I buoni pasto e il servizio di mensa aziendale costituiscono una di quelle prestazioni di welfare di cui viene fatto più frequentemente uso da parte dei dentisti nella loro qualità di datori di lavoro. Non sempre questa frequenza di utilizzo si accompagna alla dettagliata conoscenza della disciplina relativa e in particolare in merito ai vincoli e alle opportunità in senso fiscale e contributivo che a questa disciplina sono legati.
In questo articolo si provvede a fornire tutte le informazioni che possono aiutare il dentista a gestire al meglio questo importante capitolo del welfare
La disciplina dei buoni pasto e delle prestazioni sostitutive dei servizi di mensa è di particolare interesse per il dentista datore di lavoro, per la semplice ragione che sono proprio queste le prestazioni appartenenti al welfare aziendale che vengono più spesso erogate dallo stesso ai propri dipendenti.
Permangono tuttavia ancora dubbi ed incertezze a livello applicativo sulla disciplina che regolamenta i buoni pasto mentre quella della somministrazione di vitto attraverso mense aziendali è pressoché sconosciuta ai più.
In questo articolo ci proponiamo di descrivere tale disciplina quanto più dettagliatamente possibile.
La normativa prevede che il datore di lavoro dentista resti libero di utilizzare le modalità che più ritiene opportune al fine di soddisfare le esigenze di vitto dei propri dipendenti e in particolare gli concede di ricorrere alle seguenti soluzioni:
Il Decreto Mise del 7 giugno 2017, n. 122 prevede una serie di requisiti a cui devono essere sottoposte le somministrazioni di alimenti e bevande e le cessioni di prodotti alimentari pronti per il consumo così come impone che debba essere chiaramente individuabile un evidente collegamento tra il tagliando e il tipo di prestazione cui lo stesso tagliando da diritto.
Il Legislatore prevede l’esenzione fiscale in capo al percipiente che li riceve (dipendente o assimilato) entro determinati limiti che sono diversi a seconda della natura del tagliando stesso; in particolare, i buoni cartacei non sono soggetti a tassazione e nemmeno a contribuzione fino ad un importo di 4 € al giorno, mentre quelli emessi in forma elettronica non sono imponibili fino ad un massimo di 8 € al giorno.
Rispetto al testo dell’art. 51 TUIR l’Agenzia delle Entrate, con la Circolare 326/1997, punto 2.2.3, ha richiesto un vincolo ulteriore per la fruizione del beneficio fiscale e contributivo e cioè che i buoni pasto siano corrisposti alla generalità dei dipendenti o a particolari categorie di questi.
La Dottrina ha reagito non senza una certa vemenza contro questa interpretazione restrittiva dell’AdE, in considerazione del fatto che quando l’art. 51 TUIR intende sottoporre a questo ulteriore vincolo la fruizione dei benefici fiscali lo indica espressamente.
Sotto il profilo giuridico, il buono pasto è quel particolare documento di legittimazione, emesso in forma cartacea o elettronica, che attribuisce al titolare il diritto ad ottenere il servizio sostitutivo di mensa per un importo pari al valore facciale del buono; guardando alla sua natura dal particolare punto di vista dell’esercizio convenzionato, tale documento è utile a provare l’avvenuta prestazione nei confronti della società che quel buono ha emesso.
A tenore del già citato DM 122/2017, tra gli esercizi convenzionabili rientrano sia tutti quei soggetti che somministrano alimenti o bevande o che vendono generi alimentari al dettaglio, sia in sede fissa che in area pubblica, oppure da agriturismi e ittiturismi. L’accettazione dei buoni è ovviamente discrezionale, sulla base di un apposito rapporto di convenzione sottoscritto con le società di emissione di questi buoni.
Secondo il DM 122/2017
“…tali ticket sono utilizzati esclusivamente dai prestatori di lavoro subordinato, a tempo pieno e parziale, anche qualora l’orario di lavoro non preveda una pausa per il pranzo, nonché dai soggetti che hanno instaurato con il cliente un rapporto di collaborazione anche non subordinato”.
Ovviamente, L’Ade ha successivamente chiarito che l’agevolazione fiscale è applicabile solo ai lavoratori dipendenti, ai collaboratori coordinati e continuativi nonché ai titolari di altri redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (e quindi, anche agli amministratori, medici e/o odontoiatri, di società esercenti attività mediche, sanitarie e/o odontoiatriche).
Un lavoratore autonomo può quindi tranquillamente vedersi riconosciuto un ticket restaurant, ma il reddito in natura ad esso correlato non potrà beneficiare di alcuna agevolazione fiscale o contributiva e rientrerà in piena misura nel reddito sottoposto a imposizione e contribuzione.
IL Dm 122/2017 consente l’uso di più buoni contemporaneamente, sia pur a bene determinate e restrittive condizioni:
“…i ticket non sono cedibili né cumulabili oltre il limite di otto buoni, né commercializzabili o convertibili in denaro e sono utilizzabili solo dal titolare”.
Sono tuttavia utilizzabili in ogni giorno dell’anno, anche a distanza di mesi dal ricevimento e persino nel corso dell’anno successivo, se ciò non è concretamente impedito dalla data di scadenza del titolo stesso.
I ticket restaurant non danno diritto al resto in denaro, anche se è possibile aggiungere la somma di denaro mancante ove l’importo della spesa dovesse superare il valore globale del loro importo facciale.
Il datore di lavoro dentista può, poi, sempre escludere dal godimento dei buoni pasto tutti i dipendenti che precedentemente ne avevano usufruito. Questi ultimi possono essere quindi concessi come anche revocati ad nutum, in qualsiasi momento, con la sola eccezione di quelle situazioni in cui la corresponsione di questa particolare forma di benefit non sia prevista sulla base di un accordo o regolamento vincolante per il datore di lavoro e comunque fino alla eventuale scadenza di quel vincolo. In questo senso si sono pronunciare diverse sentenze tra le quali citiamo: Tribunale Venezia 8 luglio 2020, n. 3463; Cassazione 28 luglio 2020 n. 16135 e Cassazione 28 novembre 2019 n. 31137.
La Cassazione, in numerose sentenze e poi l’Agenzia delle Entrate, con la Risposta ad Interpello 22 febbraio 2021 n. 123, hanno ammesso i benefici fiscali relativi ai buoni pasto anche per i lavoratori in smart working e non per quelli in contratto di lavoro agile.
Per ciò che concerne i lavoratori in part time, L’AdE ha dapprima negato e poi ammesso i benefici fiscali per gli stessi.
Per quanto concerne la deducibilità in capo al dentista datore di lavoro, si ritiene unanimamente che il costo dei buoni sia interamente deducibile in capo al datore di lavoro dal reddito di impresa o dal reddito di lavoro autonomo, rispettivamente, ex. art. 109 comma 5 del TUIR ed ex art. 54 TUIR.
I buoni pasto possono essere fruiti anche attraverso una APP dello smartphone.
L’AdE, con il Principio di Diritto n. 3 del 2018 ha ammesso l’applicabilità dell’art. 51, comma 2, lettera c) TUIR, ai servizi sostitutivi di mensa resi a mezzo dei buoni pasto. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate ha anche aggiunto che tale ammissibilità resta configurabile laddove è disposto che
“non concorrono a formare il reddito…le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro, nonché quelle in mense organizzate direttamente dal datore di lavoro o gestite da terzi”.
Appare evidente, tuttavia, come nel testo non si faccia la benché minima menzione del limite fiscale fissato per i buoni pasto elettronici e nemmeno degli altri limiti, ragione per cui non resta che ipotizzare che l’AdE abbia inteso l’assimilazione dell’app mobile solo parzialmente alla disciplina giuridica dei buoni pasto.
Ne deriva che la disciplina applicabile che presenta le maggiori garanzie di poter passare il vaglio dell’AdE sia quella per cui il limite di 8 € venga sempre rispettato e che l’APP, opportunamente sviluppata a questo fine, sia in grado di rispettare tutte le regole previste dalla disciplina dei buoni pasto, prima tra tutte quella che subordina la possibilità di ottenere una prestazione sostitutiva ben identificata (e quindi uno specifico pasto pre-concordato, nelle sue pietanze, nella convenzione tra datore di lavoro ed esercente); e quindi non il diritto alla somministrazione di bevande ed alimenti indeterminati per uno specifico controvalore in denaro.
Con la Risoluzione n. 26 del 29 marzo 2010, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che la franchigia di cui all’art. 51, comma 2, del TUIR e relativa ai beni e servizi di modico valore (per quest’anno elevata ad € 3.000 per i dipendenti con figli e comunque limitatamente al 31/12/23 per effetto del cd. Decreto Lavoro – DECRETO-LEGGE 4 maggio 2023, n. 48) si riferisce esclusivamente ai compensi in natura, mentre i buoni pasto vanno ricompresi tra quelli in denaro e quindi non fanno cumulo con quella franchigia.
Tutto quanto concesso ai lavoratori ad opera del proprio datore di lavoro non rientra quindi nel calcolo di quella franchigia, che potrà essere utilizzata pienamente per altre forme di erogazione relativamente ad altri beni/servizi previsti dall’art. 51 TUIR.
Il che comporta anche che l’eventuale sconfinamento dai limiti previsti per l’applicazione dell’esenzione sul reddito in capo al dipendente non viene comunque interessato dall’applicazione di questa franchigia e quindi l’intero importo eccedente costituisce reddito imponibile per il percettore sia a fini fiscali che contributivi.
Con il Principio di Diritto n. 6 del 12 febbraio 2019 l’Agenzia delle Entrate ha poi ritenuto di svincolare il datore di lavoro dalla necessità di effettuare verifiche su eventuali usi impropri del buono pasto, in particolare quando emesso in forma elettronica e in quanto tale tracciabile e potenzialmente controllabile. L’unico adempimento posto a carico del datore di lavoro è quello relativo al rispetto dei limiti di esenzione con diretto riferimento al valore nominale dei buoni in parola. Peraltro, va anche ricordato che la Legge non prevede alcun apparato sanzionatorio in questi casi.
L’art. 51, comma 2, lettera c) TUIR specifica l’ambito di applicazione della disciplina includendo al suo interno sia le somministrazioni di vitto erogate in mense organizzate direttamente dal datore di lavoro (fattispecie poco interessante per il dentista), sia in quelle gestite da terzi.
L’AdE, con la Risoluzione del 20 giugno 2002, n. 202 ha confermato la portata di questa nozione bivalente della mensa aziendale. Nel caso di appalto a ditta esterna, L’AdE richiede, oltre alla sottoscrizione di uno specifico contratto di appalto, anche che l’appaltatore assume l’obbligo di fornire la prestazione ai soli dipendenti del soggetto appaltante.
L’ambito di applicazione della disciplina è stato poi ampliato in via interpretativa dalla Prassi Amministrativa dell’AdE stessa. Nella Circolare n. 188 del 16 luglio 1998, e precisamente al punto 8, si specifica, in particolare, di ricomprendere tra le somministrazioni di vitto anche le convenzioni con i ristoranti, così come che la prestazione sia effettuata tramite la fornitura di cestini pre-confezionati e contenenti il pasto per i dipendenti. Anche la mensa cd. diffusa, fruibile con particolari carte elettroniche, è stata ricompresa nell’ambito di applicazione con la Risoluzione n. 63/E del 17 maggio 2005 (al punto è dedicato un prossimo paragrafo).
L’appalto a ditta esterna o la convenzione con un ristorante costituiscono ovviamente le fattispecie di maggiore interesse per il dentista, se si considera il fatto che tali prestazioni sono ammissibili anche se a favore di singoli dipendenti o di singoli titolari di reddito assimilato a quello di lavoro dipendente, conservando tutti i benefici fiscali e contributivi previsti per la somministrazione di pasti in capo ad essi; in particolare, l’utilizzo di questa forma di erogazione dei pasti risulta particolarmente favorevole se si considera l’assenza di limiti di valore utili alla conservazione di quei benefici. In questa modalità di erogazione non esistono limiti oltre i quali cessa il regime dell’esenzione. Si tratta di caratteristiche molto interessanti per il dentista che potrebbe volerle applicare ai più diversi fini.
Peraltro, non essendo prevista la ulteriore condizione della messa a disposizione della generalità o di particolari categorie, si deve sempre ricordare che l’erogazione di servizi di welfare agli amministratori resta comunque subordinata al rispetto di ulteriori requisiti: in particolare di quelli già analizzati nel nostro articolo I compensi dell’amministratore nella srl odontoiatrica e che, per comodità del lettore, ricordiamo succintamente:
Ovviamente, lo stessa disciplina è pienamente applicabile anche al caso in esame.
L’agenzia delle Entrate, con la Risoluzione n. 63/E del 17 maggio 2005 già citata, ha incluso le somministrazioni a mezzo di carte elettroniche in quelle equiparate alle mense tradizionali.
Si tratta di tutti quei casi in cui il dipendente può rivolgersi a diversi esercizi pubblici convenzionati e abilitati a gestire la carta elettronica (badge).
Al fine di riservare a tale modalità di erogazione gli stessi benefici fiscali in capo al dipendente e al datore di lavoro che sono ammessi per l’erogazione dello stesso servizio in forma tradizionale, l’AdE ha dettato precise condizioni:
Il datore di lavoro dentista, come già rilevato, non è vincolato nella scelta delle diverse modalità di erogazione del servizio di mensa e può scegliere quella più adatta alle esigenze organizzative della propria azienda o del proprio studio professionale: buoni pasto in luogo di somministrazione interna oppure somministrazione esterna tramite convenzionamento con ristorante, produzione e consegna di cestini pre-confezionati o mensa diffusa tramite apposita card elettronica.
Il datore di lavoro dentista può anche scegliere diverse modalità di erogazione per specifiche categorie di dipendenti e assimilati. E quindi potrà ad esempio utilizzare i buoni pasto per i tutti i dipendenti, oppure buoni pasto per singole categorie di dipendenti e convenzioni con ristoranti per altre. Così come potrebbe utilizzare la somministrazione tramite terzi solo per gli assimilati (e cioè per gli amministratori), nel rispetto delle condizioni restrittive già illustrate.
Appare evidente come la disciplina appena esaminata costituisca un elemento di forte interesse per il dentista che si può permettere di fidelizzare e premiare i propri dipendenti e che ne comprende l’importanza per il suo specifico modello di attività. In questo senso, non possiamo non rimandare alle considerazioni già effettuate nell’ambito del nostro articolo La concreta applicabilità del welfare.
La conoscenza dettagliata di tutte le possibilità offerte dalla disciplina stessa si rivela poi molto utile anche per congegnare strumenti di estrazione del reddito particolarmente efficaci, sotto il profilo fiscale e contributivo, anche per tutti i dentisti che operano per il tramite di una srl odontoiatrica.
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