La principale differenza, ai fini fiscali, che viene effettuata in merito alle spese di marketing è quella tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità. Spese […]
La principale differenza, ai fini fiscali, che viene effettuata in merito alle spese di marketing è quella tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità.
Le stesse sono interamente deducibili dal reddito di lavoro autonomo purché siano inerenti e cioè purché non riguardino attività legate alla promozione della persona fisica del professionista, ma la sua attività tipica e cioè quella odontoiatrica e professionale.
Tali spese sono configurate come tali – e per converso interamente deducibili – quando hanno come scopo quello di aumentare i ricavi in misura diretta e anche potenziale: cosa che attiene alla pubblicizzazione del servizio globalmente inteso, o a singoli servizi effettivamente prestati dietro corrispettivo.
Una volta verificata l’esistenza del requisito dell’inerenza, della effettività e della documentabilità, la Giurisprudenza ha ormai considerato tali spese pubblicitarie quali interamente deducibili, non riconoscendo dall’AdE la possibilità di contestarne il peso rispetto al monte compensi del professionista (requisito della congruenza).
Quindi, possiamo considerare come interamente deducibili le spese per campagne marketing mirate, effettuate in tutte le forme disponibili, e che si prefiggono come obiettivo quello di aumentare i ricavi del professionista, promozionando singoli servizi o il servizio reso in generale. E questo anche quando attuate in qualunque forma e con qualunque mezzo (pubblicità su canali tradizionali e via web).
Considerazione di simile tenore valgono per le spese di consulenza con oggetto il marketing.
Non a caso, la Cassazione ha più volte dato ragione dall’AdE quando ha contestato fatture con diciture generiche, spesso utilizzate al fine di dribblare il requisito dell’inerenza ai fini della deducibilità.
E’ chiaro che se la consulenza si prefigge di fornire metodi e strumenti per sviluppare la pazientela e i compensi, tale consulenza rientra a pieno titolo nelle spese di pubblicità. Ma se invece si prefigge unicamente come scopo quello di implementare la generica notorietà e reputazione del professionista, e il suo costo venisse interamente dedotto dal professionista stesso come una spesa pubblicitaria, l’AdE avrebbe titolo per contestarla.
Ne deriva che una fattura per consulenza e produzione di un sito internet statico, il classico sito vetrina in cui non vengono mai inseriti aggiornamenti e che presenta una generica rappresentazione dell’attività del professionista, in mancanza di aggiornamenti e campagne mirate sul sito stesso, non sarebbe interamente deducibile e finirebbe per rientrare nell’ambito di una spesa per rappresentanza.
Le spese di rappresentanza, infatti, sono tutte quelle spese che non si prefiggono di aumentare in misura diretta i compensi di un servizio e di più servizi offerti dal professionista, ma più in generale di promozionare l’immagine e la conoscibilità del professionista.
A differenza delle prime, non sono interamente deducibili e non permettono la detraibilità dell’iva pagata sulla fattura, ma sono sottoposte a precisi limiti, che sono stati in parte mitigati dal Jobs act autonomi e dal bonus pubblicità, valido anche per il 2019.
Intanto va subito specificato che la distinzione tra spese di pubblicità e quelle di rappresentanza è tutt’altro che agevole e immediata.
Pensiamo, ad esempio, al solito sito web.
Poiché nel nostro ambito tale sito ben difficilmente può andare oltre al modello di sito vetrina e comunque non potrà mai diventare uno sito di e-commerce, appare evidente che tale strumento rientra quasi sempre nell’ambito di una spesa di rappresentanza e non di pubblicità tutte le volte che si limita, con modalità statiche e senza aggiornamenti di pagina a presentare genericamente il professionista e la sua attività, a meno che in tale sito non sia prevalente una componente fortemente orientata alla vendita del servizio e alla produzione di ricavi, almeno potenziali.
Un sito che si limita a presentare il curriculum del professionista, con poche altre informazioni generiche, sarà certamente messo in discussione dall’Ade, nel caso in cui il suo costo fosse interamente dedotto come spesa di pubblicità.
Il che significa, nella pratica operatività delle scelte di investimento compiute in questo senso, che un sito dinamico e a carattere promozionale, anche quando costruito per fornire informazioni sui servizi, finalizzate a conquistare nuovi pazienti e non su generici messaggi di stampo puramente commerciale e poco deontologico, costa magari il doppio o più di un sito vetrina statico, ma in ultima analisi costa di meno, in considerazione del fatto che il suo costo è interamente deducibile a differenza che nel sito del primo tipo.
E tale convenienza aumenta tanto è più alta l’aliquota marginale IRPEF cui è sottoposto il professionista in diretta relazione alla sua fascia di reddito.
Se poi si riflette sul fatto che il sito internet è ormai considerato dai pazienti potenziali come strumento di conferma persino in chiave di passaparola, abbiamo una ulteriore e definitiva conferma della necessità di costruirlo in maniera articolata ed efficace oltre che esteticamente gradevole e agevolmente fruibile ( sia per chi si collega da fisso che da mobile ).
Potranno comunque considerarsi quali spese di pubblicità le campagne google adwords per promozionare landing page o singole iniziative e ben precisi servizi, offerti per periodi di tempo determinato.
Va poi specificato che l’AdE ha individuato alcuni elementi che considera certamente come appartenenti all’ambito delle spese di rappresentanza, e persino individuato una casistica precisa di spese da considerare sempre di rappresentanza.
Come criterio generale, l’AdE considera come tali tutte le iniziative utilizzate per mantenere e diffondere l’immagine aziendale e la reputazione del professionista, in particolare quando non esiste una chiara e netta correlazione con un ricavo materiale, certo o potenziale.
In particolare, una spesa deve avere una caratteristica fondamentale per rientrare tra quelle di rappresentanza: la sua natura gratuita o la mancanza di un corrispettivo pagato dalla controparte per accedere ai servizi del professionista.
Nello specifico, la Risoluzione n. 27/E del 12 marzo 2014, considera rientranti nelle spese di rappresentanza: spese per viaggi turistici a scopo promozionale; spese per feste, per ricevimenti e banchetti, per inaugurazioni ed eventi e altre spese per la distribuzione gratuita di beni e servizi (gadget in fiere e convegni).
Una volta appurato come considerare tali spese, dobbiamo dire qualcosa sulle regole per la deducibilità fiscale di tale categoria di spesa per il professionista.
La regola è stata resa più favorevole a quest’ultimo dall’entrata in vigore del Jobs Act autonomi, che ha stabilito che per il professionista tali spese siano deducibili non più al 75% ma al 100%, sia pur nel limite originario previsto dalla Normativa Fiscale, che è quello dell’1% del monte compensi annuo del professionista.
Un professionista che emette fatture per 300.000 euro, potrà quindi al massimo dedurre un totale di spese per rappresentanza pari a 3.000 euro. Ben poca cosa.
possiamo certamente dire che l’Ordinamento tributario non vede di buon occhio le spese di marketing che non siano specificatamente orientate al prodotto o al servizio o comunque fa davvero molto poco per favorire investimenti utili a migliorare il posizionamento del brand come la conoscibilità del professionista da parte del pubblico di potenziali fruitori dei suoi servizi.
Quel poco che ultimamente sta concedendo, potrebbe tuttavia essere sfruttato al meglio, con le opportune conoscenze delle misure di cui abbiamo parlato.
Se dovete fare pubblicità di brand, cercate di farlo con i mezzi che accedono alle facilitazioni nella misura più alta possibile e compatibile con le vostre linee strategiche.
Pietro Paolo Mastinu
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