Il nuovo Regime Forfettario prevede la possibilità di accedere ad una tassazione ridotta al 15% (o del 5%) fisso per tutti i dentisti che non superino i 65.000 € di ricavi dal 2019. Questa novità da una parte segna la fine degli studi associati e delle società di persone in ambito odontoiatrico, dall’altra esalta il potenziale delle società di capitale. Esaminiamo in questo articolo quali opportunità e quali difficoltà possono incontrare i dentisti nell’accesso al regime forfettario.
La Legge di Bilancio 2019 aveva introdotto interessanti novità per quanto riguarda le imposte sul reddito dei professionisti, implementando una rimodulazione dell’accesso al regime forfettario che già era stato introdotto con la precedente Legge 23 dicembre 2014, n. 190. Queste novità erano particolarmente utili ai dentisti, soprattutto per l’alta incidenza dei costi fissi nella produzione dei nostri studi.
Con la Legge di Bilancio 2020 il Legislatore è tornato ancora una volta sul tema, dando la sensazione concreta che i diritti dei professionisti ed i loro destini economici siano legati agli umori politici del palazzo piuttosto che sul senso di equità e giustizia che dovrebbe animarli.
Vediamo di costa si tratta esaminando la normativa in ordine cronologico e visualizzando le differenze tra un dettato normativo e quello successivo.
Come detto è stata la Legge n. 190 del 23 dicembre 2014 a introdurre il regime forfettario di determinazione delle imposte sui redditi anche per i professionisti (dentisti compresi).
In particolare ci interessano i commi dal 54 al 57 dell’art. 1, nei quali veniva stabilito che la soglia di accesso al regime forfettario, per i professionisti, era per ricavi (o compensi) che non superassero i 30.000 €.
In luogo della tassazione ordinaria Irpef a costoro veniva applicata una imposta sostitutiva sul reddito del 15% fisso.
Il comma 54 diceva testualmente:
“I contribuenti persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti o professioni applicano il regime forfettario di cui al presente comma e ai commi da 55 a 89 del presente articolo se, al contempo, nell’anno precedente:
- Hanno conseguito ricavi ovvero hanno percepito compensi, ragguagliati ad anno, non superiori ai limiti indicati nell’allegato n. 4 annesso alla presente legge, diversi a seconda del codice ATECO che contraddistingue l’attività esercitata;
- Hanno sostenuto spese per un ammontare complessivamente non superiore ad euro 5.000 lordi per lavoro accessorio […], per lavoratori dipendenti, collaboratori […];
- Il costo complessivo, al lordo degli ammortamenti, dei beni strumentali alla chiusura dell’esercizio non supera 20.000 euro.”
Attenzione: si parlava di ricavi e NON di reddito imponibile (o utile). La platea dei dentisti che potevano accedere al regime forfettario prima della nuova legge era dunque piuttosto bassa, dal momento che uno studio dentistico medio incassa molto di più di 30.000 € all’anno (anche se, per via di costi di produzione enormi, i suoi margini di profitto sono nettamente più bassi).
Per la nostra categoria sarebbe stato più opportuno fare riferimento al reddito imponibile, ma così non è stato. Il risultato era che molti dentisti sono stati sull’orlo del fallimento per mancanza di guadagni ma non potevano comunque accedere al regime forfettario.
Alcuni di loro hanno perciò dovuto spostare tutto il reddito su una Srl Odontoiatrica, facendo emergere il loro vero compenso professionale mediante fatturazione alla stessa. E’ stato l’unico modo per far capire al legislatore, ma anche all’Agenzia delle Entrate, che c’è una differenza enorme tra reddito di impresa e reddito personale e che l’attribuzione per trasparenza del reddito di impresa tout court all’imprenditore (come avviene negli studi professionali) è una assurdità ipocrita.
Per giunta, anche quando i ricavi erano inferiori ai 30.000 €, molti di noi non hanno comunque avuto l’accesso al regime forfettario per via di criteri di esclusione diversi dalle soglie di ricavi o compensi e sopra richiamati. In particolare si segnalano gli elementi non economici previsti nel comma 57:
“Non possono avvalersi del regime forfettario:
- le persone fisiche che si avvalgono di regimi speciali ai fini dell’imposta sul valore aggiunto o di regimi forfetari di determinazione del reddito;
- i soggetti non residenti […];
- i soggetti che in via esclusiva o prevalente effettuano cessioni di fabbricati […];
- gli esercenti attività d’impresa, arti o professioni che partecipano, contemporaneamente all’esercizio dell’attività, a società di persone o associazioni di cui all’articolo 5 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, ovvero a società a responsabilità limitata di cui all’articolo 116 del medesimo testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, e successive modificazioni.”
Detto che il punto 1 non ci riguarda, come precisato nella Circolare 10/E/2016 della stessa Agenzia delle Entrate, e che i punti 2 e 3 sono residuali, un duro colpo era rappresentato invece dal punto 4 che, prima di questa nuova legge, impediva ai dentisti di accedere al regime forfettario anche per il tramite di una Srl Odontoiatrica. La norma era così mal scritta (o male pensata) che, non precisando bene a quali società si riferisse l’esclusione, sostanzialmente impediva l’accesso al regime forfettario anche ad un dentista che fosse contemporaneamente socio di una Srl per editoria o carpenteria metallica e quindi assolutamente estranea all’attività odontoiatrica.
E’ probabile che il legislatore abbia capito la necessità di allargare l’accesso al regime forfettario, tanto è vero che le disposizioni contenute nella legge di bilancio 2019 erano estensive rispetto alle precedenti. E non di poco.
La nuova Legge, al comma 9 dell’art. 1 diceva subito che il comma 54 della legge precedente era sostituito in questo modo:
“I contribuenti persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti o professioni applicano il regime forfettario […] se nell’anno precedente hanno conseguito ricavi ovvero hanno percepito compensi, ragguagliati ad anno, non superiori a euro 65.000.”
Si parlava sempre ingiustamente di ricavi e non di reddito, ma la soglia è stata elevata quantomeno da 30.000 € a 65.000 € e sono spariti tutti i limiti economici precedenti.
Tali soglie escludevano ancora dal beneficio la stragrande maggioranza dei dentisti italiani, ma è interessante notare come fossero state ridimensionate le incompatibilità societarie.
Il comma 57 della legge precedente, infatti veniva modificato come segue, escludendo dal beneficio del regime forfettario:
“Gli esercenti attività d’impresa, arti o professioni che partecipano, contemporaneamente all’esercizio dell’attività, a società di persone, ad associazioni o a imprese familiari […], ovvero che controllano direttamente o indirettamente società a responsabilità limitata o associazioni in partecipazione, le quali esercitano attività economiche direttamente o indirettamente riconducibili a quelle svolte dagli esercenti attività d’impresa, arti o professioni.”
E’ evidente come il legislatore si sia accorto degli errori precedenti ed abbia inteso porvi riparo, almeno in modo parziale.
Vediamo, alla luce di queste novità, come potrebbe configurarsi un nuovo rapporto dentista/imposte con degli strumenti societari e fiscali da oggi disponibili.
L’ultimo atto della tarantella sul Regime Forfettario si registra negli ultimi giorni del 2019, quando esce la Legge di Bilancio 2020. Alcune delle previsioni modificate dalla Legge 2019 vengono reintrodotte, altre piccole modifiche vengono aggiunte.
Le regole finali per l’accesso sono le seguenti.
Accedono al regime forfetario i contribuenti che nell’anno precedente hanno, contemporaneamente:
Anche chi inizia un’attività può accedere al regime forfetario, comunicando nella relativa dichiarazione ai fini Iva di presumere la sussistenza dei requisiti.
Sono invece esclusi dal forfettario:
Un dentista che applichi il regime forfetario determina il proprio reddito imponibile applicando, all’ammontare dei ricavi conseguiti o dei compensi percepiti, un coefficiente di redditività del 78%. Questo significa che posto a 100 € l’ammontare dei propri ricavi nell’anno, questi verranno abbattuti forfettariamente del 22%. In altre parole si presume d’ufficio che per produrre 100 € di ricavi il dentista abbia sostenuto 22 € di costi e quindi l’imponibile Enpam vero sia di soli 78 €. Da questo valore andranno sottratti i contributi Enpam per determinare l’imponibile fiscale.
Al reddito imponibile si applica un’unica imposta del 15%. Essa deve considerarsi sostitutiva di tutte quelle ordinariamente previste:
Proviamo a fare un esempio prendendo l’ipotesi di un dentista che abbia conseguito nell’anno precedente ricavi per 60.000 € e che non si ritrovi in alcuna della cause di esclusione (su cui torneremo) descritte in precedenza.
ESEMPIO Ricavi anno precedente: 60.000 € Riduzione forfettaria del reddito: 60.000 – 22% = 46.800 € Deduzione dei contributi Enpam quota B: 46.800 € - 18,5% = 38.142 € Deduzione del contributo Enpam quota A: 38.142 € - 1.551 € = 35.591 € Applicazione aliquota fissa imposta sostitutiva: 35.591 € - 15% = 31.102 € circa
Ora non si tratta di controllare i numeri alla virgola per verificare se il calcolo fine è corretto, E’ molto più importante focalizzarsi sul senso generale. All’interno del regime forfettario un ricavo complessivo di 60.000 € viene abbattuto fino a 35.591 € prima di applicare l’aliquota fiscale del 15%.
In conclusione su 60.000 € di ricavi si paga una imposta sostitutiva di 5.488 € che rappresenta, per effetto degli abbattimenti, il 9,14% reale, non il 15% teorico prescritto dalla norma.
Ma non è finita qui.
L’imposta sostitutiva è ridotta dal 15% al 5% per i primi cinque anni di attività (dentista junior) in presenza di determinati requisiti:
Nell’esempio precedente, il 5% teorico verrebbe sostituito da un 2,9% circa.
Vale la pena ricordare che, fuori dal regime forfettario, un professionista che non abbia costi deducibili su 60.000 € di ricavi pagherebbe una aliquota marginale Irpef molto più alta dell’aliquota fissa del forfettario, sia junior che senior. Nel caso specifico, al netto dei contributi Enpam, l’aliquota marginale media sarebbe del 27,7% ovvero circa 3 volte tanto nei casi senior e circa 9 volte tanto nei casi junior. A questo 27,7% dovremo poi aggiungere altri punti percentuali di addizionali locali e regionali che nel caso del forfettario non si applicano. Si arriva facilmente al 30%.
Ora possiamo arrivare alla domanda che più ci preme e che svilupperemo da qui in avanti: “quando mai potrà accadere che un professionista dentista possieda i requisiti descritti nella norma?” Per attività mature possiamo dire che non accade quasi mai, soprattutto se facciamo riferimento alle soglie di ricavi ed all’assenza di costi deducibili. Ci sono tuttavia delle importanti eccezioni e sono rappresentate dai consulenti, ovvero da tutti quei dentisti che svolgono solo attività di consulenza per terzi, ricavando dalla consulenza ricavi personali puliti e lasciando il totale dei ricavi e dei costi di produzione in capo a quei terzi.
La partecipazione ad una Srl Odontoiatrica, in luogo della professione tradizionale, apre appunto questo tipo di scenario, seppur con tutte le limitazioni e le preclusioni imposte dal legislatore.
Possiamo dividere la comunità dei dentisti in due grandi categorie: quelli con ricavi compatibili con il regime forfettario e quelli incompatibili.
In questo secondo caso, infatti, il dentista sposterà l’attività all’interno di una Srl Odontoiatrica e percepirà da questa un compenso determinato secondo le indicazioni sui compensi professionali già descritte in un altro articolo. La modulazione del proprio compenso avverrà sulle effettive necessità personali e della propria famiglia e verrà assoggettato all’aliquota Irpef del 15% fissa (o 5% se junior) qualora ricada entro il limite dei 65.000 €, mentre la rimanente parte del reddito di impresa rimarrà all’interno della Srl odontoiatrica e sarà assoggettata all’aliquota Ires del 24% fissa.
Oltre agli altri vincoli posti dal legislatore si dovrà adottare la precauzione che l’odontoiatra non controlli direttamente o indirettamente la società.
E questo è un argomento abbastanza controverso. Cerchiamo di capire quando si realizza o non si realizza tale condizione.
Poiché il regime forfetario è un regime naturale, i dentisti che possiedono i requisiti e che già sono in attività, vi accedono senza dover fare alcuna comunicazione preventiva o successiva.
Per i neolaureati, invece, che hanno appena aperto la partita iva che presumono di rispettare il requisito e le condizioni previste per l’applicazione del regime, hanno l’obbligo di darne comunicazione nella dichiarazione di inizio attività (modello AA9/12). Trattandosi di un regime naturale, questa comunicazione non ha valore di opzione, ma è richiesta unicamente ai fini anagrafici. Pertanto, l’omessa indicazione nella dichiarazione di inizio attività dell’intenzione di applicare il regime forfetario non preclude l’accesso al regime medesimo, ma è punibile con una sanzione amministrativa da 250 a 2.000 euro.
L’attestazione della sussistenza dei requisiti per l’accesso al regime e dell’assenza della cause ostative va fatta in sede di dichiarazione annuale dei redditi.
I contribuenti che potenzialmente devono applicare il regime forfetario hanno la possibilità di disapplicarlo, ovvero di fuoriuscirne, optando per la determinazione delle imposte sul reddito e dell’imposta sul valore aggiunto nei modi ordinari. L’opzione per il regime ordinario avviene tramite comportamento concludente. L’omessa comunicazione in dichiarazione della volontà di applicare il regime ordinario non inficia l’opzione effettuata, ma è punibile con una sanzione amministrativa da 250 a 2.000 euro. L’opzione per l’applicazione del regime ordinario è valida per almeno un triennio. Trascorso il periodo minimo di permanenza nel regime ordinario, l’opzione resta valida per ciascun anno successivo, fino a quando permane la concreta applicazione della scelta operata.
La nozione di controllo di una società da parte di soggetti terzi, prima del 10 aprile 2019, trovava riscontro solo in tre ambiti: il Codice Civile, il TUF (o Testo Unico della Finanza) le interpretazioni della Agenzia delle Entrate.
Il codice civile all’art. 2359 recita quanto segue:
“Sono considerate società controllate:
- le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;
- le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria;
- le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.
Ai fini dell’applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta”
In primo luogo è da notare come il concetto di controllo su una società è attribuibile, secondo il codice civile, solo ad un’altra società. Non sono previste altre ipotesi e quindi è da escludere che una persona fisica possa esercitare il controllo su una società. Volendo tuttavia accettare una interpretazione estensiva possiamo dire che il controllo si concretizza quando il soggetto dispone “della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria”.
Poiché il diritto di voto non è obbligatoriamente proporzionale alle quote sociali possedute, saranno certamente le previsioni statutarie a fare la differenza nella determinazione del controllo. Laddove i diritti dei soci non siano modificati dallo statuto crediamo sia ragionevole sostenere che chi detiene la maggioranza assoluta delle quote abbia decisamente il controllo della società e quindi sia incompatibile con l’accesso al regime forfetario. In tutti i casi dove invece tale professionista può essere messo in minoranza da altri soci in assemblea l’accesso al regime forfetario dovrebbe essere consentito. Frequente è il caso di soci che si dividono quote e diritti di voto in parti uguali: anche in questo caso nessuno dei soci ha oggettivamente il controllo della società.
Il TUF, all’articolo 93, stabilisce cosa debba intendersi precisamente con la definizione di controllo societario. Si legge testualmente:
“Nella presente parte sono considerate imprese controllate, oltre a quelle indicate nell’articolo 2359, primo comma, numeri 1 e 2, del codice civile, anche:
- le imprese su cui un soggetto ha il diritto, in virtù di un contratto o di una clausola statutaria, di esercitare un’influenza dominante, quando la legge applicabile consenta tali contratti o clausole;
- le imprese su cui un socio, in base ad accordi con altri soci, dispone da solo di voti sufficienti a esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria.”
La stessa Agenzia delle Entrate, dal canto suo, si esprimeva sul tema del Controllo Societario nella Risoluzione 276/2007 con queste parole:
“La nozione di controllo individuata dall’art. 2359 c.c. presuppone necessariamente l’esistenza di una situazione in cui un unico soggetto ha la capacità di influire in modo determinante sulle scelte operate da un altro soggetto.”
Nei passaggi successivi ribadisce peraltro che quando due soci si dividono al 50% le quote della stessa società, può essere attribuito ad uno dei due il controllo della società solo se si può dimostrare che in virtù di particolari rapporti contrattuali questi impone la propria volontà al secondo.
Incredibile auditu, sembra che le tre fonti siano concordi: l’accesso al regime forfettario sarebbe dunque compatibile con un assetto societario nel quale il professionista beneficiario non detenga più del 50% delle quote, se non intervengono elementi sostanziali e documentabili atti a dimostrare che esiste un controllo di fatto in sostituzione al controllo di diritto (ovvero, in subordine, pur possedendo quote di maggioranza i suoi diritti di voto in assemblea non determinino la maggioranza assoluta delle decisioni).
Con la circolare n. 9 del 10/4/2019 l’Agenzia delle Entrate è poi tornata sul tema del controllo societario, estendendo il concetto di controllo in due direzioni:
In sostanza i familiari e gli affini, a parere dell’Agenzia, integrano i presupposti della interposta persona previsti dal combinato disposto dell’art. 2359 c.c. sopra richiamato, commi 1 e 2.
Molti colleghi si trovano senz’altro in una delle condizioni ostative che precludono l’accesso al regime forfettario. La più spinosa è senza dubbio il possesso di quote societarie superiori al 50%.
Ebbene la domanda che ci si pone in questo caso è la seguente: se cedo le quote in esubero posso accedere al regime forfettario? La risposta è sì.
La stessa Agenzia delle Entrate peraltro, non solo precisa che la pratica di alienazione delle quote è legittima, ma specifica altrettanto chiaramente che non integra alcuna ipotesi di elusione. Infatti nella delibera n. 9 del 10/4/2019 si afferma testualmente:
“Le operazioni di realizzo delle partecipazioni al fine di applicare il regime forfetario non sono censurabili ai fini dell’abuso del diritto di cui all’articolo 10-bis della legge n. 212 del 2000, trattandosi di comportamenti volti a rimuovere le cause ostative prima di applicare il regime, rispettandone in tal modo la ratio sottostante.”
La domanda successiva potrebbe essere: entro quando devo rimuovere questo ostacolo per poter accedere al regime forfettario? La risposta in questo caso non è semplice, ma è sempre l’Agenzia delle Entrate a dirimere il dubbio, là dove si afferma testualmente che:
“In considerazione della pubblicazione della legge di bilancio del 2019 nella Gazzetta Ufficiale Serie generale n. 302 del 31 dicembre 2018 e in ossequio a quanto previsto dall’articolo 3, comma 2, della Legge n. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente), qualora alla predetta data il contribuente si trovasse in una delle condizioni tali da far scattare l’applicazione della causa ostativa in esame già a partire dal 2019, lo stesso potrà comunque applicare nell’anno 2019 il regime forfetario, ma dovrà rimuovere la causa ostativa entro la fine del 2019, a pena di fuoriuscita dal regime forfetario dal 2020.”
Questo significherebbe che per accedere al regime forfettario quest’anno è necessario avere avuto ricavi conformi l’anno scorso, ma si possono rimuovere eventuali ostacoli di accesso quest’anno stesso.
Sul piano fiscale gli Studi Associati sono arrivati a fine corsa. Se serviva ancora un colpo per abbattere la convenienza a costituire uno studio associato tra dentisti, il legislatore ci è riuscito perfettamente.
La Legge esclude esplicitamente la possibilità di accedere al regime forfettario per quei professionisti che partecipano, contemporaneamente all’esercizio dell’attività, a società di persone o associazioni.
Lo studio associato è, a tutti gli effetti, una società di persone. Fine della storia.
Lo stesso vale per le altre società di persone, come ad esempio le Sas e le Snc odontoiatriche.
Il tema delle Stp era già abbastanza confuso in precedenza, figuriamoci adesso.
Sul piano giuridico la Stp può essere sia una società di persone che una società di capitali.
Nel primo caso (Stp Sas, Stp Snc, ecc) la norma esclude i professionisti soci di Stp per lo stesso motivo per cui esclude quelli che sono soci di uno studio associato. Dunque non c’è molto da aggiungere.
Nel secondo caso è prassi considerare la Stp alla stessa stregua di una Srl pura, sia sotto il profilo civilistico che sotto quello fiscale. Ma ci sono elementi limitanti cui bisogna porre attenzione:
Il mio parere è che non esista nessuna ragione al mondo che possa indurre un professionista a complicarsi la vita con una Stp Srl quando può disporre di uno strumento molto più collaudato ed eclettico, che è appunto la Srl pura: tuttavia esistono situazioni nelle quali la Stp consente di accedere agli stessi benefici fiscali della Srl.
L’adozione del regime forfetario comporta anche una serie di altre semplificazioni ai fini Iva e ai fini delle imposte dirette. Le semplificazioni ai fini Iva sono le seguenti:
Le semplificazioni ai fini delle imposte sui redditi, invece, sono le seguenti:
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[…] corollario dei precedenti articoli su Regime Forfettario e Vie di accesso al regime forfettario, cui si rimanda per completezza e per tutti i riferimenti […]