Abbiamo affrontato più volte il tema dei limiti della StP rispetto alla Srl Odontoiatrica. Uno dei più controversi è rappresentato dal divieto di ricorrere, in modo stabile e strutturato, a collaboratori e consulenti esterni alla compagine sociale. E’ come se il legislatore riservasse questo tipo di pratica alle attività imprenditoriali vere e proprie, mentre la StP è fortemente ancorata al concetto di professione. Nella dimensione della StP non è consentito operare in economia di scala ricorrendo a sostituti dei soci titolari.
Abbiamo più volte richiamato l’attenzione su questo vincolo inderogabile che caratterizza la società tra professionisti e che affligge molti dei soci professionisti che utilizzano questa forma giuridica, talvolta per scelta, più spesso per obbligo.
Come è noto il vincolo è dettato direttamente dalla norma e dal decreto attuativo che hanno istituito e regolamentato la società tra professionisti e vale per i sostituti e non per gli ausiliari.
Detta in altro modo, la norma speciale deroga parzialmente alla regola generale fissata dal codice civile e che consente al professionista di utilizzare sostituti e ausiliari senza limitazioni, qualora tale affiancamento sia abituale nello specifico ambito professionale e sempre che il cliente non manifesti una contraria volontà.
Nell’impianto del Codice civile per sostituti si intendono senza alcun dubbio altri professionisti dotati della medesima abilitazione professionale del titolare. Quindi non può sussistere alcun dubbio sul fatto che nel ristretto ambito della Sanità e dell’Odontoiatra, stiamo parlando dei dentisti o dei medici.
Orbene, la regola speciale introdotta dalla Legge del 2011 e dal decreto attuativo del 2013 distingue nettamente il caso degli ausiliari da quello del sostituto.
A ulteriore conferma delle intenzioni del Legislatore, viene dettata anche una serie di obblighi pubblicistici che si sostanziano nel dovere di informazione preventiva e scritta al cliente: il quale deve ricevere un documento all’interno del quale siano individuati i soci professionisti e quelli non professionisti, eventuali ausiliari unitamente a tutti i dettagli che concernono il rapporto tra la società e il cliente stesso. E il cliente ha il diritto di richiedere di essere curato da professionista diverso da quello indicato in quel documento.
Questi profili si rivelano assai limitanti per la gran parte delle strutture odontoiatriche e professionali in genere.
In tutte le professioni – e quindi non solo in ambito odontoiatrico – si è sviluppata una decisa tendenza verso la specializzazione. Diviene quindi assai arduo il compito di un professionista generalista nel momento in cui si propone di soddisfare le aspettative del cliente e del paziente senza far ricorso ad altri collaboratori, perlomeno per una parte del piano di cura e per taluni pazienti.
Niente del genere vale perla Srl odontoiatrica, che in quanto società autorizzate all’attività sanitaria per mezzo di un ambulatorio odontoiatrico possono regolarmente utilizzare ausiliari e sostituti senza alcuna limitazione di sorta. Diremmo meglio, possono e debbono, perché nella natura della impresa sanitaria rientra pienamente la delega di funzione a professionisti abilitati diversi da quelli che sono anche ed eventualmente soci e titolari della società stessa.
Di questi aspetti abbiamo parlato molto volte e in diverse occasioni.
Quello che non abbiamo invece mai fatto è tentare di spiegare il motivo alla base di questa differenza di trattamento tra la srl ordinaria di gestione di un ambulatorio e la società tra professionisti.
E il motivo è molto semplice.
Per quanto il Legislatore si sia sforzato in ogni modo – anche in seguito alle indicazioni da parte della UE oltre che al fine di adeguare l’ordinamento all’evoluzione della professione nel tempo – di amalgamare impresa e professione in una forma ibrida capace di permettere ai professionisti di operare con strumenti e prerogative tipiche dell’impresa, la sintesi appare di difficile attuazione. Principalmente, a causa delle differenze sostanziali che nel nostro ordinamento giuridico caratterizzano la professione intellettuale, da un lato, e l’impresa, dall’altro.
Non appaia un caso che nel Diritto Comunitario tale assimilazione non ponga gli stessi problemi. In quell’ambito tra professione e impresa non esiste alcuna significativa differenza, essendo entrambi considerati alla stregua di operatori economici.
Nel Diritto interno la faccenda prende tutta un’altra piega e rende oggettivamente complesso amalgamare l’una e l’altra.
Il problema non risiede tanto nel diverso ruolo che gioca il fattore organizzativo. Sarebbe relativamente semplice trovare una sintesi che permetta di tenere insieme il ruolo ancillare che l’organizzazione gioca nell’ambito professionale con quello autonomo che la stessa gioca all’interno dell’impresa. E, di fatto, sotto questo profilo la sintesi può dirsi persino quasi perfettamente riuscita nell’istituto StP.
Il problema vero risiede in una caratteristica ineliminabile che nel nostro ordinamento qualifica la professione intellettuale; e cioè quella di essere fortemente legata all’intuitus personae. Il cliente non sceglie – o meglio, non dovrebbe scegliere, un qualunque professionista sulla base della sua abilitazione, ma un ben preciso professionista cui affidarsi sulla base di un affidamento di tipo strettamente fiduciario.
Tale affidamento particolare non è invece affatto richiesto nella concezione giuridica dell’impresa, la cui funzione è quella di offrire al cliente un bene o un servizio affidando la sua produzione ad un professionista dotato di specifiche abilitazioni professionali. L’impresa non sceglierà – o meglio, non dovrebbe scegliere – normalmente un professionista non capace e di fatto cercherà quasi sempre di sceglierne uno capace.
Tuttavia siamo in un campo ben diverso da quello che caratterizza – o che dovrebbe normalmente caratterizzare – l’ambito strettamente professionale.
Nella Srl odontoiatrica che agisce in veste di impresa sanitaria la dicotomia è facilmente risolvibile, perlomeno quando i suoi titolari siano anche professionisti abilitati. All’interno dell’impresa condotta da un professionista sarà sempre possibile tenere insieme i plus dell’impresa con quelli del rapporto strettamente professionale. Il rapporto fiduciario verrà attivato nel momento in cui il professionista titolare verrà scelto dal proprio paziente e persino nel caso in cui lo stesso decida di avvalersi di ausiliari e sostituti potrà sempre farlo nel marcato rispetto di quel fondamentale criterio.
Nella Stp questo dissidio non appare risolvibile nello stesso modo, in quanto la stessa non si configura come un’impresa ma come una forma evoluta di associazione professionale che prende in prestito le forme dell’impresa societaria, senza per questo assumerne completamente la natura. Appare evidente che in questo caso l’unico modo per tenere unita tale forma associativa al fondamentale criterio dell’affidamento fiduciario specifico è apparso, perlomeno nella mente del Legislatore, quello di obbligare i soci professionisti a fare a meno, salvo eccezioni, di sostituti. In qualunque altro caso, tale forma associativa sarebbe stata in tutto e per tutto indistinguibile dall’impresa vera e propria. Il che non poteva essere ammesso, stante il quadro giuridico che distingue l’una dall’altra.
Si deve poi tenere presente che la StP non è fruibile solo da medici e odontoiatri, i quali sono liberi – salvo alcune eccezioni regionali – di scegliere la forma giuridica dell’impresa societaria o di quella della StP.
Tale forma è in realtà fruibile anche da altri professionisti protetti che, a differenza dei medici e degli odontoiatri, non possono neanche volendo scegliere di operare in qualità di imprenditori per l’effettuazione delle proprie attività tipiche. E sono proprio questi professionisti quelli la cui potenziale operatività con una forma associativa mista in assenza di limitazioni ha spinto il legislatore ad imporre precisi vincoli.
Quel professionista che non potrebbe mai operare in qualità di imprenditore, nel caso in cui con la StP potesse avvalersi di sostituti liberamente, si troverebbe ad operare sostanzialmente con le stesse caratteristiche di un’impresa che per definizione non è affatto tenuta a salvaguardare il rapporto fiduciario perché tale criterio è del tutto estraneo alla sua natura giuridica.
Appare evidente che questo rischio il Legislatore non era affatto intenzionato a correrlo ed ha operato con norme specifiche tese ad evitarlo sul nascere.
Ci sia permesso concludere con una riflessione di respiro più generale: non è nostra intenzione andare a criticare le intenzioni del Legislatore nel momento in cui ha deciso di muoversi nel senso appena descritto. Si potrebbero avanzare diverse considerazioni al riguardo: nella realtà fattuale della professione, infatti, capita sovente che l’intuitus personae sia un criterio molto meno praticato di quanto non sia proclamato.
Tuttavia, tali considerazioni appaiono poco convincenti: se si accettasse di privare completamente l’attività professionale di questo fondamentale accessorio che la distingue da tutte le altre attività economiche, non si avrebbe poi modo di lamentarsi osservando come le forze in campo stiano di fatto comportando la morte della professione. Se l’attività professionale ha un senso – e chi scrive è fortemente convinto che un senso lo abbia eccome, anche a beneficio del cliente – si deve cercare di proteggerla anche conservando il suo tratto distintivo tipico. Che è quello che nel caso specifico ha fatto il Legislatore.
Se poi sia riuscito o meno nell’intento, saranno i fatti a dircelo.
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