Quando si costituisce una società esistono rischi che vanno valutati con grande attenzione, uno di questi è far entrare soci esterni al nucleo familiare e spesso […]
Quando si costituisce una società esistono rischi che vanno valutati con grande attenzione, uno di questi è far entrare soci esterni al nucleo familiare e spesso persino interni.
Si assiste sovente ad atteggiamenti assai estremi in questo senso: si può andare facilmente, a seconda dei casi, da una sottovalutazione ad un sopravvalutazione del problema.
Appare chiaro che i soci debbano essere valutati con grande attenzione, ma questo più o meno lo facciamo tutti e spesso sbagliamo comunque, anche perché le persone cambiano e ci appaiono per come realmente sono solo quando le cose vanno storte.
Se da una parte appare quindi assurdo trincerarsi dietro una unipersonale solo per questo – soluzione che a sua volta può creare altri problemi e a maggior ragione quando alla srl si arriva tramite una trasformazione da uno studio professionale -, dall’altra una conoscenza almeno di base delle regole del Diritto societario non guasta. Alcuni infatti ritengono che la messa in minoranza di un socio, mantenendo la maggioranza assoluta (cioè più del 51%), risolva tutti i problemi.
Il socio di minoranza ha infatti due fondamentali diritti che può far valere in particolari casi quando la maggioranza decide qualcosa che non gli piace; e in particolare, quando la maggioranza prende decisioni “forti”, quali la modifica dell’oggetto sociale, ad esempio. In questi casi infatti, quest’ultimo può far valere il diritto di recesso e la società deve liquidare la sua quota a valore di patrimonio entro sei mesi, il che non sempre è così facile per gli altri soci.
A queste criticità si possono frapporre diverse soluzioni, per cui diffidate da quei consulenti che pongono l’accento solo su queste per utilizzarle come motivazioni utili a sconsigliarvi la srl. Si tratta quasi sempre di persone che per ogni soluzione trovano un problema.
Un altro diritto concesso al socio è quello di esperire una azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore. Si tratta di azioni che possono essere intentate contro l’amministratore quando quest’ultimo con colpa o dolo ha danneggiato direttamente il socio. E anche qui i soliti consulenti spingono l’accelleratore spesso oltre il dovuto.
In sintesi e semplificando, si può subito dire che l’amministratore che senza colpa grave o dolo provoca il dissesto della società e non si mette soldi in tasca cui non ha diritto, non può essere chiamato a rispondere per danni piovuti in capo ai soci in via indiretta (come avverrebbe ad esempio se la società finisse in dissesto per errori strategici o tattici e per cicli di mercato esterni) dai soci stessi.
Non si può condannare un imprenditore perché qualche impresa non riesce a sopravvivere, perché l’attività di impresa è una attività a rischio e chi vi partecipa non può pretendere il guadagno assicurato e la vita eterna.
Si badi bene che in questo caso la Sentenza cassa l’azione del socio persino di fronte a falsa fatturazione e falso in bilancio. Queste condotte, infatti, nel caso in cui la società fosse finita in dissesto, non hanno danneggiato i singoli soci (se non indirettamente) ma semmai la società nel suo complesso; sarà eventualmente compito del curatore esperire tale azione nei confronti dell’amministratore, a tutela comunque dei creditori e non certo dei soci.
Si tratta di questioni che affrontiamo sempre in consulenza o nei corsi e sulle quali vanno fatte riflessioni attente ma vanno anche evitate paure spesso provocate ad arte e ingiustificate.
Anche se qualche consulente vorrebbe convincervi del contrario, un imprenditore che agisce in buona fede e costruisce il giusto assetto organizzativo e gestionale e – con le nuove regole sulla crisi di impresa – interpella i neocostituiti Organismi di composizione della crisi per tempo – rischia meno di quanto si vorrebbe far credere.
D’altra parte, le attività di impresa come quelle di lavoro autonomo sono attività a rischio e questa situazione non la cambiamo certo con gli slogan e le chiusure di principio, ma con lo studio, l’informazione corretta e le competenze. Oltre che con un po’ di fortuna.
Pietro Paolo Mastinu
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