C’è differenza tra dentista consulente e collaboratore ? Come devono essere regolati i rapporti tra le parti? Come si colloca il paziente in questo rapporto?
Il dentista consulente è un fenomeno tutto italiano che impatta notevolmente sulla vita quotidiana degli studi dentistici. Tale fenomeno abitualmente viene indicato con il termine di consulenza o collaborazione e non trova analoghi riscontri (o almeno non così rilevanti) nella maggior parte degli altri paesi evoluti.
Quali che siano le cause di questo fenomeno sono argomenti che richiederebbero analisi politiche, sociologiche o quantomeno macro economiche. Queste ci porterebbero lontano, almeno fino agli anni settanta e ottanta del secolo scorso, quando la dissennata corsa alla professione (sia medica che odontoiatrica) ha riversato sull’arena competitiva del nostro Paese una tale pletora di dentisti che non avrebbero mai trovato collocazioni lavorative stabili negli anni successivi.
Le politiche di liberalizzazione (vera o presunta) che sono seguite dal 2000 in poi, si sono solo posizionate in scia a questo trend distruttivo della professione: sia attraverso la libera circolazione europea dei “lavoratori”, sia consentendo l’ingresso della imprenditoria nel mondo delle professioni.
Difficile non intravedere un preciso, meticoloso e lungimirante disegno politico dietro tutto questo: la demolizione sistematica di una classe sociale che i nostalgici di Lenin continuavano a definire “borghese”. Ottimo lavoro: i dentisti borghesi non esistono più. Esistono invece molti neo-laureati, nati orfani di ogni privilegio, costretti a mendicare ospitalità dai loro colleghi più anziani o, peggio ancora, dagli imprenditori dei low cost.
La crisi economica e una normativa sempre più vessatoria hanno fatto poi il resto: aprire uno studio è tecnicamente difficile ed economicamente pesante.
Rimane il fatto che oggi la popolazione dei dentisti, eterogenea sotto mille altri profili, può essere suddivisa in due grandi categorie:
I primi sono dei veri e propri imprenditori, indipendentemente dalla ragione sociale che usano (studio dentistico, studio associato o società), soggetti a tutti gli oneri e alle problematiche di sviluppo e sopravvivenza delle imprese italiane.
I secondi sono coloro che per necessità (mancanza di capitali) o per scelta operano presso i primi. Questi sono gli ultimi veri epigoni della libera professione, come la si intendeva nel secolo scorso, anche se abitualmente vengono chiamati consulenti o collaboratori.
Le dinamiche di questi due gruppi di professionisti sono oramai piuttosto standardizzate. Alcune precisazioni tuttavia saranno utili per inquadrare meglio l’argomento e definire le possibili soluzioni ai più comuni problemi che la consulenza o la collaborazione comportano.
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Letteralmente “consulente” e “collaboratore” hanno radici etimologiche differenti:
A prescindere dalle differenze semantiche tra i due termini, che sono reperibili ovunque, possiamo stabilire alcune caratteristiche pratiche e specifiche di ciascun gruppo, con risvolti tutt’altro che insignificanti sia in termini economici che medico legali.
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Come detto, quando un professionista è chiamato ad effettuare prestazioni professionali che richiedono particolari competenze, conoscenze o capacità, non già presenti nello studio, questi dovrebbe essere identificato più propriamente con il termine di Consulente. È tipico ed emblematico il caso del dentista consulente in ortodonzia o in chirurgia orale (non a caso sono anche le due specializzazioni di area odontoiatrica). In passato era molto diffusa anche la figura del dentista consulente in implantologia, ma da quando le competenze hanno cominciato a diffondersi tra i dentisti, questa figura è progressivamente declinata.
Il dentista consulente ha abitualmente forme di consulenza stabili nel tempo presso più studi contemporaneamente, partecipa allo sviluppo dello studio ospite, avendo spesso un ruolo attivo nella determinazione delle strategie di lungo termine.
Il collaboratore, invece, è chiamato semplicemente ad eseguire prestazioni di routine che, per ragioni diverse dalla competenza, il titolare dello studio non esegue pur avendo le capacità per farlo.
È tipico il caso della grande distribuzione odontoiatrica che recluta manovalanza professionale per eseguire tutte le prestazioni erogate (alla stregua di un prodotto da vendere su larga scala). Ma è anche il caso delle prestazioni derivanti da picchi estemporanei di lavoro nell’ambito di studi tradizionali, di affiancamenti in prospettiva di subentro, di passaggi generazionali, oppure della semplice volontà (e legittimo desiderio) da parte del titolare di studio di dedicarsi solo ad alcune prestazioni più gratificanti, delegando le altre a profili più giovani.
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È facile comprendere come i profili professionali e di rischio connesso siano molto differenti tra Dentista Consulente e Dentista Collaboratore:
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Quando il dominus o committente è rappresentato da un collega (studio classico) o da una pluralità di colleghi (studio associato) si instaura un rapporto professionale ove l’aspetto deontologico è prevalente su ogni altra ipotesi di interesse.
È opposto il caso in cui lo studio ospite sia incarnato da una vera e propria impresa commerciale (srl, spa, cooperativa, ecc), sia che essa faccia capo ad un professionista, sia che essa appartenga a circuiti più o meno estesi e ramificati sul piano finanziario: network, franchising o altro. In questo caso il carattere prevalente del rapporto è rappresentato dal profitto, poiché il profitto è la giusta ragion d’essere dell’impresa cui il collaboratore (o consulente) afferisce.
Vale la pena (penosamente) ricordare che in questo secondo scenario, molto spesso il profilo del Dentista Consulente e quello del Dentista Collaboratore vengono intenzionalmente confusi ed appiattiti sulle posizioni di convenienza per il Committente con alcune conseguenze negative:
Diciamo pure che il potere contrattuale del committente spesso è così forte da prevalere su qualsiasi rivendicazione o legittima richiesta da parte del dentista consulente (patto leonino? abuso del diritto?).
Questa lunga panoramica iniziale era necessaria per comprendere come le motivazioni, le aspettative e le istanze delle varie parti coinvolte in un rapporto di collaborazione o di consulenza sono difficili da inquadrare in un contesto unico. Ne deriva che l’istituto contrattuale (contratto) entro cui tali rapporti possono essere ricondotti è quanto mai variabile. Forse questa è anche la ragione per la quale, nella maggior parte dei casi, gli accordi sono ancora raggiunti con una stretta di mano e parole non scritte, cui seguono necessariamente confronti e tarature continue del rapporto, aggiustamenti in corsa.
Raramente le parti hanno trovato una adeguata forma scritta di accordo (contratto vero e proprio) che li aiuti a normalizzare le attività di routine e chiarire in via anticipata come andranno risolte situazioni di conflitto o veri e propri contenziosi.
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La situazione si complica in modo esponenziale se consideriamo che nel rapporto tra ospite ed ospitato una parte estremamente importante la gioca il paziente.
Questo “terzo attore”, che è il terminale ultimo dell’intera attività produttiva ed il beneficiario finale della prestazione professionale, trasforma un rapporto bilaterale e lineare in uno geometrico e trilaterale, ove ognuna delle parti in causa si relaziona con le altre due sulla base delle proprie qualità umane e dei propri interessi.
Come varia il rapporto fiduciario medico paziente con l’introduzione della figura del Consulente o Collaboratore
Le possibili conseguenze negative di un rapporto a tre, ove ciascuno polarizza gli altri verso interessi non sempre allineati, è il vero problema da risolvere. Ci accingiamo ad affrontare questo nodo cruciale in modo esaustivo, con lo scopo di dimostrare che una scrittura privata preliminare (un vero e proprio contratto) rappresenti la soluzione anticipata a molti dei problemi che si creeranno all’indomani dell’inizio di una nuova collaborazione o consulenza.
In realtà ciò che maggiormente ci preme definire è il quadro della consulenza perché ha dinamiche più complicate e più estese rispetto alla collaborazione. Pertanto d’ora innanzi abbandoneremo il Collaboratore per occuparci solo del Consulente.
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Non è difficile fare una breve panoramica dei problemi più frequenti che le consulenze comportano. Gli esempi più frequenti sono quelli in cui il dentista consulente (poniamo l’ortodontista) abbandona lo studio con decine o centinaia di casi in corso di trattamento, o, al contrario, quelli in cui è lo studio che decide di affidare la consulenza ad un nuovo professionista. Sorgono alcune domande:
Ma ancora: i problemi non si manifestano soltanto alla chiusura del rapporto di collaborazione. Durante tutta la vita di relazione ci sono mille altri interrogativi:
Ebbene, tutte queste domande (e molte altre ancora) devono trovare una risposta precisa all’interno del Contratto di Consulenza. Un atto semplice da siglare ma complesso da predisporre, soprattutto in considerazione dell’ampia variabilità di contesto sopra descritta.
Prima di entrare nel merito del contratto è tuttavia necessario capire in profondità in cosa consiste il rapporto della triade titolare-consulente-paziente.
È interessante infatti notare come una analisi microeconomica di questo strano fenomeno di scambio e relazione sia il substrato ideale per comprendere anche i derivati etico/deontologico e medico/legali che esso implicitamente comporta; concetti che sono già nel patrimonio culturale di ogni dentista senza che sia chiaro da dove derivino la loro fondatezza e su quali basi si siano accreditati nei secoli, da Ippocrate in poi.
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1 Commento
[…] sia l’equo compenso per un consulente o un collaboratore è una domanda che non ha una sola risposta. Come sempre, cercare una regola universale ad un […]