I compensi dell’amministratore odontoiatra della srl odontoiatrica rientrano nel regime di quelli assimilati al lavoro dipendente. Questa inclusione apre la strada ad una serie di opportunità davvero interessanti, soprattutto in merito a quelli in natura. Questi ultimi infatti possono beneficiare di tutte le defiscalizzazioni, in capo al percettore amministratore, previste dall’art. 51 TUIR. Si tratta di vantaggi fiscali e contributivi che meritano un’analisi attenta e la cui utilità potrà essere ancor più rilevante tanto più la società è in grado di produrre reddito.
I compensi dell’amministratore della srl odontoiatrica rappresentano una di quelle questioni calde che spesso vengono poste all’attenzione del dentista e a fronte della quale lo stesso dentista si trova spesso assediato da diverse e più o meno probabili interpretazioni.
Appare quindi opportuno fare chiarezza e spiegare anzitutto quale sia la natura, sotto il profilo giuridico e tributario, di tali redditi, perché la questione è tutt’altro che chiara e condivisa nell’ambito professionale, anche se la stessa è stata chiarita in modalità inequivocabili dalla Legge.
Sotto il profilo civilistico, la concessione dei compensi all’amministratore e la loro forma sono interamente demandate alla volontà dei soggetti coinvolti nel contratto di società e in particolare ai soci.
Ciò è chiaramente stabilito dall’articolo 2389 comma 1 del Codice civile, il quale testualmente recita:
“i compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo sono stabiliti all’atto della nomina o dall’assemblea”.
Si tratta di un principio che, per interpretazione estensiva, viene considerato valido anche in presenza di un amministratore unico: l’esistenza della delibera che determina esplicitamente l’entità del compenso dell’amministratore ha il carattere dell’essenzialità, sia ai fini civilistici (nel senso che, senza la delibera, l’atto di autodeterminazione del compenso, da parte degli amministratori, è nullo), sia ai fini fiscali (in quanto senza delibera, il compenso, anche se corrisposto, non sarà deducibile per la società). Tale compenso potrà anche essere legittimamente previsto dall’atto costitutivo della società.
Il compenso dell’amministratore si presume tuttavia oneroso, il che comporta che, nel caso in cui i soci intendano disporre per la gratuità del compenso, devono deliberare esplicitamente in merito e l’amministratore deve accettare per iscritto tale decisione.
In mancanza di tali condizioni, lo stesso amministratore potrebbe rivolgersi al giudice per vedersi riconosciuto un compenso determinato in misura equitativa. Tale principio è stato anche confermato dalla Giurisprudenza della Cassazione.
Sotto il profilo tributario, la natura dei compensi dell’amministratore è fissata direttamente dalla Legge e in particolare dall’ art. 51 Testo Unico Imposte sui redditi che fa rientrare tali compensi nel regime dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente:
…c-bis) le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione agli uffici di amministratore, sindaco o revisore di società, associazioni e altri enti con o senza personalità giuridica, …, sempreché gli uffici … non rientrino nei compiti istituzionali compresi nell’attività di lavoro dipendente di cui all’articolo 46, comma 1, concernente redditi di lavoro dipendente, o nell’oggetto dell’arte o professione di cui all’articolo 49, comma 1, concernente redditi di lavoro autonomo, esercitate dal contribuente”.
Si deve fare attenzione al fatto che il testo della norma è insperabilmente chiarissimo e non fornisce adito ad alcun fraintendimento. In particolare, la parte del testo che recita “Le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti, anche sotto forma di erogazioni liberali” costituisce una formulazione talmente piena da ricomprendere al proprio interno qualunque forma di compenso (ordinario e differito, in denaro o in natura), come anche di rimborso.
Questi redditi corrisposti per l’ufficio di amministratore, sempre secondo la norma, rientrano tra quelli assimilati a lavoro dipendente sotto il profilo fiscale. Questa è la regola base che ammette due sole eccezioni, molto ben definite nel testo.
E cioè quando l’amministratore è un dipendente e consegue redditi di quella stessa natura.
Oppure, quando l’ufficio di amministratore rientra nell’oggetto dell’arte o della professione, nel qual caso i relativi redditi rientrano in quelli di lavoro autonomo.
A questo punto, è appena il caso di richiamare ad adiuvandum il famoso brocardo: in claris non fit interpretatio. E si tratta di un richiamo ancor più importante se si pensa a quali derive ermeneutiche abbiano interessato questo articolo del TUIR nel corso del tempo e di cui parleremo appresso.
Quali sono i casi in cui l’ufficio di amministratore può essere ritenuto rientrante nell’oggetto dell’arte e della professione?
Solo quei casi in cui è necessario che esista un legame diretto tra la professione esercitata e l’incarico svolto in qualità di amministratore, verificando caso per caso se vi è una connessione oggettiva con le mansioni tipiche dell’attività professionale esercitata.
Il che potrà essenzialmente rinvenirsi nel caso in cui l’amministratore sia un dottore commercialista o un revisore.
La possibilità di assumere in qualità di dipendente un amministratore è invece condizionata al rispetto di alcune condizioni di cui si dirà meglio nel corso della trattazione seguente. Il medico e l’odontoiatra devono tuttavia tenere presente che un amministratore dipendente può sicuramente usufruire di condizioni di vantaggio rispetto a un amministratore assimilato; ma deve anche poter rispettare l’orario di lavoro ed essere sottoposto al potere gerarchico del medico imprenditore. Il che esclude de plano quei familiari che non possono ottemperare a questi obblighi. Il rischio che l’Ispettorato del Lavoro possa, a seguito di verifiche, dichiarare nullo il rapporto rende del tutto inopportuno il perseguimento di forzature che potrebbero costare molto care.
Appare evidente dalla disamina appena effettuata che la situazione normale e che ricorrerà più frequentemente nella srl odontoiatrica è quella dell’amministratore collaboratore non professionista con redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.
E questa è esattamente la tesi iniziale dell’Agenzia delle Entrate, che si è tradotta in un principio di prassi chiaramente delineato nella Circolare n. 105 del 12 dicembre 2001 :
“In sostanza, i compensi derivanti dall’attività di collaborazione coordinata e continuativa, se rientrano nell’oggetto tipico dell’attività di lavoro autonomo esercitata dal contribuente, non sono qualificati fiscalmente quali redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente ma sono assoggettati alle disposizioni fiscali dettate per i redditi di natura professionali.
Con la circolare n. 67/E del 6 luglio 2001, riprendendo precedenti orientamenti, questa Agenzia ha chiarito che, al fine di stabilire se sussista o meno una connessione tra l’attività di collaborazione e quella di lavoro autonomo esercitata, occorre valutare se per lo svolgimento delle prestazioni di collaborazione siano necessarie conoscenze tecnico-giuridiche direttamente collegate all’attività di lavoro autonomo esercitata abitualmente. In tale ipotesi i compensi percepiti per lo svolgimento del rapporto di collaborazione saranno assoggettati alla disciplina prevista per i redditi di lavoro autonomo. Nella circolare citata è stato inoltre precisato, con riferimento all’ufficio di amministratore di società, che tale attività non può essere attratta nell’ambito del lavoro autonomo in quanto, per l’esercizio della stessa, non è necessario attingere a specifiche conoscenze professionali. Per quanto concerne l’incarico di sindaco o revisore di società o enti, è stato invece chiarito che le relative attività possono essere ricondotte nel reddito professionale solo se poste in essere da ragionieri o dottori commercialisti”.
Dopo aver chiarito in maniera molto netta il senso del dettato legislativo, l’AdE, come spesso suo costume, effettua una virata completa e aggiunge ulteriori considerazioni che, almeno in parte, poco hanno a che fare con quanto precedentemente affermato:
“Qualora gli ordinamenti professionali ricomprendano espressamente nel novero delle mansioni tipiche esercitabili dalla categoria disciplinata, l’amministrazione o la gestione di aziende, appare ragionevole ritenere che i compensi percepiti per lo svolgimento dell’attività di amministrazione di società ed enti vadano ricondotti nella disciplina applicabile ai redditi di lavoro autonomo. L’attrazione dei compensi alla categoria dei redditi di lavoro autonomo opera, inoltre, nella diversa ipotesi in cui, anche in assenza di una previsione espressa nell’ambito delle norme di disciplina dell’ordinamento professionale, il professionista svolga l’incarico di amministratore di una società o di un ente che esercita una attività oggettivamente connessa alle mansioni tipiche della propria professione abituale. In tale ipotesi è ragionevole ritenere che l’incarico di amministratore sia stato attribuito al professionista proprio in quanto esercente quella determinata attività professionale. E’ il caso ad esempio dell’ingegnere edile che sia membro del consiglio di amministrazione di una società di ingegneria o di una società che opera nel settore delle costruzioni”.
Ora, se il riferimento alle determinazioni dei singoli ordinamenti professionali può ritenersi condivisibile, lo stesso non può certamente dirsi per il riferimento contenuto appresso.
Il fatto che una società di ingegneria sia affidata all’amministrazione di un ingegnere potrà sicuramente avere una relazione logica con le sue competenze professionali; tuttavia, l’esistenza di tale relazione non può costituire elemento sufficiente ad affermare che quell’incarico gli sia stato affidato e possa essere da lui ricoperto esclusivamente in base al fatto che quell’ufficio rientra, almeno in parte e neanche la parte più importante, nell’oggetto dell’arte e della professione.
L’ingegnere non studia Diritto societario ed Economia e non possiede alcuna specifica competenza in queste materie. Si intenderà sicuramente di ingegneria e costruzioni ma questo non comporta de plano una eguale competenza in materia societaria.
Operare questi passaggi logici porta inevitabilmente a far dire alla Legge quello che la stessa chiaramente non dice.
Come vedremo meglio appresso, il motivo per il quale l’AdE si presta a queste forzature è del tutto logico e comprensibile se si considera il suo particolare punto di vista e il suo fondamentale intento: e cioè quello di impedire al soggetto amministratore di usufruire di un regime fiscale, quale quello dei redditi assimilati a lavoro dipendente, a lui assai più favorevole di quello dei redditi di lavoro autonomo.
L’AdE non è certo nuova a queste prassi e per certi versi ciò è persino giustificabile: essa costituisce la controparte del contribuente e non certo un Giudice Terzo (anche se nel tempo tende sempre più a trasformarsi, quanto meno agli occhi dei contribuenti e di molti dei loro consulenti, in qualcosa di molto simile a quello).
Con il passare del tempo e degli anni, poi, la stessa Agenzia si è guardata bene dal modificare questo principio di prassi, ma anzi lo ha più volte ribadito e rinforzato, anche con risposte ad interpello.
Ad esempio, con la Risposta ad Interpello n. 202 del 2019 la stessa è giunta ad affermare che i redditi dell’amministratore medico di una società sanitaria dovessero essere ricondotti nell’alveo di quelli di lavoro autonomo, per le stesse motivazioni già illustrate.
Da notare che la stessa Agenzia aveva precedentemente deliberato, nella Circolare 6 luglio 2001 n. 67 , che tale attività
“non può essere genericamente attratta nell’ambito del lavoro autonomo in quanto per l’esercizio della stessa non è necessario attingere a specifiche conoscenze professionali”.
Per comprendere quanto è importante questa distinzione, bisogna subito chiarire che l’amministratore non professionista entra nell’ambito dei compensi (e dei rimborsi) assimilati a quelli di lavoro dipendente, mentre quello professionista viene attratto ai compensi di lavoro autonomo. Con tutta una serie di conseguenze sul diverso trattamento fiscale dei compensi e dei rimborsi percepiti che non sono certo di poco conto, tra le quali spiccano i rimborsi chilometrici forfettari, la cui neutralità fiscale in capo al percettore risulta ammissibile nel primo caso e non ammissibile nel secondo.
Inoltre, conseguire redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente comporta l’assoggettamento alla disciplina dei compensi in natura o fringe benefit definita dall’ art. 51 TUIR .
Ben diversa è la disciplina dettata per i compensi in natura nel regime dei redditi di lavoro autonomo.
Tali compensi costituiscono sempre reddito imponibile per il percettore, al loro valore normale. E persino i rimborsi spese sono sottoposti ad una disciplina fiscale meno favorevole di quella relativa ai redditi assimilati a lavoro dipendente.
Questa distinzione è utile se non altro a comprendere perché l’AdE tenti in ogni modo possibile di ricondurre quei redditi nel regime fiscale meno favorevole per il loro percettore.
Si deve subito avvertire il lettore che questa prassi amministrativa dell’AdE è stata più volte posta al vaglio della Giustizia Tributaria e le forzature di cui sopra sono state considerate dalla Stessa come tali in più di un’occasione.
Esistono infatti ben due sentenze delle Commissioni Tributarie Regionali relativamente recenti (entrambe del 2017), le quali confermano che un amministratore assume le qualifiche di professionista dell’amministrazione solo a determinate condizioni; e si tratta, come era facile intuire, limitandosi a tenere conto dell’esplicita definizione della Legge, di condizioni molto più restrittive di quelle cui fa riferimento l’AdE.
In sostanza, per le Commissioni Tributarie solo in ben determinati e limitati casi l’amministratore può vedere i propri redditi ricadere nella disciplina del lavoro autonomo.
Tali sentenze dettano principi che possiamo per analogia benissimo applicare anche al caso di un odontoiatra amministratore di una srl odontoiatrica (e questo è tanto più vero quanto più l’oggetto sociale della srl è ampio e non limitato alla attività sanitaria, come da noi sempre consigliato ); quest’ultimo, esattamente come altri amministratori titolari di partita iva in condizioni simili e contesti diversi, non può essere de plano considerato amministratore professionista per il solo fatto di avere una partita iva e neanche perché è iscritto ad un Albo e nemmeno perché la attività della srl odontoiatrica è oggettivamente connessa alla sua professione.
In realtà, se si eccettua il caso del commercialista o del revisore contabile, i quali hanno delle specifiche competenze inerenti alla attività di amministratore di una srl e relative alla gestione, alla contabilità e alla redazione del bilancio, altri professionisti non possono essere ricondotti così facilmente al rango degli amministratori professionisti. E la Giurisprudenza recente sembra appunto confermare questo assunto.
Con la sentenza n. 2629/07/2017 del 20 dicembre 2017, la C.T. Reg. Toscana, confermando la decisione di primo grado, ha infatti ritenuto corretta la tassazione dei proventi percepiti da un architetto per la carica di presidente del consiglio di amministrazione e tassati come redditi assimilati a lavoro dipendente, sulla base della circostanza che, nel caso in analisi, la qualifica di architetto (a differenza di quella di commercialista)
“non ricomprende mansioni amministrative che siano proprie delle funzioni di gestione aziendale demandate al presidente del Consiglio di Amministrazione quali quelle di predisposizione del progetto di bilancio d’esercizio, la tenuta dei libri contabili obbligatori, il rispetto degli adempimenti pubblicitari presso il registro delle imprese ed altri”.
Nel caso deciso, la contribuente svolgeva l’attività professionale di architetto, in relazione alla quale percepiva compensi che dichiarava come redditi di lavoro autonomo e, nella medesima società, rivestiva altresì la carica di presidente del consiglio di amministrazione in relazione alla quale percepiva somme che erano state dichiarate come proventi di collaborazione coordinata e continuativa.
La Commissione Tributaria ha dato torto all’Agenzia delle Entrate e ragione al contribuente, considerando lecito il fatto che fosse pagato come amministratore non professionista.
In altra sentenza (C.T. Reg. Firenze 16 marzo 2017 n. 671/5/2017), i giudici hanno condiviso l’assoggettamento dei due redditi, rispettivamente quello relativo all’attività professionale e quello derivante dalla carica di amministratore, a regimi fiscali diversi analizzando nel dettaglio il contenuto delle attività svolte nell’ambito del ruolo di amministratore ed escludendo che fossero effettivamente connesse alla competenza professionale.
Nella specie, si trattava di un amministratore-geometra e, secondo i giudici, le attività espletate dalla società (recupero ambientale, ingegneria naturalistica, regimazioni idrauliche)
“esulano dalla competenza professionale del geometra e non hanno la benché minima attinenza con costruzioni edili”.
Non a caso, si legge in sentenza, per l’esecuzione dei progetti e le direzioni tecniche la società si era rivolta a professionisti esterni.
Quest’ultimo ragionamento appare allineato a quello dell’Agenzia delle Entrate (il problema, infatti, sembrava riguardare la connessione tra l’attività di geometra e quella della società amministrata; a differenza dei giudici, l’Ufficio riteneva che l’attività della società rientrasse tra quelle tipiche del geometra).
Avrete notato le forti attinenze di queste due sentenze con il caso dell’amministratore odontoiatra.
Ne deriva che quest’ultimo può benissimo considerare lecitamente i propri compensi come assimilati a quelli di lavoro dipendente e quindi, altrettanto lecitamente, può percepire rimborsi non assoggettati ad imposta sul reddito per esso percettore, interamente deducibili per la società e persino nello specifico caso dei rimborsi chilometrici forfettari.
L’oggetto sociale di quest’ultima è infatti l’esercizio della professione in forma societaria; la società è iscritta al medesimo Albo in cui è iscritto il professionista amministratore; i soci di maggioranza possono essere solo soci professionisti e soprattutto la società non è una impresa societaria ma una associazione professionale che ha preso in prestito una forma societaria tipica dell’impresa. La società tra professionisti somiglia all’impresa ma non coincide con essa. Quasi non bastasse, in nove casi su dieci, l’amministratore è un professionista.
Non sussiste alcun dubbio sul fatto che nella stp esista una piena corrispondenza tra l’attività della associazione professionale (sia pur costituita in una forma “evoluta”) e quella del professionista e appare oggettivamente più difficile superare la prassi amministrativa di cui alla Circolare dell’Agenzia delle Entrate, se si tengono nel debito conto tutte le peculiarità che la caratterizzano rispetto all’impresa societaria vera e propria.
Con questo non si vuole dire che siamo certi della non applicabilità del regime dei redditi assimilati all’amministratore della stp. Quello che intendiamo dire è che il rischio che gli stessi redditi possano venire dichiarati come naturalmente attratti nell’ambito di quelli professionali esiste ed è anche alto.
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Una volta chiarita la natura dei compensi dell’amministratore medico o odontoiatra all’interno di una srl odontoiatrica, siamo pronti per andare ad esaminarne le implicazioni.
Nessuna rilevante differenza interesserà il trattamento fiscale dei redditi in denaro percepiti dall’amministratore medico.
Questi ultimi produrranno comunque reddito imponibile per il percettore, sia ai fini fiscali che a quelli contributivi.
Una sia pur parziale differenza riguarderà i redditi differiti (Trattamento di Fine Mandato o TFM) rispetto a quelli ordinari, nel senso che per i primi è previsto l’assoggettamento a tassazione separata, con l’applicazione di un’aliquota pari alla media di quella applicata ai redditi del professionista conseguiti negli ultimi due anni antecedenti alla liquidazione dello stesso trattamento.
L’AdE ha tentato più volte di imporre particolari limiti alla corresponsione del TFM in assenza di compensi ordinari, pretendendo di applicare al TFM la disciplina valida per il TFR (Trattamento di fine rapporto) dei dipendenti, ma è stata a più riprese smentita dalla Giurisprudenza Tributaria.
La Sezione Tributaria della Cassazione, in particolare, si è imposta quale protagonista in questo senso, affermando che la misura della corresponsione e la scelta delle sue modalità rientrano nella piena liberta della compagine sociale; e che gli unici limiti cui la stessa deve commisurare le proprie decisioni in merito sono quelli relativi al rispetto dei principi generali della inerenza e della congruità.
Ne deriva come prassi consigliabile quella di adottare forme di calcolo dei compensi con metodi misti, di cui la parte fissa dovrebbe essere di basso ammontare mentre quella variabile dovrebbe essere commisurata in percentuale all’utile effettivamente conseguito dalla società (ad esempio, in misura del 5% dell’utile annuo). Tale metodo potrebbe essere adottato sia per i compensi ordinari che per quelli differiti.
Ben più rilevante è la questione della deducibilità in capo alla società.
Quest’ultima infatti è ammessa solo in presenza del rispetto di ben determinate condizioni, spesso trascurate nella pratica.
Per quello che concerne il TFM, è previsto che lo stesso debba essere previsto in statuto.
In realtà, è buona prassi quella di indicare in statuto la possibilità di attribuire sia compensi ordinari che differiti, come anche rimborsi spese e compensi in natura, lasciando poi all’Assemblea della srl il compito di definire nel dettaglio modalità e misura degli stessi.
L’AdE, con la Risoluzione 211/E del 22 maggio 2008 ha stabilito che il TFM è deducibile in capo alla srl per competenza, ai sensi dell’art. 105 TUIR, a condizione che il diritto a tale indennità risulti da atto di data certa antecedente all’inizio del rapporto. In mancanza di data certa, la deduzione potrà essere effettuata nell’anno in cui l’indennità sarà effettivamente liquidata all’amministratore.
Nel caso in cui il TFM sia stato previsto e quantificato direttamente nello statuto, il requisito della data certa sarà considerato rispettato solo relativamente agli amministratori nominati nell’atto costitutivo.
Ovviamente, quest’ultima condizione appare alquanto rara oltre che poco consigliabile da realizzare.
La prassi corretta per ogni forma di remunerazione degli amministratori è quella di convocare l’assemblea con un ordine del giorno dedicato e comunque non coincidente con quella convocata per l’approvazione del bilancio; nel caso in cui si debba modificare le modalità di compenso rispetto a quanto già stabilito in precedenza, è sempre buona prassi quella di far dimettere l’amministratore o gli amministratori in carica, salvo poi rinominare gli stessi o altri nel corso dell’assemblea stessa, di deliberare i compensi e i rimborsi e di attribuire ai documenti che attestano l’operato dell’assemblea (convocazione della stessa e delibera assembleare) la data certa, anche per mezzo di invio pec dall’indirizzo della società a quello dei professionisti amministratori.
Nel caso di gratuità dei compensi ordinari, è sempre il caso di aggiungere ai documenti di cui sopra anche una lettera spedita dagli amministratori; una lettera in cui gli stessi accettano la gratuità dell’incarico (soprattutto se gli amministratori non appartengono alla compagine familiare, considerato che il compenso si presume oneroso e quindi anche al fine di evitare eventuali quantificazioni in via equitativa da parte del Giudice da loro eventualmente adito). Anche questo documento dovrebbe avere data certa.
Ovviamente, il rispetto dei requisiti dell’inerenza e della congruità deve sempre essere tenuto ben presente e realizzato in un’ottica generale, soprattutto quando si decide di assegnare agli amministratori compensi in natura.
Ben diverso trattamento interessa il regime fiscale e contributivo dei redditi in natura. In questo senso risulta pienamente applicabile la disciplina dettata dall’art. 51 TUIR e della quale abbiamo trattato nell’articolo Fringe Benefit e Welfare nello studio dentistico | Dentista Manager.
Tale applicabilità risulta scontata e senza alcun limite per gli amministratori con contratto di lavoro dipendente.
Nel regime dei redditi assimilati a lavoro dipendente, applicabile agli amministratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, non può applicarsi interamente la disciplina del welfare valida per i dipendenti veri e propri: sono, ad esempio, esclusi dall’ambito assimilato sia il welfare di produttività e la disciplina dei premi di risultato che il welfare cd. aggiuntivo e cioè quello disciplinato dai CCNL di settore e in particolare da quel particolare CCNL sulla cui base sono regolati i contratti individuali di ciascun lavoratore dipendente, subordinato alla srl odontoiatrica.
Di queste questioni abbiamo trattato esaustivamente nei seguenti articoli:
https://www.dentistamanager.it/welfare-nello-studio-dentistico/
Fringe Benefit e Welfare nello studio dentistico | Dentista Manager
Diversamente, risulta pienamente applicabile agli amministratori con redditi assimilati l’ art. 51 TUIR sotto il profilo fiscale e a stabilirlo è direttamente l’art. art. 52 TUIR, che nell’incipit recita:
“Ai fini della determinazione dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente si applicano le disposizioni dell’art. 51 salvo quanto di seguito specificato”.
Appare quindi evidente che è direttamente la Legge a stabilire che la disciplina del welfare sia interamente applicabile anche agli amministratori coordinati e continuativi che sono percettori di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.
Tale linea interpretativa è stata confermata dalla Risposta ad Interpello n. 954-1417 del 2016 della Direzione dell’Agenzia delle Entrate della Lombardia.
Tuttavia, la stessa Agenzia delle Entrate, con un successivo pronunciamento della sua Direzione Generale, ha operato una apparente e parziale brusca frenata, con la RIsposta ad Interpello n. 10 del 25 gennaio 2019.
Questa volta con diretto riferimento al caso di un amministratore unico.
Di questa Risposta sono state date interpretazioni diverse e confliggenti. Alcuni interpreti hanno concluso con il definire il welfare come inapplicabile agli amministratori con redditi assimilati, il che non pare corretto, perché porterebbe de plano ad affermare che l’AdE abbia il potere di disconoscere una norma di legge che afferma esattamente il contrario, come già rilevato.
Si ponga attenzione al fatto che tale conclusione non impedisce agli amministratori con poteri pieni di usufruire di compensi in natura e tantomeno disconosce la possibilità che tali compensi restino comunque deducibili in capo alla società. Quello che consegue dal citato pronunciamento è esclusivamente l’esclusione del regime di neutralità fiscale in capo al percettore di quei compensi. In altre parole, a quei compensi non potrà applicarsi la disciplina speciale prevista dall’art. 51 TUIR, ma solo quella ordinaria.
Si consideri poi anche il fatto che per il principio di derivazione stretta che corre tra l’imponibilità ai fini fiscali e quella a fini contributivi, tutto ciò che non è imponibile ai fini fiscali non lo è neanche a fini contributivi. Tuttavia, una volta escluso il regime di neutralità ai fini fiscali, la stessa esclusione varrà anche ai fini contributivi.
La stessa pronuncia di prassi ha “avvertito” i contribuenti del fatto che l’AdE sarebbe stata pronta a disconoscere tutti quei piani di welfare non costruiti per la generalità dei dipendenti e assimilati o per categorie troppo ristrette e coincidenti con i soli amministratori e/o dirigenti.
Ne derivano conclusioni importanti:
E’ interessante notare come le condizioni di cui sopra somigliano moltissimo a quelle richieste per la compatibilità tra il ruolo di amministratore e quello di lavoratore dipendente.
In quel caso, la condizione principale da rispettare è evidentemente la presenza di una subordinazione ad un potere superiore a quello dell’amministratore, non potendo il lavoratore dipendente essere subordinato a sé stesso. Ne deriva che non può essere dipendente un socio di maggioranza, un amministratore unico o un amministratore con deleghe piene.
Alle condizioni di cui all’elenco precedente, anche l’amministratore con redditi assimilati potrà usufruire di prestazioni di welfare sulla base di un piano welfare regolarmente deliberato dall’Assemblea dei soci alle stesse condizioni previste per i dipendenti nell’art. 51 TUIR. Il riferimento all’Assemblea potrebbe sembrare esagerato, dato che questo tipo di decisioni potrebbe essere preso, in condizioni normali, direttamente dall’Organo amministrativo.
A ben vedere ci è sembrato che indicare questa prassi eccezionale risponda a criteri di opportunità e soprattutto di prudenza. Sembra infatti assai probabile ipotizzare che l’AdE possa facilmente contestare una decisione del genere quando a beneficiare dei suoi effetti sono gli stessi soggetti che l’hanno deliberata.
Come meglio esposto nell’ articolo già citato, l’art. 51 distingue redditi in natura che beneficiano di una disciplina favorevole sotto il profilo fiscale, anche se assegnati ad personam; e altri – la gran parte – che beneficiano della stessa disciplina solo se assegnati alla generalità dei dipendenti o a particolari categorie di questi.
Nell’ambito dei primi, particolarmente interessanti appaiono le somministrazioni di pasti, le quali possono essere realizzate concretamente non solo con la edificazione di una mensa aziendale, ma anche con una convenzione con una ditta esterna; quest’ultima potrebbe, ad esempio, somministrare i pasti direttamente in azienda, ma nulla impedisce che questa contrattualizzazione del servizio mensa possa essere conclusa anche con un ristorante posto nei pressi della sede operativa aziendale.
In quest’ultimo caso, l’amministratore potrebbe consumare il pranzo direttamente nel ristorante stesso e dedurre la relativa spesa senza limiti di importo (diversamente da quanto è previsto per la disciplina dei buoni pasto).
Discorsi in parte diversi potrebbero riguardare tutti quei benefit che devono essere erogati alla generalità e a particolari categorie di dipendenti.
Intanto, si deve premettere che alcuni di questi benefit, quando erogati alla generalità dei dipendenti e assimilati, non dovrebbero essere necessariamente assegnati a tutti in eguale misura ma potrebbero essere differenziati sulla base di criteri oggettivi, quali ad esempio le diverse categorie dimensionali di reddito.
Appare evidente che, se questo fosse il caso, l’amministratore dovrebbe percepire redditi di importante ammontare per poter giustificare tale gradazione. In genere, gli amministratori medici evitano di percepire compensi ordinari per intuibili motivi e quando lo fanno preferiscono scegliere per quelli importi molto contenuti.
Tale prassi, oltre ad essere assai poco difendibile dalle eventuali censure dell’Amministrazione Finanziaria, sarebbe anche poco conveniente, non foss’altro perché sono molti i benefit che richiedono, per la loro appartenenza alla disciplina speciale dettata dall’art. 51 TUIR, la loro estensione anche ai familiari del dipendente o dell’assimilato.
Sotto questo profilo, un consiglio di amministrazione o una pluralità di amministratori scelti all’interno della compagine familiare del dentista, che potrebbe anche ricoprire il ruolo di amministratore a pieni poteri o di presidente del cda, comporterebbe anche la possibilità di assegnare agli stessi proprio quella tipologia di benefit oltre che a “irrobustire”, con una pluralità di soggetti, la categoria cui si è deciso di assegnare il benefit stesso.
Ci riferiamo, in particolare, alle cosiddette polizze long term care o, se si preferisce, ai contributi per il rischio di non autosufficienza, anche in forma assicurativa, previsti dall’art. 51.2, lettera f quater del TUIR.
Questi ultimi, oltre ad essere deducibili senza limiti dal reddito della società, non costituiscono reddito imponibile per il percettore amministratore.
Tuttavia, ponendo attenzione a non oltrepassare il limite rappresentato dai citati vincoli alla possibilità di dedurre i costi in capo alla srl, appare indubbio il fatto che, anche attraverso questi benefit, si potrà abbattere il reddito imponibile in capo alla società, fare in modo che la società consegua comunque un reddito di una certa rilevanza da porre a riserva patrimoniale e, nel contempo, procurare forme di estrazione del reddito, a beneficio del socio amministratore, che possano anche realizzare obiettivi sani e improntati a migliorare la qualità della vita del dentista e del suo nucleo familiare.
Peraltro, la gran parte delle Compagnie permette di pagare i premi in un periodo ridotto di dieci anni, mentre la polizza non si presta ad essere mai disdettata, date le peculiari caratteristiche del rischio da questa coperto. Il che comporta che, attraverso questa particolare forma di contrattualizzazione, sia possibile aumentare il peso degli oneri deducibili anno per anno rispetto al caso di un premio periodico dilazionato in un numero di anni maggiore.
Discorsi non troppo dissimili valgono anche per altre forme di benefit previste dall’art. 51 TUIR e destinate ai familiari del dipendente o assimilato.
Se utilizzati con misura e nel loro insieme, questi ultimi possono aprire possibilità di deduzione sulla srl e neutralità in capo al percettore per un controvalore monetario complessivo davvero rilevante.
Discorsi in parte diversi possono valere per l’assegnazione ad uso promiscuo dell’auto aziendale all’amministratore.
Quest’ultima, infatti, comporta intanto la formazione di un reddito in natura imponibile in capo al percettore amministratore, determinato sulla base delle apposite Tabelle Aci , a seconda della tipologia di auto assegnata e delle sue caratteristiche inquinanti.
Per ciò che concerne la deducibilità in capo alla società, tutto dipende dalla categoria alla quale l’amministratore appartiene.
Se quest’ultimo è un assimilato, la srl potrà intanto dedurre il valore del fringe benefit, cui andrà sommato il 20% della differenza tra il costo effettivamente sostenuto e il controvalore di cui sopra.
La deduzione totale sulla società si aggirerà quindi nell’intorno 25%-30% del costo totale per l’acquisizione dell’auto, una situazione sicuramente migliorativa rispetto a quella che caratterizza la disciplina fiscale del lavoratore autonomo (20% del costo nel limite di € 18.075,99).
Si ponga attenzione al fatto che tanto più l’auto risulterà potente ed inquinante, tanto più sarà elevato il fringe benefit. Il che favorirà la srl (nel senso che aumenterà il costo deducibile annuo) e sfavorirà l’amministratore (nel senso che quest’ultimo dovrà pagare imposte sul reddito su una base imponibile più alta). In linea generale, è certo che l’obiettivo principale dovrebbe essere sempre quello di favorire l’amministratore e non la società, non foss’altro perché lui deve sottostare all’IRPEF marginale mentre la società all’IRES+IRAP proporzionali.
Nel caso di un amministratore dipendente, la società potrà dedurre in ogni caso il 70% del costo del bene.
Va comunque ricordato che il grande vantaggio quando l’auto è acquisita direttamente dalla società e posta a disposizione del professionista non risiede tanto e soltanto nel regime della deducibilità (comunque parziale) ma, paradossalmente, proprio in quello della indeducibilità.
Quando il dentista acquista o noleggia l’auto in proprio sostiene un costo fiscale sulla parte indeducibile molto più alto di quello sostenuto dalla società (43% vs 29%).
L’utilizzatore dell’auto aziendale potrà poi comunque farsi rimborsare i costi chilometrici per le trasferte fuori comune effettuate in ragione del proprio ufficio di amministratore, secondo le apposite Tabelle Aci utilizzabili per la quantificazione dei costi chilometrici (diverse da quelle per la determinazione del fringe benefit di cui sopra).
Tali rimborsi non costituiranno reddito imponibile per il percettore – sia esso un dipendente come un assimilato – e saranno comunque interamente deducibili ai fini IRES dal reddito della società.
La disciplina fiscale dei redditi dell’amministratore medico o odontoiatra di una srl odontoiatrica, nonostante i tentativi e le forzature operate dall’AdE, appare saldamente ancorata al regime dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente per esplicita disposizione di Legge e anche in virtù delle conclusioni raggiunte in merito dalla Giurisprudenza Tributaria.
In alcuni casi, l’amministratore medico a pieni poteri potrà inserire tra gli amministratori anche familiari a carico o non a carico, con deleghe limitate; e potrà attribuire agli stessi anche prestazioni di welfare, sempre sulla base di un piano welfare deliberato dall’assemblea.
Qualora si tratti di familiari a carico che sono strutturalmente presenti in azienda, l’amministratore medico potrà anche farli assumere dalla srl con contratto di lavoro dipendente e attribuire agli stessi ogni forma possibile di welfare (compreso quello aggiuntivo e di produttività).
Tale ampia gamma di soluzioni possibili pone a disposizione del medico o dell’odontoiatria innumerevoli strumenti di estrazione del reddito, a beneficio suo e del suo nucleo familiare oltre che della società, il cui trattamento fiscale risulta estremamente favorevole; e che, al contempo, permettono di realizzare obiettivi meritevoli di particolare apprezzamento per l’amministratore dentista e per il suo nucleo familiare.
Naturalmente, si deve sempre ricordare che tali strumenti evoluti di estrazione del reddito sono da utilizzare quando la situazione reddituale della società lo consenta e sempre se il dentista abbia un nucleo familiare di una certa rilevanza.
Il che ben difficilmente potrà accadere nel caso di una start up.
Nel corso degli anni che decorrono dalla sua fondazione, la società potrebbe – come di fatto spesso accade – registrare un cospicuo aumento della propria capacità di produrre redditi e quindi porre il problema della distribuzione di questi ai soci e/o agli amministratori per importi più cospicui e con un ventaglio di strumenti più articolato rispetto alla loro configurazione originaria.
Quando si verificano queste condizioni, se il medico ha una compagine familiare di una certa rilevanza, si apre anche la possibilità di costituire – o di ricostituire – un organo amministrativo collegiale al cui interno la componente con poteri di gestione limitati potrà essere beneficiata anche da queste misure di welfare, sia pur nei rispetto dei principi dell’inerenza e della congruità.
Appare difficile poter dire altrettanto per gli amministratori di società tra professionisti: la sostanziale equivalenza dell’oggetto sociale con l’attività tipica dei loro soci di maggioranza rende obiettivamente più difficile sottrarre i relativi redditi dal campo di applicazione della disciplina di quelli di lavoro autonomo, stante la prassi amministrativa particolarmente limitante dettata dall’AdE e le stesse conclusioni raggiunte dalla Giurisprudenza Tributaria.
Appare evidente che, se questo fosse il caso, nulla impedirebbe di attribuire compensi in natura a questi amministratori, ma diverrebbe inapplicabile l’art. 51 TUIR.
Quei compensi, insomma, sarebbero comunque deducibili dal reddito della società ma sarebbero anche pienamente imponibili, a fini fiscali e contributivi, in capo ai percettori.
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[…] fiscali diverse rispetto ai dipendenti. Raccomandiamo a questo proposito la lettura di alcuni articoli precedenti che riguardano specificamente la figura dell’amministratore di srl […]