Le società odontoiatriche rientrano pienamente nel campo di applicazione della normativa sulla sicurezza sul lavoro. Ad esse si applica anche l’apparato sanzionatorio previsto dalla Legge n. 231 del 2001. Tuttavia, questa doppia esposizione a potenziali sanzioni può indurre preoccupazione solo nei soggetti apicali di quelle società che trascurano in misura abnorme gli adempimenti previsti o che si limitano ad una applicazione puramente apparente degli stessi. Anche le società tra professionisti sono pienamente incluse nell’ambito di applicazione del doppio apparato sanzionatorio, per cui non è rinvenibile nessuna sensibile differenza tra queste e le società di consulenza o gestione dell’ambulatorio.
Le società odontoiatriche, siano esse costituite nella forma di società ordinarie di gestione o consulenza come anche nella forma di società tra professionisti, sono sottoposte agli stessi obblighi normalmente previsti per qualunque datore di lavoro dalla normativa sulla sicurezza sul lavoro; in questo preciso ambito non dovrebbe rinvenirsi quindi nessuna rilevante differenza tra srl o sas odontoiatriche o srl-stp o srl-sas rispetto ad un normale studio odontoiatrico.
Tuttavia le cose non stanno affatto in questo modo.
Le società odontoiatriche pure (srl odontoiatrica in primis) sono infatti anche soggette alla Legge 231/01 di cui pure abbiamo parlato diffusamente in un articolo dedicato https://www.dentistamanager.it/legge-231-odontoiatria-privata/.
Questa Legge, che introduce la responsabilità amministrative per imprese ed enti, è stata ignorata per lungo tempo dalla Giurisprudenza; tuttavia, a partire dal 2010 è stata dalla Stessa riscoperta e applicata in un numero impressionante di sentenze. Col trascorrere del tempo, inoltre, il Legislatore ha provveduto ad ampliare l’elenco dei cosiddetti reati presupposto: tra questi, sono inclusi anche tutti gli adempimenti previsti dalla normativa della sicurezza sul lavoro (Legge n. 81 del 2008 e altre leggi collegate).
In sostanza, tutto ciò comporta che le imprese e gli enti possono rispondere per eventuali irregolarità con un doppio sistema sanzionatorio che colpisce sia le persone che sono responsabili di dette irregolarità sia le imprese o enti per interesse delle quali tali persone hanno agito. E potranno essere chiamate a rispondere ogniqualvolta l’evento dannoso possa avere cagionato un illecito vantaggio di natura economica in capo alle stesse.
Appare evidente il rischio aperto da questo apparato normativo, nel momento in cui i soggetti apicali delle società pongano in essere comportamenti tesi a risparmiare sui costi per adempimenti dovuti e/o per accrescere l’utile della società e la propria remunerazione per i servizi resi alle stesse.
La gran parte delle imprese odontoiatriche, peraltro, non raggiunge soglie dimensionali critiche tali da rendere applicabile il cd. Modello 231 e quindi non possono avvalersi di tale forma di manleva.
Ne deriva che tutto quello che conta è rinvenibile nelle prassi concretamente applicate da queste società, che devono essere necessariamente quelle più corrette sotto il profilo normativo.
Come accade anche in altri ambiti, la società odontoiatrica si ritrova assoggettata in teoria agli stessi adempimenti e controlli di uno studio ma nella pratica è come se quelle regole per la stessa fossero particolarmente cogenti.
Il tratto caratterizzante della normativa sulla sicurezza sul lavoro, che basa la propria impostazione sulla Legge 81/08, è quello di un approccio oggettivo e soggettivo alla prevenzione e alla riduzione/eliminazione dei rischi a difesa del lavoratore. Come è noto, tutti i soggetti deputati a garantire la sicurezza dei luoghi e delle condizioni di lavoro sono destinatari di una serie di obblighi la cui violazione, in caso di sinistro, fa sorgere un obbligo risarcitorio a loro carico.
In particolare, il datore di lavoro deve adottare tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, come previsto nell’art. 2087 del Codice Civile.
Tale principio generale è sviluppato e articolato da un apparato normativo (in primo luogo il TU 81/08) che definisce i concreti contenuti degli obblighi di comportamento, di controllo e sorveglianza, di verifica, di aggiornamento e così via, finalizzati a garantire la sicurezza dei e nei luoghi di lavoro.
Tutte le volte in cui, a causa del mancato rispetto di questa normativa, si producono danni alla persona del lavoratore o a terzi, questi potranno chiedere di essere risarciti ad opera del datore di lavoro mediante il pagamento di una somma di denaro commisurata all’entità della lesione subita.
Il danno può essere di due tipi, patrimoniale e non patrimoniale; e può avere anche implicazioni penali in caso l’evento dannoso abbia cagionato la morte o le lesioni personali del danneggiato (art. 589 e art. 590 del Codice Penale). Il datore di lavoro, per altro verso, può essere tenuto a pagare anche se, pur avendo adottato tutte le misure di sicurezza esplicitamente previste dalla Legge, non abbia provveduto ad aggiornarle, adattarle e se del caso integrarle con altri accorgimenti di sicurezza, avuto riguardo alle concrete circostanze ambientali, organizzative e produttive (Cass., 7 giugno 2013, n. 14468).
La normativa sulla sicurezza è poi corredata da uno specifico apparato sanzionatorio. A seconda della gravità delle violazioni riscontrate, sono previste due fattispecie di sanzioni: di tipo amministrativo e penale.
Quanto alle prime, valga a dare una idea la seguente tabella in cui sono presentate le principali sanzioni previste per le principali violazioni di minore entità:
Nel caso di violazioni di entità più grave, può essere disposta anche la sospensione dell’attività e altre misure utili a rimuovere le cause del pericolo per la sicurezza dei lavoratori.
In caso di mancata ottemperanza agli adempimenti utili a rimuovere le cause che hanno comportato il provvedimento di sospensione, può essere disposta la misura dell’arresto del datore di lavoro e/o la confisca dei beni destinati a commettere la violazione.
Nei casi in cui le irregolarità integrino fattispecie di reato, le sanzioni sono ovviamente di natura penale e si sostanziano in contravvenzioni, ammende e l’arresto.
La legge 231/2001 ha introdotto nell’ordinamento giuridico il nuovo articolo 25 septies :
Art. 25-septies – Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro
In relazione al delitto di cui all’articolo 589 del codice penale, commesso con violazione dell’articolo 55, comma 2, del decreto legislativo attuativo della delega di cui alla legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura pari a 1.000 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno. Salvo quanto previsto dal comma 1, in relazione al delitto di cui all’articolo 589 del codice penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non inferiore a 250 quote e non superiore a 500 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno. In relazione al delitto di cui all’articolo 590, terzo comma, del codice penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non superiore a 250 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all’articolo 9, comma 2, per una durata non superiore a sei mesi.
E’ ampiamente noto come il D.Lgsvo 231/2001 disciplini la responsabilità amministrativa degli enti nel caso di commissione dei cosiddetti “reati presupposto” individuati nel Capo I, Sezione III del suddetto decreto.
Tuttavia, i reati presupposto in materia antinfortunistica previsti dall’art. 25 septies della Legge 231/01, come sostituito dall’art. 300 del D.Lgsvo n. 81/2008, presentano un evidente carattere di unicità.
Non è mancato in Dottrina chi ha fatto osservare che includere reati di natura tipicamente colposa (quali quelli di omicidio e lesioni personali previsti dagli art. 589 e 590 del codice penale) in quelli che appartengono al novero dei reati presupposto ex Legge 231/01, costituisce una forzatura non da poco. In questi ultimi, infatti, rileva la volontarietà al fine di procurare all’impresa o all’Ente un vantaggio ingiusto.
Resta il fatto che la Giurisprudenza ha confermato a più riprese la compatibilità dei concetti di interesse e vantaggio in rapporto ai delitti colposi di cui all’art. 25 septies e ha pronunciato diverse sentenze di condanna dell’Ente in tutti quei casi in cui sia stata determinata la responsabilità in ordine ai presupposti della Legge 231/01.
Sotto il profilo pratico nell’ambito odontoiatrico questa conclusione va tuttavia meglio articolata: non vi è dubbio che in linea teorica la società odontoiatrica possa essere chiamata a rispondere anche attraverso l’apparato sanzionatorio della Legge 231/01 nei casi in cui la mancata adozione di strumenti e condotte antinfortunistiche abbiano comportato danni di importante gravità ai lavoratori o ai terzi. Il che conferma il punto da cui siamo partiti, e cioè quello per il quale la società, almeno nei casi più gravi, risponde in misura maggiore di quanto capiti ad uno studio professionale, a parità di condizioni. E tale possibilità potrebbe persino essere molto concreta nel caso in cui sia mancata l’adozione del Modello 231, come nel caso della stragrande maggioranza delle società odontoiatriche stesse.
Tuttavia si deve tenere conto del fatto che le sanzioni previste dall’art. 25 septies si applicano solo nei casi previsti dall’art. 13, ovvero:
Tali sanzioni non sono dunque applicabili laddove l’autore del reato abbia commesso il fatto nel prevalente interesse proprio o di terzi e l’ente non ne abbia ricavato vantaggio o ne abbia ricavato un vantaggio minimo e il danno patrimoniale cagionato sia di particolare tenuità.
Ne deriva che l’ipotesi che una società odontoiatrica possa essere tenuta a rispondere sotto un doppio profilo sanzionatorio è confinata a quei casi estremi in cui siano presenti importanti carenze organizzative e sia stato praticamente trascurato il profilo della sicurezza o messo in opera con un rispetto puramente apparente degli adempimenti previsti dalla normativa.
Tale ipotesi, a parte altre considerazioni, dovrebbe essere evitata anche in funzione dell’apparato sanzionatorio previsto dalla 231/01 che è appena il caso di menzionare.
Per quanto concerne le sanzioni interdittive, l’art. 9 del D. Lgsvo 231/2001 le determina nella seguenti:
Pare abbastanza evidente il motivo per il quale le società odontoiatriche debbano porre una particolare attenzione a rispettare le norme sulle sicurezza del lavoro. Trascurare in misura sensibile i relativi adempimenti potrebbe richiedere un prezzo davvero alto e una chiusura definitiva dell’attività.
In prima approssimazione si potrebbe ritenere che le società tra professionisti dovrebbero essere considerate al di fuori del campo di applicazione della 231/01 e che quindi l’apparato sanzionatorio ad essi applicabile sia solo e semplicemente quello previsto dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008.
A questa conclusione dovrebbe condurci l’analisi della natura giuridica della società tra professionisti e in particolare la sua sostanziale assimilazione ad una forma di associazione professionale, diversa dall’impresa e sia pure evoluta rispetto alle forme tradizionali di associazionismo.
Se questa conclusione potesse ritenersi fondata avremmo finalmente trovato un elemento per il quale preferire la società tra professionisti alle altre forme societarie, compresa la srl odontoiatrica.
Tuttavia, la Giurisprudenza recente è di tutt’altro avviso. In particolare, in diverse sentenze (ex pluribus , Cass. pen., Sez. VI, n. 18941/2004, Cass. pen., Sez. VI, n. 49056/2017, Cass. pen., Sez. VI, n. 49056/2017 ) la Cassazione ha fatto osservare che nel campo di applicazione della Legge in parola rientrano non solo le imprese ma anche gli enti, il che fa supporre un ben più esteso campo di applicazione della legge stessa, ricomprendendo al suo interno persino le associazioni non riconosciute e quindi persino quelle professionali.
In applicazione di questo principio, l’apparato sanzionatorio previsto dalla Legge 231/01 è stato applicato persino a studi associati e a società di avvocati. Non pare quindi in discussione il fatto che anche la società tra professionisti rientri in pieno nell’ambito applicativo della Legge 231/01 e che quindi nessuna sostanziale differenza in questo senso possa essere segnata rispetto a tutte le altre forme di società odontoiatrica.
Gli unici casi che possiamo pacificamente escludere dal campo di applicazione della norma sono quelli dell’impresa individuale e dello studio mono-professionale, perchè esattamente in questi termini si è espressa la stessa Corte di Cassazione.
Le società odontoiatriche, in qualsiasi forma siano costituite, sono tutte pienamente ricomprese nell’ambito di applicazione della Legge 231/01. Il che sostanzialmente comporta che, in ambito sicurezza sul lavoro, le stesse sono potenzialmente soggette sia all’applicazione dell’apparato sanzionatorio previsto dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008 che di quello della Legge n. 231/01.
Nella sostanza, tale doppio apparato sanzionatorio potrà tuttavia entrare in gioco solo nel caso in cui la società abbia platealmente ignorato o abbia semplicemente finto di applicare il complesso di strumenti e adempimenti imposti dalla normativa antinfortunistica. Circostanza che appare alquanto difficile da realizzarsi, considerato che l’adozione della forma societaria normalmente prelude ad una riorganizzazione interna della struttura odontoiatrica che dovrebbe tendere – salvo poche e sciagurate eccezioni – a rafforzare anziché ad indebolire – l’apparato organizzativo e procedurale in senso generale e quindi anche nell’ambito più specifico della sicurezza sul lavoro.
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