Presentiamo una disamina della situazione normativa attuale in tema di pubblicità sanitaria che espone l’odontoiatra al rischio di sanzioni da parte della commissione disciplinare del proprio ordine. Tra deregolamentazione selvaggia, strategie commerciali applicate alla salute, interessi contrapposti tra soggetti diversi, guerriglie istituzionali tra organismi dello stato, ambiguità dei riferimenti normativi, iperrealismo e ipermetropia dei giudicanti, un dentista non sa più che comportamenti tenere per stare sul mercato in modo competitivo.
Sono passati pochi mesi dalla pubblicazione della Legge di Bilancio 2019 (Legge 30/12/2018, n. 145) e la commissione disciplinare di un Ordine ha già colpito: è così che i timori espressi da più parti si sono puntualmente materializzati.
Anche su questo blog ci siamo dedicati al tema della pubblicità odontoiatrica esprimendo una certa soddisfazione per il senso generale della legge in questione ma sospendendo il giudizio riguardo ai modi con cui il nuovo indirizzo è stato intrapreso.
Oggi stanno accadendo fatti nuovi che ci obbligano a non rinviare ulteriormente la riflessione sul tema della pubblicità in odontoiatria, se è vero che le componenti soggettive e discrezionali contenute in quella legge vengono utilizzate in modo strumentale da una commissione disciplinare per fare giustizia politica e sommaria verso i propri competitors.
Prenderò dunque spunto da questi eventi di cronaca per approfondire nel particolare ogni aspetto della questione.
Ci interessa capire se una sospensione dall’Albo inflitta dalla Commissione Disciplinare dell’Ordine ed i relativi addebiti abbiano basi solide oppure no.
La commissione disciplinare in questione ha addotto due tipologie di ragioni:
Diamo, come sempre, uno sguardo alla normativa corrente per vedere insieme cosa prescrive.
Nel corso degli anni sono stati tanti gli interventi del legislatore sulla pubblicità sanitaria. Parimenti è stata intensa l’attività della Commissione Disciplinare di vari Ordini. Le due strade si sono variamente incrociate tra loro generando anche pronunciamenti, interpretazioni, sentenze e circolari da parte di numerosi organismi coinvolti.
Crediamo dunque che sia importante per il lettore di questo blog conoscere l’iter completo che ha portato alla normativa attuale e, conseguentemente, all’intervento della commissione disciplinare.
Come noto, è del 1992 il primo tentativo serio del legislatore di arginare il fenomeno dilagante dell’abusivismo. Ciò avviene grazie alla emanazione della Legge 175/1992, (Norme in materia di pubblicità sanitaria e di repressione dell’esercizio abusivo delle professioni sanitarie).
Alla data della sua pubblicazione la Legge conteneva solo 10 articoli. Un articolo supplementare (precisamente il 9-bis) fu inserito solo con la Legge 42/1999, ben sette anni dopo (Disposizioni in materia di professioni sanitarie). Altri articoli furono aggiornati e modificati sempre in quella occasione.
Di particolare rilievo era l’art. 1 che prescriveva letteralmente:
La pubblicità concernente l’esercizio delle professioni sanitarie e delle professioni sanitarie ausiliarie previste e regolamentate dalle leggi vigenti è consentita soltanto mediante targhe apposte sull’edificio in cui si svolge l’attività professionale, nonché mediante inserzioni sugli elenchi telefonici.
L’art. 9-bis, oggi al centro dei favori della commissione disciplinare ordinistica affermava che:
Gli esercenti le professioni sanitarie […] nonché le strutture sanitarie […] possono effettuare la pubblicità nelle forme consentite dalla presente legge e nel limite di spesa del 5 per cento del reddito dichiarato per l’anno precedente.
Un passaggio storico si ebbe con la cosiddetta Legge Bersani (Legge 248/2006) “recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale”. E’ con questa Legge infatti che viene per la prima volta esplicitamente abrogato il divieto alla pubblicità in ambito sanitario da parte dei professionisti.
Di fatto la spinta liberista di questa legge non limitava più l’ambito pubblicitario alla sola esposizione di una targa fuori dallo studio, come la precedente. Di nostro interesse è l’art. 2 (Disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore dei servizi professionali).
In questo articolo si prescrive quanto segue:
“In conformità al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonché al fine di assicurare agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali […] il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dall’ordine.”
Sembrerebbe che l’abolizione delle disposizioni legislative precedenti sia stata affermata in modo abbastanza esplicito (vd. grassetto precedente). Da tale data dunque la Legge 175/92 risulta abrogata e con essa viene abrogato anche l’articolo 9-bis sulla limitazione del budget ammesso per spese pubblicitarie.
Sul punto torneremo comunque più avanti, perchè pare che la commissione disciplinare dell’Ordine non ne abbia tenuto conto adducendo alcune argomentazioni per noi incomprensibili.
L’orientamento della Legge Bersani, in tempi ancor più recenti, fu poi ulteriormente rafforzato dal D.P.R. 137/2012, che all’art. 4 (Libera concorrenza e pubblicità informativa) prevede quanto segue:
- E’ ammessa con ogni mezzo la pubblicità informativa avente ad oggetto l’attività delle professioni regolamentate, le specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla professione, la struttura dello studio professionale e i compensi richiesti per le prestazioni.
- La pubblicità informativa di cui al comma 1 dev’essere funzionale all’oggetto, veritiera e corretta, non deve violare l’obbligo del segreto professionale e non dev’essere equivoca, ingannevole o denigratoria.
- La violazione della disposizione di cui al comma 2 costituisce illecito disciplinare, oltre a integrare una violazione delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 6 settembre 2005, n. 206, e 2 agosto 2007, n. 145.
Oltre a tutto ciò, sparisce ogni riferimento ai limiti di spesa del 5% del reddito per le spese pubblicitarie. E’ logico pensare che se il legislatore avesse voluto reintrodurre la previsione di una legge abrogata ne avrebbe fatto specifica menzione nel nuovo testo.
Di recente, come detto in apertura, il legislatore è tornato sulla questione pubblicitaria nel contesto della Legge di Bilancio 2019 dove, all’art. 1, comma 525, si prescrive quanto segue:
Le comunicazioni informative da parte delle strutture sanitarie private di cura e degli iscritti agli albi degli Ordini delle professioni sanitarie […] possono contenere unicamente le informazioni […] funzionali a garantire la sicurezza dei trattamenti sanitari, escluso qualsiasi elemento di carattere promozionale o suggestivo, nel rispetto della libera e consapevole determinazione del paziente, a tutela della salute pubblica, della dignità della persona e del suo diritto a una corretta informazione sanitaria.
Anche in questo caso, riformando per l’ennesima volta le norme sulla pubblicità sanitaria, non si fa alcun riferimento all’art. 9-bis della Legge 175/92 oramai ampiamente decaduto. Considerata la volontà palesemente restrittiva della Legge sarebbe stato fisiologico reinserire un tetto di spesa se anche questa volontà ci fosse stata. Invece nessun riferimento al 5%.
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Di pari passo con l’evoluzione normativa, anche gli Ordini professionali sono stati costretti a modificare il Codice deontologico, soprattutto nei passaggi relativi alla pubblicità sanitaria.
In particolare, a seguito di alcuni pronunciamenti importanti quali:
la FNOMCeO ha emanato una versione aggiornata del Codice Deontologico nel 2014, salvo poi dover intervenire già nel 2016 per aggiustare, in ordine cronologico, a Maggio l’articolo 56 e a Dicembre l’articolo 54.
Potremmo definire un percorso tormentato quello che ci porta alla versione finale, che di seguito riproduciamo fedelmente:
Art. 55. Informazione sanitaria
Il medico promuove e attua un’informazione sanitaria accessibile, trasparente, rigorosa e prudente, fondata sulle conoscenze scientifiche acquisite e non divulga notizie che alimentino aspettative o timori infondati o, in ogni caso, idonee a determinare un pregiudizio dell’interesse generale.
Il medico, nel collaborare con le istituzioni pubbliche o con i soggetti privati nell’attività di informazione sanitaria e di educazione alla salute, evita la pubblicità diretta o indiretta della propria attività professionale o la promozione delle proprie prestazioni.Art. 56. Pubblicità informativa sanitaria
La pubblicità informativa sanitaria del medico e delle strutture sanitarie pubbliche o private, nel perseguire il fine di una scelta libera e consapevole dei servizi professionali, ha per oggetto esclusivamente i titoli professionali e le specializzazioni, l’attività professionale, le caratteristiche del servizio offerto e l’onorario relativo alle prestazioni.
La pubblicità informativa sanitaria, con qualunque mezzo diffusa, rispetta nelle forme e nei contenuti i principi propri della professione medica, dovendo sempre essere veritiera, corretta e funzionale all’oggetto dell’informazione, mai equivoca, ingannevole e denigratoria.
È consentita la pubblicità sanitaria comparativa delle prestazioni mediche e odontoiatriche solo in presenza di indicatori clinici misurabili, certi e condivisi dalla comunità scientifica che ne consentano confronto non ingannevole.
Il medico non diffonde notizie su avanzamenti nella ricerca biomedica e su innovazioni in campo sanitario non ancora validate e accreditate dal punto di vista scientifico, in particolare se tali da alimentare attese infondate e speranze illusorie.
Spetta all’Ordine professionale competente per territorio la potestà di verificare la rispondenza della pubblicità informativa sanitaria alle regole deontologiche del presente Codice e prendere i necessari provvedimenti.
Anche in questo caso, non ricorre alcun riferimento al limite oggettivo del 5% sul reddito introdotto dalla Legge 175/92 e poi decaduto con la pubblicazione della Legge Bersani. Nè avrebbe potuto esserci.
Per chi volesse approfondire l'orientamento giurisprudenziale europeo sul tema della pubblicità sanitaria rinviamo all'apposito articolo.
Il feeling tra AGCM da una parte e FNOMCeO, Ordini professionali e relativa Commissione disciplinare dall’altra, è sempre stato molto debole, come è giusto che sia tra organismi che tendono a tutelare interessi contrapposti. L’equilibrio precario si rompe definitivamente in occasione del Provvedimento n. 25078/2014 sopra citato con il quale AGCM irrogava sanzioni a FNOMCeO.
Non bisogna dunque sorprendersi se, il 19 Marzo 2019, AGCM pubblica sul proprio Bollettino la nota AS1574. Con questo documento AGCM interviene a commento della ennesima e pasticciata norma sulla pubblicità sanitaria contenuta nella Legge di Bilancio 2019 già citata.
L’Autorità si esprime con queste parole:
L’Autorità ritiene che la disciplina di cui all’articolo 1, comma 525, della legge di Bilancio 2019 reintroduca ingiustificate limitazioni all’utilizzo della pubblicità nel settore delle professioni sanitarie, rimosse dai richiamati interventi di liberalizzazione, e non risulti necessaria, né proporzionata all’interesse generale di tutelare la sicurezza del consumatore.
Vale la pena di leggere anche il passaggio successivo.
Prescrivere che il contenuto legittimo di una “comunicazione informativa”, avente ad oggetto i titoli, le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto e il prezzo delle prestazioni, debba altresì “garantire la sicurezza dei trattamenti sanitari” introduce un parametro di valutazione delle comunicazioni talmente vago e indeterminato da generare incertezza circa la legittimità della comunicazione stessa da parte dei professionisti.
La conclusione ci porta diritti al timore espresso in apertura di questo articolo ed ai fatti di cronaca che si sono poi realmente verificati, come previsto dall’AGCM:
In particolare, il citato concetto indeterminato potrebbe essere utilizzato strumentalmente da parte degli ordini professionali per reintrodurre restrizioni alla concorrenza anche in violazione della legge n. 248/2006 (c.d. riforma Bersani).
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Una volta esaurito il panorama storico della pubblicità in ambito sanitario, tra leggi, decreti, interpretazioni autentiche, sentenze del TAR, interventi dell’AGCM, condanne della Fnomceo poi archiviate per prescrizione dei termini, siamo pronti per commentare la vicenda di cronaca nella quale un direttore sanitario è stato sospeso per questioni legate alla pubblicità sanitaria in ambito odontoiatrico.
Dopo aver letto tutti i documenti ufficiali della vicenda e volendo assumere quanto più possibile una prospettiva imparziale possiamo fare due considerazioni di massima:
Affrontiamoli uno per volta.
Una prima metà degli addebiti che hanno dato luogo alla sospensione del collega riguarda temi dominati dalla discrezionalità e soggettività del giudicante.
Come lamentato anche nelle sedi istituzionali (Vd. AGCM), per esempio, i concetti di suggestivo e promozionale sono ambigui, incerti e soprattutto si prestano a manipolazioni o, peggio, strumentalizzazioni di circostanza.
Lo stesso vale per il concetto di decoro o di denigratorio.
Proviamo a fare un esempio pratico, tanto per capirci.
Se un dentista affermasse pubblicamente che in alcune tipologie di prestazioni è raccomandato l’impiego della diga di gomma (o di una radiografia o di una tac, tanto per fare degli esempi), tale intervento deve essere considerato:
Io sono certo che se qualcuno volesse applicare in modo coercitivo, punitivo o strumentale le disposizioni normative correnti, sarebbe in grado di incolpare quell’odontoiatra e condannarlo per ciò che ha fatto, o per qualunque cosa dica in un qualsiasi messaggio informativo.
Si potrebbe infatti sostenere che:
I margini di discrezionalità del giudicante sono così ampi che qualsiasi affermazione di principio o di prassi potrebbe essere distorta e convertita al concetto di suggestivo, promozionale, indecoroso, comparativo o denigratorio.
La situazione si aggrava in presenza di tre circostanze aberranti cui il legislatore credo non abbia pensato:
Con questo non vogliamo sostenere la tesi che non vi siano veramente sul terreno di gioco comportamenti scorretti da parte di chi fa pubblicità. Ma non si può negare che l’aleatorietà dei parametri di giudizio, unita ad un conflitto di interessi grottesco da parte del giudicante/concorrente (la commissione disciplinare), apra orizzonti di giustizialismo di stampo personalistico degni del far west.
Ora, per definizione, quello che è successo tra la commissione disciplinare e l’odontoiatra in questione deve essere misurato con un metro soggettivo e, probabilmente, se cento di noi leggessero gli atti dell’inchiesta della commissione disciplinare, avremmo cento opinioni diverse su quello che è accaduto.
Questo basta e avanza per avere molti dubbi sulla legittimità della sospensione comminata.
Quando dai giudizi di valore passiamo a quelli sul merito i numeri e le parole precise ci danno una mano. Poichè la materia oggettiva è più facilmente trattabile, in questo caso gli eventuali errori commessi risulterebbero perciò più gravi.
I giudicanti/concorrenti hanno addebitato ad un incolpato/concorrente di aver violato l’art. 9-bis della Legge 175/92 che, come anticipato prescrive un tetto del 5% sul reddito per le risorse da investire in attività pubblicitaria.
Gli aspetti da prendere in considerazione sono diversi e lo faremo con ordine.
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Prima questione da affrontare è se la Legge Volponi sia ancora cogente oppure no. Questo tema meriterebbe competenze superiori alle nostre e ci rimettiamo dunque agli esperti del diritto, non prima di aver rimarcato che la Legge Bersani n. 248 del 2006 ha completamente riformato la disciplina della pubblicità sanitaria, sostituendosi di fatto alle normative restrittive precedenti, ivi compresa la Legge 175/1992 con successive modifiche e integrazioni che sono avvenute al più tardi nel 1999 (quindi molto tempo prima della Bersani).
A stabilire questo sono fonti più che autorevoli:
Essendo stata abrogata tutta la Legge è evidente che è stato abrogato anche l’art. 9.bis che la commissione disciplinare tiene artificialmente in vita nel procedimento contro l’incolpato/concorrente.
Ora ci poniamo alcune domande: è possibile che l’Ordine provinciale in questione non abbia ricevuto queste comunicazioni? E’ possibile che le abbia ricevute ma non le abbia recepite? E’ possibile che le abbia recepite ma faccia eccezione, per qualche ragione a noi non nota, in questo specifico caso?
A seconda delle risposte rischieremmo di tornare, in modo pericoloso, nell’ambito del discrezionale, ma sarebbe troppo grave. Deve per forza esserci qualche altra motivazione che ci sfugge.
Nella denegata ipotesi che la commissione disciplinare giudicante abbia deliberatamente ignorato l’abrogazione della Legge 175/92, avrebbe dovuto considerare il perimetro all’interno del quale la propria azione debba essere considerata legittima. Vediamo di cosa si tratta.
Negli atti della Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie (CCEPS) del Massimario 2015, si circoscrive e si definisce il residuo potere di controllo degli ordini professionali nei confronti degli iscritti, alla luce dei cambiamenti normativi intercorsi. Si legge così testualmente:
A seguito delle note modificazioni intervenute nell’ordinamento, gli Ordini e i Collegi, nell’ambito dei procedimenti disciplinari in materia di pubblicità sanitaria, devono attenersi ai principi enunciati dalla Suprema Corte di Cassazione, circoscrivendo la propria indagine al contenuto del messaggio pubblicitario e ponendolo a confronto con i principi deontologici che sorreggono l’attività medica.
Ora altre domande affiorano: se la CCEPS circoscrive l’ambito di indagine degli ordini professionali al contenuto del messaggio pubblicitario, perchè la commissione disciplinare estende la propria indagine alle questioni economiche della società per la quale l’incolpato/concorrente svolge attività di direttore sanitario? Perchè non disponendo dei dati numerici specifici allarga in modo discrezionale la valutazione economica attraverso indicatori comparativi (peraltro) induttivi (costi analoghi di Andi) che nulla hanno a che fare con l’attività economica della società per la quale l’incolpato/concorrente presta servizio?
Qui si tratterebbe di una indagine la cui legittimità è decaduta per legge, su contenuti che esorbitano le competenze specifiche dell’organismo di vigilanza e con modalità inquisitorie di tipo presuntivo. Le conclusioni di questa indagine hanno poi contribuito a determinare le sanzioni che la commissione disciplinare ha inflitto all’incolpato/concorrente.
Tutto molto strano. Siamo certi che tutto questo avrà ragioni che non si evincono dai documenti ufficiali e che esulano dalla nostra possibilità di comprensione. Ma una cosa è certa: se questo metodo fosse elevato a sistema, lo stato di diritto dei professionisti sanitari ne risentirebbe parecchio. Nessun odontoiatra da oggi può sentirsi più al sicuro.
Ma non è tutto. Facciamo seguire altre considerazioni in ordine sparso. Ancora una volta, nella denegata ipotesi che la commissione disciplinare avesse deliberatamente ignorato quanto precede, ognuna delle considerazioni che segue sarebbe sufficiente a far decadere una sanzione disciplinare per mancato rispetto del tetto di spesa del 5%.
Il direttore sanitario è una figura completamente svincolata dalle logiche economiche (o peggio di profitto) della struttura sanitaria per la quale opera. Il suo ruolo di garanzia è anzi esplicitamente ancorato alla sua estraneità ai bilanci dell’impresa.
Non deve stupire che nel corso dell’inchiesta della commissione disciplinare il direttore sanitario incolpato di questo addebito specifico non abbia saputo rispondere a domande relative ai redditi della società.
Le politiche di gestione e di spesa di una Srl odontoiatrica sono in capo esclusivamente all’amministratore della società, pertanto: né l’amministratore è tenuto a dare informazioni al Direttore Sanitario delle spese che sostiene, né (tanto meno) il Direttore Sanitario deve interessarsi a ciò o ha titolo per farlo.
Il Direttore Sanitario non può essere ritenuto responsabile di ciò che per legge non è tenuto né autorizzato a sapere. Se questo non vale per i contenuti di una pubblicità sanitaria, vale invece per i budget di spesa stabiliti dall’organo amministrativo, il quale potrebbe fare investimenti di marketing anche all’insaputa del Direttore Sanitario e del pubblico stesso.
In considerazione di quanto detto, se proprio qualcuno avesse commesso un illecito, tale addebito avrebbe dovuto essere a carico della Società e del suo Management, non certo a carico del Direttore Sanitario. In effetti il testo della Legge 175/92 (per quanto abrogata) non dice in alcun passaggio che sia il Direttore Sanitario il responsabile o che sia egli, e non l’Amministratore, a dover rispondere davanti agli inquirenti.
Leggendo la fantasiosa e rocambolesca ricostruzione del budget fatta dalla commissione disciplinare, viene poi il sospetto che non si capisca la differenza tra pubblicità e marketing. Il processo di marketing di una impresa è un insieme molto più complesso ed articolato di attività rispetto alla semplice e banale pubblicità svolta dalla stessa. Infatti quest’ultima era stata assoggettata ai limiti del 5% ma il primo no, perfino nella legge abrogata.
La commissione disciplinare non solo non è mai stata in grado di determinare il reale volume di spesa dell’incolpato/concorrente (come esplicitamente ammesso nella stessa delibera di sospensione), ma non è stata mai in grado neppure di distinguere tra importi spesi per pubblicità e quelli spesi per il marketing.
La commissione disciplinare dunque:
Attenzione: avviso a tutti i professionisti.
Se questa vicenda non dovesse avere un epilogo diverso dalla sospensione di un direttore sanitario (che di certo non può aver commesso il fatto, per quanto immaginario), nessuno potrà più sentirsi al sicuro.
Oggi è toccato ad un dentista qualsiasi, domani potrebbe toccare a voi. Tanto più alta è la competizione nella vostra provincia tanto più il rischio sarà elevato.
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