Con l’espressione “asimmetria informativa” si definisce la condizione di subalternità e dipendenza nella quale un soggetto si trova di fronte ad un altro durante una relazione o uno scambio per il fatto che non dispone di tutte le informazioni necessarie a regolare la relazione o lo scambio in questione. Curiosamente l’asimmetria informativa costituisce la base della normale relazione medico paziente, ma ancor più curiosamente si svolge lungo un doppio binario, ora in direzione di un soggetto, ora in direzione dell’altro. Ogni principio etico, deontologico, giuridico, economico o di marketing odontoiatrico è dominato da questa premessa.
L’asimmetria informativa è l’elemento dominante della relazione medico paziente.
Su questo pilastro si fondano tutti i concetti di etica, deontologia, microeconomia, diritto e marketing legati alla professione medica e odontoiatrica.
L’origine comune di discipline e materie così diverse tra loro, mette in imbarazzo istituzioni e professionisti al punto tale che ciascuna di esse viene trattata dai rispettivi cultori come se l’asimmetria informativa non esistesse o, quantomeno, non avesse il ruolo centrale che di fatto ha nella determinazione dei nostri comportamenti e delle regole che lo governano, da qualsiasi angolazione li si voglia considerare.
I manager invocano una genesi riduzionistica dei principi gestionali o microeconomici dell’attività odontoiatrica. Nel mentre i custodi dell’etica e della morale escludono a priori che gli attuali princìpi deontologici condividano la natura laica dell’informazione (intesa come vox media). I guru del marketing, infine, troppo spesso dimenticano che lo scambio tra medico e paziente ha certamente una natura suggestionale, psicodinamica e commerciale, ma non potrà mai travalicare i confini stabiliti ab origine dalla asimmetria informativa da cui nasce.
Chiariamo il punto in modo brutale.
In una visione puramente laica del nostro lavoro (ovvero, prima ancora di introdurre concetti di etica professionale) il rapporto di scambio tra medico e paziente si svolge nell’ambito delle regole di mercato:
“Due attori si trovano in un luogo adatto allo scambio (detto mercato) per dar luogo ad una transazione nella quale uno vende qualcosa e un altro compra”.
Se vogliamo riempire di contenuti specifici la frase precedente potremmo dire che in uno studio dentistico il paziente è portatore di un bisogno (più o meno esplicito e più o meno esplicitato) mentre il dentista è portatore delle soluzioni.
Il professionista è disponibile a vendere la propria conoscenza al paziente che, a sua volta, è disponibile a comprarla. Per la soluzione del proprio bisogno, il paziente è disponibile a sostenere un certo costo (non necessariamente in denaro). Normalmente se questo costo (di cui la tariffa del professionista è solo una componente) è coerente con la disponibilità del paziente a pagarlo, la transazione si conclude.
Sarebbe un grave errore pensare che le cose non stiano in questi termini e rifiutare la natura contrattuale della professione, indipendentemente dall’importo in denaro in questione. Anche quando tale importo fosse molto basso o addirittura nullo la dinamica sopra descritta rimarrebbe la stessa e si tratterebbe pur sempre di una compravendita con l’unica peculiarità che entrambe le parti attribuiscono un valore economico nullo alla transazione. Ciò infatti non esclude che la stessa possa avere per entrambi un altro tipo di valore (etico per esempio).
Qui sorge il problema cui cerchiamo di dare una spiegazione razionale in questo articolo: come fa il paziente a stabilire se il costo che deve sostenere per la transazione è adeguato?
La domanda può essere anche posta al contrario: come fa il medico a stabilire il prezzo di una prestazione se chi la deve pagare non è in grado di stabilirne il valore?
Non dimentichiamo che per il paziente (oltreché per il medico o dentista) le cose non hanno un valore solo economico. Il valore complessivo di una prestazione professionale è determinato dalla somma algebrica (spesso inconscia) di una serie di variabili: urgenza, pericolo, dolore. Ma anche: comodità, vicinanza, prezzo, empatia, appartenenza, estetica, ecc.
Quanti e quali fattori determinino il valore soggettivo di una prestazione professionale nella mente di un paziente o di un dentista non sarà mai possibile stabilirlo con precisione (e comunque mai oltre quel preciso ed isolato istante).
Questo è il nodo che lega intimamente tra loro microeconomia, etica, marketing, deontologia e management in odontoiatria: il nodo si chiama asimmetria informativa.
Le persone che interagiscono intorno al problema “salute” non possiedono tutte le stesse conoscenze:
Ecco che l’asimmetria informativa in medicina diviene subito una doppia asimmetria informativa, nella quale i due contraenti si pongono l’uno di fronte all’altro con un bagaglio di conoscenze diverso e devono trovare il modo per capirsi ancor prima di avviare la transazione: uno spiega il problema, l’altro spiega la soluzione.
Senza dover introdurre elementi etici o deontologici, da qui deriva la necessità di una fase interlocutoria della transazione, rappresentata scolasticamente dalla raccolta anamnestica, dal colloquio clinico, dalla prima visita, dagli esami diagnostici preliminari, dalla elaborazione diagnostica e dalla successiva esposizione del piano di cura. Con questi passaggi, oramai standardizzati dalla disciplina medica e deontologica, non si fa altro che livellare il rapporto medico paziente sul piano informativo, in modo che ciascuna parte, grazie alla controparte, acquisisca le informazioni che gli mancano per poter dar luogo al contratto d’opera professionale secondo principi di appropriatezza (il medico) e consapevolezza (il paziente).
In questa cornice generale, l’introduzione della consulenza odontoiatrica (e quindi della figura del consulente) complica notevolmente la situazione in quanto il paziente si rivolge al dentista per esporre un problema, ma neppure il dentista ne conosce la soluzione. Potremmo anzi dire più propriamente che in questi casi il titolare di studio conosce qualcuno che conosce la soluzione e solo quest’ultimo è in grado di metterla in pratica effettuando il trattamento.
Questa è la situazione tipica della consulenza ma, più in generale, anche di tutte quelle realtà nelle quali il titolare del contratto non è il medico stesso che esegue la prestazione, bensì un soggetto giuridico terzo che con la professione non ha nulla a che spartire.
Quella che avevamo definito doppia asimmetria informativa diviene così una tripla asimmetria informativa, nella quale viene spezzato il rapporto lineare biunivoco tra medico e paziente per introdurre un terzo soggetto portatore di interessi (stakeholder) non necessariamente economici.
Tale configurazione geometrica è la stessa che si instaura quando nel contesto della relazione diretta medico paziente vengono inseriti altri stakeholders, pensiamo ad esempio all’amministratore di una srl odontoiatrica, un terzo pagante, oppure un organo dello Stato con funzioni di controllo.
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La situazione fino a qui descritta rende ragione del perchè in microeconomia siano stati descritti tre differenti tipologie di bene oggetto di transazione.
Quando non esiste asimmetria informativa entrambi i contraenti dispongono sostanzialmente delle stesse informazioni, ovvero hanno conoscenze sovrapponibili circa l’oggetto della compravendita e si fronteggiano nella contrattazione con forze simili.
In questi casi si parla di Beni Ispezione.
Nel caso dei beni ispezione si dice che il cliente è in grado di attribuire un valore a ciò che compra prima di acquistarlo.
Facendo ricorso all’euristica tipica del profano, il cliente può toccare il bene ispezione, lo può misurare, pesare, annusare o perfino assaggiare. Ne può valutare la forma, il colore, il sapore e l’estetica generale. Può confrontare le caratteristiche del bene con modelli di riferimento o, quantomeno con l’idea del bene che si era fatto nella mente prima di vederlo nella realtà. In molti casi il bene ispezione può essere addirittura provato prima di essere acquistato e sempre più spesso, se il bene ispezione non è gradito può essere restituito dopo l’acquisto.
Qui stiamo parlando evidentemente di beni materiali come una mela, un vestito, un telefono, ma anche una automobile, una nave o una società di capitali. I modelli di business relativi alla produzione e vendita dei beni ispezione sono fortemente ancorati all’assenza di asimmetria informativa (si pensi al fenomeno Amazon, tanto per fare un esempio).
Anche il dentista vende beni ispezione ma la componente materiale è una parte marginale e trascurabile dell’intera prestazione professionale (es. impianto, abutement, apparecchio, intarsio, corona, ecc.).
Ci sono beni più complicati dei precedenti e che non corrispondono ad oggetti reali o virtuali, se non in via eccezionale.
Per questa tipologia di beni, detti beni esperienza, non è materialmente possibile ricavare informazioni oggettive prima di concludere la transazione. Questi beni appartengono alla cosiddetta categoria dei servizi.
Nel caso dei beni esperienza si dice che il cliente è in grado di determinare il valore di un bene solo dopo averlo acquistato e goduto.
Appartengono a questa categoria di beni tutti i servizi che noi abitualmente acquistiamo come i pasti al ristorante, un viaggio di piacere, un corso di formazione professionale, un libro oppure un biglietto per il cinema o il teatro.
Supponiamo di acquistare il biglietto per una partita di calcio: solo all’uscita dallo stadio potremo valutare se il biglietto acquistato valesse lo spettacolo cui abbiamo assistito. Quasi sempre vale di più o di meno, ma non ha importanza: quello che conta è che noi disponiamo di strumenti di giudizio sufficienti a stabilire il valore di ciò che abbiamo comprato pagandone il prezzo. Questo ci orienterà nel giudizio a posteriori e nelle scelte future. Poco importa se il metro impiegato sia del tutto personale o condiviso da altri, il giudizio che conta è solo il nostro.
Il bene esperienza quindi incorpora un concetto di rischio crescente che spesso viene riassunto nell’espressione popolare: vedere per credere! (Ovviamente una piccola componente di rischio è presente anche nei beni ispezione ma è più legata ad un errore di valutazione da parte nostra che non alla reale impossibilità di giudicare).
Anche il dentista vende beni esperienza e sono rappresentati dai servizi di contorno alla prestazione professionale. Nel corso degli ultimi decenni il peso dei servizi nell’economia di una prestazione professionale è andato aumentando in modo esponenziale. Si pensi per esempio a tutte le attività cone le quali noi garantiamo la sicurezza o la privacy a dipendenti o pazienti, ma poi anche le pulizie, gli arredi, l’accoglienza, la segreteria, la gestione del personale, ecc.
Tuttavia ogni professionista serio sa che la vendita del servizio non è la componente essenziale del proprio business, pur essendo oramai imprescindibile sia per il paziente che per lo Stato. Non è un caso che in sanità i modelli business orientati al servizio (bene esperienza) sono più spesso adottati da coloro che medici non sono, oppure da coloro che pur essendo medici hanno completamente travisato la natura della propria missione.
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Il bene credenza è una tipologia davvero singolare di beni, caratterizzati dalla presenza ineludibile di asimmetria informativa nei termini sopra descritti.
Rientrano in questa tipologia di beni le prestazioni professionali in genere, dandoci anche la ragione del perchè queste debbano essere ricondotte, per legge, alle cosiddette professioni protette.
Nel caso dei beni credenza si dice che il cliente non è in grado di determinare il valore di un bene né prima (come avviene per i beni ispezione) né dopo averlo acquistato (come avviene per i beni esperienza).
Qui non si tratta solo di acquistare al buio, sperimentare il bene e poi stabilire se la transazione è stata equa, conveniente o sconveniente. Qui si tratta di acquistare a scatola chiusa e non poter aprire mai la scatola.
Succede quando ci si rivolge ad un avvocato per una causa: indipendentemente da come finisce la causa non sapremo mai in che misura il risultato sia coerente con la competenza del nostro consulente o con la qualità del suo patrocinio. Il giudizio potrebbe essere stato a noi favorevole ma solo per circostanze fortuite (come la benevolenza o la distrazione del giudicante). Oppure il giudizio potrebbe essere stato a noi avverso, nonostante l’eccellente operato del nostro avvocato (come nel caso che avessimo davvero torto). Nessuno che non sia anch’egli avvocato, sarebbe in grado di stabilire, neanche a posteriori, come siano andate realmente le cose.
Il caso della medicina è del tutto analogo. Non per niente circolano da secoli aforismi come primum non nocere o, molto più prosaicamente: “il paziente è guarito nonostante le cure”.
Non poter decidere né prima né dopo il valore di una prestazione professionale mette il paziente in una condizione di sudditanza relazionale che lo Stato ha inteso tutelare mediante l’istituzione degli Ordini professionali, l’emanazione di un Codice Deontologico e l’istituzione del consenso informato.
Tale vulnus alla libertà individuale del paziente ed alla sua capacità di autodeterminazione, infatti, è direttamente proporzionale alla forza contrattuale con la quale il professionista si presenta alla transazione (pensate alla debolezza di Renzo con i capponi in mano durante l’incontro con l’avvocato Azzeccagarbugli).
Quello che troppo spesso ci dimentichiamo però è che l’asimmetria informativa, nel caso di prestazioni professionali, è doppia. Quando le informazioni in possesso del paziente (o del cliente dell’avvocato) non vengano fedelmente trasmesse, anche il ruolo del professionista subisce un vulnus: quello di non essere messo nelle migliori condizioni possibili per svolgere la propria funzione o espletare la prestazione stessa.
I pazienti spesso omettono informazioni importanti sul proprio regime alimentare, sull’uso di farmaci, sull’adesione alle prescrizioni, sull’igiene orale, sul fumo, sui sintomi, sulla esatta cronologia degli eventi, sulle prestazioni eseguite altrove. Non sono solo i clienti degli avvocati ad omettere notizie che ritengono possano danneggiarli in giudizio.
In sostanza, se è vero che nella transazione di un bene credenza, il nostro paziente acquista una prestazione professionale a scatola chiusa, è anche vero che il dentista (o il professionista in generale) acquisisce il cliente a scatola chiusa: della sua fedeltà, trasparenza e comunicazione non sempre si può fidare e purtroppo, su questo versante, lo Stato non ha ritenuto necessario intervenire con istituti a garanzia del medico.
La doppia (o tripla) asimmetria informativa reca dunque con sé un concetto di rischio ineludibile per tutti i contraenti coinvolti nella transazione (paziente, dentista, consulente, terzo pagante, ente di controllo, amministratore, ecc.).
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L’unica soluzione possibile per portare a casa il risultato, in una difficile situazione come quella generata dalla asimmetria informativa, è rappresentata dalla cosiddetta Comakership.
Il concetto di Comakership è molto simile a quello italiano di Collaborazione, ma lo supera e lo estende nel modo seguente: solo lavorando insieme e impiegando entrambi al massimo i propri sforzi, sia medico che paziente possono portare a casa un risultato che sia di soddisfazione per entrambi. In tutti gli altri casi sarà necessario accettare un risultato di compromesso.
Quando questa condizione si verifica accade contemporaneamente che:
Un classico caso di gioco a somma positiva dove entrambi i giocatori traggono vantaggio dall’operazione e nessuno dei due specula ai danni della controparte (come succede nei giochi a somma zero).
Non è un caso che tutti indistintamente (custodi dell’etica e della deontologia, guru del marketing, dentisti manager, ecc.) riconoscano la centralità della comunicazione, della relazione, dello scambio, della collaborazione, nella costruzione di un valore (materiale o immateriale) per entrambe le parti.
In qualche modo è universalmente accettato che la quantità di tempo dedicata a queste attività sia un indicatore attendibile della qualità della prestazione professionale (e dei suoi costi di produzione).
L’azzardo morale, in microeconomia, è definito come:
una forma di opportunismo post-contrattuale, che può portare gli individui a perseguire i propri interessi a spese della controparte, confidando nella impossibilità, per quest’ultima, di verificare la presenza di dolo o colpa.
Più banalmente: una delle due parti coinvolte nella comakership potrebbe sottrarsi all’impegno che la transazione richiede lasciando tutto il peso del successo (o più frequentemente dell’insuccesso) all’altra.
Confidando sulla natura di bene credenza della prestazione e sulla asimmetria informativa della relazione, chi viene meno al proprio dovere può anche contare sul fatto che per la controparte sia difficile o francamente impossibile accorgersene.
Ecco che l’azzardo morale, nato dal rischio, porta con sé il concetto di scommessa: quando si instaura il rapporto medico paziente ciascuno dei due è costretto a scommettere sull’altro e a confidare che quello non si sottrarrà al proprio dovere pur sapendo che le probabilità di essere scoperto sono molto basse.
In questo caso è innegabile che il paziente disponga di un certo vantaggio, perchè i suoi margini di impunità sono decisamente più ampi, sia per rilevanza della colpa, sia per carenza di istituti deputati a svelarla. Lo stesso non si può certo dire per il medico o il dentista.
Pensiamo al caso del paziente che nega di fumare o di assumere alcolici, a quello che giura di lavarsi i denti dieci volte al giorno, all’adolescente che non porta correttamente l’apparecchio: nessuno potrà mai saperlo. Gli effetti collaterali di una terapia canalare mal eseguita invece, alla lunga, potrebbero emergere in modo documentale.
Non si insisterà mai abbastanza sul fatto che il valore di una relazione (anche economico) è direttamente proporzionale al grado di fiducia che si instaura in senso bidirezionale e non solo dal paziente verso il medico. Si parla in questo caso di Doppio Azzardo Morale (o di Triplo azzardo morale a seconda del numero dei soggetti coinvolti nella relazione/transazione).
Questo ci porta diritti ad un’altra conseguenza dell’asimmetria informativa, che in particolar modo in odontoiatria, assume rilevanza critica: il valore degli asset intangibili.
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Se la relazione medico paziente si riduce ad una scommessa reciproca possiamo concludere che le probabilità di vincere la scommessa (per entrambe le parti) sono tanto più alte quanto più qualificati sono gli asset intangibili della controparte.
Da una parte gli Asset intangibili determinano il life time value del paziente, ovvero il vincolo morale di cura che lo lega a quel dentista specifico per sempre. Un vincolo che si traduce anche in valore economico costante, oltreché in soddisfazione personale.
Dall’altra gli Asset intangibili determinano la stima del rischio professionale per il medico, ovvero le probabilità che la relazione comporti più costi che ricavi (sia materiali che immateriali). Non mi riferisco tanto (o solo) all’ipotesi di contenzioso, ma anche (e soprattutto) a tutta quella serie di piccoli conflitti e conseguenti compromessi che minano la nostra serenità quotidiana e l’amore verso la professione.
Ecco perchè sia i guru del marketing, che gli esperti di economica, che i custodi dell’etica e della deontologia, ci invitano compatti ad investire nelle qualità umane e professionali ed a promuove una immagine di sé quanto più autentica e ricca di valori intangibili: onestà, trasparenza, disponibilità, empatia, formazione, leadership, ecc.
Il segreto delle relazioni a lungo termine risiede tutto qui, come anche il segreto del successo di un professionista.
Di contro anche il paziente ha tutto interesse ad investire nei propri asset intangibili e questi dovrebbero rappresentare un criterio di scelta consapevole di quel paziente da parte del dentista, cosa che purtroppo accade molto di rado.
Ricordiamoci che:
Anche questo è un insegnamento pratico e strategico che ci deriva dalla presenza di asimmetria informativa nella genesi della relazione medico paziente.
Siamo finalmente arrivati, per vie microeconomiche e di mercato, al tema del rapporto fiduciario tra medico e paziente, sul quale sono stati scritti fiumi sterminati di appelli mistici.
Il rapporto fiduciario non è più una scelta che distingue i buoni dai cattivi, ma è la conseguenza naturale di una relazione che dura, o meglio, la premessa necessaria di una relazione che nasce.
Le motivazioni del rapporto fiduciario medico paziente non discendono più da una opzione di natura morale ma da una necessità economica che prelude alla transazione.
In assenza di criteri validi per determinare il valore di una prestazione il paziente deve scommettere sul suo interlocutore e fare un atto di fede. Al contrario il dentista, maggiormente gravato dal peso dell’azzardo morale, deve scommettere sulle qualità umane del paziente e fare un atto di fede.
Per questo motivo (obbligo e non scelta) anche a livello giuridico la cessazione della relazione e l’annullamento del contratto possono essere invocati da entrambe le parti se viene meno il rapporto di fiducia. E’ la natura economica della transazione a determinare questa opzione non la ricerca di una dimensione etica di valore.
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Poichè il sentimento di fiducia non gode di proprietà transitive, ora si capisce molto bene la precarietà delle relazioni nelle quali la linearità e la biunivocità del rapporto medico paziente venga sostituito dalle geometrie complesse tipiche delle consulenze e degli assetti societari nei quali non vi sia coincidenza tra dentista ed amministratore della società.
Nella complessa e variabile interconnessione tra asimmetria informativa, azzardo morale, comakership e rapporto fiduciario, tre o più contraenti dovrebbero scommettere contemporaneamente sugli asset intangibili di ciascuno degli altri, in un gioco nel quale tutti gli interessi convergano verso un unico risultato finale: il bene massimo del paziente.
Non dico che questo sia impossibile, ma dico che è estremamente improbabile che accada. O comunque accadrà con una frequenza di gran lunga inferiore a quanto si verifichi in un contesto nel quale il rapporto diretto dentista paziente sia forte.
Per questo attribuisco agli studi professionali tradizionali e alle Srl odontoiatriche costituite da dentisti un vantaggio competitivo relazionale fortissimo rispetto all’imprenditoria sanitaria che ha portato alla realizzazione di catene o franchising.
Quest’ultimo modello è perdente in sé e saranno i fatti a dimostrarlo (in gran parte già lo dimostrano) a condizione che il dentista tradizionale trovi forme più competitive sul piano economico, organizzativo e fiscale rispetto a quelle tradizionali che lo vedrebbero perdenti sul piano puramente materiale.
Sarebbe davvero un peccato avere le carte in regola e perdere la partita perchè non si conoscono le regole del gioco.
Il concetto di asimmetria informativa, con tutto quello che ne consegue e che abbiamo descritto, ci regala una lezione importante che molti non hanno ancora imparato.
I principi che governano l’etica e l’economia sono gli stessi. Le regole della deontologia e del marketing sono identiche. Il management e la morale ci portano nella stessa direzione.
Ripercorrendo quanto abbiamo detto in senso inverso ci accorgiamo che:
Prenderemo le decisioni e adotteremo strategie sulla base di ciò che è giusto o sbagliato, ma ciò che è giusto o sbagliato lo stabiliscono gli interessi delle parti coinvolte sul mercato e non una volontà superiore.
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