Il riscatto del dentista “no global” passa per l’emancipazione dalla dipendenza e dalla paura per cose che non vengono comprese fino in fondo. Consapevolezza e responsabilità saranno i due elementi distintivi del dentista di domani.
Il riscatto del dentista no global passa per l’emancipazione dai modelli organizzativi altrui e dalla cancellazione della paura per cose che non vengono comprese fino in fondo.
Il presente ci mostra generazioni di dentisti che affrontano in solitudine gli effetti pervasivi della comunicazione, del marketing, della concorrenza. La causa dei problemi di questi professionisti? Un profondo gap culturale.
Ma facciamo un passo indietro.
Groupon ed i suoi “fratelli” sono solo l’ultimo episodio di una saga distruttiva che i professionisti in generale ed il dentista in particolare stanno vivendo sulla propria pelle: vessati dalle istituzioni (fisco, ASL, tribunali, ecc.), indeboliti dalla crisi economica generale e minacciati da una concorrenza che non è più solo “interna” ma ha ormai una dimensione globale. Il preoccupante trend è lampante: l’attenzione della pubblica opinione si è spostata dalla prestazione al costo, dalla qualità alle commodities, dal rapporto umano al servizio, dalla sostanza alla forma.
Succede quindi che in poche ore vengano venduti on line pacchetti di prestazioni odontoiatriche con sconti dell’80%, sulla stessa vetrina virtuale dove vengono esposte le merci più disparate, dai massaggi estetici, alle vacanze a Varazze. Succede che i colleghi più disinibiti si comprino mezze pagine dei quotidiani per reclamizzare le proprie inarrivabili performance, dando la stura all’autopromozione più selvaggia dopo oltre mezzo secolo di protezionismo corporativo.
Per chi viene dagli anni ’90 è trascorsa un’era geologica nell’arco di un decennio. Era stato un economista del Corriere della Sera ad alzare il velo sulle nostre paure, facendoci capire che gli spettri erano arrivati e che le previsioni nefaste erano realtà. Il titolo, ormai famoso, di quell’articolo (cui il presente fa il verso) era La solitudine del dentista globalizzato firmato nel 2010 da Dario Di Vico. Un articolo lucidissimo in cui solo le conclusioni finali erano disarmanti, laddove si commenta che «i dentisti dovrebbero dare carattere “filosofico” alla loro professione. Dovrebbero evitare di inseguire la concorrenza low cost e puntare sull’allargamento del mercato. Due terzi delle famiglie non vanno dal dentista nemmeno una volta durante l’anno e bisognerebbe invece inventare una consulenza a tutto tondo, capace di pianificare la prevenzione e di ampliare il campo d’intervento fino all’estetica del sorriso e la cura dell’alitosi».
Ma noi siamo una categoria disposta a cercare la competizione su un terreno che non è il nostro per motivi culturali prima ancora che etici? Siamo disposti a contrabbandare le rughe periorali, l’alitosi ed i brillantini per patologie del cavo orale? Siamo disposti ad inseguire il franchising sul fronte del ribasso, del prezzo civetta, o del forfeit all inclusive?
Forse quello che serve è solo consapevolezza dei cambiamenti insieme ad una robusta dose di umiltà: la generazione trainante della categoria (quella tra i 45 e i 55 anni) ha imparato questa lezione più di una volta nel corso della propria vita professionale.
Si sono laureati senza dare un esame di inglese, eppure tutta la letteratura che conta parla quella lingua. L’inglese lo hanno studiato da soli, perché i tempi non consentivano di essere dei buoni professionisti senza. Allo stesso modo hanno imparato ad usare i computer, quando si sono accorti che rimanere al palo li avrebbe fatti vivere in un’epoca preistorica. E anche questo lo hanno fatto da soli. Il corso di laurea non prevedeva neppure l’obbligo della matematica e della statistica, materie senza le quali i cultori di una disciplina scientifica possono dirsi semi-analfabeti. E vogliamo tacere della pratica professionale appresa solo rubacchiando ai più esperti, sottopagati per anni in qualche centro o magari apprendendo a suon di milioni (come si diceva allora) in corsi privati oppure all’estero?
È arrivata per i professionisti maturi, non appiattiti alla logica dell’imitazione altrui né alla sudditanza del mercato e delle mode, abituati a rischiare in proprio senza alibi di comodo, di approcciare una nuova sfida: la sfida del mercato. Come affrontarla? Studiando materie nuove e stimolanti come l’economia, la comunicazione, il marketing, l’organizzazione e molte altre affini a queste.
“L’ignoranza è forza” scriveva provocatoriamente Orwell riferendosi allo stato di cattività culturale con cui si possono tenere sotto scacco intere categorie di persone. Se il professionista non vuol permettere che la sua “ignoranza” di tematiche manageriali sia la vera forza della concorrenza deve, ancora una volta colmare le sue lacune, e, mettendosi in pari, far valere le sue maggiori doti storiche: professionalità e competenza.
Il riscatto del dentista no global – quello che preserva l’identità storica ed unica del proprio studio e della propria dignità individuale – passa per l’emancipazione dai modelli organizzativi altrui e dalla paura per cose che si temono solo perché non vengono comprese fino in fondo, affidandosi così al sentimento corrente.
Convenzioni, marketing, low cost, controllo di gestione, credito al consumo, service, sono solo alcuni degli strumenti che non usiamo perché non li capiamo, ci fanno paura e li osteggiamo, rinunciando a mille occasioni per volgere gli eventi a nostro vantaggio e trasformare potenziali minacce in opportunità certe.
Dopo che le competenze, l’inglese e l’informatica hanno fatto la differenza nel successo tra un professionista e l’altro è già in atto una nuova potente pressione selettiva ad opera delle materie economiche e delle capacità manageriali.
Bisogna capire che non si tratta di giusto o sbagliato, di bello o brutto: si tratta, ancora una volta, della sopravvivenza del più adatto in un contesto che non ci possiamo scegliere, se non per guidarlo anziché subirlo. Non sempre chi arrocca vince la partita.
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