Il corretto impiego della Cone Beam (CBCT) nella pratica clinica è la risultante finale di una serie intricatissima di disposizioni, norme, leggi nazionali, leggi regionali, circolari, linee guida. Il tema riguarda la sicurezza, la radioprotezione, i requisiti autorizzativi, la formazione e l’aggiornamento continuo, la medicina legale e le assicurazioni, le convenzioni. Poi ci sono i principi deontologici, i limiti di competenza, le necessità organizzative, il consenso informato, le nomine dei consulenti, la disponibilità limitata delle risorse economiche (sia del dentista che del paziente). E’ il caso tipico nel quale un dentista comune ad un certo punto si perde e non sa più distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato.
Lo scopo di questo articolo è fornire ai colleghi dentisti un quadro riassuntivo ma completo dei principali adempimenti ai quali devono attenersi nell’utilizzo clinico dell’apparecchiatura Tac Cone Beam (CBCT) nella pratica professionale quotidiana.
Ho ritenuto di fare un po’ di ordine su questa materia non già perchè penso che la regolamentazione sia l’unico modo di favorire l’uso disciplinato delle risorse. Al contrario sono un discreto fautore della deregulation, in tutti gli ambiti.
Il problema è rappresentato sia dall’incremento continuo del contenzioso con il paziente, sia, ancor peggio, dalla esposizione parossistica agli organismi di controllo che si sta consumando sul tema della radioprotezione. Garbatamanete contesto, ma disciplinatamente mi adeguo!
Gli obblighi relativi alla installazione e manutenzione periodica dell’apparecchiatura o ai profili autorizzativi necessari non vengono trattati in questo articolo.
Le principali fonti normative che disciplinano l’impiego della Cone Beam nello studio dentistico (e che ogni dentista dovrebbe conoscere) sono fondamentalmente tre:
All’interno di queste tre pubblicazioni è possibile trovare tutte le indicazioni che rendono l’impiego della CBCT da parte dei dentisti formalmente e sostanzialmente corretto.
Il principio di giustificazione si basa essenzialmente sul noto bilancio costi/benefici. In altre parole il beneficio diagnostico o terapeutico dell’esposizione alle radiazioni (anche solo potenziale) deve essere superiore al costo biologico che il paziente paga sottoponendosi all’esame.
In particolare il legislatore inserisce una proposizione di nostro interesse laddove specifica che bisogna
tenere conto dell’efficacia, dei vantaggi e dei rischi di tecniche alternative disponibili, che si propongono lo stesso obiettivo, ma che non comportano un’esposizione, ovvero comportano una minore esposizione alle radiazioni ionizzanti.
In altre parole, l’impiego della Cone Beam può dirsi giustificato non solo quando il bilancio costi/benefici per il paziente è positivo, ma anche quando un analogo risultato non possa essere ottenuto con tecniche meno invasive.
Se con la Cone Beam ottengo informazioni che potrei ottenere con una ortopantomografia, il suo impiego non è giustificato, nello stesso modo in cui una rx endorale potrebbe rendere ingiustificato il ricorso alla ortopantomografia.
Sul principio di giustificazione dovremmo soffermarci a riflettere, per esempio, ogni volta che eseguiamo Cone Beam a scopo diagnostico ortodontico. E’ un esame che debba ritenersi giustificato su tutti i pazienti ortodontici in fase diagnostica? Lo stesso vale per le teleradiografie del cranio. E gli esami radiografici a fine cura? E’ giustificato eseguire radiografie (di qualsiasi tipo) al solo scopo di documentare un caso dal punto di vista scientifico (penso ad esempio ai board nazionali o internazionali per l’ammissione come soci ordinari)?
In questo senso credo sia opportuno ricordare uno dei passaggi della legge citata che, se anche non calza a pennello, ci dà comunque una rappresentazione abbastanza chiara di cosa ne pensa il legislatore all’art. 14, comma 2:
L’esposizione di persone a scopo di ricerca scientifica clinica, senza il loro consenso, in violazione dell’obbligo di cui all’articolo 5, comma 6, e’ punita con l’arresto da due a sei mesi […].
Un ultima nota sul principio di giustificazione è quella relativa al criterio di relatività: non esiste la possibilità di ritenere giustificato o ingiustificato un esame radiologico a priori, poichè tale giudizio deve essere sempre calato nella realtà specifica del paziente che stiamo esaminando.
Questo elemento consente di escludere la possibilità che nei protocolli interni dello studio un esame radiologico (la Cone Beam CBCT su tutti) possa essere ritenuto sempre giustificato (o sempre ingiustificato) al ricorrere di uno specifico quadro clinico standard.
Il legislatore infatti scrive:
Se un tipo di pratica che comporta un’esposizione medica non è giustificata in generale, può essere giustificata invece per il singolo individuo in circostanze da valutare caso per caso.
La discrezionalità dunque non è esclusa a priori ma semplicemente legata a doppio filo con l’assunzione di una responsabilità … che assomiglia molto ai concetti di competenza, formazione e aggiornamento cui il legislatore fa continui riferimenti (non a caso).
Sostenere dunque che la presenza di un ottavo incluso rappresenti sempre una indicazione alla esecuzione di CBCT è una palese violazione del principio di giustificazione. Almeno quanto fare sempre una teleradiografia al paziente ortodontico o una bite wing durante una visita di controllo.
Superato lo sbarramento della giustificazione, entriamo nel merito della ottimizzazione.
Un esame radiologico è da considerarsi lecito quando le dosi impiegate sono
mantenute al livello più basso ragionevolmente ottenibile e compatibile con il raggiungimento dell’informazione diagnostica richiesta …
Qui non si tratta più di scegliere tra una metodica e l’altra ma di fare in modo che, scelta una metodica e stabilito che questa è giustificata, le procedure e le apparecchiature siano tarate in modo tale da ridurre al massimo l’esposizione del paziente (o del personale che opera).
E’ poi singolare che il legislatore non si sia preoccupato solo dell’aspetto biologico ma anche delle risorse economiche impiegate durante l’esame, visto che completa il periodo precedente con la frase
… tenendo conto di fattori economici e sociali.
Nel caso specifico della CBCT dunque, una volta appurato che per quel caso specifico di canino incluso l’esame è giustificato, dovremo fare in modo che l’esposizione del paziente sia la più bassa possibile.
Qui si entra in una disputa spinosa: ridurre il FOV (field of view) dell’esame potrebbe (ma non è detto) portare dei benefici in termini di esposizione, ma aumenta il rischio che l’immagine acquisita non sia sufficientemente ampia da risolvere il quesito diagnostico, oppure che lesioni associate ma distanti dal fuoco non vengano acquisite. Non bisogna dimenticare che l’eventuale ripetizione dell’esame potrebbe essere molto più invasiva che una esecuzione singola con FOV più ampio in partenza.
Questo e molti altri aspetti procedurali devono essere tenuti in debito conto in ossequio al dovere di ottimizzare l’esame: pensiamo ad esempio a tutte le problematiche tecniche legate alla tipologia di apparecchio, alla sua manutenzione ed alla formazione specifica che serve per utilizzarla.
Non bisogna dunque sorprendersi se il legislatore è entrato prepotentemente sul tema di chi sia abilitato professionalmente all’utilizzo della Cone Beam, un tema che ha suscitato mille discussioni e che proviamo a dipanare di seguito.
E’ nel 2010, con l’emanazione delle linee guida ministeriali sopra citate al punto 3, che il legislatore introduce anche il concetto di appropriatezza. Il timore che gli odontoiatri, colti dall’ansia di esami sempre più accurati, possano ricorrere all’impiego della Cone Beam anche quando si potrebbe farne a meno, si fa sempre più evidente.
Per la prima volta viene anche pubblicata una tabella ufficiale (che riproponiamo di seguito) nella quale si danno indicazioni di massima sul diverso impatto che le diverse tipologie di esami radiologici odontoiatrici hanno sul paziente in termini di esposizione (dose efficace).
Una prima analisi della tabella ci fa capire in termini quantitativi la maggiore esposizione che una CBCT comporta per il paziente e conseguentemente il maggior rischio. Subito dopo si nota come l’impiego della Cone Beam per grandi volumi o per volumi ridotti comportino sostanzialmente esposizioni e rischi sovrapponibili per gran parte del range di riferimento, con esclusione (anche significativa) della coda a destra dell’ipotetica curva di distribuzione. Questo dato è importante se vogliamo che il rischio radiologico del paziente venga ponderato anche dal rischio clinico del paziente e dal rischio medico legale dell’odontoiatra.
Data la estrema variabilità di casi clinici e di capacità clinica o diagnostica dell’operatore, unita alla estrema elasticità con cui queste due variabili si possono combinare tra loro, non credo che sia possibile stimare anticipatamente una analisi del rischio complessivo per tutte le parti coinvolte. Per questo motivo, giustamente, il legislatore lascia al dentista ampi margini di discrezionalità, purché in presenza di valide argomentazioni e non solo di protocolli standard applicati meccanicamente.
Ad un certo punto il documento prosegue introducendo un tema molto caldo, che ha creato molte incomprensioni e dibattiti e forse anche qualche ingiusta sanzione da parte degli organismi di controllo: chi può utilizzare una apparecchiatura Cone Beam?
Infatti si legge nel testo:
La TC volumetrica «cone beam» deve essere […] gestita solamente da personale qualificato, opportunamente formato e con adeguata esperienza, come richiesto dall’art. 7 del decreto legislativo n. 187/2000, anche ai fini della ottimizzazione dell’esame.
Come noto, l’attività di radiologia non è di competenza degli Odontoiatri, ma neppure dei Medici Chirurghi. Le prestazioni afferenti alla branca di Radiologia, infatti, sono riservate ai Laureati in Medicina e Chirurgia, iscritti all’Albo dei Medici e in possesso di Specializzazione in Radiologia medica o altra equipollente.
Con riferimento alla Cone Beam le raccomandazioni del Ministero si esprimono letteralmente in questo modo:
L’utilizzo delle apparecchiature TC volumetriche «cone beam» è di norma prerogativa dell’attività specialistica radiologica.
Questa è la base di partenza. In altre parole un Laureato in Odontoiatria e Protesi Dentaria non potrebbe svolgere l’attività radiologica propriamente detta perchè questo configurerebbe esercizio abusivo di professione per carenza dei titoli abilitanti.
Tuttavia il legislatore riconosce che lo svolgimento di una attività odontoiatrica (a livelli minimi accettabili di decenza tecnica) richiede obbligatoriamente il ricorso ad esami radiologici per una serie molto nutrita di prestazioni. Per questo motivo ha previsto l’eccezione di consentire anche all’Odontoiatra di effettuare questo tipo di prestazioni purché nell’ambito delle proprie competenze e per uno scopo specifico e ben preciso (non è un caso che il Corso di Laurea in Odontoiatria contempli anche l’esame di Radiologia al terzo anno).
Nel timore che l’odontoiatra possa in qualche modo travalicare i limiti delle proprie competenze e/o che si possa ricorrere eccessivamente ad esami radiologici sono state poste condizioni precise e vincoli normativi per contenere eventuali abusi. In particolare l’attenzione del legislatore, a tutela dei pazienti, si è rivolta ai sistemi CBCT normalmente presenti anche negli studi odontoiatrici.
Si badi che questa eccezione non è prevista solo per l’odontoiatria ma per tutte le branche specialistiche della medicina. Per esempio un ortopedico può legittimamente effettuare esami radiologici, con o senza l’aiuto di un TSRM (il tecnico di radiologia medica), purché tale esame rispetti i criteri di contestualità, integrazione e indilazionabilità di seguito descritti. Esattamente come succede all’odontoiatra, anche l’ortopedico può eseguire esami diagnostici preliminari alla esecuzione di una prestazione oppure esami intraoperatori. L’esame intraoperatorio di un ortopedico (per esempio gli esami condotti in scopia per verificare il corretto posizionamento di mezzi di sintesi o di una protesi) equivalgono agli esami intraoperatori di un dentista che controllo radiologicamente il posizionamento di un impianto o i risultati di una terapia canalare.
Il contenuto di questo paragrafo deve essere rivalutato alla luce degli aggiornamenti della normativa Euratom e alla introduzione della figura del RIR - Responsabile impianto radiologico, di cui si rende conto nell'articolo linkato. [n.d.a. del 2020]
Uno dei principi che limitano l’esecuzione di una CBCT da parte dell’odontoiatra è, appunto, il principio di complementarietà. Sulla base del principio di complementarietà infatti la Legge non richiede la figura del medico specialista in Radiologia.
Cosa si intende per complementarietà?
Nell’art. 2, comma 1, lettera b del DLgs 187/2000 sopra richiamato, il legislatore descrive le attività diagnostiche complementari come segue:
Attività di ausilio diretto al medico chirurgo specialista o all’odontoiatria per lo svolgimento di specifici interventi di carattere strumentale propri della disciplina, purché contestuali, integrate e indilazionabili, rispetto all’espletamento della procedura specialistica.
Su queste basi il medico ortopedico può effettuare esami radiologici ad un polso prima, durante e dopo la riduzione di una frattura di Colles, così come un dentista può effettuare esami radiologici prima, durante e dopo l’intervento di rialzo del seno mascellare.
Anche le Raccomandazioni del Ministero richiamano esplicitamente questo tema precisando che:
Nel caso di utilizzo delle apparecchiature TC volumetriche «cone beam» in attività radiodiagnostiche complementari per lo svolgimento di specifici interventi di carattere strumentale propri della disciplina specialistica del medico o dell’odontoiatra, non possono essere effettuati esami per conto di altri sanitari, pubblici o privati, né essere redatti o rilasciati referti radiologici, in quanto l’utilizzo di apparecchiature radiodiagnostiche in via complementare risulta essere ammesso limitatamente alle sole condizioni prescritte dal D. Lgs n. 187/2000.
Si tratta dunque di definire meglio, nell’ambito del principio di complementarietà, cosa si intenda per contestuale, integrato e indilazionabile. E infatti ciò avviene subito dopo nel testo.
Per contestuale si deve intendere, prosegue il documento del Ministero,
tutto quello che avviene nell’ambito della prestazione specialistica stessa e ad essa direttamente rapportabile. La contestualità rispetto all’espletamento della procedura specialistica interessa pertanto sia l’ambito temporale in cui si sviluppa la prestazione strumentale, sia l’ambito funzionale direttamente riconducibile al soddisfacimento delle finalità della stessa prestazione
Proviamo a fare degli esempi concreti.
Sembra evidente che l’esecuzione di una Cone Beam nel caso di un elemento incluso per il quale sia necessario identificare i rapporti anatomici con le strutture circostanti assolva al requisito di contestualità con la prestazione specialistica di riferimento: sia essa l’estrazione di un ottavo o il recupero ortodontico di un canino.
Analoghe considerazioni valgono per una rx endorale preliminare a terapie di conservativa o endodonzia, opt e tele preliminari alla terapia ortodontica, status radiografico preliminare alla terapia causale parodontale, e via di questo passo.
E’ innegabile che, accogliendo alla lettera la definizione di contestualità data dal legislatore, tutte le prestazioni di cui abbiamo fatto un esempio sono legate temporalmente e funzionalmente agli accertamenti radiologici che li precedono. Nè l’ordine cronologico di esecuzione potrebbe essere invertito, nè funzionalmente si può negarne la relazione diretta e la ragione per la quale sono necessari i secondi rispetto alle prime.
La sostanza di una prestazione clinica non si concretizza solo nel gesto tecnico chirurgico di estrazione o esposizione del dente in questione (per usare gli esempi appena fatti), ma anche (e, direi, soprattutto) della fase diagnostica preliminare.
Si pensi che anche l’acquisizione del consenso informato alla stessa procedura chirurgica è intesa dal legislatore come atto medico esclusivo e facente parte della prestazione stessa, pur essendo collocato in una dimensione spazio temporale che potrebbe apparite distante dalla prestazione tecnica in senso stretto.
E la norma prevede appunto quanto segue:
Per risultare integrato l’uso della pratica complementare deve essere connotato dalla condizione di costituire un elemento di ausilio della prestazione stessa, in quanto in grado di apportare elementi di necessario miglioramento o arricchimento conoscitivo, utili a completare e/o a migliorare lo svolgimento dello stesso intervento specialistico di carattere strumentale.
Che un esame radiografico prodromico alla esecuzione di una specifica prestazione professionale sia da considerare ad essa integrato, alla fine dipende solo dal buon senso dell’operatore e dalla sua onestà intellettuale.
Per capirci proviamo, questa volta, a fare esempi assurdi invece che concreti. L’impiego della Cone Beam nella routine dell’Igiene orale non può rispettare il principio di integrazione sopra enunciato, se non in casi eccezionali. Allo stesso modo, l’esecuzione indiscriminata di ortopantomografie a tutti i pazienti in prima visita, lascia intravvedere nel legislatore (a ragione) una semplificazione ed una standardizzazione eccessive dei protocolli terapeutici, che invece dovrebbero essere strettamente personalizzati.
Non sono più legittimabili economie di scala o politiche di marketing che si giochino sulla esposizione biologica del paziente ad un fattore di rischio, sotto le mentite spoglie della qualità della prestazione o del servizio offerto. E questo è senz’altro giusto.
L’ultimo criterio a rendere appropriato il ricorso alla CBCT (o ad esami radiologici in genere) è rappresentato dal tempo, per il quale la norma si appella al concetto di indilazionabilità.
Per evitare confusione il principio viene espresso per esteso come segue:
Sotto il profilo temporale la pratica complementare deve risultare non dilazionabile in tempi successivi rispetto all’esigenza di costituire un ausilio diretto ed immediato […] all’odontoiatra per l’espletamento della procedura specialistica, dovendo come prescritto dalla normativa risultare sotto tale profilo «indilazionabile» rispetto all’espletamento della procedura stessa, per risultare utile.
Anche in questo caso non possiamo ravvisare particolari forzature o limitazioni se non quelli dettati dalla scienza e dalla coscienza. In altre parole, anche questa norma sembra scritta bene.
Posto che, come tutti sanno, diagnosi e terapia fanno parte della stessa prestazione medica e si pongono una di fronte all’altra con caratteristiche temporali vincolanti, è perfettamente lecito sviluppare l’intera prestazione anche su più giorni per esigenze organizzative interne o di qualità della prestazione.
Facciamo ancora l’esempio tipico dell’ottavo incluso:
Quale elemento di appropriatezza potrà essere contestato in questo ipotetico caso? Nè la contestualità (la cone beam è correlata temporalmente e funzionalmente alla estrazione), né l’integrazione (la Cone Beam fa parte della prestazione nel suo insieme diagnostico terapeutico), né l’indilazionabilità (la propedeuticità temporale è corretta e una volta posta la diagnosi definitiva l’intervento viene eseguito nel tempo minimo necessario sia per motivi biologici che per motivi tecnici).
Ora che il punto sembra chiarito, vale la pena fare luce anche sul grande equivoco che la parola indilazionabile porta con sé. Il legislatore usando questo termine non ha mai impiegato né la parola urgenza né, tanto meno, l’emergenza.
Emergenza e urgenza rappresenterebbero sì una limitazione pratica all’impiego della Cone Beam in ambito odontoiatrico, dal momento che sovvertirebbero la lineare e consolidata sequenza logica operativa dell’odontoiatra comune con una condizione, l’urgenza appunto, che poco ha a che vedere con la nostra pratica clinica.
Anche in questo caso vi porto un esempio che può aiutare a comprendere il concetto. Consideriamo come si muove lo Stato (quindi il legislatore stesso) in situazioni simili alle nostre.
Nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale, gli esami diagnosti e propedeutici all’intervento chirurgico programmato vengo eseguiti fino a 30 giorni prima della data del ricovero e/o dell’intervento. In tutti questi casi, durante il cosiddetto pre-ricovero, vengono eseguiti esami strumentali radiologici (quasi sempre ben più pesanti di quelli odontoiatrici sul fronte dell’esposizione). Il rapporto sinallagmatico che correla tali esami preoperatori alla prestazione clinica (l’eventuale intervento) è sancito anche da un fatto concreto: tali esami vengono eseguiti dietro prescrizione dello stesso chirurgo che farà la prestazione, sono a carico del SSN stesso e, soprattutto, vengono rimborsati in modo forfettario alla struttura erogante nello stesso pacchetto (che si chiama DRG per chi non lo sapesse) che include l’intervento chirurgico per il quale gli esami vengono eseguiti poichè parte integrante della stessa prestazione.
Questi trenta giorni rispettano il principio della indilazionabilità di un esame radiologico rispetto alla prestazione specialistica cui appartiene, senza neppure sfiorare il tema dell’urgenza.
Questo non significa, ovviamente, che non esista anche il tema dell’urgenza, ma solo che non ha nulla a che fare con quello di cui stiamo parlando.
Qualcuno potrebbe giustamente preoccuparsi di un punto che non ho ancora trattato, ovvero dell’opportunità, necessità, obbligo di inviare il paziente all’esterno per eseguire lo stesso esame Cone Beam presso un centro di radiologia vero e proprio.
Il ragionamento potrebbe essere il seguente: “Se è vero che possiamo eseguire i nostri esami di secondo livello in un arco di tempo relativamente ampio, per programmare al meglio per es. l’avulsione di quell’ottavo che sembra a contatto col NAI, o per visionare le volumetrie e anticipare un’eventuale necessità di rigenerazione, è altrettanto vero che in caso di simili dubbi potremmo derivare il paziente allo studio di radiologia. Ci sarebbe tutto il tempo per farlo.”
IO credo che questo sia un falso problema, alimentato da un ingiustificato senso di colpa che le normative complesse fanno sempre insorgere anche in chi opera con onestà intellettuale e purezza di intenti. Un senso di colpa che spesso ci induce, per eccesso di prudenza e per amore di correttezza estrema ad essere più realisti del re, come si suol dire. [Fenomeno dilagante in ambito fiscale].
Partiamo sempre dal concetto portante di tutta la questione: l’interesse del legislatore è tutelare il diritto alla salute del cittadino ed evitare che appellandosi a criteri discrezionali di processo il dentista abusi (quali che siano le sue intenzioni finali) dello strumento radiologico. Il suo interesse non è nè quello di impedirci di effettuare esami radiologici CBCT (chè altrimenti ce lo avrebbe esplicitamente vietato), nè tantomeno quello di costringere il paziente verso i centri di radiologia (che, attenzione, potrebbero essere sia pubblici che privati, sia convenzionati che no). Anche questo, se avesse voluto, lo avrebbe scritto apertamente.
Detto questo: per quale motivo si dovrebbe preferire che lo stesso esame e con le stesse indicazioni venga eseguito in un luogo fisico piuttosto che in un altro se i principi di contestualità, integrazione e indilazionabilità vengono rispettati in entrambi i casi? E se entrambe le strutture e le persone coinvolte sono parimenti autorizzate e qualificate per lo svolgimento della professione?
L’unica vera ragione potrebbe essere quella di consentire al paziente il diritto di scelta dell’erogatore presso il quale eseguire la TC. Ma questo diritto è garantito intrinsecamente su tutte le prestazioni sanitarie e noi non costringiamo il paziente a eseguire la CBCT da noi, offriamo solo un servizio più efficiente (e quindi qualitativamente migliore per lui) che se non disponessimo della apparecchiatura.
Un altro argomento potrebbe essere quello di consentire l’esecuzione dell’esame in convenzione con il SSN. Qui emergono alcuni fatti importanti.
Se, in ossequio al principio di integrazione, contestualità e indilazionabilità, il legislatore avesse disposto che dobbiamo inviare il paziente all’esterno piuttosto che fare l’esame sul posto si sarebbe contraddetto un filino … E comunque non l’ha scritto da nessuna parte, quindi sono tranquillo.
Dal punto di vista organizzativo sarebbe opportuno che ciascuno studio elaborasse un protocollo operativo (o meglio, un processo) interno che definisca nei dettagli con quali modalità i pazienti vengono avviati alla esecuzione di una CBCT.
All’interno del protocollo dovrebbero trovare luogo tutte le raccomandazioni indicate dal legislatore e tutte le regole interne dello studio in relazione a variabili quali: indicazioni cliniche, disponibilità di apparecchiature, protocolli clinici di lavoro, presenza di personale qualificato, ecc.
Questo significa che, fatti salvi gli obblighi di legge, non si può prescindere da valutazioni discrezionali che dipendono da fattori di contesto. Poichè i fattori di contesto sono diversi da uno studio all’altro, ne consegue che i protocolli operativi devono essere personali.
Facciamo un esempio: un grande studio, che dispone di tecnici di radiologia assunti e sempre in sede, può avere protocolli diversi dal grande studio senza TSRM ma con odontoiatri junior disponibili, oppure dallo studio mono professionale dove i tempi di esecuzione degli esami radiologici sono ancorati alla agenda dell’unico dentista abilitato.
Nel primo caso il processo potrebbe prevedere una prima visita da parte dell’odontoiatra, la prescrizione interna degli esami radiologici da eseguire e l’esecuzione dell’esame da parte del TSRM mentre il titolare è già impegnato in una prestazione successiva. Salvo poi che il titolare (o un suo sostituto) ritornino sul paziente, prendano visione dell’esame radiografico eseguito e passino alla fase clinica successiva. Questa, in ragione degli interessi primari di salute del paziente, potrebbero anche prevedere un rinvio alla settimana successiva o addirittura ad un semplice follow up (cioè alla esecuzione di nessuna prestazione clinica materiale).
Nel secondo caso il processo potrebbe prevedere una prima visita da parte di un odontoiatra junior, l’esecuzione diretta degli esami radiologici necessari per la diagnosi ed una fase clinica successiva che, a seconda della competenza tecnica necessaria, venga eseguita dallo stesso odontoiatra junior o da titolare più esperto.
Nel terzo caso il processo è vincolato alla mancanza di professionalità (mediche o tsrm) supplementari a quelle del titolare e quindi si ancora ad una agenda unica e ad una dimensione spazio temporale lineare e predefinita. Ma anche in questo caso dilazionabilità e urgenza rimangono elementi ben distinti tra loro.
Quindi capiamo le regole generali (e la loro logica) e poi adattiamole alla nostra situazione specifica.
Non è questa la sede per sviluppare argomenti di natura medico legale o giuridica in senso stretto. Tuttavia mi sento di poter raccomandare, in conclusione a questo lungo articolo, l’adozione di una documentazione interna atta a dimostrare che tutti i concetti sopra esposti, non solo siano ben compresi all’interno dello studio, ma anche applicati.
Tra questi segnalo, almeno:
Niente e nessuno potrà mai mettere l’odontoiatra al riparo dalle richieste (o aggressioni) dei terzi ostili, ma corre una grande differenza in termini di rischio tra chi si può difendere con tutti questi elementi e chi non lo può fare. E questo accade, purtroppo, anche a parità di protocolli applicati e di osservanza delle regole.
Cerchiamo di non fare confusione. Ci sono cinque livelli autorizzativi diversi per l’utilizzo lecito e legittimo di una Cone Beam:
Quanto riportato in questo articolo assume una particolare valenza e significato a seguito della Sentenza Cassazione 36820-22 con la quale un dentista è stato condannato per uso inappropriato della CBCT nella pratica professionale.
La sentenza in oggetto rappresenta la deprecabile materializzazione di una previsione che non avremmo mai voluto si avverasse alla data di pubblicazione di questo articolo, per quanto la ritenessimo probabile.
Si tratta anche della plastica dimostrazione che gli assunti e le considerazioni sopra esposte avessero un solido fondamento, così come le indicazioni operative che abbiamo tentato di fornire ai colleghi, indagando tra le pieghe della normativa.
Veniamo al merito.
Il giudice scrive:
le argomentazioni sviluppate dal ricorrente [il dentista, ndr], pur suggestive, non convincono
Di seguito riprende i concetti di contestualità, integrazione e indilazionabilità che abbiamo ampiamente descritti per confermare quanto già affermato dai giudici di merito.
Possiamo riassumere il concetto nella seguente affermazione della Cassazione al punto 2.3 della sentenza:
… atteso che pur potendo in astratto riconoscersi la sussistenza del requisito di integrazione dell’attività radiodiagnostica complementare svolta, nel caso di specie difettavano sicuramente i requisiti della contestualità e della indilazionabilità (come dimostrato dalla circostanza che su 25 pazienti, 12 di essi, pur essendo stati sottoposti all’esame, non avevano poi effettuato alcun trattamento odontoiatrico).
Ho volontariamente messo in grassetto la frase ricompresa tra parentesi che per il giudice, evidentemente, è così scontata da avere un significato secondario nell’economia generale della sua decisione. E’ su quel punto che invece noi dentisti dobbiamo riflettere per cercare di scongiurare sorti simili a quelle del collega (in un Paese in cui la certezza del diritto è solo una speranza).
Qual è l’errore concettuale che si perpetua fin dal primo momento all’epilogo finale? Perchè sia i NAS che hanno compiuto l’ispezione, sia i giudici di primo grado, sia quelli di secondo grado e perfino la Cassazione sono caduti nell’equivoco di ricondurre i principi di contestualità, integrazione e indilazionabilità al trattamento odontoiatrico?
Pensare alla malafede, alla strategia del complotto, ad un fenomeno di ignoranza collettiva ci porterebbe sulla cattiva strada e, soprattutto, in un cul di sacco senza alcuna via di uscita pratica. Cerchiamo di non fare dell’inutile vittimismo o della gratuita dietrologia quando invece dovremmo fermarci a riflettere di più sui nostri errori, intesi come singoli professionisti, ma ancora di più come categoria.
Arrivo al punto.
Ho avuto la fortuna/sfortuna personale di assistere alla vicenda fin dalla sua nascita. Quindi ho una prospettiva privilegiata sulla osservazione dei documenti di causa, tra i quali spiccano i consensi informati che diligentemente il collega, pur condannato, aveva sottoposto ai pazienti: debitamente compilati, circostanziati, personalizzati e controfirmati sia dal medico che dal paziente. Tutto perfetto tranne un punto.
Nei consensi informati si affermava che l’esecuzione degli esami CBCT si rendeva necessaria per l’esecuzione di alcune prestazioni cliniche tipicamente odontoiatriche, come per esempio estrazioni dentarie, posizionamento di impianti, ecc.
Questo è esattamente l’errore che non dobbiamo compiere.
Non possiamo stupirci se nella mente del giudice si radica l’idea (sbagliata) che la prestazione radiologica non rispetti i criteri di contestualità, integrazione e indilazionabilità se siamo noi stessi a scriverlo quando la riconduciamo a una prestazione la quale, per forza di cose, si svolge in un tempo successivo e forse neanche si svolge alla resa dei fatti.
Lo abbiamo detto sopra: l’esame radiologico è complementare e ancillare alla prestazione diagnostica non a quella terapeutica. Se siamo noi a imbeccare il giudice con una indicazione sbagliata non possiamo poi stupirci se egli la segue pedissequamente in tutti i gradi di giudizio. Siamo stati noi ad indurlo nell’errore e non possiamo neppure negare di averlo scritto per tabulas nei documenti probatori.
In sostanza: è necessario che ciascuno di noi modifichi i propri consensi informati alla esecuzione delle CbCt e che riconduca la necessità di eseguire questo esame alla prestazione diagnostica e non a quella terapeutica. In queste condizioni, infatti, l’esame CBCT diviene contestuale, integrato e indilazionabile come la norma richiede.
Credo sia venuto il momento di rivalutare il momento diagnostico come fase più nobile dell’attività medica. Ce ne eravamo semplicemente dimenticati.
Gli ortopantomografi utilizzati frequentemente su pazienti pediatrici devono prevedere dei protocolli con campi di acquisizione e intensità del fascio radiante ridotti. Le unità cefalometriche utilizzate frequentemente su pazienti pediatrici devono prevedere la possibilità di collimare il fascio sulla regione di interesse. Le unità Cone Beam CT utilizzate frequentemente su pazienti pediatrici devono prevedere la possibilità di utilizzare campi di vista -fields of view (FOV)- di dimensioni non superiori all'area di interesse diagnostico e di definire parametri di esposizione ridotti rispetto alle impostazioni previste per i pazienti adulti. Il collare piombato contribuisce a ridurre significativamente la dose alla tiroide per tutti gli esami radiodiagnostici in odontoiatria, in età evolutiva. Nell'ambito della CBCT è particolarmente raccomandato per i campi estesi tranne che nei casi in cui, all’atto del posizionamento del paziente nell'apparecchio, il medico radiologo oppure lo specialista rilevino rischi di artefatti o possibili sovrapposizioni alle strutture anatomiche di interesse. Per quanto riguarda la cefalometria, l’uso è raccomandato nel caso non vi sia necessità di visualizzare strutture ossee al di sotto della seconda vertebra cervicale. L’esame radiografico di elezione in tutti i soggetti nei quali esista un sospetto di carie in elementi dentali decidui, è la radiografia “bite-wing”. Si può far seguire alla prima radiografia una seconda radiografia intraorale periapicale qualora il quadro risulti positivo in un soggetto ad alto rischio di carie. Non sono giustificati altri esami radiografici. In tutti i soggetti, quando esiste il sospetto di carie su elementi dentali permanenti, l’esame radiografico di elezione è la radiografia “bite-wing”. Essa ha sufficiente estensione per valutare la corona dei denti permanenti. Una seconda radiografia intraorale periapicale deve essere effettuata se esiste il sospetto di un coinvolgimento pulpare o peri apicale da parte del processo settico. La presenza di una tumefazione a carico dei tessuti periapicali di elementi dentali decidui o permanenti giustifica l’esecuzione di un radiogramma di tipo endorale, preferibilmente con centratore. L’esecuzione di esami come la CBCT non è indicato in questa fase diagnostica. In presenza di fistola, la diagnosi richiede una radiografia endorale con l’inserimento di un cono di guttaperca nel tragitto fistoloso. L’esecuzione di un radiogramma a carico di un elemento dentale permanente affetto da un processo settico, a estrinsecazione paramarginale, appare indicata soprattutto nei pazienti in cui si sia accertato un rischio elevato per patologia parodontale. L’esecuzione di radiogrammi endorali con appositi centratori è indicata per eseguire correttamente una terapia endodontica parziale o totale, un intervento di rigenerazione pulpare o una sagomatura che precede l’otturazione canalare. E’ indicato eseguire radiogrammi endorali per valutazioni nel tempo dello stato di salute pulpare o periapicale di denti permanenti che sono andati incontro a terapia conservativa della polpa dentale. I radiogrammi vanno eseguiti a tre mesi dall'evento patologico, a sei mesi, a un anno e, a seguire, annualmente, per i successivi tre anni. E’ indicato eseguire radiogrammi endorali per valutare nel tempo lo stato di salute periapicale di denti permanenti - siano essi con apice formato o non formato - sottoposti a terapia endodontica temporanea (apecificazione), rigenerazione pulpare o terapia endodontica definitiva. E' consigliata l'esecuzione di radiogrammi a tre mesi, sei mesi e, a seguire, annualmente, per i successivi tre anni, a seconda della situazione clinica. Ai fini di un corretto inquadramento diagnostico ortodontico sono necessarie una radiografia panoramica e una teleradiografia. Limitare la prescrizione della CBCT e, preferibilmente, utilizzare FOV small e FOV medium. L’uso della CBCT per la diagnosi cefalometrica, nei pazienti ortodontici con malocclusione di grado moderato-lieve, è fortemente sconsigliato. La teleradiografia in postero-anteriore, con relativo tracciato cefalometrico, richiede una alta esperienza del clinico. In caso di patologie dei tessuti capsulo-legamentosi dell’ATM (disco e capsula articolare) si raccomanda la prescrizione di un’indagine RM. In caso di patologie della componente ossea dell’ATM, si raccomanda la prescrizione di una CBCT o CT. L’OPT non è di ausilio diagnostico in queste patologie. In caso di sospetta inclusione dentaria, l’indagine radiologica di I livello deve essere eseguita non prima dei 6 anni. In caso di sospetta inclusione dentaria, l’ortopantomografia rappresenta il primo esame diagnostico. Le indagini radiografiche di I livello sono uno strumento efficace nel definire il rischio di lesione del nervo alveolare inferiore e, nei casi non critici, possono essere ritenute sufficienti nella pianificazione del trattamento dell’estrazione di un III molare inferiore L’ortopantomografia nella valutazione dell’inclusione dei III molari superiori può essere uno strumento sufficiente nella pianificazione del trattamento. Le indagini radiografiche di I livello non sono ritenute metodiche di imaging adeguate per l’identificazione e caratterizzazione del riassorbimento radicolare esterno. La radiografia endorale periapicale può essere utilizzata nelle inclusioni dentarie della regione incisiva-canina superiore. La CBCT è una metodica di imaging indispensabile nella valutazione dei rapporti tra terzi molari inferiori, canale mandibolare e le strutture anatomiche circostanti, così come per la valutazione dei rapporti tra terzi molari superiori e pavimento del seno mascellare. In caso di sospetta trasposizione dentale, l’indagine radiologica di I livello deve essere eseguita non prima dei 6 anni. In caso di sospetta trasposizione dentale, l’indagine radiologica di I livello indicata è l’ortopantomografia, che può essere uno strumento sufficiente nella pianificazione del trattamento. La CBCT è una metodica di imaging utile nella valutazione di trasposizioni dentali associate ad inclusione dentale. La radiografia endorale periapicale può essere utilizzata nelle trasposizioni dentali Nel sospetto di anomalie di numero degli elementi dentari, si consiglia una indagine radiologica di I livello dopo i 6 anni di età; l’ortopantomografia rappresenta la metodica di imaging radiologico bidimensionale (2D) indicata. In caso di sospetto di anomalia di forma o struttura dentaria, un’indagine radiologica di I livello va eseguita dopo i 6 anni di età. Le indagini radiografiche di I livello (ortopantomografia e radiografia endorale) sono ritenute metodiche di imaging adeguate nella identificazione e caratterizzazione delle anomalie di forma e struttura degli elementi dentari. In presenza di anomalie dentarie di forma, quando l’imaging 2D risulta insufficiente a chiarire i rapporti anatomici dell’elemento dentario con le strutture anatomiche circostanti o quando bisogna meglio definire la struttura interna delle radici dentarie dismorfiche, si raccomanda l’utilizzo della CBCT L’ortopantomografia non è indicata in presenza di evento traumatico dentale circoscritto. La radiografia endorale periapicale rappresenta il primo step radiologico, spesso conclusivo, in presenza di trauma alveolo-dentale nel paziente in età pediatrica. La CBCT è metodica di II livello, indicata in casi selezionati in cui le indagini di I livello (radiografia endorale periapicale) non forniscano le informazioni diagnostiche sufficienti per la adeguata pianificazione terapeutica.
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