Il welfare aziendale costituisce lo strumento più indicato per premiare e fidelizzare i dipendenti del dentista più meritevoli, senza nel contempo imporre allo stesso un aggravio per costi del personale insostenibile. Tuttavia, l’analisi del settore e della sua evoluzione competitiva suggerisce che, nel concreto, solo alcuni operatori possano trovarsi nella condizione di applicarlo proficuamente. La realtà è che non tutti i dentisti sono in grado di permettersi di premiare e fidelizzare i propri dipendenti e che anche quando potrebbero permetterselo non sono per nulla convinti che ciò rientri nelle loro priorità.
Ogni volta che si parla di welfare in qualità di tecnici si trascura un aspetto che è talmente importante da finire per essere l’unico a contare veramente: la percezione e l’abito mentale del tuo interlocutore.
Se quel interlocutore è un dipendente, un professionista o un imprenditore che è anche nel contempo un datore di lavoro, è facile, per non dire certo, che dopo aver ascoltato i primi tre minuti della tua relazione, vedrà inchiodarsi nella propria mente una obiezione che suona spesso come una sentenza definitiva. La stessa che renderà praticamente inutile ogni tuo ulteriore sforzo di approfondimento successivo.
E’ di fondamentale importanza affrontare quella riserva mentale prima di proseguire con l’illustrazione dei dettagli perché, in caso contrario, quei dettagli non interesseranno per davvero a nessuno. E forse è anche per questo motivo che di welfare si parla molto in molti consessi intellettuali, tecnici e sindacali ma nella realtà pratica del mondo del lavoro lo si mette in pratica molto meno.
Il dipendente penserà, in otto casi su dieci: figuriamoci se il mio datore di lavoro sarò disponibile ad investire su di me e ad aumentarmi lo stipendio? Ma di cosa stiamo parlando?
Il datore di lavoro, con altrettanta probabilità, penserà invece: ma dove vivono questi? Ma di cosa state parlando? Si vede bene che parlate di cose che non conoscete per non averle mai messe in pratica.
Sarebbe facile e anche molto stupido reagire con una alzata di spalle a fronte di queste obiezioni con il più classico dei “non vuoi o non puoi capire”. Quelle obiezioni colgono pienamente nel segno, almeno in parte; e vanno affrontate di petto.
La prima considerazione che si impone è quella per la quale il welfare non è per tutti. E in particolare, quando diciamo tutti, intendiamo riferirci proprio a tutti i datori di lavoro e a tutti i dipendenti
Distribuire compensi aggiuntivi in natura da parte del dentista datore di lavoro richiede intanto che lo stesso sia in grado di permetterselo. E solo dopo che consideri le risorse umane quale un fattore differenziante per la costruzione del valore della propria azienda, sulle quali valga la pena investire.
In secondo luogo, occorre che il dipendente mostri concretamente di meritare quegli investimenti e anche che possa comprendere le ragioni per le quali l’erogazione di compensi in natura costituisce l’unico se non il principale modo attraverso cui il suo titolare può concretamente aumentare il volume dei suoi compensi.
In altri termini, la riuscita di un piano di welfare richiede una rivoluzione culturale lato datore e lato dipendente che ad oggi possiamo considerare come ben lungi dall’essere completamente compiuta e che, per diverse ragioni, interessa solo una parte del mondo del lavoro e dello stesso all’interno del settore Dentale.
E’ di queste questioni che intendiamo occuparci in questo articolo più che dei dettagli. Dettagli in merito ai quali ci siamo già intrattenuti in articoli precedenti quali quelli citati di seguito:
fringe benefit nello studio dentistico
welfare aziendale e premi di risultato nello studio dentistico
welfare e istituti connessi nella contrattazione collettiva nazionale di settore
I dipendenti del dentista non amano più di tanto l’idea di percepire compensi in natura perché, come ogni operatore nella medesima situazione, sono ammaliati dall’idea che riceverli in denaro assicuri loro la piena libertà di spenderli come vogliono.
Lo stesso dicasi per eventuali aumenti di stipendio, che loro preferiscono comunque ricevere in denaro, per gli stessi motivi di cui sopra.
In pochi tra i tecnici si soffermano nello spiegare loro perché questo atteggiamento costituisca uno dei presupposti in ragione dei quali quell’aumento di stipendio non potrà mai concretizzarsi.
Per capirlo basta dare una veloce occhiata al seguente schema:
Ci vuole davvero poco a comprendere che, per far arrivare netti in tasca al dipendente 100 €, il datore di lavoro dentista dovrebbe sostenere un costo di 200€ quando i compensi li dovesse erogare nella modalità in denaro.
Il che sarà ben difficilmente sostenibile per la stragrande maggioranza degli studi odontoiatrici in Italia.
E per capirlo basta analizzare il conto economico ideale di una struttura odontoiatrica ben gestita sotto il profilo reddituale, la quale ultima costituisce – sarà bene il caso di ricordarlo – ancora una situazione minoritaria nel settore dentale italiano:
Ora, se ipotizziamo di aumentare gli stipendi in denaro in misura del 30% netto in capo al dipendente, avremo come risultato, sullo stesso conto economico:
Con un aumento del costo del personale pari al
Un aumento che risulta semplicemente insostenibile per la quasi totalità degli studi odontoiatrici in Italia gestiti con modalità efficienti. I quali ultimi sono ancora una ristretta minoranza. Figuriamoci se tale politica può essere considerata attuabile da tutti gli altri.
Non è un caso che nel mondo del lavoro reale – che non pratica il welfare ma che è comunque intenzionato a premiare i dipendenti più meritevoli – la faccenda è stata sempre sbrigata ricorrendo al più classico dei “fuori busta”.
Nella sua ultima opera letteraria, intitolata “Rischiare grosso”, l’autore del più famoso Il Cigno Nero, Nassim Nicholas Taleb, fornisce una convincente spiegazione del motivo per il quale la realtà non viene spesso pienamente compresa dagli intellettuali e tecnici del ramo, anche quando è chiarissima per coloro che in quella realtà devono vivere ed operare concretamente tutti i giorni. E il motivo che Taleb indica per questa singolare mancanza è che i primi non sempre si sporcano le mani con la realtà stessa e non si assumono il rischio di viverla per davvero. Lo fanno solo con illustrazioni e ragionamenti puramente teorici e sono quasi infastiditi che la realtà si incarichi frequentemente di smentirli.
Per Taleb non si tratta solo e semplicemente di una questione di mancanza di onore e coraggio, ma di un chiaro limite epistemologico.
Solo quando fai davvero qualcosa puoi capirla nel profondo.
Non appaia un caso che il sottoscritto sia stato anche un datore di lavoro e un imprenditore oltre che un dipendente e un professionista e che abbia lavorato per conto di piccole e grandi aziende. Solo attraversando le realtà sul piano pratico si riesce a coniugare una conoscenza pratica agli aspetti prettamente teorici. E quindi, in ultima analisi, una vera e utile conoscenza.
Proviamo ora a vedere l’impatto sui conti dell’azienda in ipotesi di un aumento netto in capo al dipendente di un 30% dei citati compensi, quando gli stessi vengano erogati sotto forma di prestazioni di welfare.
Che è ben diversa cosa rispetto al caso precedente, pur apportando al dipendente lo stesso importo in termini di aumento al netto di imposte e contributi.
A questo punto, riemerge prepotentemente l’obiezione del dipendente, che preferisce ricevere quei compensi in denaro senza comprendere che è proprio quella obiezione a concretamente impedire che quell’aumento si concretizzi mai.
Tuttavia, quel che è peggio è che quella obiezione è non solo opposta ad un dato di realtà (il conto economico ideale della struttura odontoiatrica), ma risulta persino priva di reale fondamento.
In un piano di welfare, a tenore dell’art. 51 TUIR, è già presente un insieme di possibili prestazioni in natura che ben difficilmente non potranno rivelarsi utili per qualunque dipendente. Ne abbiamo già parlato in altri articoli, ma rivediamole sinteticamente nel successivo schema:
Si fa osservare che, peraltro, il recente decreto Lavoro, varato dal Governo il 1 maggio scorso e pubblicato in GU il 5 maggio (DL 48/2023), all’art. 40, ha previsto, limitatamente al periodo di imposta 2023, l’estensione del limite di 258 euro (primo elemento del grafico precedente) ad euro 3.000, sia pur a beneficio dei soli lavoratori dipendenti con figli.
Ne abbiamo parlato nell’articolo Fringe Benefit e Welfare nello studio dentistico .
Quando affrontata con le dovute conoscenze tecniche e l’assistenza sindacale adeguata (più facile da concretizzare nell’ambito del sindacalismo autonomo che in quello della Triplice), l’obiezione classica del dipendente si scioglie come neve al sole.
Ovviamente, tutto questo sempreché tutti gli attori in gioco – datore di lavoro, dipendente e sindacati di uno e dell’altro – siano dotati degli adeguati strumenti conoscitivi e siano anche disposti ad agire concretamente per superare i problemi che l’applicazione del welfare comporta, quando attuato alla cieca.
In particolare, il dipendente utilizzerà il welfare per acquistare indirettamente tutto quello che può rientrare in quell’ambito e godere dei benefici fiscali e contributivi; e utilizzerà gli emolumenti in denaro per acquistare tutto il resto che gli occorre per vivere.
Nel comportarsi in questo modo, renderà possibile al datore di lavoro di concepire e realizzare un ulteriore investimento nelle proprie risorse umane senza necessariamente costringerlo a far saltare i conti della sua azienda.
Quest’ultima considerazione ci fornisce l’occasione per indicare quale necessaria un’altra necessaria rivoluzione culturale, che è quella che riguarda il datore di lavoro.
Quest’ultimo, come già anticipato in apertura, deve essere non solo in grado di potersi permettere di investire sui propri dipendenti ma deve anche essere convinto che valga la pena farlo, al fine di migliorare i risultati aziendali.
Entrambe le condizioni devono essere soddisfatte per la concreta riuscita di un piano di welfare e non è per nulla detto che, al di fuori delle immagini mentali dei teorici, siano facilmente concretizzabili entrambe e neanche che lo siano anche solo singolarmente.
Le considerazioni fino ad ora effettuate ci consentono di affrontare con solide basi una delle questioni principali di cui intendo trattare in questo articolo: e cioè quella per cui il welfare non è per tutti e tutti non sono per il welfare.
Per poterlo utilizzare quale strumento valido occorre mettere in atto uno sforzo di comprensione e di azione e cercare di capire che all’interno del settore dentale non tutti gli operatori si trovano nella stessa condizione di fronte al welfare. Il che equivale a dire, non senza una certa brutalità, che il welfare non è per tutti, proprio il contrario di quanto asserito da tanti esperti teorici.
Vediamo di capire perché.
Prima di proseguire, mi corre l’obbligo di avvertire il lettore che l’analisi che seguirà costituisce esclusivamente il frutto della mia personale riflessione con nessuna pretesa di scientificità e di completezza.
Il che non toglie necessariamente validità alla stessa, perché la mia esperienza è abbastanza peculiare. A renderla significativa ai fini dell’oggetto di analisi dell’articolo non pesano tanto e soltanto il bagaglio culturale del sottoscritto e i suoi trenta e più anni di studi universitari e post universitari in merito a materie economiche e giuridiche; quanto e soprattutto le esperienze pratiche e in particolare quelle in qualità di dipendente, di imprenditore e di professionista.
In particolare, pesa l’esperienza maturata in consulenza, una condizione particolare che mi ha portato a toccare con mano la realtà di centinaia di studi odontoiatrici in larga parte del territorio nazionale.
Aggiungo che questa analisi verrà condotta alla mia maniera e cioè provocando e ironizzando, al fondamentale fine di cogliere le macro-questioni che impattano realmente sul giudizio in merito alla concreta applicabilità del welfare nel nostro settore e di farmi capire da chiunque, anche dai non esperti di queste materie.
Ricorrerò quindi anche a molte euristiche e cioè a schematizzazioni semplificate di una realtà molto complessa, perché l’obiettivo che mi prefiggo è unicamente quello di fornire spunti di riflessioni che possano rendersi utili alla applicazione pratica e non è certo quello di affinare l’analisi in merito alle mille eccezioni e sfumature che possono caratterizzare i fenomeni che mi appresto ad esaminare.
L’evoluzione competitiva del settore e l’apertura alla concorrenza hanno spinto lo stesso in direzione di una evoluzione, peraltro ancora in pieno svolgimento e con un attuale assetto che può dirsi tutto tranne che definitivo, che lo ha inevitabilmente trasformato.
La reazione ai cambiamenti da parte degli operatori è stata ovviamente diversa.
Queste sono le tre situazioni tipiche, lato datore di lavoro:
1) gli odontosauri: in questa categoria includiamo tutti quei dentisti che manifestano una diffidenza preconcetta verso tutto ciò che è nuovo e diverso dal contesto che hanno incontrato quando hanno iniziato la loro attività. Il riferimento ai sauri non ha nulla a che vedere con la loro classe di età: esistono persino dentisti relativamente giovani che possono essere inclusi in questa categoria.
Questi dentisti non sono disposti ad alcuno sforzo di adattamento e imputano al progresso ogni negatività possibile. Spesso, anche se non sempre, tale resistenza costituisce un comodo alibi per nascondere le magagne che i loro studi hanno sempre avuto fin dal principio, le stesse magagne che l’evoluzione dei controlli e degli adempimenti non permettono loro di continuare a praticare.
Quasi sempre, questo tipo di dentista ha bisogno di scaricare le proprie inadeguatezze e la propria incapacità di adattamento al contesto su un qualsiasi capro espiatorio. E sono proprio le rappresentanze odontoiatriche più rappresentative a indicargliene di perfetti e sempre nuovi per ogni occasione.
Conservando una sana diffidenza anche per tutto quanto esula la propria disciplina di elezione, questi amanti di epoche lontane detestano e non considerano degne di attenzione tutte le materie extra-cliniche, il che li porta fatalmente a divenire i peggiori nemici di loro stessi. I loro studi sono frequentemente in perdita e soffrono sempre più della sindrome della poltrona vuota: in quanto principali elettori delle proprie rappresentanze, sono al contempo vittime e principali responsabili della bassa qualità di queste ultime e della totale inadeguatezza delle politiche da loro praticate per tutelarli.
Sotto il profilo organizzativo, questi soggetti sono anche incapaci di concepire come rilevante il contributo dei loro dipendenti e persino dei loro collaboratori. Considerano il proprio studio come un prolungamento del loro ego, spesso e persino gratuitamente ipertrofico; lo stesso studio dove in loro mancanza – almeno a loro dire – tramonterebbe immediatamente il Sole.
Non essendo capaci di costruire una sia pur minima struttura organizzativa ed essendo totalmente incapaci di raccogliere e presentare anche i dati economici basilari dei propri studi, costoro, quasi sempre inconsapevolmente, si trovano a capeggiare studi che risultano quasi sempre invendibili.
Di questa come di altre criticità che dipendono quasi totalmente dalla propria inadeguatezza e incapacità di adattamento, sono soliti accusare tutti tranne che sè stessi.
Per tutte queste ragioni, gli odontosauri sono fatalmente destinati ad essere presto o tardi spazzati via dal processo di selezione competitiva ancora in corso.
2) gli odontospeculatori: appartengono a questa categoria tutti quegli operatori che sposano modelli gestionali improntati alla massimizzazione del profitto.
La gran parte di costoro sono figure laiche e/o persone giuridiche controllate da figure laiche con più o meno forte capitalizzazione e capacità economica; spesso i capitali vengono forniti da importanti intermediari finanziari che applicano al proprio processo di investimento le stesse logiche del leverage e della crescita del ROE di cui abbiamo parlato nell’articolo sulla redditività e massimizzazione del profitto.
Quasi sempre – e diremmo persino fatalmente – la politica di massimizzazione del profitto conduce a quella, . strettamente correlata alla prima, che è improntata al progressivo contenimento dei costi, tra cui quelli del personale giocano sempre la parte del leone.
Il personale è quindi quasi sempre relegato nel ruolo di male necessario. I dipendenti saranno quindi facilmente sostituiti con altre risorse più giovani e con contratti di lavoro a tempo determinato o di apprendistato. Abbonda nelle strutture di costoro il ricorso ai contratti di somministrazione o a contratti tipici della para-subordinazione.
I più meritevoli per capacità commerciali saranno inseriti in percorsi di carriera che, a fronte di maggiori guadagni in percentuale sui risultati, diverranno progressivamente anche molto sfidanti e facilmente soggetti a modifiche rilevanti al primo risultato mancato.
Anche quando tali soggetti porranno in essere iniziative improntate al welfare lo faranno senza troppa convinzione e per ragioni di immagine e persino limitatamente a ben determinati benefit, quali le coperture per assistenza sanitaria integrativa. Tali operatori non ritengono prioritario fidelizzare e premiare il personale in un’ottica strategica, semplicemente perché non ritengono che il loro apporto possa essere davvero determinante per la creazione del valore.
Tra gli odontospeculatori possono contarsi anche alcuni dentisti titolari di studio o ambulatorio proprio.
Questi ultimi anelano ad imitare i loro “padri spirituali”, più grandi e organizzati, e vivono la concorrenza come un’occasione per fare la differenza sui colleghi ricorrendo a qualunque mezzo, anche se poco corretto. Spesso praticano il low cost o il low quality, anche se non sempre.
Quasi sempre si limitano a imitare i grandi solo nella parte che si traduce nel contenimento dei costi, non potendo certo permettersi di investire ingenti capitali a leva come i primi.
3) gli odontorealisti: comprendiamo in quest’ultima categoria quei dentisti che non sono disposti a rinunciare a propri valori e principi etici ma che nel contempo hanno compreso che per sopravvivere in un contesto competitivo come quello attuale – e soprattutto come quello futuro – si debba necessariamente porre in essere un notevole sforzo di adattamento. Quasi sempre tale sforzo li ha condotti nell’adottare un forma giuridica più adatta e più fiscalmente efficace ai periodici nuovi investimenti che si rendono necessari per la tenuta di un modello di business che si propone di erogare un buon livello di prestazioni, sotto il profilo clinico ed extra-clinico, praticando tariffe congrue e con la produzione di un margine ritenuto equo.
Costoro non sono quindi interessati a massimizzare il profitto ma il valore delle proprie aziende nel tempo. Di questo modello abbiamo già parlato nell’articolo Sulla redditività della struttura odontoiatrica.
Il loro modello di business li conduce fatalmente a considerare il personale come una variabile strategica nella creazione e nel mantenimento del loro fattore differenziante rispetto alla concorrenza. Tenderanno quindi ad attrarre nelle proprie strutture i dipendenti migliori e faranno di tutto per tenerli nelle loro strutture più a lungo che sia possibile.
Tale ultima categoria ha registrato un continuo e crescente afflusso di nuovi protagonisti negli ultimi anni, il che dimostra che sono in molti quei dentisti che hanno guardato con attenzione all’evoluzione del contesto in cui si trovano ad operare e che ne hanno tratto le logiche ed opportune conclusioni.
Per fortuna i dentisti non sono condannati a restare incardinati a vita nelle scherzose – ma non troppo – categorie che abbiamo appena indicato.
Prova ne sia che molti odontosauri, dopo faticosa e persino dolorosa riflessione e sforzo di approfondimento, sono passati in una delle altre due con relativa abbondanza. Alcuni, anche per merito delle informazioni ricevute da soggetti in grado di fornirne di valide e attendibili e che si sono dimostrati, a differenza dei soliti noti, realmente interessati a difenderne le ragioni e gli interessi.
Di sicuro alcuni erano e sono rimasti ben incardinati nella originaria categoria di appartenenza.
Appare evidente che gli odontosauri non costituiscono il target ideale per la applicazione di un piano di welfare. In parte perché non sono quasi mai convinti che convenga realmente investire capitali aggiuntivi al fine di fidelizzare il proprio personale. Quasi sempre pensano invece che le sorti del proprio studio dipendano esclusivamente da loro e considerano i propri dipendenti come puri passacarte o poco ci manca. Spesso tengono nella stessa considerazione anche i propri collaboratori odontoiatri e igienisti.
Tuttavia, il reale motivo per il quale gli odontosauri non appaiono essere realisticamente il target ideale ai fini ricercati risiede nel fatto che nella stragrande maggioranza dei casi non potrebbero permettersi di investire un euro in più sul proprio personale neanche se lo volessero.
La loro strenua diffidenza verso la dimensione extra-clinica li pone in una situazione di miopia totale in merito a questa e ad altre tematiche. Quasi sempre hanno studi in perdita e non ne hanno nemmeno la benché minima consapevolezza, non riuscendo a distinguere, anche per effetto del loro peculiare sistema contabile e fiscale, i propri compensi professionali dall’utile vero e proprio dello studio. La verità è che la gran parte di costoro produce utili che non sono nemmeno in grado di remunerare in misura decente le proprie prestazioni professionali. Di welfare, in casi come questi, conviene evitare anche solo di parlarne.
Gli odontospeculatori si trovano in una situazione diversa dagli odontosauri, anche se non troppo.
Tra questi non contiamo solo gli imprenditori puri del Grande Capitale Finanziario ma anche alcuni odontoiatri con grandi strutture sanitarie proprie, organizzate quasi sempre in forma di impresa societaria.
Costoro sono tutti, chi più chi meno, accumunati da una filosofia di fondo che è quella di massimizzare l’utile ricorrendo a qualunque mezzo. Chi può – i più grandi e capitalizzati – adotta le strategie tipiche del leverage per massimizzare il ROE. Sia questi che gli altri che non possono, arriveranno all’obiettivo anche o solo minimizzando il più possibile i costi.
Per questo tipo di operatori il personale non costituisce una variabile rilevante per la creazione di valore ma un male necessario, da pagare il meno possibile.
Anche quando ricorrono al welfare, lo fanno parzialmente e con operazioni di facciata; spesso utilizzano solo le forme di sanità integrativa con il reale scopo di fare cross selling sui propri dipendenti, essendo spesso legati ai terzi paganti o al Grande capitale Finanziario e assicurativo. La polizza viene quindi stipulata per costringere di fatto i dipendenti a curarsi in circuiti che sono controllati dagli stessi che li hanno a libro paga nelle varie catene odontoiatriche o grandi gruppi della Sanità privata, spesso a loro volta controllati da soggetti appartenenti al Grande Capitale Finanziario.
Niente a che vedere con la valorizzazione convinta delle risorse umane e con un utilizzo in chiave strategica dello strumento welfare.
Possiamo quindi rivolgerci all’analisi dell’ultima e più interessante categoria, quella degli odontorealisti.
A tutti quei dentisti, cioè, che non hanno rinunciato ai propri principi e valori medici ma che hanno anche capito che occorre adattarsi ai mutamenti e hanno agito di conseguenza. Nella gran parte dei casi, sono anche convinti che per poter offrire un servizio sanitario di qualità devono puntare anche sulle migliori risorse umane e devono anche far di tutto per fidelizzarle.
Tali dentisti sanno anche molto bene che la concorrenza dei grandi gruppi e delle catene odontoiatriche non può impensierirli più di tanto, perché gli stessi possono contare su alcune frecce al proprio arco:
Il Nostro ha quindi capito che esiste ed esisterà ancora spazio di mercato per un dentista professionista/imprenditore che miri a soddisfare una porzione importante del mercato offrendo un servizio clinico ed extra-clinico di buona o alta qualità con criteri etici e buona marginalità.
Siamo quindi pronti ad esaminare il settore lato dipendenti e di farlo alla nostra maniera, definendo tre categorie tipiche anche per i dipendenti del Dentale (e non solo del Dentale):
1) “non è stata colpa mia” : questa categoria di dipendenti include tutti coloro che hanno scarse o bassissime competenze (classico esempio è quello delle aso aspirasaliva, che sono state alle dipendenze di un titolare, quasi sempre classificabile come odontosauro, che non è stato in grado che di insegnare loro pochissimo e anche male) e che non hanno mai trovato il coraggio e la voglia di emanciparsi, investendo sulla propria formazione anche se ciò comportava di pagarla di tasca propria.
Sono tendenzialmente incapaci di qualunque assunzione di responsabilità, reclamano a gran voce i propri diritti con un’enfasi degna di miglior causa, faticano ad imparare e sono del tutto incapaci di comprendere che, al di fuori dello studio odontosaurico all’interno del quale sono cresciuti, sarebbero scartati in qualunque colloquio di lavoro presso altra struttura.
Questo tipo di dipendente non può ovviamente avere alcun futuro al di fuori dello studio in cui opera attualmente e non sarà mai inserito in qualsiasi piano di welfare, anche se questo costituisce l’ultimo dei suoi problemi.
E’ inevitabilmente destinato ad essere spazzato via – salvo eccezioni di cui si dirà – insieme al proprio titolare dalla selezione competitiva, che inevitabilmente chiederà anche la loro testa.
2) “Chiagni e fotti”: questa categoria include tutti quei dipendenti che hanno un buon livello di competenze ma che concepiscono il rapporto di lavoro come un gioco competitivo con il proprio titolare in cui ognuno dei due pensa esclusivamente al proprio interesse e in cui vince quello che riesce a dare il meno possibile in relazione a quello che riceve. Spesso, anche se non sempre, tale soggetto si comporta in maniera sleale anche nei confronti dei colleghi, pratica l’assenteismo con grande frequenza condito con tanto di piagnistei e vittimismo, reclama a gran voce i suoi diritti dimenticando spesso i suoi doveri ed è inevitabilmente condannato a lavorare per datori di lavoro autoritari e peggiori di lui.
Per questo motivo e per il fatto di avere un buon livello di competenze non trova grandi difficoltà nel cambiare lavoro ma è inevitabilmente destinato a non incontrare mai un odontorealista o a perderlo ben presto come datore di lavoro, essenzialmente perché non può stimarlo e capirlo e perché verrà egualmente dallo stesso ricambiato.
Non potendo incontrare un datore di lavoro del genere, sarà anche il dipendente che non potrà mai vedersi incluso in un Piano di Welfare attuato realmente in modalità strategica.
3) “Fai, capisci e conosci”: in quest’ultima categoria ricomprendiamo quei dipendenti che, per indole o per piena consapevolezza dei processi di selezione che interessano il mondo del lavoro attuale, sono impegnati nel continuo miglioramento delle proprie competenze e che concepiscono il lavoro come un impegno serio e una forma di crescita personale e non solo professionale.
Sono anche quelli che amano fare quello che fanno e che provano piacere nel farlo sempre meglio.
Questo tipo di dipendente è anche molto sensibile alle gratificazioni e al riconoscimento del proprio contributo alla creazione del valore e tende fatalmente a spegnersi quando incontra un datore di lavoro incapace di comprendere queste sue fondamentali esigenze.
Come tutti, è sensibile al compenso per il proprio operato ma lo considera alla pari di molti altri aspetti: le caratteristiche dell’ambiente lavorativo in cui opera, l’equità dei processi organizzativi, la presenza di criteri meritocratici effettivi nella gestione del personale, l’eticità del processo produttivo, il rispetto del suo lavoro e della propria persona oltre che quello del lavoro e della persona dei suoi colleghi, etc.
Tale tipologia di dipendente, spesso anche se non sempre, tende a cambiare posto di lavoro con relativa facilità quando non trova un ambiente adatto allo sviluppo delle proprie potenzialità e non può essere trattenuto solo sulla base di fattori puramente economici.
Per tutte queste caratteristiche, si tratta di quel dipendente ideale per tutte quelle strutture sanitarie che pongono la creazione del valore come fattore differenziante e unico vero plus da conseguire: in una parola, stiamo parlando proprio di quelle dell’odontorealista.
Non occorre essere un indovino per comprendere che il modello “Non è stata colpa mia” non ha che una sola possibilità per sfuggire al suo scontato destino che è fatalmente quello di lavorare per un odontosauro e seguirne le sorti.
E cioè quella di prendere coscienza della propria posizione di svantaggio rispetto alle caratteristiche richieste dal mercato del lavoro attuale e di adoperarsi per colmare il gap con la formazione o la pratica presso altre strutture odontoiatriche di ben diverso stile.
E’ anche abbastanza facile prevedere che il modello “Chiagni e fotti” sia quasi unicamente destinato a lavorare per un odontospeculatore; in fondo, li accomunano molte più affinità di fondo rispetto a qualunque altra categoria di datore di lavoro.
L’ultimo modello “Fai, capisci e conosci” appare quello che parte in vantaggio rispetto a tutti gli altri, per la semplice ragione che ha compreso alcuna caratteristiche di fondo dell’attuale mercato del lavoro e si è adoperato per non essere travolto da questa evoluzione: ha compreso, in particolare, che deve scegliersi il datore di lavoro giusto.
Le aziende italiane sono piene di ex “fai capisci e conosci” che si sono spenti per non vedere riconosciute le loro qualità e la loro abnegazione.
Chiunque pratichi le organizzazioni aziendali sa molto bene che i dipendenti lavorano anche per lo stipendio, ma sono gratificati e mortificati da fattori extra-economici quali un clima aziendale orientato a principi etici applicati in modo equo a tutti i dipendenti, il vedere riconosciuto il merito, il sapersi monitorati in un’ottica di costante miglioramento, il venire gratificati quando lo meritano con promozioni, premi o altri riconoscimenti, etc. Nulla più di un datore di lavoro incapace di gestire il personale con criteri quali quelli descritti può rilevarsi meno indicato per un dipendente di questo tipo.
Il che comporta anche il coraggio di effettuare delle precise scelte e tale coraggio deve caratterizzare sia il datore di lavoro che il dipendente.
Quest’ultimo, in particolare, deve trovare la forza di cambiare datore di lavoro, di investire nella propria formazione e di cercare di guadagnare una significativa competenza in materie che non possono essere facilmente replicate da un qualsiasi altro dipendente o da un robot. In particolare, in tutte quelle aree di operatività in cui l’elemento empatico si rileva essenziale e dove una risorsa umana capace non può essere facilmente sostituita.
Con diretto riferimento al discorso welfare, siamo quindi giunti a conclusioni non dissimili da quelle che possono caratterizzare l’evoluzione del mercato del lavoro.
Il processo competitivo è come la Storia cantata da Francesco de Gregori: da torto e da ragione e non fa prigionieri. Alcuni sopravvivono ed evolvono e altri vengono esclusi dal mercato. Comprendere queste dinamiche serve a programmare le scelte più opportune.
Tuttavia, in una visuale più generale, l’analisi di tale contesto e delle sue probabili linee evolutive è servita a noi anche a comprendere in quali casi e in quali condizioni può rilevarsi vincente un sapiente e condiviso utilizzo del welfare all’interno di una struttura sanitaria odontoiatrica. E ci ha permesso di dimostrare su dati di realtà l’assunto da cui eravamo partiti. Il Welfare in chiave strategica non è per tutti e tutti non sono per il welfare.
E persino quella parte che è potenzialmente in grado di usufruirne abbisogna di informazioni corrette e di conseguenti decisioni non proprio semplicissime da attuare, se ogni componente del settore non sarà disposto a fare la sua parte. E, in particolare, devono fare la loro i datori di lavoro, le controparti sindacali e anche i dipendenti.
Il tuo carrello è vuoto.
Benvenuto su www.dentistamanager.it.
Ti preghiamo di prendere nota e rispettare le informazioni di seguito riportate che regolano l'utilizzo del nostro sito e dei materiali pubblicati e a cui sono soggetti i servizi forniti; l’accesso alle pagine del sito web implica l’accettazione delle seguenti condizioni.
Diritto d’autore
Tutto il materiale pubblicato sul sito ed il sito stesso, compresi testi, illustrazioni, fotografie, progetti, cataloghi, grafici, loghi, icone di pulsanti, immagini, clip audio, software, contenuti del blog, articoli di approfondimento, strutturazione dei corsi (in generale, il "Contenuto" del sito), è coperto da diritto d'autore.
La legislazione italiana ed internazionale in materia di diritti d'autore e marchi tutela il contenuto e il sito in generale.
La riproduzione dei materiali contenuti all'interno del sito, con qualsiasi mezzo analogico o digitale, è vietata.
Sono consentite citazioni, purché accompagnate dalla citazione della fonte Dentista Manager S.r.l., compreso l'indirizzo www.dentistamanager.it
Sono consentiti i link da altri siti purché venga specificato che si tratta di link verso il sito www.dentistamanager.it