Nel tentativo disperato di accreditare la Stp Odontoiatrica come modello ideale per la gestione dello studio dentistico, qualcuno ha proposto di aggirare alcune norme che ne regolamentano l’esercizio. In particolare la norma più stringente (tra le tante altre) è relativa ad ausiliari e sostituti, nella parte in cui si fa espresso divieto per le Stp di avvalersi genericamente di collaboratori e consulenti esterni per l’esecuzione di prestazioni professionali. In questo articolo ripercorriamo il profilo normativo delle Stp partendo dal codice civile per finire con i decreti attuativi del 2013, con la speranza che non siano i colleghi a pagare il prezzo della speculazione politica e sindacale in atto nel nostro Paese per ostacolare la Srl Odontoiatrica.
La questione StP ha fatto emergere, nel nostro settore, la necessità di chiarire cosa si intenda per Ausiliari e Sostituti nello studio odontoiatrico, ancora più di quanto non sia utile fare nella sanità in genere o addirittura al di fuori dell’ambito sanitario.
In questo Blog abbiamo dedicato molta attenzione al tema del collaboratore e del consulente in odontoiatria e in ortodonzia. Essi infatti rappresentano una quota importante (forse la maggioranza) dei professionisti in circolazione nel nostro Paese.
Ci riferiamo, in generale, a tutti gli odontoiatri (ma anche altri professionisti, come l’Igienista Dentale) che, pur in possesso di abilitazione all’esercizio, non possiedono uno studio proprio all’interno del quale esercitare. Questi professionisti operano solitamente negli studi privati di altri colleghi o nel contesto di strutture sanitarie più o meno complesse.
Quali che siano le motivazioni (economiche, organizzative, personali) per cui si intraprende la strada del collaboratore o consulente, tutte queste posizioni hanno una base comune che le legittima sia sul piano giuridico che su quello contrattuale.
Il tema è diventato via via di maggiore interesse con il passare dei decenni e richiede oggi una trattazione esauriente che non si può più limitare agli aspetti puramente organizzativi o clinici, data l’estensione geografica del fenomeno ed il suo peso relativo sui volumi della produzione nazionale di prestazioni odontoiatriche.
Soprattutto non sarà più sufficiente parlare di collaboratori o consulenti, quanto piuttosto di ausiliari e sostituti, come apparirà chiaro nel corso dell’articolo.
Alcuni eventi congiunturali e molte varabili di contesto condizionano il tema in modo significativo, proviamo a riassumerli sinteticamente in alcuni punti:
Se il trend non subirà inversioni di tendenza è lecito pensare che in pochi decenni la figura del dentista titolare di studio monocratico sarà destinata a ricoprire un ruolo residuale in termini percentuali sul totale dei dentisti italiani e che quello che oggi chiamiamo consulente o collaboratore diventerà lo standard.
Non dobbiamo dimenticare che negli studi costituiti in società di capitale, lo stesso dentista che prima era titolare di studio muterà implicitamente il proprio ruolo, divenendo il consulente della società che egli stesso ha costituito.
Fatta questa lunga premessa è bene chiarire il profilo giuridico del consulente o collaboratore per poi esaminarne le conseguenze contrattuali ed organizzative, con particolare riguardo alla disciplina della Società tra Professionisti (Stp) che, sotto questo aspetto insieme a molti altri, si distingue nettamente dalla Srl Odontoiatrica pura (vd. anche La Società tra Professionisti: analisi tecnica e comparativa rispetto alla Srl Odontoiatrica)
Nel Codice Civile, il rapporto che si instaura tra professionista in genere (quindi anche il dentista) ed il suo cliente (nel nostro caso il paziente) è indicato con l’espressione contratto d’opera. E’ interessante notare fin da subito come l’espressione contratto domini prepotentemente la scena all’interno della quale si gioca la partita tra medico e paziente.
Sarà bene ricordare questo particolare ogniqualvolta si tenti di negare che anche la relazione di fiducia o il rapporto di cura (ed altre nobili espressioni deontologicamente suggestive), in realtà, sotto il profilo giuridico procedono sempre da basi economiche, delle quali l’etica è una conseguenza e non la causa (Vd. anche Etica ed Economia nella Professione Odontoiatrica).
Il particolare il contratto d’opera è di due tipi:
Possiamo dire che il secondo è una evoluzione speciale del primo con previsioni più stringenti per un professionista rispetto ad un prestatore d’opera generico (come potrebbero essere un elettricista o un idraulico).
Il Contratto d’Opera generico viene descritto nell’art. 2222 del Codice Civile e nei successivi fino al 2229. Nel primo si legge quanto segue:
Con il contratto d’opera una persona si obbliga a compiere, verso un corrispettivo, un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente.
L’assenza del vincolo di subordinazione caratterizza la natura del lavoro autonomo rispetto a quello dipendente o assimilato. Questa caratteristica si mantiene, ovviamente, anche quando si parlerà del professionista.
E’ importante poi notare che il legislatore chiama committente colui che richiede la prestazione, perchè questa definizione ci tornerà molto utile parlando di quella strana geometria di relazioni che si instaura in uno studio dentistico nel momento in cui, accanto al titolare di studio compaiono anche quelle dei collaboratori o consulenti.
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Dopo aver descritto il contratto d’opera generico, il codice civile, a partire dall’art. 2230, inizia a trattare il contratto d’opera professionale, ovvero quello che riguarda più propriamente i dentisti in quanto professionisti iscritti ad un albo professionale (come anche architetti, ingegneri, avvocati, ecc.).
L’art. 2230 c.c. si limita a dire che per le professioni valgono regole speciali, pur rimanendo valido l’impianto generale già delineato:
Il contratto che ha per oggetto una prestazione d’opera intellettuale è regolato dalle norme seguenti e, in quanto compatibili con queste e con la natura del rapporto, dalle disposizioni del capo precedente.
Affinché si possa dire che tra due soggetti intercorre un rapporto d’opera professionale è necessario che tra loro intercorra la formalizzazione di un incarico vero e proprio, in forma scritta o anche semplicemente verbale. Questo concetto è espresso chiaramente dalla Suprema Corte (Vd. Cass. civ. n. 1792/2017):
Il rapporto di prestazione d’opera professionale postula il conferimento del relativo incarico in qualsiasi forma idonea a manifestare il consenso delle parti, sicché, quando sia contestata la instaurazione di un siffatto rapporto, grava sull’attore l’onere di dimostrarne l’avvenuto conferimento, anche ricorrendo alla prova per presunzioni, mentre compete al giudice del merito valutare se gli elementi offerti, complessivamente considerati, siano in grado di fornire una valida prova presuntiva.
All’interno di uno studio dentistico si danno molte situazioni di lavoro diverse tra loro a seconda che il titolare di studio (prestatore d’opera professionale) sia in grado o voglia eseguire le prestazioni per le quali è incaricato dal paziente da solo oppure avvalendosi di terzi. In questo senso andiamo dalla semplice otturazione eseguita personalmente e senza l’aiuto di nessuno, alla ablazione del tartaro che viene delegata all’igienista dentale, al trattamento endodontico che viene eseguito con l’ausilio di una Aso, all’intervento chirurgico che viene eseguito con l’ausilio di due ASO o di una Aso e un collega odontoiatra, al trattamento ortodontico che viene delegato per intero ad uno specialista in ortodonzia.
Gli esempi appena fatti non hanno nessuna pretesa di esaurire gli scenari possibili e neppure quella di indicare modelli di lavoro: servono solo a descrivere come la realtà di uno studio dentistico sia estremamente complessa e diversa da quella di altre professioni intellettuali dove le componenti materiali e manuali sono molto più ridotte.
Potremmo quasi dire che per uno studio dentistico (comunque costituito e di qualunque dimensione) la presenza di ausiliari (che aiutano il titolare del contratto d’opera ad eseguire le prestazioni) e di sostituti (che ne prendono il posto nella esecuzione materiale) è così frequente da essere quasi la norma. Infatti il legislatore se ne occupa nel successivo art. 2232.
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L’art. 2232 c.c. afferma che:
Il prestatore d’opera deve eseguire personalmente l’incarico assunto. Può tuttavia valersi, sotto la propria direzione e responsabilità, di sostituti e ausiliari, se la collaborazione di altri è consentita dal contratto o dagli usi e non è incompatibile con l’oggetto della prestazione
Sia la dottrina che la giurisprudenza sono poi concordi nel precisare che:
In questo contesto così complesso possiamo distinguere due tipologie di contratti d’opera professionale:
E’ bene far notare che non si instaura mai un contratto d’opera professionale tra ausiliari e sostituti da una parte e paziente dall’altra. Il concetto della titolarità del contratto è ben espresso dalla Suprema Corte in Cass. civ. n. 5248/1986:
In tema di prestazione d’opera intellettuale, la facoltà per il professionista di servirsi, ai sensi dell’art. 2232 c.c., della collaborazione di sostituti od ausiliari non comporta mai che costoro diventino parti del rapporto di clientela, restando invece la loro attività giuridicamente assorbita da quella del prestatore d’opera che ha concluso il contratto con il cliente.
Queste norma vanno dunque a regolamentare le relazioni tra vari professionisti che si riuniscono intorno al paziente. E’ frequente il coinvolgimento di figure anche molto diverse tra loro per formazione, tipologia di rapporto e categoria di appartenenza. Sempre a titolo meramente esemplificativo e non esaustivo:
Una rappresentazione grafica di queste relazioni può essere riassunta nelle geometrie seguenti, dove al titolare di studio viene assegnato il nome di Committente:
(a cura di Pietro Paolo Mastinu)
Tutto quanto abbiamo appena visto vale per ogni tipo si studio dentistico comunque configurato: studio monocratico, studio associato, Srl Odontoiatrica, Società di persone, Impresa individuale, Cooperativa, ecc.
C’è una sola eccezione, per la quale il legislatore ha previsto un regime particolare di impiego di ausiliari e sostituti. Questa eccezione è rappresentata dalla Stp Odontoiatrica per le quali valgono le disposizioni contenute sia nella legge istitutiva delle Stp sia nei decreti attuativi.
Di questa particolare situazione daremo conto nella seconda parte dell’articolo, dal momento che le peculiarità della Stp rispetto a tutte le altre fattispecie vengono negate per interessi personali, politi e sindacali di molti esponenti della nostra comunità professionale. Nelle altre categorie di professionisti protetti non si fa mistero di queste criticità e le si dichiarano apertamente. Basta leggersi il copioso studio della Fondazione Nazionale dei Dottori commercialisti del settembre 2020 per averne piena conferma. Ma anche il Consiglio del Notariato si è espresso in termini non dissimili.
Mentre quindi altre categorie protette e le loro rappresentanze non nascondono ma anzi enfatizzano queste criticità nei loro approfondimenti dedicati alla Stp e si danno da fare per convincere il legislatore a porvi riparo con ulteriori pronunciamenti normativi, le rappresentanze odontoiatriche si sforzano in ogni modo non solo di nascondere queste criticità ma addirittura di negarle, ricorrendo ad interpretazioni affidate a consulenti esterni che fanno salti mortali per negare l’evidenza ed evitando in ogni modo qualsiasi azione lobbistica che vada ad affiancarsi a quelle di altre categorie protette.
Cosa resti sullo sfondo lo sanno benissimo tutti: Andi e gli Ordini (che spesso sono la stessa cosa, almeno di fatto) stanno producendo ogni sforzo per togliere ai dentisti la possibilità di esercitare attraverso la Srl Odontoiatrica ordinaria di gestione dell’ambulatorio con la scusa di toglierla alle catene o al grande capitale e per convincere i dentisti stessi che la migliore forma di esercizio societaria sia la Stp.
Una narrazione al contrario che nega platealmente l’evidenza.
Quali sono le argomentazioni che vengono utilizzate per negare tale evidenza?
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La prima è quella che ha a che fare con ausiliari e sostituti.
Come abbiamo visto, la possibilità di avvalersi di ausiliari e sostituti è ammessa dal Codice Civile. In particolare, l’art. 2232 detta una norma cardine, statuendo che il prestatore d’opera intellettuale – e cioè nel nostro caso il titolare dello studio – deve eseguire personalmente l’incarico assunto ma può tuttavia avvalersi, sotto la propria direzione e responsabilità, di sostituti e ausiliari (ove la collaborazione di altri soggetti sia consentita dal contratto o dagli usi).
Tale ultima disposizione va letta in combinato disposto con l’art. 1228 c.c. che, come a tutti noto, postula che il debitore, avvalendosi dell’opera di terzi per l’adempimento della propria prestazione, risponda dei fatti dolosi e colposi compiuti da questi ultimi. Quella appena delineata è la regola generale.
Ora si tratta di stabilire chi siano questi ausiliari e sostituti.
Una corrente interpretativa interna al settore – che nulla ha a che vedere con quella dei giuristi, sia ben chiaro – pretende di considerare questi termini come se fossero dei sinonimi.
Una interpretazione puramente semantica ed etimologia già suggerisce che questa pretesa è alquanto suggestiva: appare evidente, anche solo conoscendo il senso dei termini nella lingua italiana, che:
E’ la stessa Dottrina giuridica a interpretare in questo senso: cito testualmente il testo di Manuela Rinaldi dedicato al lavoro autonomo, una giurista che è anche Avvocato Cassazionista nonché docente di Diritto in diverse università statali (Manuela Rinaldi, Il lavoro autonomo, Milano, Ed. Key, 2019).
Citiamo questo testo ma potremmo citarne molti altri autori della Dottrina Giuridica che interpretano tutti nello stesso senso i due termini:
Con il termine ausiliari si fa riferimento a persone che aiutano il professionista cooperando allo svolgimento della sua attività e lavorando insieme a lui, generalmente legati al professionista da un contratto di lavoro subordinato.
I sostituti invece sono, in genere, colleghi del professionista che compiono una attività in sue vece e lo sostituiscono.L’utilizzo di sostituti ed ausiliari da parte del professionista è subordinato alla direzione e responsabilità del professionista medesimo. L’espressione “sotto la direzione” di cui all’art. 2232 c.c. non fa riferimento ad una particolare forma di vincolo intercorrente tra il professionista ed ausiliari e/o sostituti ma ad un obbligo in capo al professionista, il quale è tenuto verso il cliente a dirigere egli stesso l’esecuzione della prestazione. (…)
In tema di prestazione d’opera intellettuale la facoltà per il professionista di servirsi, ai sensi dell’art. 2232 c.c., della collaborazione di sostituti ed ausiliari non comporta mai che costoro diventino parti del rapporto con la clientela, restando invece la loro attività giuridicamente assorbita da quella del prestatore d’opera che ha concluso il contratto con il cliente.
Attenzione alle sfumature, perché sono importanti e lo capiremo più avanti quando andremo ad esaminare un’altra cattiva interpretazione delle norme. Ancor prima della Legge Gelli-Bianco, la Cassazione ha statuito che il prestatore d’opera intellettuale risponde personalmente non solo per le conseguenze del suo operato, bensì anche degli errori professionali che derivano da quello dei collaboratori (siano essi sostituti come ausiliari), sia interni allo studio professionale sia domiciliatari (il caso era evidentemente quello di un avvocato).
Tutto ciò comporta che il sostituto non è tenuto ad eseguire l’incarico quasi fosse un mero esecutore senza possibilità alcuna di deviare dalla strada indicata dal titolare ma può e anzi deve discostarsene ogniqualvolta lo ritenga opportuno e funzionale all’espletamento dell’incarico nell’interesse del cliente. Questo è talmente vero che persino quando il sostituto sbaglia, ciò non impatta minimamente sui profili della responsabilità, che resta in capo al titolare e non al sostituto (perlomeno in via contrattuale e cioè nei confronti del cliente).
Tale regola di buon diritto è stata confermata in ambito sanitario dalla riforma della Legge Gelli e non è il caso di tornarci sopra. Il punto essenziale che qui ci preme sottolineare è che l’assorbimento dell’attività del sostituto verso quella del titolare opera su un piano squisitamente giuridico e quindi sotto il profilo del rapporto contrattuale e della responsabilità; non ha e nemmeno può avere alcuna attinenza con le modalità dell’esecuzione dell’incarico e con un preteso rapporto gerarchico tra il titolare e sostituto che appare semplicemente inammissibile nell’ambito che stiamo prendendo in considerazione, che è appunto quello del lavoro autonomo, una tipologia contrattuale che per definizione è priva di qualunque vincolo di subordinazione (giuridica e tecnica).
Se questa è la regola generale, possiamo dire che la stessa regola può essere fatta valere nell’ambito della stp?
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La risposta non può che essere negativa e per capirlo basta tornare alla Legge istitutiva della Stp (n. 183/2011) e al Decreto attuativo (D.M. n. 34/2013). Questi, se letti e interpretati in misura coordinata, dettano regole assai chiare e precise che riassumiamo per punti:
Rispetto ai criteri indicati, emerge con chiarezza la volontà di rimarcare la netta distinzione tra conferimento dell’incarico ed esecuzione dell’incarico, l’uno diretto alla società, l’altra lasciata alla determinazione del singolo professionista, in ossequio al generale principio di cui all’art. 2232 c.c., nonché di indicare chiare modalità affinché il cliente sia messo in condizione di effettuare consapevolmente la scelta delle professionalità maggiormente idonee per espletare l’attività professionale richiesta. Ne deriva, pertanto, un sistema in cui il cliente vanta nei confronti della STP sia un diritto di informazione, sia un diritto di scelta, assunte le necessarie informazioni.
A conferma di ciò, depone la previsione che, in mancanza di scelta da parte del cliente, la STP può procedere direttamente a designare il professionista – o i professionisti – purché si tratti sempre di soggetti in possesso dei requisiti per l’esercizio della prestazione richiesta in considerazione delle competenze tecniche contemplate negli ordinamenti professionali. Al ricorrere di questa ipotesi, come impone la legge n. 183/2011, il nominativo del socio scelto dalla STP deve essere comunicato per iscritto al cliente previamente, vale a dire prima che sia data esecuzione all’incarico.
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La tutela della clientela trova ulteriore supporto nell’art. 5 del D.M. n. 34/2013, rubricato “Esecuzione dell’incarico”, che recita come segue:
Nell’esecuzione dell’incarico ricevuto, il socio professionista può avvalersi, sotto la propria direzione e responsabilità, della collaborazione di ausiliari e, solo in relazione a particolari attività, caratterizzate da sopravvenute esigenze non prevedibili, può avvalersi di sostituti. In ogni caso i nominativi dei sostituti e degli ausiliari sono comunicati al cliente ai sensi dell’articolo
4, commi 2 e 3.
Al verificarsi di simili ipotesi, la STP è tenuta a comunicare al cliente i nominativi degli ausiliari e dei sostituti con le stesse modalità impiegate per la comunicazione dei nominativi dei soci professionisti al momento del primo contatto: la STP, allora, deve consegnare al cliente un elenco scritto con puntuale indicazione di titoli e qualifiche professionali dei collaboratori.
Entro tre giorni dalla comunicazione, il cliente può comunicare il proprio dissenso in presenza del quale, pur nel silenzio del D.M. n. 34/2013, dovrebbe essere riconosciuta al cliente la facoltà di scelta del sostituto, con le modalità sopra indicate.
Le differenze evidenti tra la regola generale del codice civile sopra indicata e quella speciale dedicata alla STP ora appare evidente icto oculi: la disciplina prevista per la Stp in merito ai sostituti NON E’ la stessa prevista per la prestazione d’opera intellettuale in genere.
La norma è chiarissima: solo in relazione a particolari attività caratterizzate da sopravvenute esigenze non prevedibili si può demandare la prestazione professionale o parte di essa a sostituti.
Attenzione perché la norma detta un regime speciale solo per i sostituti e non per gli ausiliari, con buona pace di tutti coloro che dicono che siano la stessa cosa. Infatti dopo averli citati entrambi fino a quel punto, il prosieguo della norma si riferisce solo ai sostituti. E’ del tutto evidente che se il legislatore avesse considerato ausiliari e sostituti come equivalenti né li avrebbe citati entrambi né avrebbe previsto condizioni particolari solo per i sostituti.
Abbiamo già visto che i sostituti sono i professionisti che il titolare chiama per adempiere in tutto o in parte all’obbligazione nei confronti del paziente e cioè nel nostro caso l’endodontista, l’ortodontista, il chirurgo, il pedodontista, etc.
Per aggirare l’ostacolo posto dal legislatore su ausiliari e sostituti nella Stp, qualcuno si è spinto verso una interpretazione ermeneutica della norma alquanto fantasiosa quanto imprudente per la sua reputazione, riconducendo tali attività non prevedibili alle attività ordinarie di uno studio dentistico.
La ricostruzione delle dinamiche sarebbe grosso modo la seguente. Arriva un paziente, il titolare si accorge che ha bisogno della speciale cura dello specialista suo collega e lo demanda a quest’ultimo: è questa la particolare situazione per sopravvenute esigenze non prevedibili che giustifica la chiamata in causa del sostituto. Peccato che questa appena descritta costituisca la normalità delle situazioni che ogni giorno si producano in uno studio dentistico e quindi la regola.
Il tentativo è quello di flettere una particolare disposizione che viene dettata dalla legge come una eccezione alla regola generale e farla diventare la regola generale a proprio indebito vantaggio.
Non occorre essere un giurista per affermare senza mezzi termini che questa è una goffa forzatura che un Giudice smonterebbe in pochi secondi con l’aggravante della mala fede (o della conclamata mancanza di buona fede, il che è lo stesso all’atto pratico). Ovviamente l’aggravante non riguarderebbe certo l’opinionista di turno, ma solo quei dentisti che incautamente fossero portati a seguire tale linea.
La norma è chiarissima nell’indicare una preferenza verso l’apporto professionale dei soli soci professionisti e la irrobustisce con doveri di informazione nei confronti del paziente che nulla hanno a che vedere con le regole ordinarie del contratto d’opera professionale.
Non vi può essere alcun dubbio che l’apporto del sostituto sia confinato a casi eccezionali.
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