Consulente in ortodonzia, Consulente in implantologia, Consulente in Chirurgia orale, e via così per definire una strana figura di professionista che preferisce (o deve) esercitare la […]
Consulente in ortodonzia, Consulente in implantologia, Consulente in Chirurgia orale, e via così per definire una strana figura di professionista che preferisce (o deve) esercitare la professione in casa d’altri.
Nella mia vita professionale non mi sono fatto mancare quasi nessuna esperienza e, tra le altre cose, ho fatto il consulente in ortodonzia per circa 15 anni, prima di svoltare definitivamente in altre direzioni. Durante e soprattutto dopo quel lungo periodo, spesso mi sono posto delle domande.
Le consulenze sono fenomeni di mecenatismo moderno oppure forme di opportunismo economico? Quanto è diffusa questa pratica? Quali sono le caratteristiche intrinseche di questa attività? E’ possibile tracciare un profilo stabile ed omogeneo della figura del consulente e della sua opera di consulenza?
Questo lungo articolo riprende ed accorpa temi già trattati in passato ed ha lo scopo di rappresentare una piccola guida pratica sia per il consulente che per il suo interlocutore principale che definiremo spesso committente, senza riguardo se egli sia un altro dentista oppure no, persona fisica o persona giuridica.
C’è differenza tra dentista consulente e collaboratore? Come devono essere regolati i rapporti tra le parti? Come si colloca il paziente in questo rapporto?
Il dentista consulente è un fenomeno tutto italiano che impatta notevolmente sulla vita quotidiana degli studi dentistici. Tale fenomeno abitualmente viene indicato con il termine di consulenza o collaborazione e non trova analoghi riscontri (o almeno non così rilevanti) nella maggior parte degli altri paesi evoluti.
Quali che siano le cause di questo fenomeno sono argomenti che richiederebbero analisi politiche, sociologiche o quantomeno macro economiche. Queste ci porterebbero lontano, almeno fino agli anni settanta e ottanta del secolo scorso, quando la dissennata corsa alla professione (sia medica che odontoiatrica) ha riversato sull’arena competitiva del nostro Paese una tale pletora di dentisti che non avrebbero mai trovato collocazioni lavorative stabili negli anni successivi.
Le politiche di liberalizzazione (vera o presunta) che sono seguite dal 2000 in poi, si sono solo posizionate in scia a questo trend distruttivo della professione: sia attraverso la libera circolazione europea dei “lavoratori”, sia consentendo l’ingresso della imprenditoria nel mondo delle professioni.
Difficile non intravedere un preciso, meticoloso e lungimirante disegno politico dietro tutto questo: la demolizione sistematica di una classe sociale che i nostalgici di Lenin continuavano a definire “borghese”. Ottimo lavoro: i dentisti borghesi non esistono più. Esistono invece molti neo-laureati, nati orfani di ogni privilegio, costretti a mendicare ospitalità dai loro colleghi più anziani o, peggio ancora, dagli imprenditori dei low cost.
La crisi economica e una normativa sempre più vessatoria hanno fatto poi il resto: aprire uno studio è tecnicamente difficile ed economicamente pesante.
Rimane il fatto che oggi la popolazione dei dentisti, eterogenea sotto mille altri profili, può essere suddivisa in due grandi categorie:
I primi sono dei veri e propri imprenditori, indipendentemente dalla ragione sociale che usano (studio dentistico, studio associato o società), soggetti a tutti gli oneri e alle problematiche di sviluppo e sopravvivenza delle imprese italiane.
I secondi sono coloro che per necessità (mancanza di capitali) o per scelta operano presso i primi. Questi sono gli ultimi veri epigoni della libera professione, come la si intendeva nel secolo scorso, anche se abitualmente vengono chiamati consulenti o collaboratori.
Le dinamiche di questi due gruppi di professionisti sono oramai piuttosto standardizzate. Alcune precisazioni tuttavia saranno utili per inquadrare meglio l’argomento e definire le possibili soluzioni ai più comuni problemi che la consulenza o la collaborazione comportano.
Letteralmente “consulente” e “collaboratore” hanno radici etimologiche differenti:
A prescindere dalle differenze semantiche tra i due termini, che sono reperibili ovunque, possiamo stabilire alcune caratteristiche pratiche e specifiche di ciascun gruppo, con risvolti tutt’altro che insignificanti sia in termini economici che medico legali.
Come detto, quando un professionista è chiamato ad effettuare prestazioni professionali che richiedono particolari competenze, conoscenze o capacità, non già presenti nello studio, questi dovrebbe essere identificato più propriamente con il termine di Consulente. È tipico ed emblematico il caso del dentista consulente in ortodonzia o in chirurgia orale (non a caso sono anche le due specializzazioni di area odontoiatrica). In passato era molto diffusa anche la figura del dentista consulente in implantologia, ma da quando le competenze hanno cominciato a diffondersi tra i dentisti, questa figura è progressivamente declinata.
Il dentista consulente ha abitualmente forme di consulenza stabili nel tempo presso più studi contemporaneamente, partecipa allo sviluppo dello studio ospite, avendo spesso un ruolo attivo nella determinazione delle strategie di lungo termine.
Il collaboratore, invece, è chiamato semplicemente ad eseguire prestazioni di routine che, per ragioni diverse dalla competenza, il titolare dello studio non esegue pur avendo le capacità per farlo.
È tipico il caso della grande distribuzione odontoiatrica che recluta manovalanza professionale per eseguire tutte le prestazioni erogate (alla stregua di un prodotto da vendere su larga scala). Ma è anche il caso delle prestazioni derivanti da picchi estemporanei di lavoro nell’ambito di studi tradizionali, di affiancamenti in prospettiva di subentro, di passaggi generazionali, oppure della semplice volontà (e legittimo desiderio) da parte del titolare di studio di dedicarsi solo ad alcune prestazioni più gratificanti, delegando le altre a profili più giovani.
È facile comprendere come i profili professionali e di rischio connesso siano molto differenti tra Dentista Consulente e Dentista Collaboratore:
Quando il dominus o committente è rappresentato da un collega (studio classico) o da una pluralità di colleghi (studio associato) si instaura un rapporto professionale ove l’aspetto deontologico è prevalente su ogni altra ipotesi di interesse.
È opposto il caso in cui lo studio ospite sia incarnato da una vera e propria impresa commerciale (srl, spa, cooperativa, ecc), sia che essa faccia capo ad un professionista, sia che essa appartenga a circuiti più o meno estesi e ramificati sul piano finanziario: network, franchising o altro. In questo caso il carattere prevalente del rapporto è rappresentato dal profitto, poiché il profitto è la giusta ragion d’essere dell’impresa cui il collaboratore (o consulente) afferisce.
Vale la pena (penosamente) ricordare che in questo secondo scenario, molto spesso il profilo del Dentista Consulente e quello del Dentista Collaboratore vengono intenzionalmente confusi ed appiattiti sulle posizioni di convenienza per il Committente con alcune conseguenze negative:
Diciamo pure che il potere contrattuale del committente spesso è così forte da prevalere su qualsiasi rivendicazione o legittima richiesta da parte del dentista consulente (patto leonino? abuso del diritto?).
Questa lunga panoramica iniziale era necessaria per comprendere come le motivazioni, le aspettative e le istanze delle varie parti coinvolte in un rapporto di collaborazione o di consulenza sono difficili da inquadrare in un contesto unico. Ne deriva che l’istituto contrattuale (contratto) entro cui tali rapporti possono essere ricondotti è quanto mai variabile. Forse questa è anche la ragione per la quale, nella maggior parte dei casi, gli accordi sono ancora raggiunti con una stretta di mano e parole non scritte, cui seguono necessariamente confronti e tarature continue del rapporto, aggiustamenti in corsa.
Raramente le parti hanno trovato una adeguata forma scritta di accordo(contratto vero e proprio) che li aiuti a normalizzare le attività di routine e chiarire in via anticipata come andranno risolte situazioni di conflitto o veri e propri contenziosi.
La situazione si complica in modo esponenziale se consideriamo che nel rapporto tra ospite ed ospitato una parte estremamente importante la gioca il paziente.
Questo “terzo attore”, che è il terminale ultimo dell’intera attività produttiva ed il beneficiario finale della prestazione professionale, trasforma un rapporto bilaterale e lineare in uno geometrico e trilaterale, ove ognuna delle parti in causa si relaziona con le altre due sulla base delle proprie qualità umane e dei propri interessi.
Come varia il rapporto fiduciario medico paziente con l’introduzione della figura del Consulente o Collaboratore
Le possibili conseguenze negative di un rapporto a tre, ove ciascuno polarizza gli altri verso interessi non sempre allineati, è il vero problema da risolvere. Ci accingiamo ad affrontare questo nodo cruciale in modo esaustivo, con lo scopo di dimostrare che una scrittura privata preliminare (un vero e proprio contratto) rappresenti la soluzione anticipata a molti dei problemi che si creeranno all’indomani dell’inizio di una nuova collaborazione o consulenza.
In realtà ciò che maggiormente ci preme definire è il quadro della consulenza perché ha dinamiche più complicate e più estese rispetto alla collaborazione. Pertanto d’ora innanzi abbandoneremo il Collaboratore per occuparci solo del Consulente.
Non è difficile fare una breve panoramica dei problemi più frequenti che le consulenze comportano. Gli esempi più frequenti sono quelli in cui il dentista consulente (poniamo l’ortodontista) abbandona lo studio con decine o centinaia di casi in corso di trattamento, o, al contrario, quelli in cui è lo studio che decide di affidare la consulenza ad un nuovo professionista.
Sorgono alcune domande:
Ebbene, tutte queste domande (e molte altre ancora) devono trovare una risposta precisa all’interno del Contratto di Consulenza. Un atto semplice da siglare ma complesso da predisporre, soprattutto in considerazione dell’ampia variabilità di contesto sopra descritta.
Prima di entrare nel merito del contratto è tuttavia necessario capire in profondità in cosa consiste il rapporto della triade titolare-consulente-paziente.
È interessante infatti notare come una analisi microeconomica di questo strano fenomeno di scambio e relazione sia il substrato ideale per comprendere anche i derivati etico/deontologico e medico/legali che esso implicitamente comporta; concetti che sono già nel patrimonio culturale di ogni dentista senza che sia chiaro da dove derivino la loro fondatezza e su quali basi si siano accreditati nei secoli, da Ippocrate in poi.
In una visione puramente laica del nostro lavoro (ovvero, prima ancora di introdurre concetti di etica professionale) il rapporto di scambio tra medico e paziente si svolge nell’ambito delle regole di mercato: “due attori si trovano in un luogo adatto allo scambio (mercato appunto) per dar luogo ad una transazione nella quale uno vende qualcosa e un altro compra”.
Se vogliamo riempire di contenuti specifici la frase precedente potremmo dire che “in uno studio dentistico il professionista vende la propria conoscenzaal paziente che presenta un bisogno. Per la soluzione del bisogno, il paziente è disponibile a pagare una certa cifra in denaro. Se il prezzo esposto dal professionista è coerente con la disponibilità del paziente a pagarlo, la transazione si conclude.”
Sarebbe un grave errore pensare che le cose non stiano in questi termini, indipendentemente dall’importo in oggetto e anche quando tale importo fosse molto basso o addirittura nullo. La dinamica sopra descritta rimarrebbe la stessa. Si tratta sempre di una compravendita: l’unica particolarità è che entrambe le parti attribuiscono un valore economico nullo alla transazione, anche se la stessa può avere per entrambi un altro tipo di valore (etico per esempio).
Il rapporto di scambio medico paziente, tipico delle professioni, è dominato da elementi caratteristici che, in estrema sintesi sono i seguenti:
Le persone che interagiscono intorno al problema-salute non possiedono tutte le stesse competenze:
Senza necessità di introdurre elementi etici o deontologici, da qui deriva la necessità di una fase interlocutoria nella transazione rappresentato dalla raccolta anamnestica, dal colloquio clinico, dalla prima visita, dagli esami diagnostici preliminari e dalla successiva esposizione del piano di cura. Con questi passaggi, oramai standardizzati dalla disciplina medica e deontologica, non si fa altro che livellare il rapporto medico paziente sul piano informativo, in modo che ciascuna parte, grazie alla controparte, acquisisca le informazioni che gli mancano per poter dar luogo alla fase successiva (terapia) secondo principi di appropriatezza (medico) e consapevolezza (paziente).
In questa cornice generale, l’introduzione della consulenza odontoiatrica (e quindi della figura del consulente) complica notevolmente la situazione in quanto il paziente si rivolge al dentista per esporre un problema, ma il dentista non ne conosce la soluzione. Potremmo anzi dire più propriamente: “il titolare di studio conosce qualcuno che conosce la soluzione e solo quest’ultimo è in grado di metterla in pratica effettuando il trattamento.”
Questa è la situazione tipica della consulenza in ortodonzia, forse la forma di consulenza professionale più diffusa e ramificata del nostro Paese, ma il concetto può essere traslato su qualsiasi altra branca dell’odontoiatria, su tutte: parodontologia, endodonzia e chirurgia orale.
Date queste premesse, non era necessario il legislatore per stabilire che il rapporto medico paziente si deve basare sulla fiducia reciproca. È del tutto evidente che uno scambio immateriale di conoscenze presuppone che uno si fidi di ciò che gli dice l’altro. Il medico si deve fidare dei dati forniti in anamnesi da parte del paziente e della sintomatologia attualmente riferita, così come il paziente si deve fidare della comprensione ed interpretazione di tutti i dati da parte del medico e della terapia proposta. Il rapporto fiduciario è dunque bilaterale per forza di cose.
Queste stesse dinamiche sono reperibili nelle altre professioni. Si potrebbe anzi dire che le professioni in generale si distinguono dai mestieri o dagli altri lavori proprio in virtù di esse. È impensabile che un avvocato possa predisporre una strategia difensiva in favore di un cliente che omette informazioni rilevanti sui fatti accaduti; allo stesso modo un architetto non può elaborare un progetto gradito al cliente se costui mente sulle proprie aspettative o preferenze.
L’introduzione della consulenza odontoiatrica all’interno del rapporto di fiducia originario, impone una riconfigurazione anomala e largamente instabile. Ora assistiamo ad un triangolo nel quale il paziente si affida al dentista e questi si affida al consulente.
Poiché la fiducia non gode di proprietà transitive, anche nella consulenza, l’asse principale del rapporto fiduciario è quello che corre tra dentista (titolare di studio) e paziente: se il dentista decide di investire parte di questo capitale fiduciario trasferendolo al proprio consulente, ciò non riduce il suo carico di responsabilità, ma, al contrario, lo amplifica.
La funzione di “broker del sapere” che il dentista assume nei confronti del paziente è a titolo oneroso. Ovvero la conoscenza che il dentista cede al paziente è l’oggetto di compravendita, indipendentemente che sia accompagnata o meno da un servizio (accoglienza, prenotazione, sicurezza, sterilizzazione, ecc.) e da un prodotto (protesi, apparecchio ortodontico, ecc.).
Solitamente il prezzo cui la compravendita avviene è proporzionato alla “quantità” ed alla “qualità” degli oggetti acquistati e degli eventuali servizi o prodotti correlati (o, almeno, così dovrebbe essere).
I titolari del contratto d’opera professionale che dà luogo al corrispettivo economico, sono il dentista titolare di studio ed il paziente. Il compenso per la prestazione svolta viene dunque corrisposto dal paziente al dentista titolare di studio, non al dentista consulente.
Questo accadeva già prima che il legislatore in materia fiscale imponesse una norma sull’accentramento obbligatorio dei compensi (obbligo che peraltro molti dentisti ancora ignorano).
Quando si introduce la consulenza odontoiatrica o ortodontica diventa più difficile stabilire chi è il cliente di chi in questo rapporto a tre.Ciononostante deve essere fatta chiarezza una volta per tutte. Una catena di relazioni logicamente corretta è questa:
Ne consegue che:
Una volta assodati questi fatti sarà più facile individuare come devono essere regolati i rapporti economici tra le tre parti in causa:
Nell’ambito di rapporti fisiologici tra le parti (molto rari per la verità) queste dinamiche di relazione si svolgono naturalmente e senza particolari incidenti.
In situazioni critiche emerge drammaticamente come la seconda operazione avvenga in un contesto di conflitti più o meno latenti e di rivendicazioni reciproche. Questo succede perché molti colleghi, all’inizio di un rapporto di collaborazione trascurano di disciplinarlo con un contratto vero e proprio che funga da guida nei lunghi anni di consulenza futura.
L’accordo e l’armonia sono condizioni difficili da mantenere già in condizioni di genuina collaborazione reciproca, anche laddove i comportamenti siano dettati dalla onestà più cristallina. Voglio dire che la correttezza interpersonale richiede quasi sempre uno sforzo di volontà, anche quando appartiene al bagaglio valoriale delle persone. Figuriamoci cosa succede quando tali valori non siano pienamente condivisi all’interno di una relazione.
Anche questo fenomeno è stato descritto in microeconomia e prende il nome di Azzardo Morale (traducendo malamente in italiano una espressione inglese più elegante).
L’azzardo morale è, in microeconomia,
una forma di opportunismo post-contrattuale, che può portare gli individui a perseguire i propri interessi a spese della controparte, confidando nella impossibilità, per quest’ultima, di verificare la presenza di dolo o colpa.
Nel caso dei rapporti medico-paziente si parla più opportunamente di doppio azzardo morale, dal momento che ciascuna delle due parti (per i motivi esposti in precedenza) deve confidare obbligatoriamente nella buona fede dell’altra.
Nella consulenza odontoiatrica o ortodontica la configurazione lineare medico-paziente si complica per l’introduzione di un terzo (il dentista consulente). La nuova geometria di rapporti trilaterale genera quello che può essere definito triplo azzardo morale, ovvero una situazione nella quale il tradimento del rapporto di fiducia da parte di uno solo ha conseguenze negative sugli altri due e le attribuzioni di responsabilità si perdono in un groviglio di alibi, dissimulazioni e rivendicazioni reciproche.
Prendiamo l’esempio frequente di un paziente con documentazione clinica e diagnostica insufficiente o carente:
In un contesto ben organizzato tutte queste domande hanno una risposta semplice, soprattutto in presenza di un contratto, e conseguentemente le discussioni si riducono a zero. In assenza di ciò, molto spesso la malizia di qualcuno permette che l’azzardo morale sia una scommessa persa in partenza.
In questi casi, a seconda dell’evento considerato, le forze in campo sono impari e durante il contenzioso ciascuna parte (paziente compreso) userà le leve di potere di cui dispone per far valere le proprie ragioni o sottrarsi agli impegni assunti. Per esempio:
Prima di avviare una consulenza è dunque bene sottoscrivere un contratto.
Abbiamo visto che proprio le basi microeconomiche del rapporto medico/paziente/consulente siano le determinanti essenziali delle conseguenze deontologiche, etiche e medico-legali che tutti noi conosciamo. Potremmo quasi dire che queste ultime, lungi dall’essere mere questioni di principio, traggono la loro ragion d’essere da necessità eminentemente pratiche.
Il fatto che molte questioni morali derivino dalla necessità di dirimere problemi economici ai più potrà anche non piacere, ma ha l’indubbio vantaggio di conciliare posizioni tra loro apparentemente antitetiche: quella del laico e quella dell’idealista.
Dopo avere definito la cornice non rimane altro da fare che delineare il soggetto del quadro, che è rappresentato dal Contratto di Consulenza. Esso rappresenta il condensato di tutte le idee esposte in precedenza, una sorta di ricetta che consente di definire in via anticipata molte delle possibili questioni che possono insorgere nel campo d’azione delimitato dalla triade titolare/paziente/consulente.
Ogni contratto è per definizione limitativo rispetto a tutti i possibili scenari del mondo reale. Pensare quindi che un contratto, per quanto articolato e pertinente, possa esaurire le possibili fonti di conflitto è impensabile.
Ma il punto è un altro e bisogna cercare di coglierlo.
I contratti non servono tra soggetti in cattiva fede: tutelarsi e garantirsi da tali individui è impossibile e, come abbiamo visto, l’azzardo morale è implicito in questo genere di relazioni.
Non vi è contratto che tenga se si pretende di prevenire il contenzioso verso una controparte deliberatamente intenzionata a tradire gli impegni assunti e la nostra fiducia. Questo vale nei rapporti con i pazienti, così come nel rapporto tra professionisti.
I contratti servono invece tra soggetti animati da desiderio di collaborare e di finalizzare insieme un progetto comune.
Il contratto di consulenza assolve ad una precisa serie di funzioni e obiettivi, altrimenti irrealizzabili:
Mettere alla prova le intenzioni del nostro interlocutore prima ancora che la partita abbia inizio. Una controparte poco affidabile (sia essa un collega o un paziente) tende a rifuggire la sottoscrizione di un contratto perché la discrezionalità operativa che accamperà in futuro è l’alibi dietro il quale nasconde la propria cattiva fede.
Primo importante consiglio: diffida subito di un titolare o di un consulente (ma anche di un paziente) che non vuole sottoscrivere un contratto, non te ne pentirai!
Fornire una traccia costante lungo un rapporto che può durare decenni per chi, in buona fede, comincia a dubitare degli impegni assunti e dei comportamenti cui si era obbligato in origine. Lo scenario nel quale ci muoviamo è in continuo mutamento e per chi porta avanti molte consulenze in parallelo (attive o passive che siano), può essere oggettivamente difficile ricordare su che basi erano stati raggiunti gli accordi, soprattutto quando questi variano da una consulenza all’altra. Capita spesso che le persone litighino tra loro e siano entrambe in buona fede. Il contratto aiuta a capire quale delle due parti (o tre parti se contiamo il paziente) oltre ad essere in buona fede sia anche nel giusto.
Secondo consiglio: prima di affrontare situazioni di conflitto verifica sempre nel contratto quali obblighi si sono assunti le parti in causa.
Fornire a terzi la possibilità di dirimere i conflitti secondo equità, in modo che nessuna delle parti coinvolte esca dal contenzioso nella convinzione di aver subito un torto (indipendentemente dalla buona o dalla cattiva fede con la quale vi si sono approcciati). Spesso è molto più doloroso e frustrante il convincimento di aver subito un torto arbitrale rispetto al danno reale che un giudizio avverso ci può arrecare.
Terzo consiglio: fai sempre in modo che una situazione per te irrisolvibile possa essere sanata da terzi nel modo più giusto possibile. Anche un vantaggio indebito a spese della controparte può risultare difficile da accettare per le persone oneste.
Anche per quest’ultimo motivo, fin dalla partenza, il contratto deve essere equo. Proporre alla controparte un contratto vessatorio (oltre che costituire talvolta illecito a pena di nullità) significa costringere qualcuno in una condizione minoritaria o di subalternità relazionale. Prima ancora che essere una posizione eticamente discutibile, ciò risulta anche svantaggioso perché una collaborazione squilibrata ed asimmetrica non produce economie positive per nessuna delle due parti, ma soprattutto … dura poco.
Quarto consiglio: se una collaborazione merita fai in modo che sia equa e bilanciata altrimenti finisce presto insieme ai guadagni che produce.
Definire il contratto di consulenza standard non è facile, viste le mille variabili in gioco, ma soprattutto considerando che non tutti i tipi umani sono riconducibili ad un unico schema comportamentale e non tutti gli studi hanno le stesse esigenze.
Per questo motivo da ora in avanti considereremo come modello il contratto di consulenza ortodontica, sia perché è di gran lunga il tipo di consulenza più diffuso tra i dentisti, sia perché presenta caratteristiche di complessità decisamente superiori a tutti gli altri. Tale complessità deriva fondamentalmente dal tempo di esecuzione delle prestazioni, che abitualmente si esaurisce nell’arco di molti mesi o anni. La lunghezza del trattamento è un moltiplicatore straordinario di equivoci, malintesi, omissioni, distrazioni che si concentrano sul risultato clinico finale e sui rapporti di relazione così complicati come quelli descritti in precedenza.
Il risultato clinico finale di un trattamento ortodontico è la proiezione vicina di un remoto e complicato punto di arrivo, intorno al quale ruotano fenomeni in continuo cambiamento.
Cambiano le assistenti, cambiano le disponibilità economiche dei pazienti, cambia l’organizzazione dello studio, cambiano i materiali e le attrezzature di lavoro, cambia la moda e cambiano anche le competenze dell’ortodontista, ma l’obiettivo del trattamento rimane sempre lo stesso: viene prefigurato prima della cura e deve essere raggiunto molto tempo dopo, passando attraverso una selva di cambiamenti che si stratificano uno sopra l’altro. Molto spesso tra l’inizio e la fine di un trattamento ortodontico perfino le persone che hanno dato luogo ai contratti iniziali (dentista titolare, paziente e consulente) sono completamente mutate.
Il contratto di consulenza deve essere articolato su una serie di contenuti imprescindibili, i cui titoli sono di seguito riportati. Quanto nel dettaglio si debba scendere nella descrizione dei vari articoli è una questione di opportunità e ciascuno dovrà trovare la dimensione appropriata alle singole circostanze.
Un contratto troppo prolisso è scoraggiante e di difficile interpretazione, finendo per perdere quella valenza pratica necessaria al professionista e finendo per diventare un puro esercizio di stile. Andare a normare ipotesi assurde o estremamente rare è, nella pratica, inutile. Al contrario un contratto troppo breve rischia di non coprire le necessità per le quali viene sottoscritto e quindi risulta di nuovo inutile.
Possiamo qui dare un altro consiglio.
Quinto consiglio: il compromesso ideale è disporre di una base contrattuale quanto più completa ed esaustiva possibile ed adattarla di volta in volta emendando le previsioni superflue o ridondanti.
Il contratto deve quindi contenere un primo articolo denominato Premesse ed Allegati.
Qui verranno descritte le ragioni per le quali titolare e consulente decidono di avviare un rapporto di collaborazione professionale. Si farà riferimento alle garanzie reciproche sulla affidabilità delle parti e si farà anche riferimento esplicito ai documenti (allegati appunto) che ne attestino elementi quali: qualità professionali, autorizzazioni pubbliche, aggiornamento e formazione, ecc.
Un secondo articolo è rappresentato dall’Oggetto del Contratto.
Qui bisogna specificare in cosa consiste l’oggetto del contratto e quindi descrivere su cosa verte l’accordo. Sarà opportuno per esempio dare una breve descrizione di cosa si intende per consulenza, ovvero cosa si intende per consulenza ortodontica o consulenza endodontica, ecc. I limiti di tale attività devono essere tratteggiati così come i suoi confini nel contesto delle altre attività tra le quali si inserisce. In questa sede sarà importante definire esplicitamente la natura libero-professionale del rapporto di consulenza anche per evitare noiose rivalse da parte degli enti pubblici di controllo o rivendicazioni delle parti.
Un terzo articolo dovrebbe dare indicazioni sulla Decorrenza, la Durata e le eventuali modalità di Cessazione o di rinnovo del contratto.
Niente è eterno e quindi definire anticipatamente i limiti temporali del rapporto permette di evitare discussioni su scadenze e modalità di esecuzione.
Un buon quinto consiglio è questo: utilizzare scadenze brevi (per esempio ogni 31 dicembre) lasciando facoltà ad entrambi di rinnovare il matrimonio oppure no.
Una scelta libera è quella che produce sempre risultati migliori. Nessuno ha interesse ad interrompere dinamiche che generano valore. Nessuno ha interesse a mantenere con la forza rapporti che non producono valore. Bisognerebbe sempre evitare che le relazioni siano rette dall’abitudine o dalla costrizione.
Fondamentale è quindi descrivere nel quarto articolo, anche mediante lungo elenco, quali sono gli obblighi dello studio nei confronti del consulente.
Potremmo sintetizzare in modo estremo il concetto mutuando una espressione cara ai professionisti: l’obbligo di mezzi. Il successo clinico del consulente (e quindi del titolare e del suo studio) dipende strettamente dalle condizioni organizzative e strutturali nelle quali si trova a lavorare, ovvero dai mezzi che gli vengono messi a disposizione: personale, attrezzature, procedure, organizzazione, ecc. In particolare il successo del trattamento ortodontico è intimamente dipendente dai processi di gestione extra clinica del paziente che lo studio è in grado di applicare. Tali processi non sono sotto il controllo del consulente e non devono esserlo.
Analogamente al precedente, seguirà un articolo quinto riguardante gli obblighi del consulente.
Ovviamente non si fa riferimento agli obblighi di risultato clinico sui trattamenti che va a compiere. Si tratta invece degli impegni che egli assume nei confronti dello studio su varie questioni come per esempio: disponibilità, volumi di prestazioni, rispetto di cose e persone, utilizzo di apparecchiature ed in particolare dei mezzi informatici, osservanza delle procedure interne, aggiornamento professionale, obbligo di non concorrenza, ecc.
Un articolo, il sesto, sarà dedicato a definire i corrispettivi economici della consulenza.
Verranno qui descritti elementi quali: tariffe applicate al paziente, modalità di calcolo del compenso al consulente, scadenze per la rendicontazione e fatturazione, eventuali incentivi, gestione degli insoluti, ecc. Questo argomento è abbastanza complesso, soprattutto nel caso della consulenza ortodontica e richiederebbe approfondimenti specifici da caso a caso. Tuttavia è il nodo centrale del contratto ovvero il tema su cui si orientano gli interessi di tutti gli attori nella triade titolare-paziente-consulente.
Non aver definito i contenuti precisi di questo articolo significa aver vanificato ogni possibilità di convivenza futura.
Sesto consiglio: almeno in questo caso vale la pena di essere prolissi e scendere fin nel più piccolo dettaglio.
A titolo meramente esemplificativo, infine, è bene che il contratto di consulenza tratti anche questi punti con articoli appositamente dedicati: definizione delle agende di lavoro e del calendario annuale, gestione delle urgenze, esclusività e non concorrenza, sede dell’attività, marketing, scelta del laboratorio e altri consulenti (trattamenti multidisciplinari), privacy, validità delle comunicazioni, clausola di riservatezza, gestione delle controversie.
Forse è giunto il tempo di strutturare le consulenze in un modo nuovo, più attuale e più funzionale allo scenario economico e normativo corrente in questo Paese.
La proposta è quella di trasformare l’attività di consulenza professionale in una attività di impresa vera e propria: più solida economicamente, più sicura contrattualmente e più vantaggiosa sul piano fiscale.
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