La figura del medico si muove nello spazio compreso tra le norme della Legge e quelle del Codice Deontologico. Nel caso del Direttore Sanitario questo spazio è occupato anche dagli interessi dell’impresa che gestisce la struttura sanitaria. Le complicazioni che ne derivano sono determinate dalla confusione di ruoli e funzioni: proprietà, amministrazione, garanzia. In attesa di una revisione dell’impianto normativo generale esiste solo una configurazione in grado di garantire le istanze della categoria medica in tema di autonomia e indipendenza: riunire nella persona del medico sia il potere dell’amministratore che quello del Direttore Sanitario.
L’esercizio dell’attività odontoiatrica è consentito alle società operanti nel settore odontoiatrico le cui strutture siano dotate di un direttore sanitario iscritto all’albo degli odontoiatri e all’interno delle quali le prestazioni di cui all’articolo 2 della legge 24 luglio 1985, n. 409, siano erogate dai soggetti in possesso dei titoli abilitanti di cui alla medesima legge.Il legislatore non prescrive altro sulle caratteristiche che deve possedere il direttore sanitario, se non il possesso dell’iscrizione all’Albo degli Odontoiatri, la qual cosa è perfettamente ragionevole da tutti i punti di vista. Rimaneva però aperta la questione dei poliambulatori o delle cliniche che svolgevano anche attività mediche per le quali il legislatore è intervenuto appositamente, nel successivo art. 154, specificando che:
Le strutture sanitarie polispecialistiche presso le quali è presente un ambulatorio odontoiatrico, ove il direttore sanitario non abbia i requisiti richiesti per l’esercizio dell’attività odontoiatrica, devono nominare un direttore sanitario responsabile per i servizi odontoiatrici che sia in possesso dei requisiti di cui al comma 153.L’espressione Direttore Sanitario Responsabile, così come appena definita, ha dato luogo a dubbi interpretativi e polemiche, soprattutto in ordine alle questioni autorizzative collegate con le strutture sanitarie. Questo tema è marginale rispetto agli interessi del presente articolo, se non per il fatto che esiste tuttora una ambiguità lessicale per indicare e distinguere un Direttore Sanitario operante in strutture omogenee (o solo mediche o solo odontoiatriche) da un Direttore Sanitario operante in strutture miste (mediche e odontoiatriche al tempo stesso), che come prescrive l’articolo 154:
Il direttore sanitario responsabile per i servizi odontoiatrici svolge tale funzione esclusivamente in una sola struttura di cui ai commi 153 e 154.La trattazione della materia si conclude con il successivo articolo 156, che riguarda il meccanismo sanzionatorio in caso di inottemperanza:
Il mancato rispetto degli obblighi di cui ai commi 153, 154 e 155 comporta la sospensione delle attività della struttura, secondo le modalità … […].La disciplina del Direttore Sanitario e, più precisamente del Direttore Sanitario responsabile per i servizi odontoiatrici trova poi un corrispettivo puntuale all’interno della comunità professionale, che, per il tramite dei propri organismi istituzionali (gli Ordini), hanno provveduto ad integrare le norme di legge con quelle deontologiche, che vediamo di seguito.
Il medico che opera in strutture pubbliche o private, concorre alle finalità sanitarie delle stesse ed è soggetto alla potestà disciplinare dell’Ordine indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto di lavoro. Il medico, in caso di contrasto tra le regole deontologiche e quelle della struttura pubblica o privata nella quale opera, sollecita l’intervento dell’Ordine al fine di tutelare i diritti dei pazienti e l’autonomia professionale. In attesa della composizione del contrasto, il medico assicura il servizio, salvo i casi di grave violazione dei diritti delle persone a lui affidate e del decoro e dell’indipendenza della propria attività professionale. […]Una considerazione preliminare appare opportuna, anche perchè fa da sfondo agli articoli successivi. La preoccupazione dei medici è legata, come dicevamo prima, alla separazione di ruoli tra proprietà della struttura (e la sua relativa amministrazione) e il medico in quanto professionista. In una logica professionale classica, infatti, tale preoccupazione non ha ragion d’essere, posto che la perfetta coincidenza tra amministratore dello studio professionale e professionista stesso, dà luogo alla configurazione ideale dell’assetto organizzativo, tale per cui la leva decisionale e gli obblighi deontologici sono riuniti nella stessa persona fisica. E’ tanto vero che l’argomento dell’indipendenza e della autonomia viene appunto trattato all’interno del Titolo XIII, che disciplina i comportamenti del medico nelle strutture sanitarie, poichè diversamente sarebbe stato pleonastico e non se ne è sentito il bisogno. Nel momento in cui compare, in odontoiatria come nella sanità in generale, il soggetto imprenditoriale, la comunità medica (per il tramite del proprio organo istituzionale, la Fnomceo) ha ravvisato l’urgenza di vincolare e subordinare gli obiettivi di profitto, ancorché lecitamente perseguiti, a quelli della qualità delle prestazioni. In una situazione dicotomica come quella delle imprese sanitarie di proprietà laica è inutile negare che il futuro professionale del medico (compreso il direttore sanitario) è appeso alla volontà di un amministratore che è estraneo alla logica deontologica cui il medico invece è ancorato e attraverso il potere di spesa che il primo esercita, il secondo potrebbe trovarsi in una situazione di debolezza contrattuale o, addirittura, di subalternità e dipendenza. L’art. 68 appena citato fornisce dunque le regole di ingaggio per questa potenziale contrapposizione tra il potere forte, contrattuale ed economico (quello dell’amministratore dell’impresa) e il potere debole, sociale ed etico (quello del medico o del direttore sanitario).
Il medico che svolge funzioni di direzione sanitaria nelle strutture pubbliche o private ovvero di responsabile sanitario di una struttura privata, garantisce il possesso dei titoli e il rispetto del Codice e tutela l’autonomia e la pari dignità dei professionisti all’interno della struttura in cui opera, agendo in piena autonomia nei confronti del rappresentante legale della struttura alla quale afferisce.Questo passaggio è particolarmente rilevante e merita alcune riflessioni. Innanzitutto non dobbiamo dimenticare il punto di partenza espresso in precedenza. La preoccupazione della categoria si riferisce all’ipotesi in cui due soggetti differenti, uno laico, amministratore e forte, l’altro medico, direttore sanitario e debole, entrino in conflitto nella gestione delle attività sanitarie. La questione non si pone affatto quando lo stesso soggetto, in quanto medico, riunisce le stesse funzioni dei due ruoli nella stessa persona. Questo accade sia quando egli esercita la professione in forma tradizionale, sia quando nell’attività di impresa egli ricopre tanto la funzione di amministratore quanto quella di direttore sanitario. In quest’ultimo caso non è data l’ipotesi che egli possa entrare in conflitto con sè stesso. Rimangono, piuttosto, solo due ipotesi residuali: la prima è che egli si comporti secondo le indicazioni del codice deontologico e della comunità cui appartiene, la seconda è che egli non lo faccia ed in conseguenza di ciò egli possa essere perseguibile sul piano disciplinare. In questo senso, non è un caso che né la Legge ordinaria né il Codice deontologico abbiano esplicitamente escluso che il Direttore Sanitario sia contemporaneamente anche amministratore della società (giacché se avessero voluto farlo lo avrebbe scritto). L’attenzione si concentra invece sul concetto di autonomia che nella lingua italiana ha un significato preciso. Per esempio nel dizionario Treccani, con il termine autonomia si intende, tra le altre cose:
Inoltre il medico deve essere in possesso dei titoli previsti dall’ordinamento per l’esercizio della professione
ed essere adeguatamente supportato per le competenze relative ad entrambe le professioni di cui all’art. 1
in relazione alla presenza delle stesse nella struttura.
Con riferimento a enti e organi dotati d’indipendenza, il diritto di autodeterminarsi e amministrarsi liberamente nel quadro di un organismo più vasto, senza ingerenze altrui nella sfera di attività loro propria, sia pure sotto il controllo di organi che debbono garantire la legittimità dei loro atti.E’ del tutto evidente che il concetto di autonomia fa riferimento alla possibilità o meno che soggetti terzi (vd. “senza ingerenze altrui”) possano condizionare o limitare l’operatività del Direttore Sanitario, situazione che può verificarsi solo quando questi sia subalterno rispetto a poteri esercitati da altri, diversi da lui. In realtà è del tutto evidente che l‘autonomia assoluta, auspicata dalla comunità medica e dal Codice Deontologico, si possa raggiungere sono nei due casi in cui tale articolo si rende superfluo e cioè proprio i casi in cui il professionista opera al di fuori di una impresa sanitaria oppure quello in cui il ruolo di amministratore e quello di direttore sanitario sono incarnati dalla stessa persona. Quest’ultima configurazione dunque non solo è perfettamente compatibile con la volontà e le prescrizioni del Titolo XIII in commento, ma è l’unica perfettamente in grado di renderlo superfluo garantendone ipso facto l’attuazione. Una interpretazione limitativa del cumulo di ruoli (amministratore e direttore sanitario) nella stessa figura del medico sarebbe estremamente lesiva per l’autonomia del direttore sanitario che si vuole tutelare, obbligando quest’ultimo, quando proprietario della struttura odontoiatrica, a nominare necessariamente un amministratore esterno e quindi obbligandolo a realizzare proprio la condizione di rischio che si voleva scongiurare con l’articolo 69. Casomai, qualora il legislatore volesse tornare sul tema dell’autonomia, gli Ordini professionali dovrebbero auspicare un pronunciamento opposto: nel caso in cui la proprietà della struttura sanitaria fosse dell’odontoiatra o del medico (come è fisiologico che sia) dovrebbe essere espressamente previsto l’obbligo per costui di assumerne contemporaneamente sia l’amministrazione sia la direzione sanitaria. In questo modo si scongiurerebbe l’ipotesi che i due ruoli fossero separati e che, per effetto del potere del primo (laico) il secondo (medico) sia posto in una condizione di debolezza contrattuale ed operativa. Non solo, in questo modo andrebbe a ricostituirsi nella stessa persona il doppio ruolo che ogni professionista ricopre nell’esercizio della libera professione o nella gestione di uno studio professionale tradizionale. Marginalmente, per dovere di completezza, riportiamo anche la seconda parte dell’art. 69, che ha implicazioni meramente pratiche ed amministrative:
Il medico comunica tempestivamente all’Ordine di appartenenza il proprio incarico nonché l’eventualeL’ultima frase dell’articolo sembra colmare il vuoto lasciato dal DDL concorrenza circa gli incarichi multipli, che sembrava riguardare solo l’ambito odontoiatrico. Appare qui evidente l’impossibilità di assumere incarichi di Direzione Sanitaria per strutture diverse nello stesso tempo, tanto in ambito medico quanto in quello odontoiatrico, perchè ritenuti incompatibili con le attività d vigilanza attiva e continuativa.
rinuncia, collaborando con quello competente per territorio nei compiti di vigilanza sulla sicurezza e la
qualità di servizi erogati e sulla correttezza del materiale informativo, che deve riportare il suo nominativo.
Il medico che svolge funzioni di direzione sanitaria o responsabile di struttura non può assumere incarichi
plurimi, incompatibili con le funzioni di vigilanza attiva e continuativa.
Il medico non assume impegni professionali che comportino un eccesso di prestazioni tale da pregiudicareAnche in questo caso, come già nei due articoli precedenti, l’intenzione della norma è quella di impedire che la volontà terza degli amministratori si scontri con i limiti di potere del Direttore Sanitario. E anche in questo caso la norma diventa superflua solo quando Amministratore e Direttore sanitario coincidono nella stessa persona, giacché costui farebbe prevale gli interessi del paziente a quelli del bilancio.
la qualità della sua opera e la sicurezza della persona assistita.
Il medico deve esigere da parte della struttura in cui opera ogni garanzia affinché le modalità del suo
impegno e i requisiti degli ambienti di lavoro non incidano negativamente sulla qualità e la sicurezza del suo
lavoro e sull’equità delle prestazioni.
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