Il percorso evolutivo dell’Igienista Dentale non è mai stato facile, dall’inizio fino al pieno riconoscimento del titolo professionale e la creazione di un Albo specifico. Ma anche dopo, è stato un susseguirsi di ricorsi, sentenze e interpretazioni, più o meno autentiche, del diritto dell’Igienista di operare in autonomia. Sul concetto di autonomia, purtroppo, il legislatore è stato piuttosto vago. Per capirci qualcosa tocca fare una media ponderata delle conclusioni, spesso contraddittorie, cui pervengono i giudici. E’ quello che abbiamo fatto in questo articolo: un tentativo che avrà almeno il merito di essere imparziale, anche se questo dovesse scontentare tutti.
Il rapporto tra Igienista dentale e Odontoiatra, in uno studio moderno e organizzato, assomiglia molti di più alla simbiosi tra due organismi interdipendenti di quanto non raccontino i fatti di cronaca, molto spesso alimentati da campanilismo ideologico e rivendicazioni di categoria su entrambi i fronti.
In questo articolo ci proponiamo di tratteggiare il profilo dell’Igienista dentale in termini di autonomia professionale e indipendenza operativa, cercando di identificare, nelle pieghe della norma e delle sentenze, il labile confine delle competenze tra due tipologie diverse di professionisti (entrambi iscritti ad un Albo) che insistono sullo stesso paziente.
Una panoramica completa dei riferimenti normativi che riguardano, direttamente o indirettamente, l’Igienista Dentale è disponibile sui siti delle associazioni di categoria, come ad esempio quello di AIDI (Associazione Igienisti Dentali Italiani).
Dal complesso di queste norme si possono compendiare alcune informazioni utili per i nostri scopi, tra le quali sottolineiamo:
Sulle considerazioni appena esposte il quadro normativo è coerente e perfino i rappresentanti di categoria fanno convergere un consenso pressoché unanime. Quali sono dunque i problemi ancora aperti?
Sono sostanzialmente due:
La risposta a queste domande è oggettivamente difficile perchè non sembra siano state prese in esame dal legislatore in modo esplicito. Come spesso accade, in questi casi, hanno provveduto i giudici ad interpretare la volontà del legislatore, con argomentazioni e decisioni non sempre coerenti, le cui conseguenze sono critiche per il mercato attuale.
La questione dello studio esclusivo in igiene Dentale, è stata affrontata dal Tar Emilia Romagna nella sentenza n. 01061/2014 (Sentenza TAR Emilia Romagna Igienista).
Come noto, infatti, alcuni studi di igiene dentale (e riconducibili ad igienisti dentali) sono stati avviati in alcune parti del Paese, non senza le rimostranze e le opposizioni degli odontoiatri. Gli eventi successivi si sono consumati nelle aule dei tribunali.
La sentenza del TAR Emilia Romagna richiama , in proposito, l’art. 1, comma 3 del DM 137/1999, nel quale si dispone che:
L’igienista dentale svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie, pubbliche o private, in regime di dipendenza o libero professionale, su indicazione degli odontoiatri e dei medici chirurghi legittimati all’esercizio della odontoiatria.
I Giudici, chiamati a decidere circa la possibilità di un Igienista Dentale di aprire un proprio studio professionale, rifacendosi alla norma, concludono negativamente.
Rifacendosi innanzitutto alla locuzione “struttura (pubblica o privata)” concludono infatti che tale definizione identifica un “organismo aziendale organizzato in relazione alle molteplici risorse umane e materiali di cui dispone, nel quale prevale l’aspetto organizzativo su quello professionale individuale“. In questo senso, la struttura sanitaria si distingue dallo studio professionale che, invece, è connotato dal prevalente apporto personale rispetto alla componente strumentale e organizzativa.
La pronuncia dei Giudici riconduce l’attività dell’Igienista dentale alla sola dimensione d’impresa dell’odontoiatria, escludendola di fatto dalla dimensione professionale tipica dello studio odontoiatrico tradizionale: l’Igienista Dentale non può richiedere l’autorizzazione all’esercizio di uno studio di igiene Dentale, ma è vincolato ad operare nel contesto di una struttura sanitaria.
A questo punto si aprono due ulteriori interrogativi:
Esaminiamoli nel dettaglio.
Il raffronto tra diverse professioni sanitarie non mediche sembra confermare la conclusione del giudice. Prendiamo due esempi che ci aiutino a capire perchè.
Il Fisioterapista, per esempio, secondo il giudice è legittimato ad avere un proprio studio professionale in virtù del comma 1, art. 2 Legge 251/2000, che dispone:
Gli operatori delle professioni sanitarie dell’area della riabilitazione svolgono con titolarità e autonomia professionale, nei confronti dei singoli individui e della collettività, attività dirette alla prevenzione, alla cura, alla riabilitazione e a procedure di valutazione funzionale, al fine di espletare le competenze proprie previste dai relativi profili professionali.
Non siamo sicurissimi che il legislatore, con l’espressione “titolarità” si riferisse implicitamente alla titolarità di uno studio professionale (perchè non, allora, alla titolarità di una competenza, di una qualifica o di una responsabilità?). Sembra una interpretazione ermeneutica del testo finalizzata al sostegno di una tesi. Facciamo tuttavia lo sforzo di seguire tale interpretazione, perchè arriveremo comunque ad un cul di sacco da cui il giudice si è sottratto e che invece avrebbe dovuto affrontare in coerenza, con la stessa diligenza dimostrata fino ad ora.
Di contro osserviamo che, in una cornice rigida come quella indicata (e pur liberando i fisioterapisti), l’Igienista Dentale non rimane da solo. Lo troviamo in compagnia del Tecnico di radiologia (TSRM), per esempio, con cui condivide anche l’Albo professionale. E’ noto che il TSRM, pur nelle diversità e specificità, è legato al Medico Specialista in Radiologia almeno quanto l’Igienista dentale all’Odontoiatra, sotto diversi aspetti: indicazioni, assetto organizzativo, requisiti autorizzativi, profili di responsabilità, progressiva emancipazione, ecc.
Secondo l’interpretazione dei Giudici in questione, la ratio sottesa al diverso trattamento riservato a Fisioterapisti vs. Igienisti dentali andrebbe ricercata nella potenziale pericolosità dell’attività professionale svolta da questi ultimi, sul presupposto clinico che una ablazione del tartaro pone rischi superiori ad una manipolazione vertebrale, ovvero la sigillatura dei solchi sia più pericolosa della mobilizzazione di una protesi d’anca. Difficile da sostenere.
Quanto ai presupposti normativi per cui le attività dell’igienista dentale debbano essere considerate pericolose, i giudici si producono in una autentica acrobazia dialettica, riconducendola all’obbligo di operare in una struttura sanitaria sopra enunciato: in questo modo concludono un ragionamento circolare in cui i due elementi della discussione sono, entrambi e contemporaneamente, sia l’origine che la conseguenza l’uno dell’altro, causa ed effetto.
Ma il problema vero, connesso alla sentenza, è descritta di seguito.
Ammessa e non concessa l’interpretazione letterale della norma che prevede l’obbligo, per l’Igienista dentale, di operare esclusivamente all’interno di una Struttura sanitaria ed escludendo che il legislatore, con questa espressione, volesse intendere in modo estensivo tutti gli studi professionali e le imprese odontoiatriche, come possiamo inquadrare l’opera dell’igienista come ausiliario o sostituto del dentista titolare di uno studio professionale tradizionale?
Dovremmo desumere, seguendo la linea interpretativa della norma, che per potersi avvalere dell’igienista dentale, il dentista stesso dovrebbe:
Se è vero che l’Igienista dentale può operare solo in una struttura sanitaria, tutti gli igienisti dentali che ora stanno operando all’interno di uno studio professionale devono essere considerati abusivi, con ricadute di responsabilità che si estendono, oltre alla loro persona, anche a quelle degli odontoiatri che li ospitano. Questo sarebbe evidentemente assurdo e molto lontano dal buon senso oltreché dalla intenzione del legislatore (che ora appare evidente).
Non siamo gli unici a pensarla in questo modo. Tanto è vero che sulla questione è intervenuto anche il Consiglio di Stato con la Sentenza 01703/2020 (Sentenza-del-Consiglio-di-Stato-Igienista). In essa i Giudici smentiscono quelli di primo grado riconducendo la nozione di Struttura Sanitaria all’interno di un concetto più ampio che ricomprende anche gli studi professionali. Non poteva essere altrimenti.
Tuttavia, anche in questo caso, viene negato il diritto all’Igienista Dentale di avviare un proprio studio professionale. Si perviene a questa conclusione attraverso un ragionamento che, per gli stessi giudici che lo fanno, assume la qualifica di “evocativo”.
In particolare, riguardo all’obbligo per l’igienista di ricevere “indicazioni” da parte dell’odontoiatra (come disposto dalla norma citata in apertura), i giudici scrivono: “Le surrichiamate indicazioni, specificamente ribadite dal comma 3 anche nel contesto della descrizione del luogo ove l’attività deve necessariamente svolgersi, evocano una contestualità spaziale, presupponendo la compresenza delle due figure professionali, bensì affrancate da qualsivoglia rapporto di dipendenza ma ancora avvinte da un legame funzionale e operativo, a prevenzione dei rischi che l’attività può generare al paziente.”
Nel passaggio successivo, i giudici cercano di chiarire perchè le “indicazioni dell’odontoiatra evocano la contestualità spaziale”. Si rifanno, così, al concetto di pericolosità che era stato invocato anche dal TAR e affermano che: “l’attività condotta nel cavo orale non [è] esente da profili di pericolosità, di modo che alla previa valutazione della necessità o opportunità del trattamento, poi concretamente demandato all’igienista dentale nell’esercizio della propria autonomia professionale, si associ una pronta disponibilità dell’odontoiatra ad intervenire, ove quanto indicato si risolva, in executivis, in un rischio per la salute del paziente.”
Nel passaggio di chiusura sembra quasi che i Giudici si vogliano giustificare di una tale interpretazione evocativa e scrivono: “Il Collegio è consapevole che la latitudine del concetto di “indicazione” dell’odontoiatra, nei termini sopra tracciati, non è appagante nella misura in cui finisce per scaricarsi indirettamente, come del resto è successo nella vicenda de qua, sulla concreta possibilità che l’igienista dentale possa concretamente essere autorizzato ad avviare un proprio autonomo ed esclusivo studio professionale prescindendo dalla compresenza di un odontoiatra. Il tenore della disposizione, evidentemente posta a tutela della salute dei pazienti, non consente però margini esegetici tali da giungere a conclusioni diverse, la cui percorribilità non può che rimettersi alla ponderata scelta del legislatore, ove l’evoluzione e l’approfondimento dei percorsi formativi, l’affinamento e la sicurezza delle tecniche di intervento ne lascino intravedere i presupposti secondo la migliore scienza ed esperienza.”
Che i margini esegetici non siano ampi e che la norma sia solamente evocativa, sembrano argomenti non convincenti, oltreché per molti di noi, anche per altri giudici, che, in un contesto completamente diverso dalla vicenda in esame, hanno infatti giudicato diversamente utilizzando l’espressione “interpretazione fuorviante”.
Vediamo di cosa si tratta.
Rimane una questione da affrontare, che poi riassume l’intero oggetto del contendere: all’interno delle strutture sanitarie qual è il grado di autonomia e indipendenza dell’Igienista Dentale? La norma impone che l’odontoiatra sia fisicamente presente quando l’Igienista Dentale opera sui pazienti?
Anche in questo caso la norma non è dirimente. Sul punto interviene il Tribunale Penale di Messina in composizione monocratica e la risposta è affermativa, nel senso di ritenere che l’Igienista Dentale può operare anche in assenza dell’Odontoiatra.
Si tratta della Sentenza 2192/22 (Sentenza Tribunale Messina Igienista) che si pone in contrapposizione netta sia con i giudici del TAR Emilia Romagna sia con il Consiglio di Stato.
Nelle motivazioni leggiamo quanto segue: “L’odontoiatra rileva il bisogno nella persona assistita di ricevere le prestazioni dell’Igienista dentale e, in autonomia totale e con correlativa assunzione di responsabilità, in virtù della norma vigente, effettua le prestazioni attinenti al proprio profilo professionale. Nella relazione di cura con la persona assistita è necessaria, invece, la sinergia (che non è compresenza fisica) tra igienista dentale ed odontoiatra con un rapporto di fiducia basato su informazione e condivisione, collaborazione e cooperazione nel lavoro multiprofessionale, riconoscendo e rispettando i reciproci ambiti di competenze e professionalità.”
Quanto alle caratteristiche di pericolosità, invocate dai giudici precedenti, il Tribunale di Messina perviene a conclusioni del tutto opposte, scrivendo che le attività svolte dall’igienista dentale sono da considerarsi “Attività non pericolose, dal momento che non possono di certo compromettere la salute del cavo orale perchè sono tutte attività rientranti nella prevenzione primaria”.
In un altro passaggio si legge ancora: “Non appare condivisibile l’assunto accusatorio secondo il quale indicazione vuol dire compresenza dell’odontoiatra”.
In chiusura, infine, il Giudice prende in esame le prestazioni effettivamente svolte dall’imputato nel momento in cui i NAS effettuano il sopralluogo ispettivo. Si trattava, nello specifico, di sigillature dei solchi e remineralizzazione dello smalto per le quali si afferma che: “rientrano nell’ambito della competenza professionale dell’igienista dentale ed, in quanto attività incruente e non invasive, non determinano alcun rischio per la salute del paziente, di talché possono essere svolte dall’igienista dentale in totale autonomia, in assenza di una specifica indicazione e senza la necessaria compresenza dell’odontoiatra”.
Il ribaltamento di questa sentenza non si estingue con i concetti di autonomia e indipendenza dell’Igienista dentale, né con quelli della assenza di pericolosità delle prestazioni, ma addirittura si estende a ritenere superflua l’indicazione da parte dell’odontoiatra, pur genericamente prevista dalla Legge stessa.
Purtroppo non è dato saper quali prestazioni il giudice ritiene che siano cruente e invasive, posto che si è limitato a dire che le sigillature e la remineralizzazione non lo sono. E’ ragionevole pensare che le levigature radicolari, per esempio, lo siano e, conseguentemente, queste prestazioni dell’Igienista dentale richiedano, necessariamente, l’indicazione (anche verbale) dell’odontoiatra.
Ma il portato fondamentale è un altro. Dai documenti di causa, infatti, si evince chiaramente che l’imputato di esercizio abusivo di professione odontoiatrica (l’igienista dentale), risulta regolarmente titolare dello studio all’interno del quale è stata fatta la perquisizione ad opera dei Nas. Come poi risulterà dai fatti, l’Igienista imputato era titolare da diversi anni di autorizzazione all’esercizio dell’attività di Igienista Dentale in capo allo studio stesso.
In sostanza, quando il Giudice scrive che “assolve l’imputato perchè il fatto non sussiste” sta, implicitamente, riconoscendo anche la facoltà dell’Igienista dentale di avviare uno studio proprio, non ravvisando nel caso specifico di studio autorizzato per l’Igiene Dentale alcun profilo di illecito penale. Il Giudice non ha timore di smentire le pronunce precedenti quando scrive che “l’asserita necessaria compresenza dell’odontoiatra è solo il frutto di una interpretazione del TAR Emilia, poi confermata dal Consiglio di Stato.”
A questo punto non ci resta che tirare le somme e vedere insieme quali opportunità rimangono sul tavolo e che profilo di rischio comportano.
E’ ragionevole pensare che lo scenario professionale dell’Igienista dentale, allo stato attuale delle norme e delle sentenze, si possa legittimamente articolare sulle seguenti proposizioni:
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