Marchio, diritti d’autore e vantaggi fiscali per il dentista
La corretta gestione del marchio e del logo si inseriscono perfettamente all’interno delle strategie economiche e di marketing dell’attività odontoiatrica. Le opportunità fiscali derivanti dalla vendita o dalla concessione di diritti di sfruttamento della proprietà intellettuale sono variamente articolate e in gran parte controverse. L’obiettivo di questo articolo è quello di avviare anche il dentista comune al corretto utilizzo del marchio e/o dei diritti d’autore anche ai fini di una migliore pianificazione fiscale.
Avvertenza: consigliamo i colleghi di affrontare il tema del marchio insieme al proprio commercialista o consulente di fiducia. I contenuti che seguono rappresentano solo l'opinione dell'autore e in nessun caso possono essere intesi come indicazione di natura giuridica o fiscale per le quali si rinvia a professionisti di settore.
Il tema del Marchio e dello sfruttamento della proprietà intellettuale è uno dei più controversi e dibattuti in ambito giuridico e fiscale.
La causa di ciò è da ricercare nell’incertezza delle norme attualmente in vigore, mentre la conseguenza è rappresentata da una certa confusione circa gli obblighi ed i diritti in capo ai diversi soggetti che a vario titolo ruotano intorno al marchio o al logo.
I potenziali vantaggi di natura fiscale derivanti dalla proprietà intellettuale (segnatamente il marchio), anche per un dentista, sono piuttosto consistenti. Il fatto che tali vantaggi possano essere messi in discussione a seconda della parrocchia ideologica di appartenenza è una ragione sufficiente perchè ce ne occupiamo su questo blog.
Questo articolo si propone di fare chiarezza circa la possibilità per un dentista comune di:
sfruttare i propri diritti su marchio e proprietà intellettuale in genere;
ricevere da questo sfruttamento vantaggi economici e fiscali maggiori rispetto al reddito ordinario di lavoratore autonomo.
Cos’è un marchio?
Secondo la definizione che ne dà Wikipedia, un marchio è:
un qualunque segno suscettibile di essere rappresentato graficamente, in particolare parole (compresi i nomi di persone), disegni, lettere, cifre, suoni, forma di un prodotto o della confezione di esso, combinazioni o tonalità cromatiche, purché sia idoneo a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli delle altre.
Tutti noi conosciamo il marchio della Coca Cola o della Ferrari e quindi, implicitamente, sappiamo quale sia il segno distintivo di queste aziende rispetto a tutte le altre.
Anche un dentista può essere rappresentato da un marchio?
Certamente sì, purché rimanga entro i limiti di una comunicazione compatibile con le norme deontologiche e sulla pubblicità sanitaria. La presenza di marchi o loghi che identificano studi dentistici è, infatti, esperienza comune e frequente, mai messa in discussione.
Dove si registrano marchio e logo?
Marchi e Loghi risultano registrati quando si provvede alla loro registrazione presso gli uffici pubblici deputati a questo scopo.
Oltre ai servizi attivati dalle Camere di Commercio locali segnaliamo, in particolare, l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM) in seno al Ministero per lo Sviluppo Economico (MiSE) che raccoglie le richieste di registrazione di Marchio e Brevetti.
Per quanto riguarda i loghi invece, rientrando nelle opere d’ingegno come arti figurative ed immagini, essi possono essere registrati presso la Siae nella apposita sezione.
Perchè effettuare la registrazione?
Lo scopo di registrare un Marchio o di un Logo è quello di proteggerlo dalla contraffazione o dall’uso illecito da parte di terzi che non ne hanno diritto. Originariamente l’unico scopo di registrare il marchio era dunque quello di tutelarsi sul mercato.
In un secondo tempo è emersa anche la necessità di dimostrare che, per un dato soggetto (ad esempio il dentista), ricorrono i presupposti di diritto sulla proprietà, onde poterlo concedere in uso a terzi (o eventualmente venderlo) e conseguire i relativi benefici economici e fiscali.
Vedremo più avanti di cosa si tratta.
Le modalità di protezione del Marchio e di attuazione delle relative procedure sono definite dal Codice della Proprietà Industriale, cui rinviamo per una lettura più approfondita del tema. Ai nostri fini tale lettura non è indispensabile.
Chi può effettuare la registrazione?
Un marchio è sostanzialmente un’idea tradotta in un simbolo grafico. Qualsiasi soggetto fisico o giuridico può rivendicare la paternità di una idea. lo stesso vale per l’arte grafica inserita nel Logo.
Per questo motivo la domanda di registrazione del marchio e del logo può essere presentata da chiunque:
persona fisica,
persona giuridica,
associazioni,
enti
Possono essere titolari di un marchio anche più soggetti contemporaneamente.
Un dentista dunque può registrare marchio e logo di persona oppure per il tramite di una Srl odontoiatrica se questa ne vanta la proprietà. In questo senso è bene dire che il dentista può trarre alcuni tipi di vantaggi (economici e fiscali) se la registrazione del marchio viene fatta a suo nome, ne potrà trarre altri quando invece la registrazione fosse fatta dalla eventuale società professionale che egli ha costituito.
I vantaggi del marchio registrato a nome del dentista
Per un dentista possedere un marchio e/o logo registrato che identifichi la propria attività professionale (non impresa), comporta la possibilità di cedere tale marchio (vendita) oppure di concederlo in uso a terzi (royalty).
Il marchio è uno degli asset intangibili dell’attività e come tale ha un valore che è determinato dalla sua reputazione sul mercato. Gli anglosassoni identificano il significato del marchio con l’espressione più comune di Brand, che ricomprende sia il valore economico o monetario dell’asset sia quello più squisitamente figurativo, di immagine, credibilità e, appunto, reputazione.
Tornando all’esempio iniziale di Coca Cola o Ferrari, è del tutto evidente che un prodotto o un servizio che venga veicolato sotto questi brand, diventi immediatamente più appetibile dal potenziale compratore indipendentemente dal suo valore intrinseco (qualità dei materiali, durevolezza, efficienza, estetica, ecc.).
In questo senso il marchio conferisce plusvalore ai prodotti che veicola e dunque possiede un valore aggiunto che può essere stimato, come ogni altra cosa, sul mercato.
Questo tema è trattato anche all'interno del Corso Srl Odontoiatrica organizzato da Dentista Manager. Partecipa anche tu.
Chi ha interesse ad acquistare un brand?
Con rare eccezioni, ogni marchio ha un proprio valore e un proprio mercato di potenziali acquirenti. Anche per questo motivo i marchi, come detto, vengono registrati.
Anche un brand apparentemente insignificante come quello che il dentista realizza per il proprio studio può risultare interessante nell’area di influenza dello studio stesso.
Pensiamo al caso di un dentista che in un piccolo paese utilizzi il nome (e magari anche il logo) di un suo concorrente più forte di lui per promuovere il proprio studio. Possiamo stare certi che il “proprietario” del proprio cognome rivendicherà i propri diritti in qualche modo.
Pensiamo anche al caso di un dentista che si costituisca in impresa, per esempio sotto forma di Srl odontoiatrica. Con ogni probabilità, se la sua reputazione è buona, deciderà di utilizzare lo stesso brand precedente (per esempio il proprio cognome) per comunicare alla clientela che il valore dello studio è rimasto invariato, nonostante il cambio di forma giuridica o perfino di ragione sociale (cambio di nome). E’ così che il dott. Rossi, titolare dello Studio Rossi, utilizzerà il marchio “Studio Rossi” anche quando diventerà “Bianchi srl”. In altre parole la Bianchi srl veicolerà i propri servizi sotto il marchio “Rossi” o “Studio Rossi” anche quando la sua ragione sociale fosse (appunto) “Bianchi srl”.
In modo del tutto analogo le considerazioni valgono anche per il logo, inteso come immagine grafica e artistica che rappresentano lo studio.
Due tipi di sfruttamento possibili
Dunque il proprietario di un marchio registrato può effettuare due diverse tipologie di sfruttamento: la licenza d’uso e la vendita.
Contratto di licenza o di concessione in uso
In questo caso il dentista, in quanto persona fisica o soggetto giuridico proprietario del bene immateriale, ne trasferisce a terzi il mero godimento e non la proprietà.
La sua controparte, detta anche licenziatario, acquisisce semplicemente il diritto di sfruttare il marchio o il logo nei limiti delle clausole contrattuali.
Con il contratto di licenza del marchio, si ha la dissociazione tra la proprietà del bene immateriale e il suo utilizzo a fini commerciali. Il licenziatario può realizzare e mettere in commercio prodotti contraddistinti dal marchio in questione per un determinato periodo di tempo, mentre il cedente ne mantiene la proprietà.
Andranno dunque concordate le condizioni di sfruttamento, come ad esempio:
c’è una esclusiva di questo diritto oppure no?
il diritto ha una durata e una scadenza oppure ha valore illimitato?
Il contratto deve anche prevedere il corrispettivo economico che il licenziatario paga al proprietario in ragione dei diritti acquisiti. Comunemente sono previste due tipologie di corrispettivi alternativi tra di loro:
una percentuale sul fatturato dei prodotti o servizi venduti con il marchio e/o il logo in oggetto;
una percentuale sugli utili.
Sono ovviamente aperte anche altre possibilità, meno frequenti, come ad esempio il pagamento di un fee annuo fisso oppure di una somma una tantum.
Una variabile estremamente importante del contratto di concessione in uso del marchio riguarda la condizione di esclusività oppure no di tale concessione. Poichè, come vedremo di seguito, la concessione in esclusiva porta a trattamento fiscale diverso e più vantaggioso rispetto a quello non esclusivo si raccomanda di fare una previsione specifica nel contratto in questo senso.
Contratto di cessione della proprietà intellettuale
Con la cessione e quindi la vendita del marchio si trasferiscono completamente tutti i diritti sul marchio stesso. Un nuovo soggetto ne diventerà titolare, dietro pagamento di un corrispettivo, e potrà sfruttarlo liberamente in futuro.
Il marchio può essere trasferito per la totalità o per una parte dei prodotti o servizi per i quali è stato registrato.
Questo significa che se un dentista (proprietario di marchio registrato) intende vendere il proprio marchio a terzi (ad esempio la propria Srl odontoiatrica) avrà facoltà di decidere se nella vendita di tale brand ricomprende solo quest’unico asset, oppure un ramo d’azienda oppure l’intero complesso aziendale.
Anche in questo caso, poichè le ricadute in termini fiscali per il professionista sono interessanti (anche alla luce delle ultime sentenze) è bene che questo aspetto sia ben chiarito e, soprattutto, strategicamente pianificato.
Il trattamento fiscale dei ricavi derivanti dal Marchio
Come vengono tassati i ricavi derivanti dalla cessione di marchio o dalla sua concessione in uso? C’è differenza tra marchio inteso come brand e logo inteso come opera dell’ingegno?
Viviamo in un Paese fatto di regole ed eccezioni, leggi e sentenze, circolari ed interpretazioni delle circolari più o meno autentiche.
Il punto che dobbiamo ricordare è che non sempre è possibile individuare i comportamenti che siano certamente corretti o certamente scorretti, soprattutto in ambito fiscale. Quando la dottrina è equivoca, non sempre la giurisprudenza è dirimente. Questo è proprio uno dei casi in questione.
Sul trattamento fiscale dei proventi derivanti dallo sfruttamento della proprietà intellettuale è stato scritto, in un senso o nell’altro, molto di più di quanto sia fisiologico in un Paese normale. Probabilmente è venuto il tempo in cui il legislatore metterà di nuovo le mani sull’argomento, nella speranza che non faccia ancora più confusione di quella che già c’è.
Partiamo, come sempre, dalla legge e poi vediamo cosa sta a valle di essa, avendo sempre ben presente che non vi è certezza del diritto: qualcuno oserà di più alla ricerca di maggiori vantaggi, qualcuno oserà meno alla ricerca di maggiore sicurezza e ciascuna delle due parti rinfaccerà all’altra quintali di letteratura a sostegno della propria tesi.
Dichiariamo subito che da qui in avanti percorreremo la linea di maggior vantaggio per il dentista che sia sostenuta da corroboranti argomenti sia in dottrina che in giurisprudenza. Questo articolo non sarebbe servito a nulla se avesse avuto come obiettivo la promozione di comportamenti pavidi o iperrealisti.
Il nichilismo, in re ipsa, non abbisogna di appelli all’azione.
Cosa dice il TUIR a proposito del marchio?
Per i colleghi che non lo sapessero ancora il TUIR è il Testo Unico sulle Imposte sui Redditi, quindi è da considerarsi la fonte giuridica primaria sull’argomento. Esso è stato introdotto con il DPR. 917 del 1986. Alla data di oggi sono passati oltre 25 anni, quindi possiamo considerare questa legge abbondantemente consolidata.
All’art. 53, comma 2, lettera b, relativo ai redditi da lavoro autonomo, si dice letteralmente che vanno in essi ricompresi:
i redditi derivanti dalla utilizzazione economica, da parte dell’autore o inventore, di opere dell’ingegno, di brevetti industriali e di processi, formule o informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico, se non sono conseguiti nell’esercizio di imprese commerciali.
In questa definizione non compare la parola “marchio” che invece era presente nella formulazione precedente di questo articolo (riformato nel 1986). Invece è evidente che le opere dell’ingegno (soggette a diritto d’autore) sono ricomprese.
Questa mancanza è comunemente riconosciuta ed ammessa senza riserve da tutti. Si tratta di una lacuna normativa.
La discussione che ne segue risponde sostanzialmente a questo tipo di domanda sottesa:
Se è vero, come è vero, che i redditi derivanti dalla utilizzazione economica di marchi di fabbrica e di commercio non sono redditi di lavoro autonomo, non sono redditi di lavoro dipendente e non sono redditi di impresa (posto che stiamo parlando del dentista in quanto libero professionista), allora: a quale tipologia di reddito appartengono?
E ancora.
Se la cessione o concessione della proprietà intellettuale viene fatta in forma di diritti d'autore, invece che come marchio, a quale trattamento fiscale saranno soggetti i redditi corrispondenti per un soggetto che di professione fa il dentista?
La domanda è rilevante perchè se non si riesce a stabilire a quale tipologia di reddito appartengano non si riuscirà neppure a stabilire quale sia il corretto regime di imposte cui assoggettarli.
Esistono sostanzialmente tre interpretazioni possibili della volontà del legislatore (o delle sue dimenticanze) che sono state dettagliatamente descritte nell’articolo citato di Rebecca e Ceccon del 2014. Poi esiste la quarta relativa ai diritti d’autore.
Proviamo di seguito a riassumere queste quattro ipotesi per cercare poi di capire quale sia più vantaggiosa (ed applicabile) nel caso del dentista e dello studio dentistico.
Questo tema è trattato anche all'interno del Corso Srl Odontoiatrica organizzato da Dentista Manager. Partecipa anche tu.
Prima interpretazione del TUIR o via analogica
La via analogica prevede che l’inserimento dei redditi derivanti dalla cessione o concessione del marchio sia da ricomprendere all’interno dei redditi da lavoro autonomo per analogia con quanto riportato esplicitamente dal legislatore nel comma 2 art. 53 sopra riportato.
Questa forzatura ha senso se si parta dal presupposto che l’elenco: opere dell’ingegno, brevetti industriali e processi, formule o informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico abbia una valenza meramente esemplificativa e non tassativa.
A questo proposito vale la pena di ricordare che laddove il legislatore intenda un elenco meramente esemplificativo e non esaustivo o tassativo, solitamente lo dice esplicitamente. In questo caso non lo fa. E la sua omissione di ogni riferimento al marchio sembra tanto più intenzionale se si considera che nella formulazione precedente alla riforma dell’1986, lo stesso articolo di legge recitava in modo più completo:
i redditi derivanti dalla utilizzazione economica di marchi di fabbrica e di commercio e dalla utilizzazione economica di opere dell’ ingegno, invenzioni industriali e simili, quando non sono conseguiti nell’ esercizio di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice.
Ora, quali che siano stati i motivi che hanno spinto il legislatore a riformulare l’articolo 49 nell’art. 53, quando avrebbe potuto lasciarlo identico, non ci sarà mai dato sapere. Limitiamoci a registrare i fatti e le loro conseguenze.
Salvo che non si voglia farsi del male a tutti i costi, in presenza di opzioni migliori, siamo tentati di seguire altre ipotesi, perchè questa darebbe luogo a:
- imposta Irpef all'aliquota marginale corrispondente del dentista;
- Iva al 22%;
- contributi Enpam al 19,50 %.
Seconda interpretazione del TUIR: nessun reddito
Questa seconda interpretazione è particolarmente interessante. Accogliendola infatti si giungerebbe alla conclusione che i proventi derivanti dalla vendita o concessione del marchio non costituiscono affatto reddito per il percipiente.
In altre parole il Dentista potrebbe concedere in licenza d’uso il proprio brand ad una Srl Odontoiatrica ricevendone un compenso che non genera reddito per lui mentre costituisce un costo deducibile per la società.
Allo stesso modo potrebbe addirittura cedere il marchio, comprensivo di tutti gli asset aziendali, ad ipotetici compratori esterni, senza generare alcun reddito imponibile.
Incredibilmente in questo senso si è espressa la stessa Commissione Tributaria Regionale del Veneto con sentenza 524/2019, nella quale si afferma testualmente:
L’assoggettamento ad imposizione fiscale dell’incremento di ricchezza derivante, come nella fattispecie, dalla cessione o utilizzazione economica dei marchi concessi da privati, non appare, dopo le innovazioni introdotte dal D.lgs. 480/92, espressamente disciplinato dal legislatore.
Se tale fattispecie non è disciplinata dal legislatore significa che non esiste una legge che stabilisca cosa fare in questo specifico caso. Questo richiama l’art. 23 della Costituzione, nel quale si sancisce che:
Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.
Quindi è pacifico che senza legge di riferimento niente imposte: se manca la disposizione di riferimento per una determinata fattispecie, significa che il legislatore non ha inteso attribuirle rilevanza ai fini della tassazione.
Ma non è tutto. Sulla questione si esprime anche la Relazione Ministeriale di accompagnamento allo stesso TUIR del 1986, nella quale si afferma letteralmente quanto segue:
Ai redditi derivanti dall’utilizzazione economica di marchi di fabbrica e di commercio non si può riconoscere né natura di redditi di lavoro autonomo, né quella di redditi diversi dato che l’utilizzazione dei marchi d’impresa avviene o in sede di trasferimento dell’azienda o di un ramo di essa o mediante la concessione di licenze non esclusive, e quindi nell’esercizio d’impresa (salvo ipotesi marginali per le quali potrà, eventualmente, soccorrere l’ampia previsione dell’art. 67, n.11)
Analizzeremo di seguito l’eccezione messa tra parentesi, ma registriamo intanto che per tutto il periodo il legislatore è esplicito e chiaro sulla non imponibilità dei redditi da marchio né come reddito da lavoro autonomo, né come reddito diverso. Al limite potrebbe essere ricondotto al reddito di impresa se fosse conseguito nell’ambito di questo tipo di attività, la qual cosa non avviene nel caso di un dentista che ceda o conceda il proprio marchio a terzi.
L'ipotesi appena descritta aprirebbe il seguente scenario:
- Nessuna imposta sul reddito (Irpef o altro);
- Nessuna imposta sul valore aggiunto (Iva);
- Nessun contributo Enpam.
Terza interpretazione del TUIR: redditi diversi
Secondo questa interpretazione i proventi derivanti dalla concessione del marchio può essere ricondotta alla categoria dei redditi diversi, in ragione delle “ipotesi marginali per le quali potrà, eventualmente, soccorrere l’ampia previsione dell’art. 67, n.11,” sopra richiamate tra parentesi.
A cosa fanno riferimento tali ipotesi marginali? Fanno riferimento ad un elenco tassativo di redditi che non trovano collocazione in altro luogo e che quindi sono ricomprese ora nei cosiddetti rediti diversi.
Il problema è che nell’elenco (tassativo) redatto dal legislatore, ancora una volta non figurano i proventi da vendita o concessione del marchio e l’unica fattispecie in qualche modo compatibile e sommariamente riconducibile al caso in questione sembra essere rappresentata dalla lettera l, comma 1, art. 67:
i redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere
e in particolare gli obblighi di permettere verrebbero chiamati in causa per ricondurre la cessione del marchio all’interno dei redditi diversi.
Su questa interpretazione convergono gli interessi della Agenzia delle Entrate che nella risoluzione del 16 febbraio 2006 n. 30/E, afferma che i proventi derivanti dalla cessione del marchio
assumono rilevanza anche ai fini della determinazione dei redditi di tale soggetto. Tali importi vengono, infatti, corrisposti a fronte dell’assunzione di obblighi ben precisi che consistono nel permettere ad un altro soggetto l’utilizzo del proprio marchio. […] L’importo percepito a fronte di tale obbligo deve quindi essere assoggettato a tassazione in capo al soggetto percipiente in applicazione della disposizione dettata dall’articolo 67, comma 1, lettera l), del Tuir.
nella locuzione utilizzata dal legislatore dell’articolo 67, in verità assai generica, rientrano le cessioni o le concessioni in uso di marchi di fabbrica e di commercio non effettuate da imprenditori
Da ciò si evince chiaramente che qualora il dentista fosse un imprenditore (ed il dentista socio di Srl Odontoiatrica è a tutti gli effetti un imprenditore) verrebbero meno i presupposti per l’attribuzione ai redditi da sfruttamento del marchio della qualifica di redditi diversi.
E siamo daccapo.
La quarta via: le opere dell’ingegno e i diritti d’autore
Questa quarta via sembra più facilmente percorribile e meglio normata dal legislatore, quindi merita la nostra attenzione.
La cessione dei diritti di sfruttamento del marchio può essere anche intesa come cessione dei diritti di sfruttamento delle opere di ingegno e della proprietà intellettuale.
Il segno grafico del marchio, inteso come logo vero e proprio e come complesso di colori, forme e simboli è, a tutti gli effetti una immagine che, se creata da una persona fisica, permette a questa persona di rivendicarne la paternità ed i relativi diritti.
L’art. 2575 del Codice Civile definisce nel modo seguente le opere dell’ingegno in relazione al diritto d’autore:
Formano oggetto del diritto di autore le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alle scienze, alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro e alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione.
Non credo esista alcun dubbio sul fatto che la realizzazione di un logo rientri perfettamente nelle arti figurative, indipendentemente dalla fama o dalla notorietà, in quel momento specifico, di chi lo realizza.
Può essere anche utile la definizione che il Brocardi dà delle opere di ingegno:
L’espressione indica quei beni immateriali che consistono in creazioni dell’intelletto umano che presentino le seguenti caratteristiche: creatività, concretezza di espressione e appartenenza ad uno dei settori della produzione intellettuale espressamente considerati dalla legge (opere musicali, cinematografiche, software, …).
Le opere dell’ingegno sono tutelate dal diritto d’autore, regolato a livello nazionale principalmente dalla legge 22 aprile 1941 n. 633.
Ora, perchè questa lettura è interessante?
E’ interessante perchè la disciplina fiscale dei redditi derivanti dallo sfruttamento delle opere dell’ingegno e dei diritti d’autore è molto ben descritta. In questo senso si raccomanda l’attenta lettura della pubblicazione di Enrico Ferra su ECNews del 2016, laddove si dice che, in questa disciplina, è molto delicata l’individuazione dei presupposti giuridici ai fini del corretto inquadramento tributario dei corrispettivi derivanti dallo sfruttamento economico dei diritti in oggetto.
Presupposti che risultano dirimenti, come è ovvio, anche ai fini della determinazione della base imponibile, in quanto in alcuni casi la determinazione del reddito avviene in via forfetaria e in altri in via analitica.
In particolare l’articolo 53, comma 2, lett. b) prevede che i redditi derivanti dalla utilizzazione economica, da parte dell’autore o inventore, di opere dell’ingegno, se non sono conseguiti nell’esercizio di imprese commerciali, siano da considerarsi redditi da lavoro autonomo.
In questi casi si beneficia delle seguenti agevolazioni tributarie:
- riduzione del 25% a titolo di deduzione forfetaria (ovvero del 40% se percepiti da soggetti di età inferiore a 35 anni);
- esenzione Iva ai sensi dell'art. 3 del D.P.R. 633/1972;- esenzione contributiva Enpam in quanto redditi non derivanti da attività professionale per la quale il dentista appartiene al proprio Albo.
E’ del tutto evidente il vantaggio che questa tipologia di redditi comporta rispetto ad altre forme di compenso che abbiamo descritto in dettaglio in un apposito articolo. In questo senso la costituzione di una Srl Odontoiatrica costituisce i presupposti per una eventuale concessione a terzi dei diritti d’autore sul logo o su altre forme di proprietà intellettuale (processi, modelli organizzativi, pubblicazioni scientifiche, libri, immagini, ecc.).
In conclusione
Tra le varie, eterogenee e molteplici forme di percezione del reddito da parte del dentista riveste un certo peso anche quello che potrebbe derivare dalla cessione o concessione in uso a terzi del proprio marchio inteso come brand aziendale oppure del proprio logo inteso come opera dell’ingegno personale.
Nel primo caso la tassazione del reddito è controversa ed allo stato attuale non ancora chiarita dal legislatore. Nel secondo caso, invece, essa è ben definita e discretamente vantaggiosa (ancorchè non raggiunga i benefici dell’esenzione totale d’imposta che si potrebbe invocare nel caso precedente).
Sposando, tra le quattro linee interpretative descritte, a conti fatti e tenendo conto di rischi e benefici correlati a ciascuna posizione, sembra evidente che la strada dei diritti d’autore sia quella più ragionevole.
Invitiamo i lettori del presente articolo a consultare il proprio commercialista prima di assumere decisioni su questo tema.
Questo tema è trattato anche all'interno del Corso Srl Odontoiatrica organizzato da Dentista Manager. Partecipa anche tu.
Medico Chirurgo, Odontoiatra, Specialista in Ortopedia e Traumatologia, Specialista in Ortognatodonzia.
Socio Fondatore, Amministratore Unico e Direttore Sanitario di Dental Care srl. Managing Partner di Studio Associato Vassura.
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[…] grande interesse, per il dentista, è l’inserimento del marchio tra i beni materiali passibili di rivalutazione. Questa possibilità amplifica i vantaggi fiscali e […]
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[…] i modi che fino ad ora non ha utilizzato (TFM, rimborsi amministratore, concessione in uso del marchio, welfare aziendale e […]
[…] Se pensiamo ai beni strumentali immateriali, invece, i primi che ci vengono in mente sono tutti i software, i servizi in cloud e il marchio. […]
[…] grande interesse, per il dentista, è l’inserimento del marchio tra i beni materiali passibili di rivalutazione. Questa possibilità amplifica i vantaggi fiscali e […]