La legge 231 ha compiuto quasi 20 anni e rimane per i professionisti quasi un oggetto misterioso. Tuttavia con il passare del tempo le prescrizioni in essa contenute sono divenute via via sempre più stringenti e sempre più trasversali, fino ad investire anche l’ambito fiscale. Sarebbe un errore pensare che non venga applicata nel settore sanitario e, segnatamente, all’odontoiatria privata. Per questo motivo, chi coltiva una dimensione imprenditoriale della professione dovrebbe esserne a conoscenza, sia per rispettarla sia per porre in essere le tutele necessarie a proteggersi dalle potenziali ricadute di ordine civile e penale.
Chiariamo subito un punto importante sulla responsabilità da Legge 231: si scrive amministrativa e si legge penale!
Una dettagliata analisi del corpus normativo rappresentato dal Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231 – e dei successivi innesti operati da un numero davvero corposo di altre leggi ad essa successive nel suo ambito originario – richiederebbe uno o più volumi dedicati.
Tuttavia, non è possibile evitare una sia pur sommaria analisi degli aspetti di maggiore interesse per l’impresa sanitaria e in particolare per la Srl odontoiatrica.
Definiamo intanto i macro temi legati a questa legge, partendo dall’art. 5:
L’Ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:
- Da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché dalle persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;
- Da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).
L’ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.
All’art. 6, la Legge 231 introduce un altro elemento portante dell’esaminando impianto legislativo parlando di Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell’ente:
Se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell’articolo 5, comma 1, lettera a), l’ente non risponde se prova che:
- L’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
- Il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;
- Le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;
- Non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di cui alla lettera b).
In relazione all’estensione dei poteri delegati e al rischio di commissione dei reati, i modelli di cui alla lettera a), del comma 1, devono rispondere alle seguenti esigenze:
- Individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati;
- Prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire;
- Individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati;
- Prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli;
- Introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
Questi due articoli già da soli ci danno una prima idea delle novità contenute in questa Legge 231.
Da una parte, la definizione di una nuova tipologia di reato, che sussiste se la condotta posta in essere appartiene ad una o più categorie illecite – i cosiddetti reati presupposto – e se la stessa condotta ha portato vantaggi all’impresa stessa o anche alle sue strutture apicali oltre che all’impresa stessa, mentre non sussiste quando i vantaggi hanno interessato solo le strutture apicali o terzi estranei e neanche quando l’aggiramento dei sistemi di controllo non è imputabile, a vario titolo, alla impresa stessa.
Dall’altra, l’ideazione di un modello organizzativo di prevenzione di tali reati. Questo richiede una serie di caratteristiche di una certa complessità e un organismo di controllo dedicato con autonomi poteri di iniziativa e controllo rispetto al management aziendale. Quando e se adottato nella corretta misura e modalità dall’impresa stessa, costituisce un’esimente ed esclude almeno la responsabilità dell’Ente stesso, riversandola esclusivamente sulla persona di coloro che in nome e per conto dell’impresa hanno adottato le condotte incriminate.
Vale la pena di ricordare, anche se era già chiaro probabilmente, che nella locuzione di Ente rientra sempre l’impresa societaria, come le società professionali e in particolare la srl.
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Sul fatto che tale responsabilità della società si configuri ab origine nell’ambito del Diritto Penale più che in quello del Diritto Amministrativo e Commerciale, non ci sono mai stati dubbi. In Dottrina, alla nascita di questa legge, si è persino parlato, a questo proposito, della nascita di un Tertium Genus, e cioè di una nuova fattispecie che ha le sue fondamenta nel Diritto Penale come anche in altre discipline del Diritto.
La novità è tutta legata al fatto che questa Legge 231 ha posto fine ad un principio giuridico che sembrava inderogabile e che possiamo esemplificare nella massima: societas delinquere non potest.
In realtà, l’evoluzione dei modelli organizzativi e la spinta verso le società a responsabilità limitata (nelle diverse forme offerte dall’Ordinamento giuridico quali la s.p.a. e la s.a.p.a. oltre che la srl) avevano da tempo spostato su questi veicoli una gran parte delle attività economiche e con esse anche quelle meno pulite, per gli evidenti vantaggi che queste forme giuridiche possono far conseguire e che abbiamo già illustrato ad abbundantiam relativamente al più ristretto ambito della Srl odontoiatrica.
Tuttavia, la spinta verso l’affievolimento di principi etici e morali nell’agire di tutti i giorni ha sempre più coinvolto una parte crescente della società. La ricerca del profitto a tutti i costi ha fatto il resto, modificando ben presto le condotte anche delle strutture di direzione e controllo delle società che non erano nate per delinquere o ad opera di soci e amministratori che le avevano costituite per realizzare quelle finalità sotto copertura.
Anzi, in realtà vi è molto di più.
L’incremento ragguardevole dei reati dei colletti bianchi e di forme di criminalità ad essi assimilabili ha di fatto prodotto un sopravanzamento della illegalità di impresa sulle illegalità individuali, fino al punto di convincere le autorità a rovesciare il famoso brocardo di cui sopra.
Tale fenomeno ha trovato poi più frequente applicazione nelle società medio grandi e in particolar modo in quelle quotate in borsa. La piccola e la micro impresa sono state molto meno coinvolte in questa deriva.
Il professionista è stato fino ad ora al riparo da queste innovazione legislative, ma la Srl così come tutti gli imprenditori individuali e tutte le altre forme societarie vi sono state coinvolte in pieno, a prescindere dalla dimensione organizzativa e i volumi di produzione, di fatturato e di utile.
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E’ opportuno fin da subito sfatare alcuni miti che pure circolano nel settore anche ad opera di consulenti interessati. Se tutte le Srl odontoiatriche, così come tutte le forme imprenditoriali attive nel settore sanitario, sono sempre sottoposte ai dettami generali della Legge 231, solo alcune tra esse devono ottemperare a tutti gli obblighi dettati da essa.
Per l’impresa sanitaria una qualunque iniziativa che possa arrecare vantaggio, anche se deliberata dal suo gruppo dirigente e rientrante nell’ambito delle condotte ritenute censurabili da tale corpus normativo come reato, è sempre suscettibile di produrre effetti sia in capo all’impresa stessa che in capo a ciascun membro cui possa ricondursi la responsabilità di quella iniziativa: effetti che si traducono in sanzioni di natura amministrativa e penale per le persone fisiche che possono arrivare anche alla reclusione e in altre misure di carattere sempre penale nei confronti della persona giuridica, che possono tradursi in sanzioni pecuniarie e nella confisca del corpo del reato (anche del profitto illecitamente conseguito).
In altre parole, i reati comportano quasi sempre anche fuoriuscite di cassa, a vario titolo e con diversi provvedimenti, ma la sostanza non cambia.
Non tutte le imprese sanitarie invece sono costrette ad adottare anche il Modello 231, un modello cioè di prevenzione dei reati che richiede un lavoro alquanto complesso e del tutto sconveniente, oltre che troppo costoso da adottare nelle dimensioni organizzative tipiche delle micro-imprese alle quali quasi sempre appartiene la srl odontoiatrica.
E’ pur vero che, mancando questo modello, anche le micro-imprese come le nostre sono suscettibili di perdere in giudizio quelle attenuanti riconosciute dalla Legge 231 in caso di presenza e di corretta attuazione di quel modello. Tuttavia, a differenza di quanto raccontato spesso da coloro che hanno interesse a vendervi la consulenza per la costruzione di quel modello, nella gran parte dei casi conviene correre il rischio e cautelarsi attraverso coperture assicurative specifiche, il cui costo è sicuramente minore rispetto a quello cui si andrebbe incontro costruendo quel modello nella propria impresa.
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Esistono imprese sanitarie che invece debbono adottare anche quel modello per espressa disposizione di Legge 231. Nella Regione Lombardia, ad esempio, per effetto di una delibera di giunta del 30 maggio 2012, tutte le strutture socio-sanitarie che vogliono richiedere e mantenere l’accreditamento con il SSN, sono obbligate all’adozione del modello Legge 231 e di un codice etico.
Nella Regione Calabria è stata adottato un obbligo analogo con la Legge Regionale 21 giugno 2008, n. 15.
Dal canto suo, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, con il regolamento del 14 novembre 2012, ha imposto l’adozione del Modello 231 come una delle condizioni necessarie per ottenere il cosiddetto rating di legalità.
Ci sono stati poi alcuni disegni di legge che hanno tentato di rendere obbligatoria l’adozione del modello Legge 231 a tutte le imprese che superavano certi limiti (dettati per fatturato e patrimonio), ma non sono andati in porto per scadenza della legislatura. Tutto lascia credere che tali obblighi possano essere riproposti in futuro, anche per gli adempimenti relativi alle direttive europee che vanno proprio in queste direzione (e in particola la cd Direttiva PIF, che dovrebbe entrare in vigore a breve).
Del resto ab origine la Legge 231 è nata sulla scia delle direttive europee.
Il Modello 231 è approcciabile in diversi modi, che spaziano dalla redazione di un puro sistema di prevenzione penale fino alla creazione di un monitor di controllo dei diversi sistemi di gestione esistenti nell’impresa.
Tale sistema – e su questo la Giurisprudenza è stata chiarissima in diverse occasioni – non può essere attuato con la semplice predisposizione di qualche protocollo e linea guida. Ci deve essere una struttura aziendale che se ne occupa, al cui vertice porre un organismo di controllo dotato di poteri autonomi e indipendente, che formi il personale e lo aggiorni periodicamente, che verifichi l’adozione di modelli organizzativi e la loro applicazione in maniera conforme alle varie normative coinvolte nell’elenco – di cui appresso – dei cosiddetti reati presupposto. Si deve predisporre un sistema sanzionatorio (anche premiante se occorre) e si deve curare periodicamente e con continuità la predisposizione di report e la pronta segnalazione di eventuali criticità al management.
Non si tratta insomma di procedure facilmente attuabili con il fai da te e quasi sempre vengono coinvolte strutture consulenziali esterne per la costruzione e il monitoraggio di questi sistemi. Insomma, un Modello 231 costa e non solo in termini di investimenti economici.
D’altra parte, abbiamo già detto che l’obbligo non riguarda che una stretta minoranza delle Srl odontoiatriche, così come abbiamo detto che il fatto di perdere un’esimente dalle responsabilità per l’impresa – circostanza strettamente legata alla mancata adozione di quel modello – costituisce un rischio calcolato che vale la pena correre in generale, in quanto i costi consulenziali oltre che quelli puri utili alla costruzione di tale modello sono molto più alti di quelli che si possono sostenere utilizzando strumenti alternativi quali le coperture assicurative.
In particolare ci riferiamo alle coperture assicurative che coprono l’impresa e l’amministratore dal rischio di contenzioso e dai rischi legati alla privacy.
La configurazione ideale è rappresentata:
Tale ultima copertura serve non solo a risarcire i terzi e a coprire le ammende per la violazione della Legge 231 e delle leggi sulla tutela dei dati personali, ma anche per ripristinare i sistemi interni una volta che questi ultimi siano stati danneggiati da attacchi di hacker che possono avere effetti devastanti sul patrimonio dei dati aziendali (che in tutte le aziende ma in particolare in aziende di servizi come le nostre sono l’asset principale da tutelare e senza il quale l’attività semplicemente si ferma).
La D&O che a noi interessa, invece, è quella che copre sia il rischio dell’amministratore che quello dell’impresa per l’ambito Legge 231.
Una buona copertura con tre polizze di questo tipo difficilmente può costare più di 3 o 4 mila euro l’anno nell’ambito di imprese con dimensioni medie tipiche del nostro settore, che è comunque molto meno di quanto costerebbe implementare un Modello 231.
Se questo è vero, è altrettanto vero che alcune aziende del settore potrebbero comunque implementare quel modello per scelta o semplicemente perché obbligate a farlo (vedi il caso Lombardia per le strutture accreditate), il che ci riporta al punto di partenza e ci costringe ad affrontare l’argomento, sia pur in estrema sintesi.
Non si può non sottolineare a favore di queste scelte un fondamentale fatto: se il Modello 231 viene visto non come un obbligo ma come uno strumento per migliorare l’organizzazione interna e il sistema dei controlli, può valere la pena incrementarlo anche per motivi diversi agli obblighi della 231.
In questa chiave, il sistema 231 può divenire un sistema di controllo capace di monitorare l’attività dell’impresa rispondendo a più livelli delle esigenze informative espresse da coloro che operano all’interno del soggetto azienda. Il fatto stesso che al suo apice debba esistere un Organismo dotato di poteri autonomi rispetto al management potrebbe aiutare a far conoscere allo stesso management informazioni che non potrebbero giungerli altrimenti all’orecchio. Le strutture gerarchiche aziendali sono spesso il principale motore per la formazione di aree grigie e piccoli centri di potere all’interno dell’azienda.
Certo, queste sono circostanze che si avverano più facilmente in aziende di un certa dimensione, ma già alcuni ambulatori con un sensibile numero di dipendenti e collaboratori potrebbero ricreare in piccolo queste dinamiche. Di sicuro possiamo dire che se si va a costruire nella nostra tipica dimensione e tipologia di azienda un modello apparente di pura facciata non è davvero il caso di perderci tempo e soldi. Se invece si vuole cogliere l’occasione per farne uno strumento organizzativo efficace anche ad altri fini, potrebbero esistere aziende anche nel nostro settore interessate a trarne benefici.
In fondo, un sistema integrato di controllo e dedicato a precisi scopi potrebbe essere molto adatto a monitorare e controllare l’organizzazione interna in alcune aree di intervento comuni a diversi sistemi normativi che toccano la nostra operatività di tutti i giorni, come diverrà chiaro scorrendo l’elenco dei cosiddetti reati presupposto inclusi nel sistema 231.
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Il sistema introdotto dalla Legge 231 del 2001 ha visto aggiungersi alla formulazione di legge originaria una serie molto nutrita di innesti legislativi successivi che hanno introdotto un crescente numero di reati.
Non tutti questi reati ovviamente interessano direttamente l’impresa sanitaria per cui ci concentreremo solo su quelli che invece potrebbero interessarla più frequentemente, rimandando alla lettura della relativa e copiosa letteratura disponibile.
I reati che a noi interessano appartengono a queste categorie:
Ci sono vasti ambiti di intersezione della Legge 231 con altre norme dell’ordinamento che abbiamo già esaminato o che abbiamo dato per scontate in quanto non contenenti grosse novità rispetto a quanto prescritto per l’attività professionale odontoiatrica (questo è un volume dedicato alla srl odontoiatrica e non all’esame di tutto il settore odontoiatrico). Essi sono: la sicurezza sul lavoro in primis, la tutela della riservatezza dei dati, il riciclaggio, la concorrenza, la proprietà industriale.
Tutte le volte in cui la direzione aziendale commette delle irregolarità legate alla disciplina della sicurezza del lavoro; alla disciplina della tutela dei dati personali; alla disciplina per il contrasto al riciclaggio, alla tutela della privativa industriale, alle leggi sulla crisi di impresa e norme correlate, alle norme sulla tutela della concorrenza, etc., chi risponde non è unicamente la persona fisica che ha deciso in nome e per conto della società, ma anche la società stessa. Essa risponde, più precisamente, tutte le volte in cui abbia tratto vantaggio dalle decisioni della persona che ha deciso in suo nome, in mancanza di un modello organizzativo oppure, quando quel sistema esiste, se la persona che ha deciso per suo conto lo abbia sostanzialmente aggirato approfittando del suo ruolo.
In questi casi, le sanzioni previste dagli specifici sistemi normativi che abbiamo citato vanno ad aggiungersi a quelle previste dalla 231.
Ora, se c’è un punto che occorre sottolineare è che la Legge 231 ha registrato la totale indifferenza della Giurisprudenza nei primi anni a seguire dalla sua emanazione; ma col passare del tempo e soprattutto con l’aumentare dei reati inseriti nel suo ambito la Giurisprudenza l’ha progressivamente riscoperta fino al punto di tirarla fuori quasi sempre tutte le volte che decideva in merito ai reati ricompresi nel suo ambito.
E importante poi tenere presente che il tipo di sanzione amministrativa che può colpire la società può essere molto penalizzante nel nostro ambito.
Si legga, a conferma, il testo dell’art. 9 della Legge 231:
“Art. 9. Sanzioni amministrative
Le sanzioni per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato sono:
- La sanzione pecuniaria;
- Le sanzioni interdittive;
- La confisca;
- La pubblicazione della sentenza.
Le sanzioni interdittive sono:
- L’interdizione dall’esercizio dell’attività;
- La sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;
- Il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
- L’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;
- Il divieto di pubblicizzare beni o servizi.”
Il testo è talmente chiaro che non richiedere ulteriori commenti: è evidente il pericolo per l’impresa sanitaria di perdere l’autorizzazione ad operare in quanto tale come anche di perdere tutte le agevolazioni fiscali e contributive già ottenute nel passato. Non si tratta quindi soltanto di perdere il frutto del reato anche in via più che proporzionale. Si tratta nella realtà di correre il rischio di perdere tutto quello che si ha.
Molto forte è poi il rischio, in un sistema regolamentare molto fitto e articolato come il Nostro, che una condotta delittuosa risulti ex post censurabile sotto diversi profili. Anche in questo caso, è facile comprenderne le conseguenze semplicemente leggendo il testo dell’art. 21 della Legge 231:
“Art. 21. Pluralità di illeciti
- Quando l’ente è responsabile in relazione ad una pluralità di reati commessi con una unica azione od omissione ovvero commessi nello svolgimento di una medesima attività e prima che per uno di essi sia stata pronunciata sentenza anche non definitiva, si applica la sanzione pecuniaria prevista per l’illecito più grave aumentata fino al triplo. Per effetto di detto aumento, l’ammontare della sanzione pecuniaria non può comunque essere superiore alla somma delle sanzioni applicabili per ciascun illecito.
- Nei casi previsti dal comma 1, quando in relazione a uno o più degli illeciti ricorrono le condizioni per l’applicazione delle sanzioni interdittive, si applica quella prevista per l’illecito più grave.”
Il processo di inserimento di nuovi reati presupposto, per la specifica componente che a noi più interessa, si arricchisce poi di quelli correlati ai reati contro la persona nello specifico ambito della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, che è stato uno dei primi ad essere innestato nel sistema 231 (con la Legge 123 del 2007, per l’esattezza e poi con il D.lgs. 81/2008). Gli articoli relativi del Cod. Penale sono il 589 e il 590 e vengono così estesi al campo di applicazione dell’impresa nell‘art. 25-septies della 231/01:
“Art. 25-septies. Omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro. (Articolo aggiunto dall’art. 9, comma 1, legge n. 123 del 2007, poi sostituito dall’art. 300 del d.lgs. n. 81 del 2008).
In relazione al delitto di cui all’articolo 589 del codice penale, commesso con violazione dell’articolo 55, comma 2, del decreto legislativo attuativo della delega di cui alla legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura pari a 1.000 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno.
Salvo quanto previsto dal comma 1, in relazione al delitto di cui all’articolo 589 del codice penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non inferiore a 250 quote e non superiore a 500 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno.
In relazione al delitto di cui all’articolo 590, terzo comma, del codice penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non superiore a 250 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non superiore a sei mesi.
Tale processo di inserimento di nuovi reati presupposto è poi culminato con l’ultimo e definitivo tassello, operato dall’art. 39 del DL n. 124/2019 recante “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili”.
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Brevemente e per avere un quadro espositivo generale, con il primo comma della citata norma sono state modificate, abbassandole ulteriormente, le soglie di punibilità e sono state inoltre inasprite le pene per i reati di cui all’art. 2 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture e documenti per operazioni inesistenti), articolo 3 (delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici), articolo 4 (dichiarazione infedele), articolo 5 (omessa dichiarazione), articolo 8 (emissione di fatture ed altri documenti per operazione inesistenti), articolo 10 (occultamento e distruzione di documenti contabili), articolo 10-bis (omesso versamento di ritenute) e articolo 10-ter (omesso versamento di IVA) del D. Lgsvo n. 74/2000.
Insomma, tutto il variegato mondo dell’evasione e dell’omesso versamento rientra praticamente tutto e pienamente nell’ambito dei reati per cui si inaspriscono le pene nei confronti del generico contribuente.
Quasi non bastasse tutto questo, è stata estesa anche la disciplina della confisca cosiddetta allargata (o per sproporzione) di cui all’art. 240 bis del Codice Penale, anche nel caso di commissione, accertata con sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti (art. 444 Codice di Procedura Penale) di alcuni illeciti fiscali, se si è superate determinate soglie.
In particolare, conviene sottolinearne alcuni tra questi casi: per la dichiarazione fraudolenta quando l’ammontare degli elementi passivi fittizi supera i 200 mila euro; per la dichiarazione fraudolenta tramite altri artifici, quando l’imposta evasa supera i 100 mila euro; per emissione di fatture per operazioni inesistenti quando l’importo delle fatture emesse è superiore ai 200 mila euro.
Quindi tali operazioni fraudolente – tutte ricomprese nel comune sentire nel vasto arcipelago dell’evasione-, sono ora sempre punibili con gli strumenti penali ordinari (ammenda e confisca) e, qualora superino certe soglie minime, anche con strumenti penali straordinari, quali la confisca per sproporzione. E in quest’ultimo caso, viene consentito anche di aggredire, prima con il sequestro preventivo e poi con il provvedimento definitivo ed ablativo, le disponibilità dell’imputato, nel caso in cui si manifesti appunto una sproporzione tra la propria situazione patrimoniale e reddituale rispetto a quanto dichiarato.
Tali novità riguardano ed eventualmente colpiscono qualunque contribuente e per il caso che ai noi più interessa anche la persona fisica che agisce in qualità di rappresentante legale o altro dirigente dell’impresa.
Ma la Legge 231 introduce anche con l’art.39 un nuovo tassello all’elenco dei cosiddetti reati presupposto nel novero di quelli contemplati in quello che oramai può definirsi il sistema 231.
E questi reati presupposto sono i seguenti:
In casi come questi e quando vengano contestati al rappresentante legale o altro dirigente dell’impresa, non solo viene sanzionato quest’ultimo ma viene anche annotato nell’apposito registro delle notizie di reato l’illecito amministrativo a carico della società. Non è neanche necessaria ulteriore dimostrazione di vantaggio per la stessa, in quanto, per la tipologia di reato, il vantaggio è in re ipsa.
A conclusione del procedimento giudiziario, se gli ulteriori requisiti previsti dalla disciplina della 231 risultano provati, verrà anche applicata una sanzione amministrativa nei confronti dell’impresa e nel medesimo contesto giudiziale (non vi è quindi bisogno di un procedimento ad hoc).
Appare quindi evidente che l’intero contesto del nero e dell’evasione in genere è ormai sanzionato in misura molto forte e disincentivante sia nel caso in cui il contribuente eserciti – con riferimento al nostro contesto di riferimento – con la veste professionale o in veste imprenditoriale. Ma in questo secondo caso, la sanzione è doppia e colpisce sia il singolo che la società in misura che può arrivare anche ad essere del tutto sproporzionata.
Con la lievissima differenza che da professionista il contribuente viene tassato con aliquote marginali molto pesanti, mentre nel caso della srl viene tassato con una imposta flat quale l’IRES.
Queste innovazioni non fanno che confermare la srl come unica soluzione utile a contenere il carico fiscale evitando illeciti che sono sempre più facilmente rilevabili dalle Autorità e sempre più pesantemente sanzionabili. Inutile aggiungere che confermano anche e una volta di più che l’evasione è ancor più sanzionabile quando a porla in essere è una impresa societaria di capitale quale è appunto la srl.
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