Affrontiamo per la prima volta il tema della Contabilità Direzionale nello studio dentistico. Essa poggia le proprie basi su un modello economico e su un ciclo produttivo che sono specifici per il professionista odontoiatra. La letteratura di settore ha sempre trascurato la platea di dentisti imprenditori per il semplice fatto che questi non avevano mai rivendicato, fino ad oggi, la propria dimensione aziendale né all’esterno né all’interno della propria comunità. Sembra che questo vuoto stia andando a colmarsi con il passare degli anni.
Lo studio dentistico è un sistema complesso sia dal punto di vista organizzativo che da quello economico finanziario e lo si evince immediatamente parlando di contabilità e controllo di gestione.
Il suo livello di complessità è lo stesso che si riscontra nelle grandi aziende sanitarie, se pensiamo al numero di processi coinvolti ed alle dinamiche tra di essi: fornitori, dipendenti, finanziamenti, investimenti, contabilità, dispositivi medici, collaboratori, documenti, magazzino, manutenzioni, sicurezza, GDPR, marketing. Il dentista comune non si fa mancare niente di niente. Ognuno di questi temi e di queste attività investe trasversalmente tutte le altre e richiede la nostra capacità di gestire le risorse disponibili, segnatamente quelle economiche.
Se ci sono delle differenze rispetto agli ospedali, alle cliniche o ai poliambulatori di grandi dimensioni, queste sono a nostro svantaggio. Tutta la complessità economica e produttiva di uno studio dentistico si consuma in poco spazio, con poche risorse umane, senza economie di scala significative, senza le coperture finanziarie dei grandi gruppi.
Noi non ci possiamo permettere dei CFO a tempo pieno, certe volte neanche un semplice ragioniere. Non abbiamo uffici dedicati agli affari legali, non abbiamo HR manager, marketing manager, COO, CMO, CEO, ed un’altra mezza dozzina di cravattoni che operano nel nostro interesse. Siamo da soli.
Come si mantiene in equilibrio il sistema? Come si provvede a rendere l’attività profittevole garantendo che sia in grado di autofinanziarsi nel lungo periodo? Come si fa a programmare gli investimenti in modo sostenibile? Come si fa a stabilire un giusto compenso per se stessi e per i collaboratori? Come si fa a mantenersi competitivi rispetto alla concorrenza?
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Tutte queste domande e molte altre ancora hanno solo una risposta: Contabilità e Controllo di Gestione.
Ovviamente questi due strumenti devono essere declinati in modo accessibile anche a un professionista che ha studiato per fare altro e che, suo malgrado, deve prestare una certa parte dei propri sforzi e delle proprie competenze alle materie extracliniche. Non è pensabile di importare concetti elevati di matematica finanziaria in una realtà produttiva di piccole dimensioni come lo studio dentistico guidata da un capitano che confonde ancora i costi con i prezzi, le imposte con le tasse o il profitto con l’onorario.
Neanche è possibile arrivare all’obiettivo partendo dalla lettura di un conto economico o di un bilancio. In primis, perché si tratta di documenti che richiedono delle conoscenze di base specifiche di contabilità. Ma soprattutto perché questi documenti guardano allo studio nel suo complesso e con una visuale di sintesi, che non ci aiuta a comprendere le singole determinanti che hanno generato una situazione o l’altra (a meno di non essere degli esperti e di molte integrazioni documentali). Tantomeno uno sguardo ex post può aiutarci (se non in una misura parziale) a operare dei correttivi utili a riequilibrare una situazione economica squilibrata, prima che sia troppo tardi.
Ci sono però quattro nozioni in croce che possiamo possedere e che dobbiamo necessariamente impiegare nella gestione della contabilità quotidiana dello studio. Sono quelle della maestra, un pochino arricchite e adattate, ma rimangono certamente alla nostra portata, a condizione che operiamo delle semplificazioni.
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Quando si deve affrontare un problema complesso, il metodo migliore è sempre quello di scomporlo in unità più semplici, con un approccio che è noto come metodo riduzionistico. Queste saranno più facili da studiare, capire e memorizzare di quanto non sia il sistema nella sua totalità.
Pensiamo ai nostri studi universitari, perché il parallelo funziona perfettamente. Ricordo il mio esame di anatomia (o quello di fisiologia) come un incubo peggiore dell’esame di maturità, attenuato solo dal fatto che abbiamo scomposto il corpo umano in distretti, apparati, sistemi e organi più semplici da comprendere e da memorizzare.
Supponiamo che uno studente di 20 anni debba studiare l’anatomia del corpo umano sezionandolo a piacere. Ad ogni sezione incontrerebbe certamente vasi sanguigni, muscoli, nervi, ossa, ghiandole e molto altro ancora, come tutti sappiamo. L’estrema variabilità dei tessuti e degli organi, la loro struttura, la loro forma, ma soprattutto l’estrema promiscuità con la quale (apparentemente) si affrontano, si mischiano e si confondono tra di loro, renderebbe di fatto impossibile il tentativo di imparare l’anatomia con questo sistema. Il risultato sarebbe uno scoraggiamento irreversibile ed anche una certa ostilità o diffidenza verso l’argomento.
Ora prendiamo lo stesso studente e cominciamo a spiegargli che in un mondo ideale esiste una separazione anatomica e funzionale tra una certa cosa che chiamiamo sistema nervoso ed un’altra che chiamiamo apparato respiratorio, tanto per fare due esempi. Tutti sappiamo che questa distinzione è solo astratta e poco reale, ma ha il grande merito di aiutarci a capire una parte alla volta, fino a quando saremo in grado di ricomporre l’intero sistema in un organismo completo. A quel punto, saremo capaci di sezionare l’organismo e di riconoscerne le singole parti, comprendendo anche come sono legate o articolate tra di loro.
Conoscere la differenza teorica tra un tendine, un osso ed un muscolo ti permette di capire come, nella realtà, queste tre strutture possano anche essere confuse tra di loro e risultare irriconoscibili in alcuni passaggi (pensate ad esempio al retto femorale che trapassa nel tendine rotuleo, il quale incorpora la patella nel suo contesto per poi inserirsi, senza soluzione di continuo, nella tuberosità tibiale). Dov’è precisamente che quella certa cosa non si chiama più muscolo e si chiama già tendine? Dov’è che precisamente quell’altra cosa non si chiama più tendine e si chiama già osso?
Il concetto di borderline è così connaturato nel medico e nella clinica che non ci stupiremo nello scoprire che esiste anche nelle altre discipline. Così come non ci stupirà constatare che il successo o il fallimento sono concetti astratti, esattamente come le malattie. Esistono rari casi in cui la loro riconoscibilità è conclamata, ma per lo più esistono solo nella nostra testa e ci aiutano a semplificare domini complessi del sapere. Domande come: cosa può essere considerato successo e cosa fallimento? Qual è il momento esatto in cui questo è avvenuto? Sono domande simili a quelle che si pongono in ambito medico: esiste veramente un organismo sano o malato? Quand’è precisamente che avviene questo passaggio di stato?
Come suona tutto questo discorso fuor di metafora cinica?
Se prendiamo un dentista comune e gli sottoponiamo i dati di bilancio del suo studio, salvo che non abbia una cultura specifica in proposito, non sarà in grado di esprimere un giudizio sul suo stato di salute economica o finanziaria. Guardando lo stato patrimoniale ed il conto economico nel loro insieme, pochi si fanno un’idea chiara di come vanno le cose. I dati aggregati confondono e mischiano le informazioni nello stesso modo di una sezione del corpo umano a qualsiasi livello la facciate. Il dato disaggregato, al contrario, è più facile da comprendere e da valutare.
Per questo motivo, dobbiamo valutare un primo livello di disaggregazione dei dati economici e finanziari: per esempio, possiamo affrontare una branca di attività alla volta, misurando per essa i valori fondamentali sopra elencati (costi, ricavi, ecc.). In questo modo, potremmo fare una valutazione più attenta di quali branche producano buoni risultati e quali meno. Daremo così una lettura critica al dato aggregato e saremo più consapevoli delle aree nelle quali dobbiamo intervenire.
Facciamo degli esempi concreti.
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Uno studio dentistico produce un utile di 100 .000 € all’anno. Questo valore rappresenta il massimo grado di aggregazione possibile dei dati di contabilità. L’utile annuale, infatti, è l’indicatore di sintesi più estremo. Chi di noi sarebbe in grado di esprimere un giudizio sulle performance di questo studio conoscendo solo questo valore? Come giudichiamo uno studio che produce 100 mila euro di utile all’anno? Esiste solo una risposta seria: è impossibile dirlo in modo oggettivo sulla base di una contabilità così aggregata. Lo si può dire solo esprimendo un sentimento di soddisfazione o di delusione rispetto ad una idea precostituita, senza particolari pretese di oggettività.
Un po’ diversa sarebbe la domanda se dicessimo che uno studio ha prodotto 100 mila euro di utile con 1 milione di euro di fatturato (e conseguentemente 900 mila euro di costi). Qui siamo al primo livello di disaggregazione del dato di contabilità.
Supponiamo che due dentisti al bar, mentre bevono il caffè, si raccontino la storia dei propri studi ed uno dei due la esponga nel modo che abbiamo appena detto. L’altro potrebbe rispondere che il suo studio ha avuto lo stesso risultato in termini di utile (100 mila euro), ma partendo da 300 mila euro di fatturato (e conseguentemente 200 mila euro di costi). E’ facile rendersi conto che il primo ha lavorato come uno schiavo 60 ore a settimana per ottenere lo stesso risultato del secondo, che, invece, apre lo studio a giorni alterni. Badate bene: non stiamo dicendo che il primo è meglio del secondo. Meglio o peggio sono funzione dei nostri valori personali e dei nostri obiettivi. Stiamo solo valutando le performance e questa volta possiamo dire qualcosa in più di prima. Per esempio, possiamo dire che uno dei due ha una redditività del 10%, mentre l’altro ha una redditività del 30%. Ma poi ci dobbiamo fermare un’altra volta: per fare una valutazione seria ci serve di più, molto di più.
Se disaggregassimo il dato dell’utile per le varie branche di attività potremmo scoprire che uno dei due ha branche che operano in perdita e questa perdita non è visibile nel dato aggregato solo per effetto compensativo di branche particolarmente virtuose sotto il profilo economico. Capita spesso che i dentisti, accontentandosi del dato aggregato, non vedano che sull’ortodonzia e la protesi hanno margini ampi, mentre sulla conservativa e l’endodonzia producono risultati negativi (beninteso, non c’è nulla di male a produrre risultati negativi, a condizione che si sia consapevoli di farlo). In effetti il caso di dentisti che lavorano tantissimo ma non traducono il proprio lavoro in profitti proporzionali è estremamente diffuso.
Disaggregando ulteriormente i dati, potremmo scoprire che le singole branche di attività stanno al totale come le singole prestazioni professionali stanno alle branche di riferimento. Anche all’interno di una stessa branca infatti (conservativa, ortodonzia, chirurgia ecc.) potremmo avere prestazioni più o meno virtuose sotto il profilo economico, indipendentemente dal risultato finale della branca di appartenenza. Ogni prestazione può essere scomposta in processi operativi, ogni processo in attività e ogni attività in protocolli, fino ad arrivare ad un livello microscopico tale da ricordare il mitocondrio rispetto alla cellula che lo contiene, al tessuto che contiene la cellula, all’organo che contiene il tessuto, ecc. ecc.
Non c’è un livello microscopico oltre il quale non si possa ulteriormente scendere, in fisica come in economia, e questo fatto rappresenta sia una opportunità che un rischio. Nella gestione economica dello studio dentistico dobbiamo dunque pervenire ad un livello di disaggregazione dei dati che corrisponda ad unità funzionali sufficientemente piccole da essere governabili con facilità e con certezza e sufficientemente grandi da essere pratiche rispetto allo scopo.
Seguendo la metafora del corpo umano, non è un caso che lo studio dell’anatomia parta dalla citologia per arrivare all’istologia, dopo tratti organi ed apparati e solo alla fine l’anatomia settoria o chirurgica.
Ebbene, noi consideriamo l’approccio riduzionistico quello più funzionale all’apprendimento dei principi economici generali che governano lo studio dentistico e proponiamo la singola prestazione professionale come livello di disaggregazione ottimale. A partire dallo studio della singola prestazione professionale possiamo provvedere alla costruzione di un sistema virtuoso generale che si ricomponga dapprima nelle varie branche di attività e quindi nell’intero complesso economico che dà luogo al bilancio consuntivo o al bilancio di previsione.
Ricostruendo tutta l’attività dello studio, a partire da unità funzionali virtuose, il risultato non potrà che essere virtuoso e profittevole nel suo complesso. Al contrario: non si può pretendere di avere risultati economici positivi aggregando tra loro prestazioni professionali che non li possiedono. Non più di quanto non si può pensare di possedere un organismo sano se gli organi che lo costituiscono sono malati.
Lo schema che proponiamo di seguito è lo stesso con cui consigliamo di costruire il Listino Tariffario del vostro studio. Rappresenterà un sistema di contabilità interna che utilizzeremo continuamente in tutte le attività del Controllo di Gestione.
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Il concetto portante è che se ogni giorno erogo singole prestazioni equilibrate e bilanciate dal punto di vista economico-finanziario, ogni insieme successivo derivante dalla aggregazione di queste prestazioni non potrà che dare lo stesso risultato e la contabilità risulterà coerente con esso.
Facciamo alcuni esempi banali, concedendoci alcune semplificazioni:
A questo punto è inutile andare avanti (la logica è fin troppo semplice), ma pensiamo solo un secondo al consuntivo di una vita intera di lavoro e di sacrifici!
Non sarà invece superfluo descrivere cosa succede in altre situazioni, opposte a quelle descritte poco fa. Se ogni giorno erogo singole prestazioni NON equilibrate e bilanciate dal punto di vista economico-finanziario, ogni insieme successivo derivante dalla aggregazione di queste prestazioni non potrà che dare lo stesso risultato e, di nuovo, la contabilità sarà coerente con esso.
Rifacciamo gli stessi esempi banali concedendoci le stesse semplificazioni:
Anche questa volta è inutile andare avanti. Il concetto è chiaro. Pensiamo però al consuntivo negativo di una vita intera di lavoro e di sacrifici.
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Abbiamo finora descritto uno scenario positivo ed uno negativo tout court. Ma noi sappiamo benissimo che le cose nella vita non sono quasi mai bianche e nere. I nostri studi sono la risultante composita di tante diverse unità funzionali semplici (le prestazioni professionali), alcune delle quali hanno risultati più o meno positivi ed altre più o meno negativi.
Non solo.
Molte di queste non mantengono sempre le stesse caratteristiche ogni volta che si presentano. Tutti noi, infatti, concediamo sconti, gratuità, promozioni. Tutti noi variamo le tariffe ogni tanto (o dovremmo farlo). Tutti noi paghiamo sempre costi diversi ai nostri fornitori. Tutti noi effettuiamo investimenti che sovvertono il risultato economico delle nostre prestazioni e degli insiemi che queste vanno a generare.
Quando esaminiamo il dato aggregato dei risultati trimestrali o annuali, non capiamo più se un risultato positivo è un buon risultato o … poteva essere anche meglio di così. Allo stesso modo, un risultato negativo potrebbe essere anche un grande successo se consideriamo, per esempio, i costi sostenuti per investimenti pluriennali, oppure se riconduciamo la contabilità ad un criterio di competenza e non di cassa (o viceversa).
Se vogliamo uscire da queste sabbie mobili e dai cortocircuiti di valutazioni strabiche dobbiamo fare nostra la seguente raccomandazione operativa (che sarà anche la traccia delle pagine che seguono):
Al tema della organizzazione ci proponiamo di dedicare un intero libro. Il prossimo.
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Tutti i dentisti, istintivamente, sono più propensi a ragionare sui ricavi che sui costi, e questo può rappresentare un problema in assenza di un modello di business efficiente.
Quando incontrano i tecnici che hanno studiato la Contabilità Aziendale o gli esperti del Controllo di Gestione, si rendono conto che il discorso deve essere ribaltato. Contro intuitivamente non si parte dai ricavi per costruire un sistema economico finanziario che funzioni: si parte dai costi. Anche in uno studio dentistico.
Come abbiamo visto nell’introduzione, i costi, a loro volta, sono funzione di Vision, Mission, Valori e Obiettivi. In altre parole: il livello qualitativo delle prestazioni, il loro costo, il prezzo a cui le vediamo ed il profitto che generiamo sono in qualche modo correlati tutti tra di loro. È dunque necessario che definiamo in modo esplicito e corretto le relazioni tra queste variabili perché, a seconda di come questo avviene, si descrivono modelli di business diversi. Con questa operazione, potremo comprendere immediatamente che differenza ci sia tra una struttura odontoiatrica guidata da un manager (come le catene o i franchising), uno studio monocratico tradizionale guidato da un dentista e uno studio evoluto guidato da un dentista manager.
Semplificando al massimo, quindi, possiamo individuare tre modelli di business alternativi l’uno all’altro (nel senso che non è possibile adottarne contemporaneamente più di uno):
Il primo modello può essere rappresentato dal seguente flusso logico decisionale:
Con le dovute eccezioni, questo modello è tipico dello studio evoluto guidato da un dentista manager, specialmente quelli configurati con assetto societario.
Il secondo modello può essere rappresentato dagli stessi passaggi, ma con un ordine di priorità inverso:
Con le dovute eccezioni, questo modello è tipico delle strutture guidate dai manager e dal capitale.
Seppur operanti in modo diametralmente opposto uno dall’altro, questi due modelli hanno in comune la capacità di garantire il Profitto e dunque la sopravvivenza dell’impresa. Sarà solo il mercato target ad essere differente (oltre ai valori personali).
Il terzo modello, di gran lunga il più frequente, segue una logica di principio che non trova corrispondenza nei fatti:
Con le dovute eccezioni, questo modello è tipico degli studi tradizionali, specialmente quelli monocratici professionali. Il grave difetto di questo modello è che non dedica alcuna attenzione alla ricerca del profitto, ritenendo erroneamente che esso andrebbe a detrimento della qualità. Abbiamo visto con il primo modello che questo non è assolutamente vero.
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Ci preme ora descrivere il concetto di Contabilità Direzionale, anche per contrapporlo a quello di Contabilità Aziendale classica. Entrambi sono utili nella gestione dello Studio ma hanno caratteristiche diverse e anche finalità diverse. Per chiarire subito il punto nodale: la Contabilità Direzionale è quella che usa il dentista manager per gestire lo Studio nell’operatività quotidiana e ha le caratteristiche che descriviamo di seguito, la Contabilità classica è quella che usano i tecnici (commercialisti, revisori dei conti, periti, banche) quando devono esprimere una valutazione esterna sulla nostra impresa/Studio.
Uno dei primi concetti con cui dobbiamo familiarizzare è quello della approssimazione dei dati. La contabilità basata sul modello NTT è un sistema di contabilità direzionale, ad uso e consumo dello Studio stesso e del suo titolare, non riguarda attività di bilancio formale, i revisori dei conti o soggetti esterni in generale che debbano valutare l’andamento dello Studio. Servono a noi, e a noi non interessa che i dati siano perfetti in modo assoluto, ci basta che siano significativi e accurati con un certo margine di approssimazione. Con questo non vogliamo dire che il bilancio non possa servire anche a noi, ma solo che non serve solo a noi, mentre la contabilità direzione e il controllo di gestione si giustifica per fini esclusivamente interni.
Proseguendo nella metafora della medicina, quando misuriamo la temperatura corporea con un termometro, per noi è sufficiente una approssimazione al decimo di grado, o anche meno. Non ci serve un termometro che sia così perfetto da raggiungere il dettaglio al centesimo. Questo dato invece potrebbe essere indispensabile nell’ambito della fisica o della statistica, che sono scienze esatte e dove scarti minimi possono produrre risultati completamente diversi. Allo stesso modo, il dato perfetto assoluto è quello che impiega un certificatore che debba asseverare documenti contabili. Come meglio vedremo nel prossimo capitolo poi, persino nella contabilità e nel bilancio si fa largo uso di valutazioni e stime, per cui neanche in quell’ambito si può parlare a stretto rigore di perfezione e assoluta oggettività del dato contabile.
L’approssimazione dei dati contabili non è solo una scelta ma anche la conseguenza obbligata di un contesto (lo Studio appunto), caratterizzato dalla complessità di elementi molto diversi tra loro, che si mescolano continuamente in un mix imprevedibile: flussi di cassa, apparecchiature e impianti, motivazione e competenze del personale, politiche di sviluppo, cambiamenti del mercato, cambiamenti della normativa e così via.
Non può esistere un sistema perfetto, atto a sommare gli uni agli altri tutti questi elementi diversi e che arrivi a restituire, in questo modo, un quadro assolutamente preciso dell’intera impresa professionale. Vogliamo dunque dare un messaggio di conforto al collega che sta leggendo questo libro: il sistema NTT utilizzato fino ad ora non è perfetto e non è preciso in modo assoluto, ma raggiunge un grado di approssimazione tale da essere sufficiente per quasi tutte le necessità di un dentista titolare di Studio.
Non vorremmo mai che l’entusiasmo per il sistema (posto che sia sorto nel lettore) induca a spendere più tempo di quanto è necessario per affinare dati, se dati più grezzi sarebbero comunque utili allo scopo. Passare troppo tempo a ricercare dati precisi significherebbe confondere il fine con i mezzi. Noi non lavoriamo per ottenere dati perfetti, perché non siamo dei chimici farmaceutici. Noi ricerchiamo dati sufficientemente accurati per poter lavorare in sicurezza e con profitto.
Implicitamente abbiamo dunque introdotto anche il secondo concetto fondamentale: ancora una volta il tempo. Chi deve prendere decisioni basate sui dati ha necessità che i report siano tempestivi. Un dato pur grossolano ed approssimato ma disponibile subito è spesso più utile al dentista manager di un dato estremamente preciso ma disponibile tra un anno. Una simulazione del punto di pareggio per l’acquisto di una apparecchiatura non sarà mai preciso o perfetto. Per avere un dato perfetto bisognerebbe attendere la fine dell’ammortamento, ma quel giorno il dato non ci servirebbe a niente visto che l’investimento lo abbiamo fatto molto tempo prima. Ci basta dunque un dato grezzo che ci dica se ci muoviamo all’interno di margini di sicurezza credibili. Lo stesso vale per la stima dell’EBIT. Questo non potrà essere calcolato con precisione assoluta se non alla fine dell’esercizio, quando sarà troppo tardi per intervenire.
In fase di programmazione dunque (Fase Plan del Ciclo di Deming) non si hanno mai i dati precisi che si desidererebbero, ma non è un problema di matematica. Si tratta pur sempre di una scommessa calcolata in un ambiente controllato. Quasi sempre il dentista manager vorrebbe molte più informazioni di quelle che possiede e che gli sarebbero utili per affinare la propria scommessa. Ma questo non è possibile nel mondo di una impresa come le nostre.
Quasi non bastasse, è opportuno sottolineare che la disponibilità di troppi dati potrebbe rivelarsi persino controproducente, perlomeno nell’ambito di azione di un dentista manager. Occorre difendersi dalla pletora dei dati, molto spesso cagionata dall’azione improvvida di certi consulenti che li promuovono per costringere il malcapitato a rimanere incollato a loro per anni. Si tratta di informazioni sovrabbondanti che servono sicuramente a loro e alle loro tasche ma molto poco al dentista. A lui basta avere i dati che servono per controllare la propria azienda e non uno di più.
In generale, esistono molte situazioni pratiche da risolvere nelle quali potrebbe essere disponibile una quantità di dati enorme (soprattutto quando si opera con un gestionale completo ed efficiente): talora solo una minima parte di essi è veramente rilevante, talora nessuno di essi rappresenta esattamente ciò di cui si ha bisogno.
Il terzo concetto che dobbiamo acquisire, dunque, è che si deve essere in grado di fare una selezione critica dei dati disponibili, scegliendo per esempio in modo opportuno il grado di aggregazione o disaggregazione degli stessi, in modo da scendere più o meno in profondità con le analisi senza esagerare né in un senso né nell’altro.
Quest’ultimo concetto richiede molta più intelligenza e sensibilità che formazione e competenza. Quindi non è alla portata di tutti.
La maggiore complicazione di uno Studio dentistico rispetto ad una qualsiasi altra impresa è rappresentata dall’importanza di alcuni asset intangibili. Semplificando al massimo, gli asset intangibili sono quegli elementi di valore che non sono riducibili a dati numerici e quindi sono difficili da integrare in un processo decisionale se non ricorrendo alla soggettività.
Pensiamo, ad esempio, alle qualità umane del personale o degli operatori in generale. Il valore di una prestazione o di un insieme di prestazioni non è dato solo dalle performance misurabili in termini di costi, ricavi e output clinici, ma anche da mille altre variabili come: le condizioni di rischio nelle quali la prestazione è stata svolta, l’empatia con il paziente, la disponibilità al dialogo, il senso di sicurezza che infondiamo, la capacità di problem solving, la trasparenza dei comportamenti, l’onestà, la simpatia, la capacità di fare gruppo, ecc.
Alcune persone agiscono come se i problemi potessero essere affrontati e risolti unicamente sulla base di analisi numeriche. Ma neppure i materiali si comportano esattamente nello stesso modo in circostanze analoghe, figuriamoci gli strumenti (che sono un aggregato di materiali diversi) e figuriamoci le persone che interagiscono tra di loro e con gli strumenti in un ecosistema organizzativo di complessità non immaginabile.
Di contro (e qui entra in gioco il Controllo di Gestione), il concetto di intangibilità non può essere avanzato come alibi per operare in un contesto disorganizzato ed in assenza totale di una guida numerica. Le difficoltà intrinseche del governo non giustificano mai l’anarchia, per questo il governo è un’arte e non una scienza esatta.
Proponiamo la citazione di un vecchio testo del 1908, di cui condividiamo solo l’estratto seguente:
Il vero problema del nostro mondo non risiede nel fatto che sia logico o illogico. Il problema è che il mondo è quasi, ma non proprio, logico. La vita non è una cosa illogica; eppure essa rappresenta una trappola per le menti logiche. Essa appare un po’ più logica e matematica di quanto sia effettivamente; la sua esattezza appare spesso ovvia, ma la sua inesattezza è peraltro nascosta; la sua irrazionalità è sempre in agguato. (G.K. Chesterton, Orthodoxy).
Nella contabilità direzionale l’arbitrarietà è talvolta indispensabile. Vi potranno essere vari modi, tutti ugualmente efficaci, per descrivere una determinata situazione, ma per trovare una base di intesa comune si dovrà scegliere necessariamente uno solo di questi.
Esempi concreti sono rappresentati dalla imputazione di alcuni costi nella categoria variabili o in quella fissi. Prendiamo il costo dei detergenti per gli strumenti chirurgici oppure il costo delle frese. In linea teorica questi sono costi variabili, perché sono legati alla esecuzione di una prestazione e quindi al ciclo produttivo. Ma il calcolo preciso di questi costi per unità di prestazione sarebbe troppo difficile e lungo, anche per gradi di approssimazione bassi. Peraltro il risultato che otterremmo sarebbe decisamente insignificante rispetto al profilo economico complessivo della prestazione o di un suo aggregato. Per questo motivo, allo scopo di semplificare le operazioni, molti preferiscono inserire impropriamente tutti i costi dei detergenti, disinfettanti, frese all’interno dei costi fissi. Noi siamo tra quelli.
Altri estendono questo comportamento anche al materiale di consumo minuto delle prestazioni, come ad esempio i dispositivi di protezione individuale (DPI). Noi preferiamo non farlo e abbiamo certamente un numero di buone ragioni equivalente a chi fa il contrario rispetto a noi.
Ci sono colleghi che inseriscono i contributi Enpam nei costi variabili o fissi a seconda della quota cui si riferiscono, anche se questa pratica è impropria (perché i contributi sono personali e non riguardano il risultato economico dell’impresa che è estranea agli interessi delle persone).
Altri si spingono ad inserire nei costi anche le tasse e le imposte, pur sapendo che la definizione stessa di EBIT esclude questa possibilità.
Con tutto ciò vogliamo dire che non esiste a priori un concetto di giusto o sbagliato, ognuno di noi costruirà il proprio modello di NTT (o un altro analogo) assumendosi la responsabilità di adottare certi comportamenti e decisioni in modo arbitrario.
Nella contabilità aziendale classica il concetto di arbitrarietà è stato risolto ricorrendo a princìpi convenzionali e le poste dubbie sono state identificate secondo un accordo di valenza universale (anche sovranazionale). In questo modo se esaminiamo un rendiconto scritto nel linguaggio della contabilità aziendale constatiamo che è comprensibile a chiunque conosca il linguaggio convenzionale, mentre se esaminiamo un rendiconto direzionale ci accorgiamo che lo capisce solo chi lo ha predisposto.
Quello che conta è che noi capiamo il nostro nel linguaggio e quello che abbiamo descritto con esso: che sia quello proposto nel NTT o un altro, poco importa. Se non vi piace l’espressione EBITh potete usare quella che vi pare anche paperino, non interessa a nessun altro che a noi. Quello che conta è che paperino indichi una cosa ben precisa e che venga utilizzato in modo appropriato.
Vi consigliamo di approfondire ulteriormente il tema con gli articoli su "Economia" pubblicati su questo blog.
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