Chi misura la gestione non gestisce: e tuttavia impara sempre qualcosa misurando. Quando si viene chiamati da Voi in consulenza per valutare una trasformazione in srl, […]
Quando si viene chiamati da Voi in consulenza per valutare una trasformazione in srl, la prima cosa che si fa è quella di chiederVi di inviarci alcuni dati che analizziamo attentamente.
Non lo facciamo per rubare il cliente al suo commercialista o per mettere in discussione l’operato di quel professionista, ma solo perché l’analisi dei prospetti costi ricavi analitici e delle dichiarazioni dei redditi ci dicono molte cose che a noi interessano e che dovrebbe interessare anche Voi, a prescindere se la trasformazione apparirà poi opportuna o meno.
Se questi dati vengono poi integrati da altre informazioni (compensi degli operatori, percentuale della produzione del titolare e di quella dei collaboratori rispetto alla produzione totale etc.), ecco che si può giungere ad una fotografia abbastanza attendibile della qualità della gestione e della salute dello studio.
Salute e qualità che se non ci sono andrebbero ricercate e realizzate a prescindere e prima di effettuare la trasformazione.
Se esiste un problema in questo senso, la srl potrà solo peggiorare la situazione e di sicuro non costituisce la soluzione al problema.
Ci siamo andati vicini molte volte, guardando la questione da vari punti di vista. Che appare di non immediata lettura per il fatto che nello studio del titolare i compensi di quest’ultimo non sono costi deducibili e non appaiono come compensi dei collaboratori come tutti quelli degli altri, ma confluiscono nell’avanzo della gestione, all’interno del quale, evidentemente, la componente relativa al compenso titolare è – o dovrebbe essere – confusa con l’utile dello studio vero e proprio, e cioè con la componente che dovrebbe remunerare il rischio corso dal professionista-imprenditore e del capitale che ha investito.
Ora, capita spesso di vedere che tale avanzo basta a malapena a remunerare il compenso per le prestazioni professionali del titolare, se valutato a percentuali del fatturato simili a quelle che vengono riconosciute agli altri collaboratori.
In alcuni casi, ciò avviene perché esistono evidenti squilibri: la percentuale riconosciuta ai collaboratori è troppo alta, oppure è troppa alta la parte di produzione dello studio che il titolare lascia fare a loro, o entrambe le cose.
In altri esistono costi fissi troppo elevati in proporzione ai volumi di produzione dello studio, il che – e a maggior ragione in presenza di variabili vicini al 80% del pagato paziente – allontana il punto di pareggio in misura sensibile e rende l’equilibrio economico e finanziario assai fragile e difficile da mantenere nel tempo.
Uno studio che paga i propri collaboratori intorno al 50% del pagato paziente e che ha costi fissi annui pari a 150.000 euro, ha costi variabili totali vicini al 70% del pagato paziente e per andare a pareggio deve fatturare almeno 500.000 euro.
Ripeto, per andare a pareggio, non per guadagnare.
Naturalmente, tutto ciò ipotizzando che anche al titolare venga riconosciuta la stessa percentuale degli altri collaboratori. Portare la percentuale del titolare stesso al 25% e/o spostare l’80% della produzione su di lui può apparire come una buona soluzione solo sulla carta.
Nel tempo un titolare tenderà a riservarsi una parte crescente delle proprie giornate nel coordinamento delle terapie ad opera di altre mani e se ha abituato i propri collaboratori a queste percentuali, non potrà farlo senza farsi male.
E’ facile dimostrare che in odontoiatria le percentuali fisiologiche di remunerazione dei collaboratori e del titolare stesso non possono superare il 35% del pagato paziente.
Il che significa costi variabili totali intorno al 60%.
Con 150.000 euro di costi fissi, il punto di pareggio in questo caso scende a ca 390.000 e la struttura è meno fragile.
Tutto questo naturalmente ipotizzando la mancanza di sprechi abnormi, rifacimenti dei lavori frequenti etc.
Con questi riferimenti è per noi abbastanza semplice valutare i numeri che ci fornite e farci un’idea di prima approssimazione sulla qualità della vostra gestione e della sua affidabilità nel tempo.
Provo a metterla giù facile.
Se gli altri collaboratori prendono una percentuale calcolata in misura fisiologica per le proprie prestazioni, l’imponibile deve contenere la remunerazione del lavoro del titolare in proporzione alla sua produzione, calcolata alla stessa percentuale degli altri collaboratori, più un sovrappiù che permetta di remunerare anche l’investimento e il rischio corso dal titolare nello studio.
Se non è questo il caso, occorre fermarsi e ragionare e di sicuro non sarà la srl a risolvere il problema.
Se invece la situazione reale è vicina a quella ipotizzata, è chiaro che con la srl anche i compensi del titolare potranno essere evidenziati come tali come tutti gli altri e il titolare potrà ben decidere di prendere meno degli altri collaboratori al solo ed evidente fine di accantonare utili in misura superiore al normale e cioè accantonando anche parte della propria remunerazione professionale tra gli utili non distribuiti per mitigare il proprio carico fiscale.
MA questo è altro discorso e non sposta di una virgola il ragionamento di cui sopra.
Non si possono pagare in uno studio odontoiatrico i collaboratori al 50% o al 60% perché non è compatibile con i conti e i costi nell’attuale contesto competitivo.
Possono maledirmi quando vogliono i collaboratori che ancora riescono a convincervi del contrario; la storia non cambia.
Aprissero un proprio studio e ci arriveranno prima o poi anche loro a questa conclusione. Il fatto è che, come accade in altri contesti, sono proprio coloro che lo studio non lo hanno mai aperto e gestito a sproloquiare e pretendere di insegnare a chi lo gestisce su come debba essere gestito, anche perché così è molto più facile e non si rischia nulla.
Lasciateli pure parlare e pensate alla sicurezza economica del Vostro studio.
Pietro Paolo Mastinu
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