fiscali che previdenziali (essendo pienamente assimilati ai compensi sono anche assoggettabili ad iva, ritenuta d’acconto e contributi, se previsti). Restano tuttavia pienamente deducibili per il ddl.
I riferimenti legislativi sono l’art. 51 e 52 TUIR per la parte relativa al dipendente e l’art. 95 TUIR per la parte che riguarda il ddl e che ne prevede la piena deducibilità in ogni caso (vedi sopra).
I rimborsi spese devono essere iscritti al LUL (Libro unico del Lavoro) e quindi anche inseriti in busta paga. Il Ministero del lavoro ha specificato che l’obbligo vale in ogni caso, sia in quello in cui tali rimborsi non siano imponibili che in quello in cui lo siano. Non devono invece essere iscritti al LUL e inseriti in busta paga quei rimborsi che si riferiscono a documenti intestati direttamente all’azienda (come è il caso di fatture emesse per spese sostenute dal lavoratore in nome e per conto del ddl).
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Quanto alla tipologia di questi rimborsi, i primi che vengono alla penna sono quelli per trasferta. Queste ultime sono intese come tali solo nel caso in cui il lavoratore debba recarsi occasionalmente per esigenze lavorative fuori sede. Si specifica occasionalmente, perché in quei casi in cui la trasferta costituisce un fattore strutturale della prestazione lavorativa vigono altre regole.
Per le trasferte fuori sede possiamo subito evidenziare una differenza rilevante: quella tra trasferte fuori sede ma all’interno dello stesso comune dove è situata la sede abituale di lavoro e quelle fuori sede ma all’esterno dello stesso comune.
Non sono mai considerate spese di trasferta quelle sostenute per raggiungere la sede di lavoro partendo o rientrando rispettivamente dalla o presso la propria abitazione. Se rimborsate, concorrono interamente al reddito del dipendente e sono per lui pienamente imponibili. Esiste tuttavia una eccezione a questa regola: quella del rimborso per spese di trasporto relative a viaggi effettuati non con mezzi propri ma con auto a noleggio o con mezzi di trasporto pubblici, quando le stesse sono comprovate da documenti di spesa emessi dal vettore. Ci deve essere anche prova documentale della giornata in cui il lavoratore è stato richiesto di lavorare fuori sede. Se tutte le condizioni elencate sono rispettate, il relativo rimborso non produce reddito imponibile in capo al dipendente.
Per gli amministratori e collaboratori, quando la sede non coincide con la sede operativa o con quella legale della società, la stessa si considera stabilita nel domicilio fiscale del collaboratore o dell’amministratore.
Il rimborso per spese di trasferta fuori dal comune con qualsiasi mezzo di trasporto invece è beneficiato da un trattamento di favore in capo al dipendente, quando la trasferta parte dalla sede di lavoro e non dalla propria abitazione o da altri luoghi dove sia presente per motivi extra-lavorativi.
Tali spese, tuttavia, sono rimborsabili solo in modalità analitica o semi-forfettaria, se si preferisce (indennità chilometriche), e cioè quando documentate. Se si utilizza un’auto sono rimborsabili anche i pedaggi autostradali e i parcheggi. Quando il dipendente è autorizzato ad usare la propria auto o quando l’azienda ha messo a sua disposizione un’auto ad uso promiscuo, può essere corrisposto il rimborso dell’indennità chilometrica sulla base delle tariffe ACI calcolate per tipo di autovettura e percorrenza annua. Queste indennità chilometriche non sono imponibili in capo al percipiente se sono relative a chilometri effettivamente percorsi per trasferte fuori comune e se non superano gli importi previsti dalle tabelle ACI.
Per quanto invece riguarda le spese di vitto e alloggio e di quelle minute (lavanderia, telefono, bagagli, servizi igienico sanitari, mance e simili) sono possibili tre modalità di rimborso: quella analitica e cioè documentata, quella forfettaria e quella mista. Si può scegliere una modalità diversa per ciascuna trasferta ma non all’interno della stessa trasferta.
Per il ddl tali spese sono deducibili fino all’importo massimo di euro 181,76 euro per le trasferte in Italia e di euro 258,23 per quelle all’estero.
Per le spese minute, le stesse vengono rimborsate sulla base di un elenco e dei giustificativi di spesa; ma si può anche optare per una modalità forfettaria che richiede la semplice dichiarazione del dipendente fino ad un importo massimo giornaliero di euro 15,49 per le trasferte nazionali e di euro 25,82 per quelle estere:
La modalità mista invece prevede di rimborsare forfettariamente le spese di vitto e alloggio e in modalità analitica le spese minute. Attenzione perché in quest’ultimo caso, tuttavia, i limiti cambiano per ciascuna delle tre tipologie di spesa.
La deducibilità massima passa ad essere quindi pari ad euro 15,49 per le trasferte nazionali e ad euro 25,82 per le trasferte estere per il rimborso forfettario di una delle tre tipologie di spesa; quando invece il rimborso forfettario riguarda almeno due delle tre tipologie di spesa passa ad essere pari ad euro 30,98 per le trasferte nazionali e ad euro 51,64 per quelle estere. Spesso viene utilizzato il solo rimborso forfettario delle spese minute e di vitto, con rimborso analitico delle spese di alloggio.
I rimborsi analitici per vitto e alloggio per trasferte fuori dal comune di lavoratori e collaboratori sono deducibili totalmente nei limiti già indicati (180,76 per l’Italia e 258,23 per l’estero), mentre quelli forfettari sono interamente deducibili. Sotto il profilo iva, si applica l’aliquota ridotta del 10% per i costi per vitto e alloggio.
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La regola generale prevede che il reddito di lavoro dipendente e assimilato, assoggettato ad imposizione, comprenda sia le somme in denaro che i cosiddetti benefici accessori o fringe benefit: e cioè beni, servizi e valori percepiti in natura e destinati alla sfera personale del dipendente o collaboratore o dai suoi familiari.
E’ specificatamente previsto che tali compensi in natura debbano essere iscritti sul Libro Unico del Lavoro ed esposti in busta paga, sia quando gli stessi sono assoggettati a tassazione in capo al dipendente o collaboratore, sia se esenti o agevolati (la disciplina specifica su cui ritorneremo una volta esaminata quella generale).
La tassazione ai fini IRPEF poi comporta anche l’assoggettamento sulla stessa base imponibile ai contributi previdenziali, salvo espresse eccezioni (quali ad esempio stock option e previdenza complementare). Infine, quando tali fringe benefit non sono erogati occasionalmente, entrano anche nel montante ai fini del calcolo del TFR e in ogni caso vi rientra anche l’utilizzo continuativo dell’auto ad uso promiscuo, secondo la Cassazione (Sentenza n. 16129/2002).
In nessun caso rientrano nella disciplina dei fringe benefit le spese sostenute dal ddl per beni e servizi da destinare ai dipendenti per attività lavorative che non rientrano in alcun modo nella loro sfera personale: acquisto di indumenti e scarpe da lavoro, corsi di aggiornamento professionale, assicurazioni su infortuni e malattie professionali legate all’attività di lavoro svolto con beneficiario il ddl, visite mediche ai fini della sicurezza sul lavoro.
Il valore da indicare per sottoporlo a imposizione è il valore normale ossia
il prezzo o il corrispettivo normalmente praticato per beni e servizi della stessa specie o similari in condizioni di libera concorrenza, al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni e i servizi sono stati acquistati o prestati, facendo riferimento, per quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni e i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso.
Se il dipendente riceve il bene e il servizio a titolo parzialmente gratuito, per cui paga una parte del prezzo o gli vengono trattenute delle somme, tali importi vanno sottratti al valore da sottoporre ad imposizione nell’anno in cui avviene il pagamento o la trattenuta.
Per i titoli e le quote di partecipazione societarie vigono regole particolari. In particolare, per le società di nostro diretto interesse e cioè le Società per azioni non quotate o la Srl Odontoiatrica, il valore normale è fissato in proporzione al patrimonio netto.
La disciplina speciale riguarda i fringe benefits concessi ai singoli dipendenti e collaboratori oppure alla generalità o a categorie di dipendenti e/o ai familiari del lavoratore
Tale disciplina, in molti casi, è riservata solo a quelle erogazioni in natura che sono concesse alla generalità o a particolari categorie di dipendenti e in altri è riservata anche a singoli dipendenti (molti meno casi, in realtà ma è il caso di conoscerli).
Mentre per individuare la generalità si deve far riferimento alla totalità dei dipendenti, per quello che più specificatamente concerne le categorie va detto che il criterio è molto ampio e non coincide con le categorie di riferimento secondo il codice civile (impiegati, operai, quadri e dirigenti): la categoria può quindi riferirsi a tutti quei lavoratori che hanno un determinato livello contrattuale o una determinata qualifica.
Un’altra peculiarità della disciplina speciale sui fringe benefits è quella per cui in alcuni casi le norme speciali si applicano solo se il benefit è rivolto anche ai familiari del dipendente. I familiari interessati sono quelli indicati dall’art. 12 del TUIR e rilevano anche se non sono fiscalmente a carico del dipendente, salvo diversa indicazione.
Per i collaboratori e in particolare per gli amministratori, l’applicazione della disciplina relativa ai fringe benefit destinati alla generalità o a particolari categorie di dipendenti presenta poi criticità particolari, perlomeno nell’ambito di nostro più diretto interesse. La gran parte delle società attive nel nostro settore, infatti, riconducono ad un titolare e professionista unico e ha poca importanza se tale titolarità è palese (Srl unipersonale) o sfumata (compagine sociale limitata al suo nucleo familiare).
Appare evidente che in casi come questi è assolutamente sconsigliabile porre mano a questa tipologia di fringe benefit ma eventualmente a tutti quelli per cui non vale la condizione di applicazione alla collettività e che sono quindi destinabili anche ad un singolo interessato. Diverso discorso potrebbe valere per quelle poche società odontoiatriche (Srl o Stp-Srl in particolare) in cui confluiscono le attività di più professionisti (due o più) ed, eventualmente, di diversi nuclei familiari.
Più in generale, si capisce finalmente il motivo per il quale abbiamo sottolineato anche nell’introduzione l’assoluta necessità di realizzare un’analisi attenta della propria situazione e dei rischi che sono legati ad un utilizzo allegro di queste misure di favore quando si tratta di applicare queste norme agli amministratori di società, con l’ausilio del proprio commercialista.
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Per specifiche tipologie di beni e servizi sono stabilite regole speciali di esenzione, agevolazione o determinazione forfettaria dei beni o servizi assoggettati a tassazione, o che sono tassati in maniera diversa da quella ordinaria. Vediamoli uno per uno:
I beni e servizi forniti al singolo dipendente o ai suoi familiari, anche tramite voucher, che complessivamente sono di importo inferiore ai 258,23 euro, non sono tassabili in capo al lavoratore percettore. Si deve ricordare tuttavia che se l’importo suindicato viene superato, l’intero valore concorre a formare il reddito del percettore.
La disciplina speciale è applicabile solo nel caso in cui tali beni e servizi di modico valore siano assegnati alla generalità o a categorie di dipendenti.
Il limite dei 258,23 euro è calcolato al netto delle somme eventualmente corrisposte o trattenute per tali beni e servizi dal ddl. La soglia di esenzione ha un valore generale e si applica a tutti i benefit tassabili (e non a quelli che non concorrono a formare il reddito del lavoratore, di cui parleremo appresso).
Sono totalmente esenti dalle imposte e non assoggettate a ritenuta le somministrazioni di vitto effettuate in mense organizzate direttamente dal ddl o gestite da terzi, comprese le convenzioni con ristoranti o la fornitura di cestini preconfezionati contenenti il pasto dei dipendenti. A differenza di quanto vale per i ticket restaurant, non esistono limiti per l’esenzione.
Di questa opportunità, la gran parte dei ddl del nostro settore è spesso all’oscuro e ritiene di applicare le stesse regole dei ticket restaurant con i relativi limiti massimi per l’esenzione. Ovviamente si tratta di un errore.
Per questa tipologia di fringe benefit non è richiesta dall’art. 51 la somministrazione alla generalità o a categorie di dipendenti. Ne deriva che gli stessi possono essere assegnati anche a particolari lavoratori o collaboratori.
In alternativa ai servizi di mensa, sono esenti fino all’importo giornaliero di euro 5,29, se cartacei ed euro 7, se elettronici:
Anche in questo caso, l’art. 51 non fa menzione della condizione di applicazione della disciplina speciale limitata all’erogazione alla generalità o a particolari categorie di dipendenti. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate ritiene, con una interpretazione estensiva molto discutibile, che comunque questi servizi debbano interessare la generalità o particolari categorie di dipendenti (facendo dire alla legge quello che non dice, peraltro prendendo a riferimento un elenco molto preciso e dettagliato presente nella stessa, che specifica sempre in quali casi i benefit per cui è concessa l’esenzione devono essere rivolti alla generalità e alle particolari categorie di dipendenti e in quali questa condizione non è richiesta).
La Circolare da prendere a riferimento è la 23/12/1997 n. 326. Non è possibile che vengano utilizzati più sistemi per il medesimo dipendente nella medesima giornata. Se usufruisce del servizio mensa non può anche usufruire dei ticket restaurant o dell’indennità sostitutiva. I buoni pasto in particolare possono essere utilizzati dai dipendenti, dai lavoratori a progetto a dagli assimilati. Non possono essere ceduti, commercializzati, cumulati in numero superiore ad otto o convertiti in denaro e devono essere utilizzati per l’intero valore facciale.
I ticket restaurant sono completamente autonomi rispetto alle erogazioni di modico valore, non rientrano nel calcolo del limite dei 258,23 euro e quando superiori all’importo esente comportano l’intera imponibilità del relativo benefit.
Altro caso per cui non è richiesta – per motivi facilmente intuibili – l’applicazione della condizione di erogazione alla generalità o a categorie di dipendenti per usufruire della disciplina speciale è quella di cui al presente paragrafo.
La concessione ad uso meramente strumentale comporterebbe sicuramente la piena deducibilità in capo al ddl dei relativi costi e la non imponibilità in capo al lavoratore e assimilato, ma si tratta di una possibilità che a noi conviene non prendere in considerazione perché, nella gran parte dei casi relativi al nostro settore, risulta inattuabile. Nelle condizioni richieste dall’Ade per l’applicabilità di questo regime c’è infatti anche quella della assoluta necessità di tale utilizzo rispetto alla specifica tipologia di business, una condizione che è possibile rispettare in pochi casi.
Non resta che ragionare sulla concessione ad uso promiscuo, specificando che la stessa definisce un regime d’uso misto tra esigenze lavorative e quelle personali. Tuttavia, onde evitare possibili contestazioni, è sempre il caso di specificare questa condizione nel contratto di lavoro o di collaborazione, anche per il tramite di una apposita appendice. Solo nel caso degli assimilati, quali gli amministratori della società, è il caso di redigere un apposito verbale in cui viene dettagliatamente esplicata la modalità di compenso in denaro e in natura.
Il fringe benefit per l’uso personale promiscuo è stabilito su una percorrenza convenzionale annua di 4.500 km (30% di 15.000), al netto di eventuali importi trattenuti o pagati dal dipendente. Questa almeno è la disciplina in vigore per tutti i veicoli assegnati ai dipendenti entro il 30 giugno 2020. Se non sono pagati direttamente dal lavoratore anche i pedaggi autostradali rientrano nel limite del benefit.
I costi chilometrici dei vari modelli di auto sono pubblicati ogni anno sulla Gazzetta Ufficiale entro il 31 dicembre e valgono per tutto l’anno successivo e sono sempre considerati al lordo di iva gravante sui costi. Va specificato che questi costi chilometrici sono diversi da quelli previsti per le trasferte, di cui ci siamo già occupati in precedenza. Questi ultimi sono calcolati su percorrenze variabili e possono cambiare secondo le elaborazioni mensili dell’Aci ed è solo quest’ultima a pubblicarli.
Il fringe benefit di cui stiamo parlando invece è sempre calcolato in modo forfettario, indipendentemente dagli effettivi costi di utilizzo e dalla percorrenza che il dipendente effettua a titolo personale. Tutti i costi, dal punto di vista fiscale, sono sostenuti dal ddl e da lui deducibili. In particolare, per il ddl le autovetture, gli autocaravan, i motocicli e i ciclomotori e i veicoli immatricolati come autocarri ma che non impediscono il trasporto di persone, i relativi costi sono:
Vediamo ora la disciplina prevista per le assegnazioni ai dipendenti in data successiva al 1 luglio 2020.
Qui abbiamo una prima distinzione tra le auto immatricolate ed assegnate a partire dal 1 luglio 2020 e quelle immatricolate entro il 30 giugno 2020 e assegnate successivamente a questa data.
Nel primo caso, l’art. 51, comma 4, lettera a) dei TUIR prevede che il fringe benefit deve essere assegnato al dipendente o al collaboratore in funzione del livello di emissioni di CO2 del mezzo, tenendo conto delle seguenti percentuali:
Nel secondo caso invece è stata direttamente l’Agenzia delle Entrate a stabilire che, nel caso di assegnazione del veicolo ad uso promiscuo
il benefit dovrà essere fiscalmente valorizzato per la sola parte riferibile all’uso privato dell’autoveicolo, motociclo o ciclomotore, scorporando quindi dal suo valore normale, l’utilizzo nell’interesse del datore di lavoro
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SI tratta di una misura erogabile ovviamente anche ad personam e non subordinata all’erogazione a generalità e a categorie di dipendenti.
In caso di concessione di prestiti al lavoratore in qualsiasi forma è considerato valore normale un tasso pari a quello ufficiale di sconto di riferimento stabilito dalla BCE e vigente al termine di ciascun anno. In caso, nella pratica, venga applicato un tasso pari o superiore al tasso limite non esiste alcun fringe benefit imponibile.
In caso contrario, il valore normale sarà pari alla metà della differenza tra gli interessi calcolati al tasso di riferimento vigente al termine dell’anno e quelli calcolati al tasso effettivamente applicato.
Eccezione a questa regola la fanno alcuni casi particolari:
Per gli immobili concessi in uso al dipendente (in locazione, uso o comodato), siano essi di proprietà del ddl o acquisiti da quest’ultimo in locazione, il valore del benefit viene determinato quale differenza tra la rendita catastale, aumentata di tutte le spese inerenti allo stesso, comprese le utenze non a carico dell’utilizzatore, e quanto eventualmente corrisposto dal dipendente per l’utilizzo del fabbricato stesso. Se lo stesso immobile è concesso a più dipendenti, l’importo come sopra determinato è ripartito tra gli stessi in parti uguali o in proporzione all’utilizzo assegnato.
Per quanto concerne la disciplina fiscale in capo al ddl, va sottolineato che sono deducibili le spese per i fabbricati concessi in uso ai dipendenti (canoni di locazione, anche finanziaria e spese di manutenzione) per un importo non superiore a quello che costituisce reddito per i dipendenti stessi. Solo nel caso in cui siano concessi a dipendenti che hanno trasferito per esigenze di lavoro la loro residenza anagrafica nel comune in cui è presente la sede dell’attività lavorativa è integralmente deducibile il relativo costo per il periodo di imposta in cui si è verificato il trasferimento e per i due successivi. Per lo stesso periodo gli stessi immobili sono considerati strumentali (art. 43.2 TUIR).
Questi servizi costituiscono una importante eccezione alla regola della non deducibilità delle spese di trasferta all’interno del comune in cui è situata la sede di lavoro. Infatti, per il dipendente non concorrono a formare il suo imponibile i servizi di trasporto collettivo per lo spostamento dalla propria residenza o da un centro di raccolta fino alla sede di lavoro, a condizione che il servizio sia rivolto alla generalità o a categorie di dipendenti. Per il ddl i relativi costi restano interamente deducibili e lo stesso resta libero di organizzare il servizio nelle modalità che preferisce, utilizzando mezzi e organizzazione propria o delegando a terzi l’organizzazione e la realizzazione del servizio.
Se concessi alla generalità o a categorie di dipendenti non concorrono a formare il reddito del dipendente le somme rimborsate o erogate per l’acquisto di abbonamenti per il trasporto pubblico locale, regionale o interregionale dei dipendenti e dei loro familiari a carico. Per il ddl i relativi costi restano interamente deducibili.
Non è considerato imponibile per il dipendente l’utilizzo di opere e servizi sostenute volontariamente dal ddl e in conformità a contratti, accordi o regolamenti aziendali, offerti alla generalità dei dipendenti e a categorie degli stessi e/o dei loro familiari per finalità specifiche di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria e culto.
Tra queste rientrano abbonamenti a giornali e riviste, utilizzo di strutture di proprietà del ddl o locate quali impianti sportivi, Cral, campi di tennis, piscine, spacci aziendali etc.; iscrizione gratuita a circoli privati, club o corsi di formazione extra-professionale, spettacoli ed eventi sportivi, corsi di lingua, di informatica, di musica, teatro e danza.
Le somme e le prestazioni, erogate anche tramite voucher, per:
non concorrono a formare il reddito del dipendente se tali servizi sono offerti alla generalità o a categorie di dipendenti.
Per quanto riguarda il ddl, esiste un articolato regime fiscale per tali servizi erogati a dipendenti e a collaboratori. Nel caso in cui siano erogati volontariamente dal ddl, i costi relativi a tali servizi destinati ai dipendenti sono deducibili per un ammontare complessivo non superiore al 5 per mille dell’ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi.
Se sono stati erogati non solo volontariamente ma anche in conformità ad accordi o regolamenti aziendali inderogabili sono invece deducibili senza limiti. Se invece sono destinati ai singoli dipendenti, ai singoli collaboratori o ai singoli amministratori, tali costi sono tassabili in capo a loro e deducibili dal ddl.
I contributi o i premi versati in denaro dal ddl, a favore della generalità o di categorie di dipendenti per prestazioni, anche assicurative, per la copertura di rischi di non auto-sufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana o di gravi patologie non concorrono a formare il reddito del dipendente.
I relativi costi sono interamente deducibili per il ddl.
I dipendenti di società soggette all’IRES possono vedersi assegnare un pc dal proprio ddl senza che il suo valore normale costituisca per loro reddito imponibile ai fini fiscali e previdenziali, se lo stesso pc è stato ceduto da parte del ddl a prezzo di costo al dipendente stesso ed acquistato nello stesso esercizio in cui è stato ceduto.
Questa norma nel nostro ambito è quindi applicabile solo nelle S.r.l. e nelle Stp/Srl.
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La normativa fiscale indica anche altre voci non imponibili per il dipendente e assimilato e/o per il ddl. Per completezza, le ricordiamo in estrema sintesi.
Quelli versati dal ddl in ottemperanza a disposizioni di legge non determinano un maggior reddito in capo al lavoratore mentre quelli versati dal lavoratore diminuiscono il reddito di lavoro dipendente. I costi per i contributi a carico del ddl sono per quest’ultimo interamente deducibili. SI tratta sempre di operazioni fuori campo iva e che non rientrano tra i fringe benefit. Si tratta comunque nel nostro più ristretto ambito dei versamenti a enti come INPS, INAIL ed ENPAM.
I contributi di assistenza sanitaria versati dal ddl o dal lavoratore, a favore del lavoratore o di suoi familiari e in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale ad enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale che operino come fondi integrativi del SSN e risultino iscritti all’anagrafe dei fondi con destinazione di un quinto dei fondi stessi per particolari prestazione come quelle odontoiatriche, rivolte a persone non autosufficienti o al recupero di soggetti temporaneamente inabili per malattia e infortunio, non concorrono al reddito del dipendente per un importo annuo non superiore ad euro 3.615,20, tenendo conto anche degli importi versati individualmente dal lavoratore.
Le relative spese sanitarie sostenute dal dipendente e poi rimborsate dal fondo non sono comunque e anche detraibili dal dipendente. Per il ddl i relativi costi sono interamente deducibili.
Le erogazioni effettuate volontariamente da parte del ddl in conformità a contratti collettivi o ad accordi e regolamenti aziendali per la copertura di spese mediche e di assistenza specifica necessarie nei casi di grave e permanente invalidità o menomazione, anche se sostenute per i familiari, non concorrono a formare il reddito del lavoratore dipendente.
La parte a carico del ddl è interamente deducibile.
Sono ammessi in deduzione dal reddito del dipendente o dei suoi familiari o del collaboratore i contributi versati alle forme pensionistiche complementari fino ad un massimo di euro 5.164,57 euro annui, sia per quelli dovuti in base a contratti o accordi collettivi, anche aziendali, sia per quelli volontari.
Gli assegni periodici corrisposti al coniuge, con esclusione di quelli per il mantenimento dei figli, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, sono deducibili nella misura in cui risultano da provvedimento dell’autorità giudiziaria. Se a corrisponderli al coniuge del lavoratore è il ddl, per provvedimento giudiziario o per richiesta del lavoratore, gli stessi sono deducibili dal reddito di lavoro dipendente o assimilato. Attenzione a questa possibilità per tutti coloro che amministrano una S.r.l.. I redditi relativi sono considerati assimilati, per cui la S.r.l. deve effettuare la ritenuta nei confronti del coniuge dell’amministratore.
Come accennato in apertura, esistono prestazioni di welfare che non derivano direttamente dalla legge ma da disposizione di contratto collettivo (nazionale o territoriale) o addirittura da accordi e regolamenti aziendali stipulati con la partecipazione dei sindacati. Diverse misure già esaminate richiamano espressamente questi atti negoziali e prevedono che la deducibilità per il lavoratore scatti proprio nel momento in cui i relativi beni e servizi siano erogati dal ddl in forza di tali atti. Si tratta, in altri termini, di quella funzione negoziale dei contratti collettivi di cui abbiamo parlato nell’articolo dedicato all’argomento e già citato in apertura.
Il consiglio che possiamo dare è quello di visionare il CCNL di riferimento utilizzato per stilare i contratti individuali di lavoro all’interno della vostra azienda o del vostro studio professionale, al fine di verificare se esistano altre prestazioni di welfare, non comprese nell’elenco che abbiamo appena portato alla Vostra attenzione, che potrebbero comportare gli stessi benefici previsti per la disciplina speciale del welfare: deducibilità in capo al ddl e non imponibilità per il lavoratore.
In alternativa, si potrebbe ipotizzare di costruire un accordo negoziale aziendale con gli stessi sindacati utile a implementare le prestazioni di welfare rispetto a quelle di legge e pervenire agli stessi obiettivi.
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