Il Regolamento UE 2017/745 sui dispositivi medici ha seriamente rischiato di mettere in crisi i processi produttivi del dentista, segnatamente in ambito protesico ed ortodontico. In considerazione dell’impulso che l’odontoiatria digitale ha dato ai nostri studi è necessario conoscere in profondità la normativa, sia per evitare inutili allarmismi sia per scongiurare comportamenti non conformi. Nel silenzio generale delle nostre associazioni diamo una lettura ragionata del testo di Legge che possano guidare i colleghi ad operare entro margini di sicurezza.
A maggio 2021 sono entrate in vigore, anche in Italia, le disposizioni comunitarie circa i Dispositivi Medici contenute nel Regolamento UE 2017/745, dopo circa 4 anni dalla loro emanazione ad opera del Parlamento europeo.
Queste disposizioni interessano tutto il comparto odontoiatrico e investono, tra le altre cose, le attività di produzione di protesi o apparecchi ortodontici per i pazienti dei nostri studi.
Gli adempimenti che questa nuova normativa impone ai produttori di dispositivi medici sono così pesanti ed articolati che, di fatto, impedirebbero ad un professionista di operare in autonomia rispetto al grande capitale nella produzione in office di manufatti protesici o ortodontici.
Pensiamo ad un ortodontista che confezioni un quad helix per l’espansione palatale di un paziente impiegando semplici materiali, pinze e le proprie mani. Oppure pensiamo ad un protesista che ripara in proprio una protesi mobile o la ribasa.
Secondo le indicazioni contenute nel Regolamento UE 2017/745 queste attività configurano la fabbricazione di un dispositivo medico o il suo ricondizionamento e sarebbero vincolate al rispetto di 175 pagine di prescrizioni che solo una multinazionale potrebbe sostenere.
In considerazione dell’impulso sempre crescente dato dalle tecnologie informatiche le opportunità che l’Odontoiatria Digitale offre al dentista comune di operare in maggiore indipendenza rispetto agli interessi economici del mercato sono sempre più ampie. Questo, da una parte, opera nel maggiore interesse del paziente, ma dall’altra rischia di assimilare il dentista (professionista) al fabbricante (artigiano) e di imporre ad entrambi le stesse regole.
Di questo problema il legislatore si è accorto immediatamente, tanto è vero che fin dalle premesse (n. 30) ha ritenuto opportuno inserire la seguente precisazione (poi richiamata ripetutamente le testo):
Le istituzioni sanitarie dovrebbero avere la possibilità di fabbricare, modificare e utilizzare internamente dispositivi, rispondendo in tal modo, su scala non industriale, alle esigenze specifiche dei gruppi di pazienti destinatari che non possono essere soddisfatte con risultati del livello adeguato da un dispositivo equivalente disponibile sul mercato. In tale contesto, è opportuno prevedere che talune disposizioni del presente regolamento non siano applicate per quanto riguarda i dispositivi medici fabbricati e utilizzati esclusivamente nell’ambito di istituzioni sanitarie, compresi ospedali e istituzioni, quali laboratori e istituti di salute pubblica che sostengono il sistema sanitario e/o rispondono alle esigenze dei pazienti, ma che non si occupano direttamente del trattamento o della cura dei pazienti, dal momento che gli obiettivi del presente regolamento sarebbero comunque soddisfatti in modo adeguato.
Riteniamo dunque opportuno occuparci di questo tema specifico, investigando a tenore di norma se le prestazioni protesiche chair side o quelle dell’ortodonzia in office vengano interessate dal Regolamento e in quale misura.
L’Unione Europea e lo Stato italiano hanno legiferato a più riprese sul tema dei dispositivi medici. Per noi dentisti è importante sapere che il punto di riferimento definitivo sulla materia è rappresentato dal Regolamento UE 2017-745 che modifica, integra e sostituisce le normative precedenti:
Il testo è molto corposo ed estremamente ricco di disposizioni eterogenee. Noi ci limitiamo a riportare e commentare quelle inerenti le attività chair side che consentono di realizzare manufatti protesici e/o ortodontici all’interno dello studio dentistico, ad opera di odontoiatri abilitati all’esercizio ed esclusivamente in ragione del possesso della propria iscrizione all’albo professionale.
Non ci interessano dunque, in questo articolo, tutte le altre fattispecie produttive diverse dal dentista che produce in proprio e per il proprio paziente un manufatto odontoiatrico.
Il punto di partenza per la lettura della norma è rappresentato dal comma 1, art. 1, capo1, dove si premette che:
Il presente regolamento stabilisce le norme relative all’immissione sul mercato, la messa a disposizione sul mercato o la messa in servizio dei dispositivi medici per uso umano e degli accessori per tali dispositivi nell’Unione. […]
Ricordiamoci che, nel caso in questione, noi esaminiamo la posizione del dentista che realizza una protesi o un apparecchio ortodontico nel proprio studio, sul proprio paziente e nel contesto di una prestazione professionale.
Il perimetro giuridico e pratico di una prestazione professionale è molto più ampio rispetto al mero oggetto fisico rappresentato dai dispositivi medici coinvolti. Essa si compone di relazione, di comunicazione, di servizi, di competenze, di qualità umane e di una infinita varietà di altri elementi, dei quali l’oggetto fisico è solo una risultante materiale e non certo la più importante.
Per comprendere questo concetto analizziamo ulteriormente il testo e ci accorgeremo di quanto la scelta delle parole impiegate sia stata estremamente lucida e per nulla casuale da parte del legislatore stesso, che medico non è.
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Il Regolamento UE 2017/745 ha aggiornato la definizione di dispositivo medico con la seguente formulazione:
qualunque strumento, apparecchio, apparecchiatura, software, impianto, reagente, materiale o altro articolo, destinato dal fabbricante a essere impiegato sull’uomo, da solo o in combinazione, per una o più delle seguenti destinazioni d’uso mediche specifiche:
- diagnosi, prevenzione, monitoraggio, previsione, prognosi, trattamento o attenuazione di malattie,
- diagnosi, monitoraggio, trattamento, attenuazione o compensazione di una lesione o di una disabilità,
- studio, sostituzione o modifica dell’anatomia oppure di un processo o stato fisiologico o patologico,
- fornire informazioni attraverso l’esame in vitro di campioni provenienti dal corpo umano, inclusi sangue e tessuti donati,
e che non esercita nel o sul corpo umano l’azione principale cui è destinato mediante mezzi farmacologici, immunologici o metabolici, ma la cui funzione può essere coadiuvata da tali mezzi.
Ad una prima lettura sembrerebbe dunque che il regolamento si applichi sia ai manufatti protesici, che a quelli ortodontici, indipendentemente dalla modalità con cui sono realizzati: analogica o workflow digitale. Ma le cose stanno diversamente.
Un primo indizio lo ricaviamo dal legame univoco che fin da questo articolo (e poi innumerevoli volte nel corso del testo) lega l’espressione dispositivo medico con l’identità del fabbricante:
Il rapporto di interdipendenza tra queste due parti è così stretto nel testo della legge da risultare sinallagmatico. Esso si spezza nel momento in cui il dentista non venisse considerato un fabbricante, la qual cosa non solo è intuitiva ma addirittura specificata dal legislatore. Egli infatti dà del fabbricante la seguente definizione:
la persona fisica o giuridica che fabbrica o rimette a nuovo un dispositivo oppure lo fa progettare, fabbricare o rimettere a nuovo, e lo commercializza apponendovi il suo nome o marchio commerciale.
Mentre un dentista potrebbe corrispondere alla prima metà della proposizione è del tutto evidente che non corrisponde alla seconda:
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Ci sono altri elementi che ci portano alle stesse conclusioni, anche in ragione dei processi produttivi dei dispositivi medici odontoiatrici. Questo dipende, ovviamente, non da presunte differenze nella natura dell’output finale del manufatto, ma dalle premesse ed alle conseguenze intrinseche del differente processo di lavorazione che qualifica in modo diverso il dispositivo e chi lo realizza sotto il profilo giuridico.
Il passaggio più interessante per noi arriva all’art. 5, comma 4, dove si stabilisce che:
I dispositivi fabbricati e utilizzati all’interno di istituzioni sanitarie sono considerati messi in servizio.
Intanto chiariamo che con l’espressione messa in servizio il legislatore intende
la fase in cui un dispositivo […] è stato reso disponibile all’utilizzatore finale in quanto pronto per il primo utilizzo sul mercato dell’Unione secondo la sua destinazione d’uso.
in questo distinguendo l’operato del medico da quello del fabbricante o del commerciante, per i quali aveva utilizzato l’espressione messa a disposizione sul mercato (o immissione sul mercato), con la quale indicava
la fornitura di un dispositivo […] per la distribuzione, il consumo o l’uso sul mercato dell’Unione nel corso di un’attività commerciale, a titolo oneroso o gratuito.
E’ del tutto evidente in re ipsa che l’attività del dentista (professionista) non è una attività commerciale (commerciante) e non è neppure quella del fabbricante (artigiano). Questo spiega la scelta terminologica adottata.
In altre parole la distinzione è chiara:
E’ interessante notare come il legislatore, attento alle sfumature, non abbia utilizzato l’espressione professionisti per indicare il medico o, nel nostro caso, il dentista. Egli ha definito la nostra categoria impiegando l’espressione più estensiva ed inclusiva di Istituzioni sanitarie, che ricomprende anche la Srl Odontoiatrica ed ogni altra forma organizzata di esercizio autorizzato della professione. Infatti specifica che per Istituzione sanitaria deve intendersi:
un’organizzazione il cui fine principale è la cura o il trattamento di pazienti o la promozione della salute pubblica.
Per quanto attiene gli studi odontoiatrici, comunque configurati, è prevista una esplicita esclusione dall’applicazione del regolamento sui dispositivi medici, con alcune prescrizioni che è importante conoscere.
Il comma 5 dell’art. 5 infatti recita come segue:
[…] le prescrizioni del presente regolamento non si applicano ai dispositivi medici fabbricati e utilizzati esclusivamente in istituzioni sanitarie stabilite
nell’Unione, purché siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
- i dispositivi non siano trasferiti a un’altra persona giuridica;
- la fabbricazione e l’utilizzo dei dispositivi avvengano secondo sistemi adeguati di gestione della qualità;
- l’istituzione sanitaria giustifichi nella sua documentazione il fatto che le esigenze specifiche del gruppo di pazienti destinatario non possono essere soddisfatte o non possono essere soddisfatte con risultati del livello adeguato da un dispositivo equivalente disponibile sul mercato;
- l’istituzione sanitaria fornisca su richiesta alla propria autorità competente informazioni in merito all’uso di tali dispositivi che comprendano una giustificazione della loro fabbricazione, modifica e utilizzo;
- l’istituzione sanitaria rediga una dichiarazione che mette a disposizione del pubblico, comprendente:
- il nome e l’indirizzo dell’istituzione sanitaria in cui i dispositivi sono fabbricati;
- le informazioni necessarie per identificare i dispositivi;
- una dichiarazione che i dispositivi soddisfano i requisiti generali di sicurezza e prestazione di cui all’allegato I del presente regolamento e, se del caso, informazioni sui requisiti che non sono pienamente soddisfatti, con la relativa giustificazione motivata;
- l’istituzione sanitaria compili una documentazione che consenta di conoscere il sito di fabbricazione, il processo di fabbricazione, i dati di progettazione e di prestazione dei dispositivi, compresa la destinazione d’uso, in maniera sufficientemente dettagliata affinché l’autorità competente possa accertare il rispetto dei requisiti generali di sicurezza e prestazione di cui all’allegato I del presente regolamento;
- l’istituzione sanitaria adotti tutte le misure necessarie per garantire che tutti i dispositivi siano fabbricati in conformità della documentazione di cui al punto precedente;
- l’istituzione sanitaria valuti l’esperienza acquisita mediante l’utilizzazione clinica dei dispositivi e adotti tutte le azioni correttive necessarie.
Abbiamo riportato integralmente e letteralmente tutto il testo della Legge perchè riprende in concreto lo schema di protocollo operativo che ogni dentista dotato di fresatori o stampanti 3d deve adottare per poter godere dell’esclusione dall’applicazione del regolamento.
Di seguito trattiamo i singoli punti uno per volta.
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Il primo punto, per esempio, è importante perchè segna profondamente la differenza tra chi opera nell’interesse del proprio paziente e nell’ambito di una relazione di cura, da chi invece produce dispositivi medici per fini puramente commerciali.
Attenzione, non vogliamo esprimere assolutamente giudizi di valore o demonizzare una attività rispetto all’altra. Qui si tratta solo di capire se il legislatore conosce la differenza tra un professionista ed un commerciante e, in effetti, mostra di conoscerla perfettamente.
Questo non significa che un dentista o uno studio dentistico (comunque configurato giuridicamente) non possa legittimamente produrre dispositivi medici per immetterli sul mercato (e non per metterli in servizio) ma lo farà sapendo che, in quel caso, le norme che ricadono su quella attività sono quelle previste dal Regolamento UE 2017/745.
Anche in questo caso la ratio è comprensibile, così come la preoccupazione del legislatore.
Dopo aver liberato i dentisti dall’obbligo del Regolamento UE 2017/745, s’intende ora impedire che la produzione di dispositivi medici in office non venga effettuata senza criteri di qualità minima dell’output e dei processi di lavorazione.
Definire ed esplicitare i criteri di qualità delle attività di produzione, internamente allo studio dentistico, limita per esempio le possibilità che queste siano condotte in modo indiscriminato, casuale o discrezionale.
L’osservanza ed il rispetto di linee guida e protocolli scientifici potrebbe rappresentare una garanzia che la produzione interna non si trasformi in un far west di dispositivi medici su misura.
A chi è attento alle normative non sfuggirà di aver incontrato questo principio anche in ambito di radioprotezione e soprattutto nell’impiego della Cone Beam.
Il razionale è sempre lo stesso. Il legislatore si domanda per quali ragioni cliniche un dentista ricorre alla produzione interna quando potrebbe trovare lo stesso dispositivo medico sul mercato. Esistono valide ragioni per ritenere che i prodotti presenti sul mercato (e quindi controllati e verificati come da Regolamento UE 2017/745) non soddisfino in eguale misura le necessità ed i bisogni di salute del paziente?
L’obiezione è sensata ma la risposta in questo caso è semplice: laddove il clinico, che effettua la diagnosi, formula un piano di trattamento e, se del caso, esegue anche una preparazione, fosse in grado di riportare sotto il proprio diretto controllo anche la realizzazione del manufatto protesico o ortodontico, avrebbe certamente un output clinico migliore. Ovvero, a parità di output clinico, conseguirebbe lo stesso risultato impiegando un tempo inferiore, garantendo al paziente un maggiore confort (livello di igiene, sicurezza delle lavorazioni, numero di spostamenti e di sedute), e spendendo meno denaro.
Sul piano etico ed economico, nell’interesse prioritario del paziente, abbiamo trattato diffusamente questo tema nell’articolo sulla Piramide Deontologica in odontoiatria.
Il grado di personalizzazione degli output infatti è un indicatore diretto del livello qualitativo delle prestazioni mediche sia dal punto di vista funzionale o meccanico, sia dal punto di vista estetico.
Il nostro è un ambito nel quale la standardizzazione dei processi si scontra pesantemente con l’unicità e l’individualità sia del soggetto che riceve le cure sia del problema clinico di cui è portatore. Se è vero, come è vero, che non esiste un paziente uguale ad un altro e non esistono due malati o due malattie perfettamente identiche, è anche vero che ogni qualvolta si possa piegare un processo produttivo finalizzato alla diagnosi o alla cura in modo customizzato, allora non è solo giustificato farlo ma è anche eticamente doveroso.
Che questo comporti responsabilità specifiche per il dentista è fuori di dubbio, ma è il nostro lavoro. Pare che il legislatore abbia in mente il concetto di unicità della relazione di cura molto meglio di molti addetti ai lavori.
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Il passaggio è interessante per i molteplici risvolti che comporta, alcuni dei quali possono essere volti a vantaggio del dentista.
Si richiede che lo studio si impegni a redigere una dichiarazione che mette a disposizione del pubblico relativamente alla tracciabilità dei processi, delle risorse impiegate e delle condizioni di sicurezza rispettate.
Il dubbio che sorge è relativo alla natura della dichiarazione (giacché il legislatore non ha usato l’espressione autocertificazione come avrebbe potuto tranquillamente fare). Un altro dubbio è legato all’impiego della parola pubblico in luogo di paziente che riceve la prestazione (anche in questo caso avrebbe potuto farlo).
Se ha scelto questo linguaggio e questa terminologia è perchè l’intenzione è proprio quella di rendere disponibili queste informazioni non ai pazienti in cura (ché altrimenti lo avrebbe scritto) ma soprattutto ai potenziali pazienti (il pubblico appunto). Lo scopo di questa prescrizione dunque è segnatamente quello informativo e divulgativo e non ci sarà nulla da obiettare dunque da parte delle autorità competenti se tali informazioni assumeranno incidentalmente anche un effetto promozionale per lo studio visto che assolvono ad un preciso obbligo normativo.
Il testo del regolamento offre lo spunto per trarre altre considerazioni di carattere pratico non pertinenti con lo scopo di questo articolo, ma comunque utili nella professione.
La prima di queste ricorre all’art. 18 che reca il titolo:
Tessera per il portatore di impianto e informazioni che devono essere fornite ai pazienti portatori di impianto
Di primo acchito sembrerebbe una norma scritta apposta per i dentisti e, invece, sorprendentemente, i dentisti sono l’unica categoria ad esserne esplicitamente esclusi. La norma, per inciso, precederebbe adempimenti burocratici ed informativi finalizzati alla sicurezza per ogni paziente oggetto di trattamento.
Dobbiamo preliminarmente dire che il legislatore utilizza l’espressione impianto in una accezione più generica ed estensiva di quanto non accada normalmente nel nostro ambito professionale. La si ricava dalla seguente definizione di dispositivo impiantabile:
qualsiasi dispositivo, compresi quelli che sono parzialmente o interamente assorbiti, destinato a essere impiantato totalmente nel corpo umano, oppure sostituire una superficie epiteliale o la superficie oculare, mediante intervento clinico e a rimanere in tale sede dopo l’intervento. È considerato un dispositivo impiantabile anche qualsiasi dispositivo destinato a essere introdotto parzialmente nel corpo umano mediante intervento clinico e a rimanere in tale sede dopo l’intervento per un periodo di almeno 30 giorni.
Poichè questa definizione sarebbe pertinente anche per un impianto odontoiatrico, egli esclude esplicitamente tale ipotesi scrivendo:
i seguenti impianti sono esentati dagli obblighi di cui al presente articolo: materiali di sutura, graffette, materiali di otturazione dentale, apparecchi ortodontici, corone dentali, viti, cunei, placche e protesi, fili, chiodi, clip e connettori.
Dobbiamo pertanto considerarci esclusi da tale obbligo se non per quanto previsto dalla nostra diligenza professionale e suggerito dai nostri modelli organizzativi di qualità. A questo proposito giova ricordare che le eventuali raccomandazione ministeriali nazionali circa l’obbligo del passaporto implantare decadono per effetto dominante del Regolamento UE 2017/745, che è considerato fonte giuridica di rango superiore dallo stesso Ministero della Salute nella Circolare del 12 novembre 2021.
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Ad alcuni dispositivi medici sono riconosciute caratteristiche particolari che li distinguono da tutti gli altri. Un caso è quello dei dispositivi medici su misura.
Una definizione precisa dei dispositivi su misura viene data dal legislatore come di seguito:
qualsiasi dispositivo fabbricato appositamente sulla base di una prescrizione scritta di qualsiasi persona autorizzata dal diritto nazionale in virtù della sua qualifica professionale, che indichi, sotto la responsabilità di tale persona, le caratteristiche specifiche di progettazione, e che è destinato a essere utilizzato solo per un determinato paziente esclusivamente al fine di rispondere alle sue condizioni ed esigenze individuali.
Il tema è rilevante per un dentista, non tanto per le ricadute in termini di manufatti in office, per i quali abbiamo già descritto come addirittura non siano affatto dispositivi medici in senso stretto; quanto piuttosto per le lavorazioni effettuate presso laboratori esterni, tutte conseguenti ad un atto prescrittivo da parte del dentista o dell’ortodontista.
Si danno allora due casi distinti:
Per quanto la distinzione non è certo in cima ai nostri pensieri in termini di responsabilità, è comunque interessante per le ricadute che ha con riferimento all’imposta sul valore aggiunto che dobbiamo pagare o autoliquidare sulle fatture dei fabbricanti.
Proviamo dunque a capire leggendo sempre un passaggio del legislatore:
I dispositivi fabbricati in serie che devono essere adattati per soddisfare le esigenze specifiche di un utilizzatore professionale e i dispositivi che sono fabbricati in serie mediante processi di fabbricazione industriale conformemente alle prescrizioni scritte di qualsiasi persona autorizzata non sono tuttavia considerati dispositivi su misura.
In buona sostanza, portiamo un esempio che ci aiuti a capire. Se consideriamo il caso degli allineatori ortodontici, possono darsi tre casi distinti anche in presenza di un output identico e dello stesso quadro clinico:
Ragionamenti del tutto analoghi, se non identici, potrebbero essere fatti in ambito protesico confrontando, per esempio, un elemento protesico realizzato in office con workflow digitali e fresatori, lo stesso manufatto commissionato ad un laboratorio odontotecnico e lo stesso manufatto commissionato ad un centro di fresaggio industriale.
Alla luce di quanto esposto nel presente articolo ci sentiamo di trarre le seguenti conclusioni:
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