Quando i dentisti decidono di unire le forze e di costituire società odontoiatriche con altri colleghi come soci, spesso decidono di detenere ciascuno una quota uguale a quella dell’altro o degli altri, nella speranza che ciò basti a garantire il buon andamento della società. Il fatto di detenere partecipazioni paritetiche comporta come naturale conseguenza la mancanza di un socio che detenga il controllo della società. Il che comporta anche la possibilità che possano crearsi situazioni in cui un eventuale disaccordo tra i soci impedisce la normale vita della società o la capacità di prendere decisioni importanti o strategiche; il protrarsi di questo stallo può portare verso un unico epilogo: quello della liquidazione della società. E’ possibile prevenire tale esito dotando lo statuto di apposite clausole utili a offrire soluzioni diverse a problematiche determinanti di questo genere, anche se di fatto vengono inserite raramente in statuto nell’esperienza pratica. Se questo non avviene per una precisa volontà consapevole, è appena il caso di informare che potrebbe trattarsi di un madornale errore.
Definiamo il problema “stallo decisionale e clausole statutarie” come una situazione nella quale le regole generali di una società di capitale producono una sostanziale impossibilità di assumere decisioni da parte degli organi di governance: assemblea dei soci e organo amministrativo.
Le società di capitale – e in particolare la srl odontoiatrica – molto spesso vengono utilizzate dai dentisti come veicoli societari unipersonali: è il dentista che ricopre tutti i ruoli, quello di socio unico, di amministratore e di direttore sanitario oltre che quello di principale collaboratore odontoiatra della stessa srl; nel caso in cui la compagine sia composta da più soci, prevale l’inserimento in quest’ultima di elementi appartenenti al nucleo familiare del dentista. Quasi sempre ai familiari del dentista vengono riservate quote di minoranza, in modo che non possa esistere alcun dubbio su chi esercita effettivamente il controllo della società e conserva il potere gestorio.
Più raramente, le società vengono costituite da più dentisti, tipicamente da due odontoiatri; e capita anche abbastanza spesso che in casi come questi si preferisca assegnare a questi partecipazioni al capitale sociale di eguale valore (sono le cosiddette società fifty/fifty); quindi, si assegnano partecipazioni paritetiche.
Situazioni abbastanza simili possono manifestarsi anche quando i soci dentisti sono tre o quattro e tutti con partecipazioni paritetiche (ad es. una società in cui quattro dentisti detengono ciascuno il 25% del capitale sociale).
Queste situazioni possono ingenerare conseguenze pericolose nel momento in cui venga a mancare, nel corso della vita della società, l’accordo tra i due o più soci in relazione a decisioni strategiche o comunque importanti per la normale conduzione della società. Quando tali situazioni di disaccordo, nonostante tutti i tentativi di superarle, permangono, è facile che si arrivi ad una situazione di stallo decisionale (deadlock) che, in mancanza di altri strumenti, non può che portare ad una scelta obbligata: quella di avviare la procedura di liquidazione della società.
Spesso tali situazioni vengono create dai soci per motivi anche comprensibili: nessuno di questi ha voglia di far prevalere l’altro o gli altri e d’altra parte non si sente di chiedere di essere lui a prevalere nella compagine per non mostrare sfiducia nella persona del socio o in quella dei soci, nella speranza che ciò basti ad assicurare l’accordo anche per il futuro.
Tuttavia, l’osservazione empirica dimostra – e non solo in ambito odontoiatrico – che tale speranza è spesso mal riposta.
La gran parte delle società che si trova in situazione di potenziale stallo decisionale non ha visto i propri soci escogitare alcuno stratagemma utile a trovare una soluzione all’eventuale disaccordo tra gli stessi che possa essere diversa dalla procedura di liquidazione.
Naturalmente, questa scelta possiede una sua valenza in molti casi. Piuttosto che liquidare la società, molti soci alla fine trovano un accordo e proseguono nella comune vita societaria. Lo spauracchio della liquidazione non è tuttavia sufficiente a scongiurare tutti i rischi e accade sovente che la liquidazione non sia concretamente evitabile.
Il consiglio che noi di Dentista Manager abbiamo sempre fornito in consulenza è sempre stato quello di evitare tali situazioni, assegnando il controllo ad uno dei soci e corredando lo statuto di apposite clausole utili ad evitare l’abuso di maggioranza. Tuttavia, in tutti quei casi in cui ciò non sia concretamente fattibile e si insista nella decisione di assegnare ai soci partecipazioni paritetiche è opportuno studiare delle possibili contromisure allo stallo decisionale che aiutino i soci nella ricerca di soluzioni diverse da quella fatale della liquidazione.
Tali soluzioni passano tutte attraverso la redazione di apposite clausole statutarie che possano fornire soluzioni al superamento dello stallo decisionale tra i soci o che possano ridurre la compagine per effetto della fuoriuscita dalla stessa da uno o da entrambi i soci.
Per completezza, corre l’obbligo di avvertire il Lettore che situazioni di questo genere possono ovviamente manifestarsi in qualunque tipo di società, a prescindere dal suo oggetto sociale: potrebbe trattarsi di una srl odontoiatrica in tutte o in alcune sue varianti o di una srl immobiliare o commerciale di qualunque genere; così come di una holding odontoiatrica. Persino le società tra professionisti costituite nella forma della srl non sono certo esenti dai medesimi rischi qualora i soci professionisti si ritrovino a detenere partecipazioni paritarie.
Un caso abbastanza frequente è quello in cui alcune società (più spesso non quelle che gestiscono un ambulatorio) vedono partecipazioni paritetiche assegnate al dentista e al coniuge. La situazione di stallo decisionale potrebbe anche costituire la naturale conseguenza di una eventuale rottura del vincolo matrimoniale tra i due e quando si verifica un dissidio per queste ragioni le speranze di ricomporlo sono ridotte al lumicino.
Appare chiaro come si tratti di questioni della massima rilevanza per molti odontoiatri; pare quindi opportuna una analisi delle possibili contromisure tese a mitigare i rischi conseguenti ad una situazione di stallo decisionale.
Esistono in realtà diverse situazioni di partenza dalle quali può scaturire una situazione di stallo decisionale; situazioni che vanno ben oltre quella già descritta e che vede due, tre o più soci detenere partecipazioni paritarie, in modo tale che nessuno di questi, quando considerato singolarmente, possa rivendicare il controllo sulla società e avocare a sè l’ultima parola in merito ad una decisione di qualunque genere o ad una decisione assembleare.
Per arrivare a conclusioni del tutto equivalenti è sufficiente fare in modo che – pur in presenza di partecipazioni non paritarie e quindi di uno socio che detiene una partecipazione di maggioranza assoluta o relativa-, le decisioni assembleari – o quanto meno alcune di esse – siano subordinate al consenso o al diniego dei soci di minoranza.
Questo tipo di situazione può essere originata dalla presenza in statuto di particolari clausole che riservano ai soci o ad un socio di minoranza particolari diritti non proporzionali in merito all’amministrazione, così come quelle che riservano a tali soci un diritto di veto in merito a particolari decisioni di rilevante importanza; come anche quelle che impongono di porre in essere alcune decisioni solo se anche i soci di minoranza sono d’accordo. Situazioni abbastanza simili possono prodursi quando tale tipologia di pesi e vincoli è imposta da clausole contenute nei patti parasociali.
In altri termini, si assiste – in casi come questi – a una forma diversa di pariteticità che non riguarda direttamente le quote ma i diritti di voto: la Dottrina ha coniato per queste situazioni il termine di pariteticità giuridica.
Ovviamente, situazioni di questo genere possono anche nascere senza una precisa volontà da parte dei soci come nel caso dei passaggi generazionali. Quello che è certo è che se la situazione di disaccordo tra i soci non è suscettibile di alcun componimento nel tempo può portare – in assenza di opportune contromisure – all’esito obbligato previsto dall’art. 2484 primo comma del Cod. Civ., il quale ricomprende tra le cause di scioglimento della società “l’impossibilità di funzionamento o la continua inattività dell’assemblea”.
Non tutte le situazioni di disaccordo possono portare ad un vero e proprio stallo decisionale ma solo quelle che, per la natura del contendere e per il prolungarsi della situazione sono in grado di porre in seria crisi il processo decisionale in questioni dirimenti per la buona salute della società o che impediscono di approvare il bilancio, un aumento di capitale o il reperimento di finanziamenti utili alla messa in opera di strategie importanti per la continuità aziendale. In particolare, quando i soci non sono d’accordo sulle linee strategiche da adottare per lo sviluppo dell’impresa, si arriva inevitabilmente ad una situazione di stallo decisionale irreversibile.
Da diversi decenni si assiste ad una sempre più rilevante compenetrazione degli istituti della Common Law nel Diritto interno e persino in quest’ultimo è sempre più frequente l’incontro con figure giuridiche che poco hanno a che fare con la sua storia e tradizione.
L’ambito delle clausole statutarie non fa certo eccezione: l’esperienza mercatistica anglosassone ha favorito il proliferare di clausole tese a mitigare gli effetti delle situazioni di stallo decisionale all’interno delle società di capitale che anche il Notariato ha deciso, sia pur in parte e con tutti gli adattamenti al Diritto interno del caso, di esaminare e adottare. Tuttavia, è appena il caso di avvertire il Lettore che la redazione di uno statuto e di clausole come quelle antistallo richiede competenze specialistiche e persino l’ausilio di un consulente e di un Notaio particolarmente temprati su queste materie. Non è davvero il caso di improvvisare e di dare per scontato che l’iscrizione ad un albo sia necessariamente sufficiente a fornire un valido ausilio in materie iperspecialistiche come queste.
L’esperienza anglosassone si è posta poi il problema di definire quali siano le situazioni che possono far scattare i meccanismi antistallo contenuti nelle clausole statuarie che ci apprestiamo ad esaminare.
Appare evidente, infatti, che l’utilizzo di questi meccanismi potrebbe facilmente prestarsi ad utilizzi del tutto strumentali da parte, alternativamente, dei soci di maggioranza o di minoranza, come anche di quelli paritari. L’abuso di minoranza o di maggioranza è sempre dietro l’angolo, così come sono sempre possibili comportamenti ostruzionistici tesi unicamente a far scattare i meccanismi antistallo in maniera surrettizia, soprattutto quando a comportarsi in questo modo sono soci finanziariamente forti. Come vedremo, infatti, alcuni di questi meccanismi antistallo prevedono la fuoriuscita di uno dei soci e l’acquisto delle sue quote da parte dell’altro; appare chiaro che i meccanismi antistallo devono attivarsi in alcune e non in tutte le situazioni di disaccordo.
L’esperienza e la prassi anglosassone hanno coniato apposite accortezze nella redazione delle citate clausole per evitarne tale uso distorto. E persino quando i meccanismi antistallo debbano scattare per qualunque dissidio riguardante qualsiasi oggetto del contendere (e quindi anche questioni che rientrano nell’ordinaria amministrazione), le clausole (cd. all matters) in parola definiscono dei limiti minimi solamente una volta superati i quali possano prendere vita i citati meccanismi. Un modo è quello di subordinare al valore della contesa l’attivazione della clausola (ad es. solo una volta superati i 50.000€). Altro modo è quello di evitare l’attivazione automatica è di subordinare quest’ultima alla richiesta di uno dei soci.
Più spesso si preferisce restringere l’area dell’attivazione su tutte le materie subordinandola all’avverarsi di specifiche condizioni (all matters with qualifications); oppure restringendo l’insieme della materie su cui è possibile invocare l’applicazione dei citati meccanismi (reserved deadlock matters).
Un’altra clausola conosciuta nel mondo anglosassone è chiamata “designated deadlock matters” e consente alternativamente ai soci per un determinato periodo di tempo di definire le cause rilevanti per l’innesco dei meccanismi antistallo.
In tutti i casi appena descritti si tratta di clausole che possono ben essere utilizzate anche nel Diritto interno anche se è raro che vengano consigliate dai consulenti nostrani. Quanto tale atteggiamento non dipenda in realtà dalla precisa volontà dei soci di subordinare il buon andamento della società a meccanismi di controllo incrociato e silente (io posso impedire a te di fare qualcosa che non mi piace e tu puoi fare lo stesso, per intenderci), non si può nascondere l’impressione che lo stesso dipenda unicamente da mancanza di aggiornamento, radicati pregiudizi e incapacità di comprendere come, pur nel rispetto delle regole dell’Ordinamento e della Giurisprudenza interna, l’unico obiettivo che veramente conta è quello di fare l’interesse del cliente.
Quindi nel caso di partecipazioni paritetiche o di pariteticità giuridica l’inclusione in statuto di clausole antistallo che prevedano, per quanto possibile, una varietà di soluzioni ai diversi tipi di stallo possibili che scattano solo a fronte di situazioni ben circostanziate appare essere qualcosa di più che una prassi consigliabile.
Nell’ambito odontoiatrico, peraltro, è facile ritrovarsi in situazioni di questo genere quando le società vengono costituite da più dentisti (due o più). E’ frequente che si verifichino situazioni tali per cui nessuno dei soci vuole lasciare prevalere l’altro nel processo decisionale e/o nel controllo della società.
L’utilizzo di tale clausole rappresenta quindi un tema di assoluto interesse in questi casi anche per ciò che riguarda il nostro settore. La prassi che più ci sentiamo di consigliare è quella di utilizzarne più di una, appartenente a tipologie diverse proprio per scongiurare il rischio di ritrovarsi nudi di fronte alle varie tipologie di stallo possibili. Peraltro, per loro natura alcune clausole sono fatte per essere naturalmente seguite da altre: quando le prime, che suggerivano soluzioni soft, hanno fallito, non rimane che ricorrere ai meccanismi hard previsti dalle altre; la questione diverrà più chiara se il Lettore avrà la pazienza di proseguire nella lettura dei prossimi paragrafi.
Una prima categoria di clausole e quella cosiddetta di preservazione (preservation mechanism).
SI tratta in tutti i casi di clausole che prevedono meccanismi soft di risoluzione dello stallo e che non portano a rimedi estremi come quelle che esamineremo più avanti. Per loro natura, ben si prestano ad essere inserite sempre in statuto insieme alle altre, salvo poi essere messe da parte nei casi più gravi per lasciare spazio a quelle hard.
Rientrano in questa categoria tutte quelle clausole statutarie che introducono nella vita della società meccanismi che puntano al superamento dello stallo decisionale attraverso l’adozione di una soluzione concordata e meditata tra le parti in scontro. Determinante, a questo proposito, è la definizione del c.d. periodo di raffreddamento degli animi (cooling-off period) o la riduzione del numero dei soggetti coinvolti nello scontro sulla decisione (escalation mechanism), nonché la regolamentazione e soluzione preventiva in clausola statutaria della/e situazione/i che possono generare stallo (substantive regulations).
in tutti questi casi si mira a superare la situazione di contrasto attraverso un congruo periodo di tempo utile a raffreddare gli animi o contando sul fondamentale aiuto dato dalla riduzione dei contendenti ai soli soggetti di maggiore esperienza e comprovata capacità di mediazione. Ovviamente, nel caso che a noi più interessa, non è detto che si possa far eccessivo conto su queste ultime evenienze e non rimane che contare sul periodo di raffreddamento.
Vediamo qualche esempio di clausola utile allo scopo:
“Nell’ipotesi che l’assemblea sia incapace di decidere sulla materia dell’ordine del giorno, può riconsiderare l’argomento non prima di…giorni, ma non dopo…giorni dalla precedente riunione assembleare” (1).
La quale clausola potrebbe essere anche arricchita da ulteriori determinazioni:
“se anche in caso di successiva seduta assembleare non sono raggiunti i quorum necessari per la costituzione dell’assemblea o l’approvazione della deliberazione, si verifica una situazione definita di stallo decisionale; in tal caso i soci, su impulso dell’AU, del Presidente del cda o del presidente del Collegio sindacale o del revisore si incontreranno e produrranno i propri migliori sforzi per sanare il dissidio evidenziatosi in occasione dello stallo decisionale, ricercando ragionevoli soluzioni che salvaguardino le esigenze, preminenti, della società e ciò per un tempo pari a massimo 20 giorni dalla seconda adunanza di cui sopra (periodo di conciliazione).
Qualora, all’esito del periodo di conciliazione, il dissidio tra i soci non sia stato ricomposto e non sia stata approvata la decisione che ha dato vita allo stallo decisionale, quest’ultimo deve considerarsi insanabile e troveranno spazio le altre clausole previsti dall’art. di questo statuto” (2).
Anche le clausole che mirano a superare lo stallo decisionale mediante la prevalenza della volontà di una
delle due parti in divergenza di opinioni appartengono alla stessa categoria che stiamo indagando; il meccanismo che viene elaborato potrebbe essere quello di attribuire ad un socio la prevalenza nella decisione
nel caso di votazione paritetica (c.d. casting vote), oppure gravando il socio leader proponente delle responsabilità per i rischi connessi con la scelta decisoria da esso proposta (sole risk clause and/or non consent clause).
Nel primo caso, si potrebbe realizzare l’obiettivo assegnando particolari diritti in merito all’amministrazione ad un ben determinato socio. Nel secondo caso, invece, si rende necessaria la redazione di una clausola statutaria ad hoc che preveda la prevalenza della volontà di un socio in caso di stallo e anche le conseguenze che questa speciale prerogativa possono originare a suo carico.
Un altro tipo di meccanismo appartenente alla stessa categoria di cui trattiamo in questo paragrafo è quello che rimette a terzi la decisione su chi deve prevalere nella decisione in stallo: i terzi possono essere già all’interno della struttura della società, come nel caso di intestazione fiduciaria ad un terzo di una partecipazione (c.d. swing man clause) o possono essere terzi esterni alla struttura societaria, come nei casi di ricorso ad arbitrato o arbitraggio (cd. chiar man clause).
Pare arduo ipotizzare che tali ultime soluzioni possono avere un frequente diritto di cittadinanza nel nostro settore. I dentisti e i medici in genere non amano che le loro cose siano decise da altri estranei al loro contesto e in parte occorre riconoscere che hanno persino ragione: le peculiarità di una impresa sanitaria ben raramente sono pienamente comprese da soggetti laici ed estranei al comparto.
Questa categoria di clausole, che potremmo definire hard in funzione del risultato cui sono finalizzati i meccanismi in essa contenuti, prevedono a loro volta diverse varianti cui corrispondono altrettante tipologie.
Il primo tipo è quello che rimanda alla possibilità di dividere la società in più rami, facendo in modo che il rapporto sociale tra i soci si interrompa e che ognuno di essi possa proseguire nel gestire una azienda autonoma.
Ovviamente, ciò richiede che siano presenti diversi rami d’azienda che possano formare l’oggetto di una operazione di scissione societaria. Pare assai raro ipotizzare l’esistenza di situazioni simili nel nostro settore anche se non si può escludere che ognuno dei soci dentisti possa rilevare il proprio pacchetto di pazienti e la propria attrezzatura dopo aver effettuato un’operazione di liquidazione della pre-esistente società, per poi fondarne una nuova e unipersonale. In quest’ultimo caso, tuttavia, ricadiamo pienamente nell’ambito di quell’esito che queste clausole dovrebbe servire ad evitare, sia pur una importante differenza e cioè che la liquidazione è in questo caso prodromica alla successiva e preordinata divisione della attività.
Il secondo tipo di soluzioni è finalizzato ad ottenere lo scioglimento del rapporto associativo tra i soci in conflitto ed accorpa tutti i casi di acquisto da parte di un socio delle quote di partecipazione dell’altro nella società, con conseguente continuazione dell’attività sociale da parte di un unico socio superstite (end game norms e so-called divorce mecanism).
Il terzo tipo di soluzioni contempla la mancata continuazione dell’attività da parte di tutti i soci o in conseguenza della cessione a terzi dell’azienda societaria o in seguito alla risoluzione del rapporto societario, con scioglimento della società e liquidazione delle attività o loro distribuzione ai soci eventualmente regolamentata già nello statuto sociale.
Inutile nascondere che la tipologia che appare più praticabile in ambito odontoiatrico è la seconda: quando i soci non possono mettersi d’accordo nonostante tutti i tentativi di evitare lo stallo, non rimane che prevedere dei meccanismi che facciano si che uno dei due si faccia da parte.
Stiamo parlando delle cosiddette clausole di divergenza alla cui sommaria analisi è dedicato il prossimo paragrafo.
Le clausole di divergenza, che mirano a realizzare un’asta tra i soci per l’acquisto delle partecipazioni, operano mediante meccanismi di opzioni reciproche, importate dall’esperienza anglosassone tra cui: russian roulette, mexican shootout (c.d. sparatoria messicana) o modified roulette, Fairest sealed bid (c.d. imparziale asta a buste chiuse).
Queste ultime sono tutte derivate dalla russian roulette, nel senso che prevedono lo stesso meccanismo di base arricchito da varianti allo schema principale.
Ci conviene quindi analizzare prima la clausola della roulette russa, ricordando che quest’ultima solo negli ultimi anni è assurta agli onori della cronaca giurisprudenziale italiana (Russian roulette o Savoy Clause dal nome di un famoso affare finanziario in cui fu usata).
E‘ la clausola con cui (verificatosi lo stallo decisionale) viene previsto che ciascun socio possa formulare
un’offerta di acquisto, ad un dato prezzo, della partecipazione altrui, e la controparte, nel contempo, avrà l’opzione di accettare l’offerta altrui oppure di acquistare a sua volta, a quello stesso prezzo, la quota del socio offerente.
Un esempio di redazione di una clausola della roulette russa potrebbe essere il seguente:
“In caso di stallo, ciascuna parte avrà il diritto di comunicare entro…giorni dalla data di verificazione dello stallo, la volontà irrevocabile di acquisire l’intera partecipazione dall’altra parte; tale comunicazione varrà anche come dichiarazione proveniente dalla parte che la effettua della propria volontà irrevocabile di vendere la sua partecipazione alla parte che ha ricevuto la comunicazione di acquisto. La dichiarazione dovrà contenere l’indicazione del prezzo offerto per il caso di acquisto. In caso di comunicazioni pervenute contemporaneamente, prevarrà l’offerta con il prezzo più elevato e qualora anche il prezzo fosse identico si estrarrà a sorte la comunicazione che avrà efficacia ai seguenti fini.
Entro…giorni dal ricevimento della comunicazione di cui sopra, la parte destinataria della comunicazione dovrà comunicare all’altra se accetta irrevocabilmente la proposta di vendere alla parte offerente la propria intera partecipazione ovvero se accetta irrevocabilmente la proposta di acquistare da parte offerente l’intera partecipazione di quest’ultima.
In caso di mancata accettazione della proposta di vendita o della proposta di acquisto (intendendosi per mancata accettazione anche la mancata risposta entro il termine oppure una risposta condizionata o comunque non conforme alla proposta), la parte offerente potrà, a suo giudizio, decidere se acquistare dall’altra l’intera sua partecipazione della stessa ovvero se vendere all’altra parte l’intera propria partecipazione; l’altra parte sarà obbligata a vendere la propria partecipazione ovvero ad acquistare la partecipazione della parte offerente al prezzo indicato nella prima comunicazione” (3).
I vantaggi di detta clausola sono legati alla sua relativa semplicità e rapidità, che ha come merito di incentivare la fissazione di un compenso equo, a cura dei diretti interessati. La parte che formula l’offerta di acquisto, ha infatti interesse ad effettuare una valutazione accurata e obiettiva, essendo esposta al rischio che l’altra parte dichiari di voler procedere essa stessa all’acquisto alle medesime condizioni. Questa specularità del diritto di opzione rende molto adatto al nostro ambito il meccanismo ad essa sotteso; ovviamente si tratta di un meccanismo da utilizzare come ultima ratio quando tutti i meccanismi di preservazione precedentemente inseriti in statuto si sono dimostrati inutili ad evitare una soluzione drastica come quella in esame.
Come già rilevato, le altre clausole sovra citate costituiscono essenzialmente delle varianti: ad esempio, la modified roulette (anche conosciuta come Texas shot-out) si arricchisce dalla previsione che il socio che ha ricevuto l’offerta (di vendita o di acquisto) possa accettarla come anche rilanciare ad un prezzo più alto, riservandosi la possibilità di comprare o vendere a quel prezzo. Il tira e molla può andare avanti con questo gioco di offerte e controfferte fino a che una Parte non accetta la proposta dell’altra.
Per chi avesse la voglia di approfondire queste tematiche, consigliamo alcuni scritti del Notaio Carlo Alberto Busi e in particolare lo Studio del Notariato n. 123 del 2022 e la monografia recentemente edita da Eutekne, sempre dello stesso Autore, con titolo: Società di capitali con partecipazioni paritetiche e stallo decisionale, del 2024. Si tratta delle stesse pubblicazioni cui abbiamo attinto anche noi, in particolare per gli esempi di clausole che abbiamo pubblicato in questo articolo.
Quello che è importante ricordare, soprattutto allo scopo di fornire al Lettore interessato gli strumenti utili a controbattere le scarne argomentazioni dei soliti contrarian (anche quando sono i loro consulenti o il Notaio di fiducia) è il fatto che la Giurisprudenza italiana (e in parallelo quella europea) hanno da tempo accettato e sdoganato l’utilizzo di queste clausole statutarie, sia pur con opportune specificazioni che non è il caso di affrontare in questa sede.
Ad es. in Trib. Milano, Sez. Spec. Impr., 15 gennaio 2014, Corte di Appello di Venezia, 26.08.2016, n. 1955; Trib. Roma 19.10.2017, n. 19708 confermata in Appello il 03.03.2020, pubblicata in Foro Italiano, I, 2020, pag. 1399. Anche la Cassazione si è pronunziata in maniera sostanzialmente conforme alla Giurisprudenza di merito Cass. 25.7.2023 n. 22375).
Benché la presenza di società odontoiatriche tra più dentisti sia alquanto minoritaria nel panorama nazionale, accade sovente che quando le società presentano nella compagine più professionisti del settore spesso lo fanno con partecipazioni paritarie. Quasi mai, in casi come questi, si inserisce in statuto delle clausole tese a scongiurare i deleteri effetti di un eventuale stallo decisionale prolungato.
L’esperienza empirica suggerisce che tale omissione potrebbe rilevarsi come uno dei più fatali errori che due o più dentisti possano commettere nel momento in cui decidono di unire le forze in un contesto societario al cui interno non è chiaro e pre-determinato il controllo. L’utilizzo di clausole di preservazione e di divergenza redatte con il fondamentale ausilio di consulenti e Notai effettivamente esperti del ramo potrebbe rivelarsi provvidenziale in questo senso.
Note
(1) Carlo Alberto Busi, Società di capitali con partecipazioni paritetiche e stallo decisionale, Torino, Eutekne, 2024, pag. 171.
(2) Idem, pag. 173
(3) Idem, pag. 323
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