Il vero costo del denaro non è quello che paghiamo quando ci indebitiamo con gli istituti di credito, ma quello che paghiamo in tasse per affrancare fiscalmente i nostri guadagni e trasformarli in liquidità spendibile. Se i dentisti sapessero realmente quanto costa loro il denaro che spendono per sostenere lo Studio forse capirebbero perchè le loro casse sono sempre vuote nonostante i bilanci virtuosi. Se sapessero quanto risparmierebbero optando per una srl odontoiatrica, probabilmente il mercato cambierebbe moltissimo in pochissimi anni. O forse è proprio quello che sta accadendo?
Il costo del denaro segna la differenza fondamentale tra un dentista tradizionale ed uno organizzato in forma di impresa vera e propria.
Non mi riferisco al denaro acquistato dalle banche tramite finanziamenti, leasing o mutui, ma a quello che ciascuno di noi si procura quotidianamente generando utili con le prestazioni che esegue.
Ebbene, tra due dentisti che hanno lo stesso livello qualitativo e gli stessi imperativi deontologici, eseguono lo stesso numero di prestazioni e hanno anche lo stesso volume di fatturato e di costi, esiste un differenziale di valore in cassaforte che oscilla intorno al 20 %.
Questo differenziale è rappresentato esclusivamente dalla quantità di tasse che pagano, al netto di ogni possibile forma di elusione o evasione fiscale, e dipende esclusivamente dalla natura giuridica con la quale emettono le fatture ai pazienti.
Vediamo di cosa si tratta.
Ogni mese il dentista, come tutte le imprese, deve sostenere i costi della propria attività: dipendenti, materiali, affitto, attrezzature, assicurazioni, ecc. Indipendentemente dalla natura di questi costi (fissi o variabili, pluriennali o no) ogni pagamento genera un movimento di cassa in uscita visibile che è possibile solo grazie alla presenza di una certa liquidità.
Supponendo che questa liquidità derivi dagli utili dello studio e non dal ricorso a prestiti esterni, c’è un prezzo che tutti noi abbiamo pagato per potere godere di tale disponibilità. Tale prezzo è rappresentato dalla tassazione (o meglio, dalla imposizione fiscale) cui quel denaro è stato sottoposto affinché potesse rimanere nella nostra disponibilità ed essere quindi spendibile.
Se facciamo riferimento alle sole imposte dirette, possiamo dire che:
ogni 100 € di utili reinvestiti nel nostro lavoro, in origine abbiamo dovuto guadagnarne più di 100, ovvero 100 + x, dove x rappresenta la quantità di denaro che dobbiamo spendere per poter disporre legittimamente di 100 .
In altre parole, ogni volta che un dentista attinge agli utili per pagare un fornitore ha già pagato a monte un costo che non ha nulla a che fare con quel fornitore o con il bene o servizio che sta acquistando.
A quanto ammonta questo costo, che noi chiamiamo qui provocatoriamente costo del denaro?
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Un dentista che eserciti la propria attività direttamente (e quindi non per il tramite di una srl odontoiatrica) paga il denaro che spende in proporzione ai volumi di utile che il proprio studio produce.
Sappiamo tutti che questo dentista è sottoposto ad una imposizione fiscale progressiva determinata dallo scaglione Irpef corrispondente (salvo il caso del regime forfettario). Supponendo, per comodità di ragionamento, che a questo dentista sia applicabile una aliquota media Irpef del 43% (comprese le addizionali), possiamo dire che:
per poter disporre dei 100€ di cui parlavamo sopra, in origine egli ha dovuto guadagnarne circa 176!!
176 € infatti è il valore dal quale, se applichiamo una imposta del 43%, otteniamo come risultato finale 100 €, ovvero la cifra che stiamo andando a spendere per mantenere il nostro studio.
In altre parole, poichè lo Stato non contempla la detassazione degli utili reinvestiti nell’attività, un dentista normale è costretto a guadagnare 176 € (al netto degli altri costi) per poter fare le seguenti operazioni:
Se, per semplificare, consideriamo che l’Iva sia al 22% (lo scenario peggiore ma più frequente) con i 176 € iniziali guadagnati compriamo beni che sul mercato hanno un valore di circa 82€. Infatti 82 + 22% = 100 circa.
Ecco che il dentista tradizionale acquista un bene o un servizio del valore di 82 € spendendone ben 176 !! Più del doppio.
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Chiariamo bene che per dentista imprenditore non intendiamo lo sciacallo spregiudicato che insegue il profitto personale a scapito della salute dei propri pazienti, ma colui che, non sentendosi adatto al ruolo del dentista-mulo tradizionale e non volendo neppure evadere le tasse, opta per una configurazione societaria del proprio studio.
Il dentista imprenditore condivide con il dentista tradizionale tutti i principi che abbiamo descritto nella piramide deontologica, ma si organizza meglio sul piano fiscale emettendo le fatture con una srl odontoiatrica.
In cosa consiste la differenza è semplice dirlo: gli utili di una Srl sono tassati alla percentuale fissa Ires del 24% (contro l’aliquota massima Irpef del 43% + addizionali).
Seguiamo lo stesso esempio:
in questo caso i 100 € di utile della società che il dentista intende spendere sono stati originariamente tassati al 24%. Pertanto originariamente ha dovuto guadagnare 132 (e non 176).
Infatti 132 € – 24% = 100 € circa.
In sostanza, per acquistare lo stesso bene, il dentista tradizionale spende 44 € in più del dentista imprenditore.
Il bello è che fanno lo stesso lavoro e lo fanno nello stesso modo: hanno solo due vestiti diversi.
Nella maggior parte dei casi il calcolo dell’Iva non genera differenze significative, per cui possiamo tralasciarlo e rassegnarci all’idea che il valore reale del bene è sempre 82 € al netto dell’Iva, ma almeno ne abbiamo spesi complessivamente 132 invece di 176.
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Se riportiamo i dati assoluti in termini percentuali, quanto esposto può essere anche descritto in un altro modo. Pagando rispettivamente 132 e 176 € per acquistare lo stesso bene da 100 € (non consideriamo l’Iva) al dentista imprenditore lo Stato chiede un sovrapprezzo del 24% mentre al dentista tradizionale uno del 43%.
Tra i due soggetti si realizza così un differenziale di costo del denaro del 19% circa, la qual cosa, derivando da una imposizione dello Stato, altera artificialmente la loro competitività sul mercato, favorendo uno rispetto all’altro.
Ora, in uno studio dentistico medio i costi sostenuti a vario titolo ammontano a centinaia di migliaia di euro all’anno.
Facciamo un esempio e supponiamo che due studi reinvestano in beni e servizi per 500.000 € in un dato periodo (3 anni? 10?): quello gestito in forma tradizionale dovrà disporre di 880.000 € per procedere con gli acquisti, mentre una srl odontoiatrica dovrà disporre soltanto di 660.000. A parità di fatturato il secondo soggetto avrà un avanzo di cassa di 220.000 € sul primo, che potrà reinvestire in tecnologia, formazione, personale ecc.
E’ anche possibile che il primo soggetto sia costretto ad indebitarsi con le banche per rimanere competitivo, la qual cosa aprirebbe scenari ancora più negativi sul costo del denaro che per brevità non tratteremo qui.
Chi sarà più competitivo dei due? Quanto diventano grossolani questi scarti nel lungo periodo? Chi tra i due riuscirà ad offrire servizi migliori ai propri pazienti (magari sottraendoli all’altro)?
Queste sono domande di cui dovrebbe interessarsi, per competenza, il Garante per la concorrenza. Nel frattempo le risposte sono così ovvie che è quasi offensivo darle: in dieci, venti o trenta anni di attività il vantaggio competitivo delle società odontoiatriche rispetto al dentista tradizionale risulterà imbarazzante. Nell’esempio sopra esposto si tratta di centinaia di migliaia di euro a parità di attività svolta.
Le istituzioni non potranno continuare ad ignorare il fatto che la competizione sul mercato è falsata da regimi economici e fiscali troppo sbilanciati in favore delle società. Il costo del denaro è solo uno dei tanti vantaggi che una srl odontoiatrica possiede nei confronti del dentista tradizionale.
Lo scarto tra i due soggetti rappresenta anche la differenza tra affrontare la vecchiaia serenamente o con il dubbio di una pensione da fame.
Ricordiamoci che, quand’anche il legislatore approvasse una legge sulla detassazione degli utili reinvestiti, questa varrebbe soltanto per la srl odontoiatrica perchè nel caso delle persone fisiche (dentista tradizionale) l’utile ed il reddito sono coincidenti.
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