Nella nuova era delle Macchine, il PIL si rivela un indicatore sempre meno adatto a quantificare il nostro benessere complessivo e persino quello economico. L’evoluzione tecnologica si accompagna infatti al decremento dei costi di produzione. Il PIL, conseguentemente, scende e non potrebbe essere altrimenti. Ma il benessere collettivo e anche quello economico sono certamente saliti allo stesso tempo.
Nella nuova era delle Macchine, il PIL si rivela un indicatore sempre meno adatto a quantificare il nostro benessere complessivo e persino quello economico. L’evoluzione tecnologica si accompagna infatti al decremento dei costi di produzione. Il PIL, conseguentemente, scende e non potrebbe essere altrimenti. Ma il benessere collettivo e anche quello economico sono certamente saliti allo stesso tempo.
“Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto interno lordo. Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.
Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle […]. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.
Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. […] Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani”.
Tutti voi ricorderete certamente questo celeberrimo passaggio di un famoso discorso di R. Kennedy. Un discorso che resta sempre attuale e la cui valenza al giorno d’oggi è persino più reale e autentica che mai.
In realtà, in merito ai limiti del PIL e di altre grandezze macroeconomiche la comunità scientifica degli economisti ha discusso per lungo tempo, anche se non è mai riuscita a replicare la capacità comunicativa e la diffusione di questo messaggio, trasmesso da uno dei più influenti personaggi politici del Ventesimo Secolo.
Le discussioni politiche e accademiche in merito ai limiti del PIL appaiono tuttavia, ai nostri occhi da contemporanei, già vecchie.
Nel senso che oggi esistono nuovi motivi che rendono quei limiti sempre più profondi. E in particolare i mutamenti dell’economia prodotti dall’evoluzione tecnologica ed informatica.
Nella nuova era delle macchine siamo sempre più interessati alle idee e meno ai beni materiali, alla mente molto più che alla materia, alle interazioni più che alle transazioni. Il paradosso insito in quest’era dell’informazione è che oggi ne sappiamo molto meno che nell’era di Kennedy in merito alle reali fonti di valore dell’economia. Esiste una vasta porzione della torta economica che non compare nei dati ufficiali di natura macro-economica e quindi anche nel PIL. E, a dirla propria tutta, non si ritrova neanche nelle dichiarazioni dei redditi o nei bilanci delle aziende. E’ il caso, ad esempio, dei beni digitali gratuiti (di cui questo post costituisce un possibile esempio), dell’economia della condivisione in genere e di altri asset intangibili. Si tratta di elementi che hanno influito in misura sensibile sul nostro benessere e quindi anche sulla nostra ricchezza in senso lato ma che i numeri classici dell’Economia non sono più in grado di intercettare.
Se ci limitiamo a guardare i fenomeni in discorso sotto lo specifico profilo che stiamo indagando, non può esistere dubbio, ad esempio, che oggi sia più facile fruire di una quantità di musica, scaricandola a pagamento o gratuitamente dal web, molto più ampia rispetto a quanto fosse possibile con i supporti materiali (vinili e cd) qualche decennio fa. Si tratta di un elemento che in qualche modo innalza il nostro livello di benessere (al netto di alcuni effetti collaterali negativi legati alla sovrabbondanza delle possibilità di fruizione, alle fake news, etc. etc.). Eppure i fatturati delle case discografiche sono scesi in misura considerevole nello stesso periodo. Lo stesso discorso vale per l’informazione e le news.
Un discorso molto simile vale per questo articolo, per le pagine e i gruppi social e per l’intera offerta digitale di Dentista Manager. La quale, ovviamente, non guadagna direttamente da tutta l’offerta formativa che eroga gratuitamente attraverso i citati media. Tuttavia, sarebbe fuorviante affermare che tale offerta non abbia alcun valore in senso lato così come lo sarebbe affermare che non abbia alcun valore in senso strettamente economico. Tantomeno potrebbero aiutarci a quantificare quel valore guardare ai risultati economici di breve della società che gestisce il brand; per la semplice ragione che gli stessi valori intangibili creano quella credibilità e affidabilità, in una parola quell’avviamento, che si potrebbe ovviamente quantificare ma con un’operazione manuale a latere. In mancanza di specifiche iniziative tese a periziare tale valore, i numeri di bilancio non ci dicono nulla in merito e quel valore resta nascosti. Ovviamente, più in generale, questi intangibili restano nascosti sia quando ci sono che quando non ci sono, il che spiega anche – sia pur non completamente – come alcune aziende possano passare in un tempo relativamente breve da cicli di prosperità a situazioni di crisi in modalità altrimenti inspiegabili.
Tornando al PIL, appare evidente ora il motivo per il quale i suoi limiti siano stati ingigantiti dall’evoluzione dell’Economia. Quest’ultimo infatti si rivela un indicatore sempre meno adatto a quantificare il nostro benessere complessivo e persino quello economico. Si pensi al proliferare di beni e servizi gratuiti che migliorano il benessere ma decrementano il PIL. L’evoluzione tecnologica si accompagna infatti al decremento dei costi di produzione: un’enciclopedia virtuale può essere prodotta e veicolata all’utente con costi molto minori di quelli che era necessario in passato sostenere per produrre e veicolare un’enciclopedia cartacea. Il PIL, conseguentemente, scende e non potrebbe essere altrimenti. Ma il benessere collettivo e anche quello economico sono certamente saliti allo stesso tempo. Solo che il PIL non è stato costruito per misurare questi nuovi modi di produrre ricchezza.
Per quanto possa sembrare un esercizio incongruo, la gran parte dei politici e dei giornalisti e persino una parte degli economisti continua ad indicare nella crescita del PIL quasi un sinonimo di crescita economica.
E’ importante capire che nell’economia delle macchine l’equivalenza tra crescita di vendite di beni e servizi e crescita della ricchezza è sempre meno verificata. E con il crescere dell’economia digitalizzata e gratuita lo sarà sempre di più. Noi ovviamente non possiamo fare nulla per cambiare questo trend. Tuttavia possiamo tenere acceso il cervello e prendere con le molle le misure ufficiali con le quali si indica la crescita, in particolare modo quando si tratta di risultati e previsioni a breve termine.
E ci converrà farlo sia in una visuale micro che macroeconomica. E cioè sia quando pensiamo ai casi nostri e al nostro lavoro che quando pensiamo al nostro Paese e al Mondo.
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