Il processo di sterilizzazione dei dispositivi medici si articola su molte fasi ed investe trasversalmente le attività dello studio dentistico. Infatti accanto alle ovvie implicazioni cliniche relative alla sicurezza del paziente, molte sono anche le ricadute in termini organizzativi, formativi ed economici che il processo comporta. Se aggiungiamo che la normativa è lacunosa e che la letteratura è spesso contraddittoria si comprende l’imbarazzo dei dentisti di fronte ad un tema che è serio e complicato. Proviamo a fare luce partendo dalle Linee Guida Ispesl emanate nel 2010.
Togliamoci subito il pensiero e diciamolo: non esiste una normativa nazionale specifica per gli studi dentistici sulla sterilizzazione degli strumenti. Per questo motivo anche io, come molti altri dentisti, ho sbattuto la testa su questo tema un centinaio di volte senza arrivare mai a considerazioni conclusive e stabili nel tempo.
Questo articolo ha lo scopo di aiutare i colleghi e, soprattutto, il loro personale a fare un po’ di chiarezza sulla questione, individuando tra le varie fonti disponibili (digitali e cartacee) quelle che hanno un effettivo valore normativo e quindi impongono standard operativi certi.
Il valore di alcune pubblicazioni, reperibili ovunque in quantità smodata, risentono purtroppo di interpretazioni personali, sentito dire, abitudini inveterate e, talora, anche conflitto di interessi.
In particolare il presente articolo rappresenta un condensato estratto dalle Linee Guida elaborate dall’Ispettorato Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro (Ispesl), che per sua natura e caratteristiche può essere ritenuto un organismo indipendente ed affidabile.
In primo luogo dobbiamo ricordare che il processo di sterilizzazione deve essere inserito nel più ampio conteso dei processi di sanificazione, cui rimandiamo per una visione più ampia e completa della questione.
Le Linee Guida Ispesl rappresentano il documento più completo ed attendibile attualmente a disposizione degli odontoiatri per la gestione del processo di sterilizzazione dei dispositivi medici.
In linea generale possiamo dire che attenendosi alle Linee Guida Ispesl ogni dentista potrebbe abbattere quasi a zero sia il rischio di sanzioni da parte degli organismi di controllo, sia il rischio di contenzioso medico legale.
Non bisogna infatti dimenticare che il concetto di sicurezza delle cure è oramai inscritto stabilmente all’interno del diritto alla salute che, nel rapporto moderno medico paziente, deve essere prioritariamente tutelato (Legge Gelli-Bianco 2017).
Tuttavia anche questo documento presenta dei limiti intrinseci che vanno evidenziati:
Detto questo, il contenuto rappresenta il gold standard sull’argomento e quindi lo esaminiamo nei suoi passaggi più salienti, commentandolo dove serve.
In apertura al documento dell’Ispesl si definisce il concetto di rischio biologico. Per quanto tale cognizione abbia un prevalente significato in ambito di tutela dei lavoratori, è tuttavia molto utile a definire concetti generali utili a inquadrare il tema generale della sterilizzazione in favore dei pazienti.
Si legge quanto segue:
Nell’insieme delle indicazioni di prevenzione nell’ambito del rischio biologico, particolare importanza rivestono le misure di pulizia, disinfezione e l’attività di sterilizzazione. La disinfezione/sterilizzazione rappresenta un momento di prevenzione fondamentale e insostituibile nel controllo delle infezioni che possono manifestarsi in ambito ospedaliero; i processi da adottare devono essere valutati criticamente in rapporto al miglioramento delle conoscenze e all’evoluzione tecnologica delle sostanze, dei preparati e delle apparecchiature.
Le procedure di disinfezione e la sterilizzazione devono essere precedute dalla fase di decontaminazione, basata sull’utilizzo di metodi chimici e chimico-fisici, per inattivare, distruggere o rimuovere microrganismi patogeni dalla superficie di uno strumento.
Il processo di sterilizzazione deve essere compatibile con le caratteristiche del dispositivo medico, pertanto occorre prevedere cicli e metodiche finalizzate al materiale e all’uso del materiale stesso. Temperatura, concentrazione dell’agente sterilizzante, pressione e tempo sono tutti fattori che possono condizionare ogni tecnica di sterilizzazione, ma elemento comune a tutte le modalità è la necessità di sottoporre al processo materiali decontaminati e puliti in quanto, al di là delle già menzionate garanzie di sicurezza per l’operatore sanitario, il tempo di uccisione di una popolazione microbica è direttamente correlato alla sua concentrazione all’inizio del processo.
Per quanto possa sembrare banale, questo passaggio contiene verità tutt’altro che scontate per molti colleghi.
Non è tecnicamente impossibile ottenere strumenti chirurgici perfettamente sterili in un ambiente contaminato, ma dobbiamo riconoscere che è altamente improbabile che ciò avvenga.
Alcuni colleghi hanno una visione così focalizzata sul particolare che ignorano completamente il contesto generale nel quale operano; altri sono invece semplicemente miopi e confondono quello che sarebbe un loro preciso dovere (e interesse) con l’obbligo previsto dalla legge: la decontaminazione generale dello studio, la semplice detersione delle superfici, ma anche solo una ordinata distribuzione degli oggetti e degli spazi, deve essere considerato un prerequisito indispensabile per il successivo svolgimento dei protocolli di sterilizzazione.
E’ di sorprendente lucidità quanto riportato di seguito, sempre tratto dalle Linee Guida Ispesl. Ma è anche incredibilmente utile per un odontoiatra comprendere questo concetto:
Sino ad oggi in ambito ospedaliero, per quanto concerne la sterilizzazione, si è per lo più fatto riferimento al D.lgs. 46/97, il quale rappresenta il recepimento della Direttiva Europea 93/42/CEE.
È inoltre opportuno sottolineare che la norma tecnica UNI EN 556-1:2002, […], definisce come speciale il processo di sterilizzazione in quanto il risultato non può essere verificato da una successiva prova sul prodotto. In quest’ottica il processo completo, comprendente la raccolta, la decontaminazione, il lavaggio, l’asciugatura, il confezionamento, il trattamento di sterilizzazione e la conservazione dei materiali, deve essere considerato attentamente nello svolgimento delle sue fasi.
Per sterilizzazione si intende qualsiasi processo, fisico o chimico, che porta alla distruzione di tutte le forme di microrganismi viventi e altri agenti biologici. Tale definizione semplifica il concetto di sterilità che, al contrario, può essere definito solo su basi statistiche.
La norma tecnica UNI EN 556-1:2002 stabilisce che per dichiarare un prodotto sterile si deve avere la probabilità che al massimo non sia sterile un prodotto su 1 milione di prodotti sterilizzati, ovvero il livello di sicurezza di sterilita SAL (Sterility Assurance Level) sia pari a 6: 1:1.000.000 = 10-6.
Se il concetto di sterilità è un concetto statistico (quindi astratto), cosi come definito dagli esperti, appare chiaro che l’obbligo in capo all’odontoiatra è un obbligo di mezzi e non di risultati. L’osservanza delle norme e delle best practices in tema di sterilizzazione dovrebbe assolvere il medico (o il direttore sanitario) dall’eventuale insuccesso nei processi di sterilizzazione e dall’eventuale danno cagionato a terzi in ragione di ciò.
Fatto salvo il principio generale delle responsabilità, che ricadono (eventualmente ve ne fossero) sempre sul titolare dello studio o della srl odontoiatrica , è importante sapere che l’intero processo può essere delegato a soggetti terzi.
Gli esperti suggeriscono che tale delega debba essere affidata sempre ad un infermiere professionale, ma ovviamente non potevano sapere che nel 2019 sarebbe stata riconosciuta formalmente anche la figura dell’ASO (Assistente di studio odontoiatrico).
Nel testo si legge quanto segue:
Nelle strutture sanitarie la responsabilità della protezione collettiva da agenti biologici per gli operatori che svolgono mansioni attinenti il processo di sterilizzazione è attribuita al datore di lavoro e ad un suo incaricato (che si occupa della valutazione dei rischi, delle misure di prevenzione-protezione e della stesura del documento di sicurezza) nonché ai dirigenti coinvolti ed ai preposti.
Si evidenzia inoltre che ai sensi del DPR 14 gennaio 1997, n.37, nella sezione “Requisiti minimi organizzativi”, in una Centrale di Sterilizzazione deve essere assicurata la presenza di almeno un infermiere.
In organizzazioni più piccole e più semplici (ad esempio: ambulatori odontoiatrici, ambulatori chirurgici, ecc.) o organizzazioni ridotte (turni e/o reperibilità notturne o festive) dove l’infermiere, pur essendo preferibile, non sempre è disponibile, si possono individuare altre figure professionali con formazione specifica.
Sembra dunque che gli esperti siano consapevoli della specificità organizzativa di uno studio dentistico, anche se qui viene definito con la dizione “ambulatorio odontoiatrico”, che dal punto di vista normativo e autorizzativo è cosa ben diversa dal semplice studio dentistico.
Di sicuro la possibilità di delegare queste attività al personale interno introduce anche il tema ricorrente nel testo della formazione specifica, soprattutto se consideriamo la delega a personale non infermieristico. In questo senso la nuova figura dell’ASO potrebbe risultare perfettamente appropriata.
E’ intuitivo che le attività di sterilizzazione debbano essere svolte in un ambiente idoneo, ben identificato e soprattutto centralizzato. Il dato singolare del testo dell’Ispesl, in parallelo a tutte le altre pubblicazioni istituzionali e non sul tema, è che non sta scritto da nessuna parte che il processo di sterilizzazione debba essere svolto all’interno dello studio dentistico e neppure che all’interno dello studio debba essere presente un locale apposito (quello che noi comunemente chiamiamo sala sterile).
E’ pertanto ammissibile l’interpretazione secondo cui la sterilizzazione degli strumenti possa essere eseguita anche al di fuori delle pareti dello studio, ovvero presso un soggetto terzo che eroga questo tipo di servizi (con cui stipulare contratti ad hoc).
E’ molto probabile che una sterilizzazione in outsourcing risulti alla lunga sconveniente sul piano organizzativo ed economico, ma bisogna ammettere che tale ipotesi non contempla solo comportamenti elusivi o fraudolenti. Infatti è logico pensare che chi fornisce servizi di sterilizzazione per strumentari odontoiatrici sia dotato di livelli qualitativi del servizio (processi, risorse umane e risorse strumentali) più elevati rispetto allo standard medio degli studi professionali.
Questa la fonte diretta:
Le attività di sterilizzazione devono essere centralizzate in ambienti aventi caratteristiche strutturali e tecnologiche idonee.
I requisiti minimi strutturali e tecnologici del Servizio di Sterilizzazione sono normati dal DPR 14 gennaio 1997, n.37. Le norme tecniche armonizzate non fanno differenze per le dimensioni e/o complessità delle varie organizzazioni sanitarie, ma vi sono differenti requisiti tecnico-strutturali per le diverse realtà.
Per le strutture con caratteristiche più semplici (ad esempio: studi odontoiatrici, ambulatori ecc..) è il Direttore Sanitario che, in base alle vigenti direttive, leggi e norme tecniche e ad un’attenta analisi dei rischi, valuta quale caratteristica sia necessaria alla propria realtà al fine di soddisfare l’obiettivo fondamentale della prevenzione, per quanto concerne il rischio biologico garantendo la sterilità del prodotto.
Non facciamoci ingannare dal continuo richiamo agli ambulatori odontoiatrici (vd. figura del Direttore Sanitario): sembra più una svista lessicale che una indicazione sostanziale. E’ ragionevole pensare che gli esperti facciano effettivo riferimento agli studi dentistici tradizionali.
In sostanza tutto ciò che segue (che in alcuni passaggi assume profili di complessità esagerati) può essere rimodulato, nel rispetto della legge, da parte del titolare dello studio, sempre mirando, nei limiti della propria realtà operativa, a garantire l’obiettivo fondamentale di abbattimento del rischio biologico.
Un primo elemento discrezionale, ad esempio, lo si nota già dalla scelta dei Dispositivi di Protezione Individuali necessari per lo svolgimento delle attività di processo da parte del personale di studio.
Mai come in questo caso le Linee Guida dimostrano di essere maggiormente orientate alla tutela del lavoratore che non alla tutela del paziente. I continui richiami agli obblighi del datore di lavoro in tema di sicurezza, nonché alla Legge 81/2008, ne sono una prova. Questo è uno di quei casi in cui gli interessi paralleli di paziente e lavoratore non si sovrappongono perfettamente.
La tutela estrema del lavoratore ottempera certamente a stringenti obblighi legali ed etici ma non aiuta in alcun modo a ridurre il rischio per il paziente.
Ci limitiamo dunque a ricordare che il processo di sterilizzazione deve essere ricompreso nelle attività di sorveglianza che il titolare di studio, insieme a RSPP e Medico competente mettono congiuntamente in campo in modo coordinato e continuo:
Per quanto riguarda i protocolli operativi, invece, il discorso si fa più interessante. Ma è anche la parte del documento più confusa. Alcuni passaggi appaiono sovrapposti ed in alcuni casi addirittura invertiti.
Sempre nella logica di fare un servizio ai lettori di questo blog, che sono dentisti, provo a riordinare la materia eliminando le parti che non riguardano certamente l’attività odontoiatrica (piccola o grande che sia).
Iniziamo con il dire che le Linee Guida Ispesl hanno il grande merito di standardizzare il processo articolandolo in fasi ben definite e condivisibili anche per un dentista comune.
Le fasi di processo, un pochino riordinate rispetto al testo originale, sono queste:
Proviamo a vederle singolarmente, con questa avvertenza iniziale degli esperti:
La norma tecnica è UNI EN ISO 17664:2005 (Sterilizzazione dei dispositivi medici – Informazioni che devono essere fornite dal fabbricante per i processi di dispositivi medici risterilizzabili).
Tale norma si applica ai dispositivi medici destinati ad utilizzi ripetuti per riportarli o portarli allo stato sterile e pronti per l’utilizzo successivo, ad eccezione dei sistemi di copertura dei pazienti e degli indumenti di protezione indossati dagli operatori.
La norma specifica inoltre quanto segue: “SE POSSIBILE, È RACCOMANDATA LA STERILIZZAZIONE A CALORE UMIDO”.
Considerato che la quasi totalità degli studi dentistici si serve di autoclavi a vapore, siamo certi che almeno sugli strumenti impiegati per la sterilizzazione siamo nel giusto. Si tratta solo di farlo in modo corretto. Eviteremo dunque tutti riferimenti alle modalità di sterilizzazione alternative, che sono parte corposa nel testo.
Questa fase, piuttosto semplice, è ben descritta nelle Linee Guida:
L’esposizione o la potenziale esposizione ad agenti biologici degli operatori inizia con la raccolta dei materiali utilizzati in quanto contaminati o potenzialmente contaminati.
L’allontanamento degli strumenti chirurgici provenienti dalle varie unità operatorie, deve avvenire il più presto possibile dopo il loro utilizzo, onde evitare che le sostanze organiche diventino di difficile rimozione.
Le operazioni di smontaggio e di collocazione degli strumenti devono essere effettuate dal personale sanitario al termine del loro utilizzo dallo stesso personale. La collocazione deve avvenire in un contenitore rigido senza saldature, munito di manici laterali e griglia estraibile che garantisca la non fuoriuscita dei liquidi in esso contenuti e sia definibile come contenitore di sicurezza ai sensi del menzionato Titolo X del D.lgs. 81/2008 e s.m.i. […]
Il materiale costituito da taglienti monouso, quali bisturi ed aghi, deve essere smaltito in appropriati contenitori che non consentano alcun tipo di esposizione ad agenti biologici. È raccomandabile che la raccolta di tali materiali inizi direttamente sul campo operatorio utilizzando piccoli contenitori sterili adatti al recupero, i quali verranno a loro volta inseriti nei contenitori sopra descritti al fine di ridurre il rischio da punture e/o tagli.
Gli elementi salienti che dobbiamo trattenere sono almeno due.
Il primo è che l’organizzazione del lavoro deve prevedere una assegnazione dei compiti molto chiara: poichè il processo di sterilizzazione ha inizio all’interno della sala operativa, è compito dell’operatore stesso e/o della ASO che lo assiste iniziare il processo personalmente, occupandosi di allestire il vassoio con gli strumenti da sterilizzare, già smontati e disassemblati.
Questo significa che, laddove il trattamento degli strumenti è affidato ad una terza persona, diversa da quella che assiste l’operatore, i soggetti coinvolti sono più di uno o comunque le responsabilità sono differenziate a seconda della fase del processo, per esempio: ASO 1 per la raccolta e trasporto, ASO 2 per le fasi successive (anche quando fisicamente sono incarnate dalla stessa persona).
Sull’impiego raccomandato di “un contenitore rigido, senza saldature …” è logico pensare, vista la specificità dell’attività odontoiatrica, che i comuni vassoi monouso in plastica siamo ampiamente idonei ad assolvere il compito, eventualmente supportati da vassoi rigidi per il trasporto in sala sterile degli strumenti più pesanti.
Se pensiamo agli strumenti chirurgici di una sala operatoria (endoscopi, martelli, ecc.) possiamo comprendere la preoccupazione degli esperti nel dettare questa prescrizione: il rischio che contenitori non rigidi e senza manico possano causare la caduta degli strumenti sia per il loro peso che per il loro ingombro. Questo comporterebbe anche un rischio biologico per il lavoratore.
Le Linee Guida Ispesl parlano di decontaminazione da intendersi come disinfezione e già un dentista comune comincia a porsi qualche domanda.
La confusione aumenta quando viene distinta la decontaminazione manuale da quella effettuata con apposite macchine: si dice che la decontaminazione deve precedere il lavaggio manuale e che laddove la manipolazione degli strumenti si renda necessaria, prima che vengano manipolati dovrà essere effettuata obbligatoriamente la decontaminazione manuale (???).
Sono sicuro che si tratti semplicemente di una confusione terminologica e non logica, ma purtroppo molti dentisti (come me) saranno rimasti abbastanza incerti durante la lettura. Pertanto mi assumo il rischio di riproporre una lettura arbitraria di questa fase del processo.
Dopo che gli strumenti sono pervenuti in sala sterile immergiamoli banalmente in un apposito contenitore con soluzione disinfettante seguendo le indicazioni degli esperti:
- la scelta dei principi attivi e/o delle formulazioni ad azione disinfettante deve tener conto dell’obiettivo primario, rappresentato dall’efficacia nei confronti degli agenti che si identificano come sorgente di rischio biologico e della compatibilità con i materiali da trattare;
- nella fase di allestimento della soluzione disinfettante (se necessario) l’operatore deve attenersi alle indicazioni del produttore (è consigliato allestire la soluzione al momento dell’utilizzo onde evitare una possibile contaminazione);
- nella soluzione disinfettante, allestita all’interno di idoneo recipiente, viene immerso il contenitore con i materiali da trattare;
- la durata della fase di immersione dipende dalle caratteristiche della soluzione impiegata ed è opportuno seguire le indicazioni fornite dal fabbricante/produttore;
- al termine del periodo di immersione il contenitore, con i materiali trattati, viene estratto e avviato alla successiva fase di lavaggio.
La confusione tra fase di decontaminazione e fase di lavaggio manuale del documento diventa ancora più evidente quando, parlando del lavaggio manuale si ripetono alcuni concetti già espressi.
Infatti:
La procedura per la pulizia manuale prevede che il materiale venga immerso in una soluzione/formulazione detergente – disinfettante, che può essere: a base di tensioattivi, enzimatica, plurienzimatica e con altri principi attivi.
Vanno rispettate rigorosamente le indicazioni del fabbricante relative a:
- concentrazione,
- temperatura,
- tempo di azione.
Il materiale trattato deve essere prima disassemblato nelle sue varie componenti e poi immerso nella soluzione/formulazione affinché ogni suo particolare venga a contatto con tutte le superfici.
È importante che la soluzione detergente venga sostituita di frequente e/o tutte le volte che si presenti visibilmente sporca, è altresì indispensabile che vengano utilizzati dagli operatori i guanti come DPI.
Dopo la fase di immersione gli strumenti vanno spazzolati, utilizzando spazzole dedicate, per rimuovere i residui organici che non sono stati eliminati dall’azione del detergente. Vanno sottoposti a questo trattamento specialmente quegli strumenti che presentano incastri e zigrinature.
Per tutti quei dispositivi che presentano cavità o lumi ristretti e di difficile accesso è indispensabile ricorrere all’utilizzo di dispositivi come:
- scovolini,
- spazzole con setole morbide,
- pistole ad acqua e/o aria compressa.
Tuttavia, siccome noi guardiamo più alla sostanza delle cose, che non ai protocolli formali, le indicazioni risultano abbastanza chiare e abbastanza semplici per essere applicate nella realtà di uno studio dentistico, anche di piccole dimensioni.
Possiamo passare alla fase successiva, che non è obbligatoria ma è raccomandata.
Gli esperti ci ammoniscono che il lavaggio ad ultrasuoni non può essere considerato sostitutivo di quello manuale, che rimane quindi obbligatorio. Casomai gli ultrasuoni possono rappresentare una integrazione, molto utile ma facoltativa.
In particolare si legge che:
La pulizia ad ultrasuoni è particolarmente indicata per tutti quei dispositivi medici delicati (microchirurgia) o che presentano articolazioni e zigrinature (strumenti dentali), dove facilmente si deposita materiale organico difficile da rimuovere con altri sistemi.
E’ certamente il caso di molti nostri strumenti che entrano in contatto con gli adesivi per conservativa o ortodonzia, oppure quelli utilizzati in chirurgia.
Ancora:
Un buon risultato si ottiene mediante il rigoroso rispetto delle seguenti indicazioni:
- la concentrazione della soluzione deve corrispondere a quanto prescritto dal fabbricante;
- la temperatura dell’acqua (intorno ai 40°C, comunque in funzione della soluzione utilizzata);
- la frequenza degli ultrasuoni attorno a 35 KHz;
- il tempo di contatto (minimo di 5 minuti).
Gli strumenti vanno completamente immersi nella soluzione, aperti o smontati, posti in modo tale che non rimangano zone d’ombra.
La soluzione detergente deve essere rinnovata ad intervalli regolari, a seconda della frequenza e delle condizioni d’uso e, comunque, almeno giornalmente.
Qui non ci sono particolari problemi se non la raccomandazione di utilizzare sia acqua corrente e poi una “doccia demineralizzata”.
Forse sul secondo punto possiamo glissare.
Lo scopo è semplicemente quello di rimuovere ogni residuo dei detergenti o disinfettanti usati nelle fasi precedenti.
Può essere utilizzata sia una pistola ad aria compressa sia un semplice panno di carta o di stoffa, a condizione che non rilascino fibre sugli strumenti.
Importante è la raccomandazione, invece, a proposito degli strumenti rotanti:
Per gli strumenti rotanti (manipoli e turbine) deve essere avviato l’apposito programma di asciugatura e lubrificazione con apparecchiatura dedicata.
Inutile sottolineare come il richiamo all’odontoiatria, almeno in questo punto, sia specifico. Considerato che l’apparecchiatura per il trattamento degli strumenti cavi rotanti ha un costo non indifferente, probabilmente sono molti i dentisti cui questa prescrizione non piacerà.
Il punto è che, contrariamente a quello che comunemente pensiamo, il trattamento lubrificante di turbine e manipoli non avviene (solo) allo scopo di mantenere gli strumenti in efficienza meccanica, ma (soprattutto) allo scopo di ridurre il rischio di contaminazioni crociate all’interno dello studio.
Anche questa fase è piuttosto semplice. Lo scopo è quello di impedire che dispositivi danneggiati, difettosi o non correttamente trattati possano essere avviati alle fasi successive.
Prima del confezionamento i materiali devono essere accuratamente controllati in tutte le loro parti, per garantire il funzionamento e l’integrità del prodotto a tutela dell’attività chirurgica.
Tutti i materiali che presentano parti deteriorate (rotture, etc.) o ruggine, non devono essere avviati alla fase del confezionamento, ma opportunamente riparati o trattati con prodotti specifici.
Questa è la fase sulla quale si concentrano maggiormente le attenzioni degli operatori, anche perchè ci sono controversie e nodi che non sono mai stati risolti completamente. Neppure questa normativa, per il resto così dettagliata, è in grado di chiarire completamente alcuni passaggi.
Iniziamo con il dire che l’attività di confezionamento dovrebbe essere eseguita su una superficie diversa da quella sulla quale avvengono le fasi precedenti. La logica di questa indicazione è facile da comprendere per chiunque.
Quanto agli scopi della fase 8, vengono ben riassunti di seguito:
Il confezionamento del materiale sanitario da sottoporre a processo di sterilizzazione deve permettere:
- la penetrazione ed il conseguente contatto dell’agente sterilizzante con il materiale da trattare;
- la conservazione della sterilità nei tempi e modi stabiliti dal corretto stoccaggio;
- la riduzione del rischio di contaminazione del contenuto al momento dell’apertura nel campo sterile;
- la praticità, la comodità, l’economicità.
I materiali con cui effettuare il confezionamento devono avere caratteristiche precise:
- compatibilità con i processi di sterilizzazione; compatibilità con il materiale che sarà contenuto;
- compatibilità con il sistema di etichettatura (indicatore chimico di processo, tracciabilità, contenuto, etc.);
- non possedere agenti chimici che possano costituire un rischio di esposizione per caratteristiche di tossicità durante l’intero processo di sterilizzazione alle condizioni d’uso e/o che possano inquinare lo stesso materiale da sterilizzare; biocompatibilità;
- essere in grado di mantenere la sterilità del materiale fino alla scadenza stabilita, in conformità alla norma UNI EN ISO 11607-1 e UNI EN ISO 11607-2 (si consideri ad esempio che la perdita della sterilità di un imballaggio frequentemente viene correlata ad un evento accidentale piuttosto che al tempo, e pertanto il materiale sterile deve essere preservato da agenti chimici, fisici, biologici in grado di alterarne le proprietà).
Quanto riportato tra parentesi (sopra in blu) è forse l’informazione più importante contenuta nelle Linee Guida Ispesl, perchè descrive bene il senso di quanto diremo in seguito.
Il protocollo operativo è molto dettagliato e, fortunatamente, anche praticamente gestibile in uno studio dentistico:
- controllare visivamente che il materiale da confezionare sia pulito, integro e asciutto;
- riassemblare il materiale nel caso in cui sia stato scomposto; rimuovere qualsiasi impedimento al contatto della superficie del materiale da sterilizzare con l’agente sterilizzante;
- proteggere adeguatamente il materiale da inviare al confezionamento;
- nel caso in cui il materiale da sterilizzare presenti sulle superfici spigoli acuminati o taglienti che potrebbero, durante il ciclo di sterilizzazione o durante il trasporto, danneggiare la confezione e conseguentemente esporre l’operatore sanitario ad agenti biologici infettivi (se l’esposizione avviene prima del processo di sterilizzazione), è necessario avvolgere lo strumentario con una tipologia di materiale che permetta di maneggiare in sicurezza la confezione;
- porre all’esterno di tutte le confezioni un indicatore chimico di classe 1 (UNI EN ISO 11140-1). Tale indicatore consente, al termine del trattamento di sterilizzazione, di classificare la confezione come trattata con il metodo specifico adottato; i materiali utilizzati per il confezionamento, dichiarati monouso dal fabbricante, non devono essere sottoposti ad un nuovo ciclo di sterilizzazione;
- riportare su apposita etichetta i dati necessari per l’identificazione e la tracciabilità del prodotto;
- confezionare i materiali sterilizzabili singolarmente o assemblati in set mono-intervento o mono-paziente.
Poichè il materiale universalmente utilizzato negli studi dentistici per imbustare gli strumenti è rappresentato dalle buste e rotoli in accoppiato carta-film polimerico, omettiamo le altre prescrizioni e ci concentriamo su questa.
La procedura di impiego raccomandata è la seguente:
- Le dimensioni delle buste dovranno essere tali che i materiali contenuti non occupino più dei ¾ del volume totale; i materiali acuminati dovranno essere protetti in modo tale da evitare la lacerazione della confezione stessa.
- Su ogni confezione devono essere stampati indicatori di processo di Classe 1 secondo quanto specificato dalla norma UNI EN ISO 11140-1.
- L’indicatore deve essere posizionato in modo tale che i metalli pesanti contenuti nell’inchiostro non possano contaminare il materiale da sterilizzare.
- Per il materiale di sala operatoria è consigliato il confezionamento in doppio involucro.
- Le buste sono commercializzate per essere sottoposte a termo saldatura ed alcune tipologie di queste sono commercializzate con adesivo incorporato.
- La termo saldatura normalmente viene effettuata ad una temperatura che varia tra 160 °C e 180 °C a seconda della tipologia di materiale.
Per comodità tralasciamo tutte le altre metodiche (lecite) di sterilizzazione per concentrarci sull’impiego delle autoclavi, dal momento che si tratta dello standard negli studi dentistici.
Le caratteristiche fisiche e tecniche (tempo, temperatura e pressione) del processo da rispettare sono indicate dalle normative europee sulla sterilizzazione a vapore (UNI EN 285, UNI EN 17665-1 e 2,).
Le caratteristiche che le autoclavi devono possedere sono prescritte invece nella norma tecnica UNI EN 285, che riporta anche la tipologia di test e di prove da effettuare sulle stesse.
Sul piano operativo, alcune raccomandazioni sono importanti:
- Essendo il vapore non miscibile con l’aria, questa deve essere allontanata, se presente, nelle confezioni e nei materiali, in quanto il vapore non potrebbe penetrare all’interno degli stessi e il risultato del trattamento sarebbe inefficace dal momento che il vapore agisce per contatto cedendo calore.
- Tutti i dispositivi da sterilizzare devono essere disposti in modo tale che ogni superficie sia direttamente esposta all’agente sterilizzante per la temperatura e per il tempo previsti. Il carico deve essere distribuito uniformemente secondo quanto stabilito nelle fasi di qualifica prestazionale, facendo attenzione che non tocchi le pareti della camera, che sia sostenuto da apposite griglie, che non sia ammassato affinché il vapore possa circolare il più liberamente possibile.
- Al termine del ciclo di sterilizzazione non devono essere presenti residui di condensa, in quanto questa favorisce la ricontaminazione dei materiali.
E’ bene ricordare che le buste avviate a sterilizzazione in autoclave devono riportare una etichetta che documenti la tracciabilità del processo.
Il documento raccomanda infatti:
La tracciabilità è una procedura che consente di ricostruire con facilità e precisione tutte le fasi dell’avvenuto processo di sterilizzazione, mediante registrazione su supporto cartaceo e/o informatico. Ogni confezione deve riportare tutte le indicazioni di identificazione del contenuto per la tracciabilità del processo effettuato. La documentazione inerente l’intero processo di sterilizzazione (i risultati dei test effettuati, le documentazioni rilasciate dalle apparecchiature, ecc.) deve essere archiviata e opportunamente conservata. Al fine di innalzare il livello di qualità si consiglia di adottare sistemi di tracciabilità informatizzati in modo da documentare tutte le fasi del processo di sterilizzazione.
E’ da sottolineare che anche in questa fase gli esperti non si esprimano in alcun modo sulla necessità di riportare nessuna scadenza per i dispositivi sottoposti a ciclo di sterilizzazione (e non sterili). E’ incredibile se si pensa a quante energie mentali e fisiche i dentisti ed i loro dipendenti hanno dedicato a questo adempimento.
Se si pensa a quanto anticipato in precedenza, tale impostazione appare estremamente logica e coerente con la natura e gli scopi del processo.
La fase di verifica del processo in tutte le sue fasi è materia estremamente complicata, articolata e forse più adatta a strutture complesse che non ad uno studio odontoiatrico classico. Richiederebbe inoltre l’istituzione di sistemi di certificazione della qualità che, fortunatamente, ai professionisti non sono ancora richiesti.
Tuttavia esiste una dichiarazione effettuata dagli esperti che contiene una verità illuminante sulla quale consiglio di riflettere a lungo, anche per meglio comprendere gli ambiti ed i limiti di responsabilità ai quali ciascuno di noi è soggetto:
Come precedentemente ricordato, la norma tecnica UNI EN 556 stabilisce che il processo di sterilizzazione è un processo speciale per il quale non è possibile verificare la condizione di sterilità direttamente sul prodotto finale, né mediante prove; esso, pertanto, richiede l’applicazione di procedure documentate che attestino la validità del processo stesso: l’insieme di queste procedure si definisce convalida.
Oltre a questo punto credo sia opportuno segnalare l’obbligo, più volte ribadito nel testo, che tutte le apparecchiature utilizzate: autoclavi, termodisinfettrici, vasca a d ultrasuoni, termosigillatrici, lubrificatori, ecc, vengano:
Per quanto riguarda le verifiche del ciclo di sterilizzazione a vapore mediante autoclave, alcuni passaggi rappresentano oramai una routine consolidata in quasi tutti gli studi. Vale dunque la pena di rimettere il testo integrale delle Linee Guida Ispesl:
In seguito all’installazione e all’accettazione in servizio e della qualifica operativa, si procede ad effettuare la qualificazione di prestazione del processo di sterilizzazione, controllando i parametri fisici secondo quanto indicato dalla norma tecnica UNI EN ISO 17655-1 e UNI EN ISO 17655-2 , utilizzando materiali e metodi conformi a quanto indicato dalla norma UNI EN 285, con un carico standard per ogni tipologia di programma (134°C-121°C), secondo accordi con il responsabile del servizio.
Si suggerisce di utilizzare il metodo descritto nell’ “allegato A” della norma UNI EN ISO 17655-2 (valutazione di un processo di sterilizzazione principalmente basato sulla misurazione dei parametri fisici). Il metodo permette di ottenere il rilascio parametrico del prodotto, ovvero il lotto sterile, a seguito di ciclo valido (tenendo in considerazione che normalmente, in ambito ospedaliero, vengono utilizzati tempi over-killer ovvero tempi di sterilizzazione che assicurano un SAL di 10-6. Una qualifica di prestazione microbiologica e/o test di sterilità (analisi di sterilità del prodotto) è facoltativa e, se eseguita, deve essere accompagnata dalla qualificazione fisica.
A fine verifica dovrà essere prodotto e messo agli atti un documento tecnico che evidenzi, nelle conclusioni, una dichiarazione di contenuto similare al seguente: “in base ai risultati ottenuti il metodo di sterilizzazione risulta conforme a quanto stabilito dalla norma tecnica UNI EN ISO 17665”.
Il documento dovrà essere inoltre controfirmato e datato.
Si rammenta che ogni giorno vanno eseguiti il test di tenuta del vuoto, il test di penetrazione del vapore per i materiali porosi (Bowie-Dick) ed il test di penetrazione del vapore per i materiali cavi (Helix test – vedi UNI EN 285 annex 1 e UNI EN 867-5).
Tutte le confezioni devono essere provviste di indicatore chimico in classe 1 al fine di evidenziare che è stato effettuato il trattamento e devono essere contrassegnate con numero di lotto, per la rintracciabilità. Se necessita, si può inserire un’etichetta di identificazione del contenuto e del reparto. Può essere utile posizionare nel carico indicatori chimici in classe 5 o 6 (UNI EN ISO 11140) in ciascun ciclo di sterilizzazione.
I risultati dei test effettuati ed i dati registrati dalle apparecchiature devono essere archiviati e opportunamente conservati.
Data la tracciabilità documentale di queste attività è inutile dire che su di esse si concentrano molto anche le verifiche degli enti di controllo, con ricadute importanti soprattutto in termini di responsabilità e di sanzioni amministrative.
La fase di stoccaggio è enunciata ma non descritta nel documento. Vale la pena comunque rammentare che sono gli eventi accidentali a determinare la perdita delle condizioni di sterilità acquisita durante tutti i processi descritti.
Pertanto lo stoccaggio, la conservazione e la successiva manipolazione delle confezioni sterili dovrebbe essere effettuata impiegando tutte le precauzioni necessarie ad impedire il deterioramento o lesione delle confezioni stesse.
E’ proprio su questa logica che si basa la non obbligatorietà di riportare una data di scadenza del processo di sterilizzazione, che avrebbe un impatto certamente pesante sulla organizzazione e sulla economia dei nostri studi.
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