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9 Luglio 2023Impresa familiare e società: notevoli differenze in merito alla partecipazione dei familiari al lavoro e agli utili
I rapporti di collaborazione dei familiari sono declinabili in misura diversa nel caso dell’impresa familiare e della società a responsabilità limitata. Anche in questo caso la srl si rileva come il veicolo più adatto a permettere la collaborazione e la divisione dell’utile tra i membri del gruppo familiare del dentista in tutti i casi possibili e anche quando tali familiari non operano all’interno della società in qualità di lavoratori.
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I rapporti di collaborazione dei familiari sono declinabili in misura diversa nel caso dell'impresa familiare e della società a responsabilità limitata. Anche in questo caso la srl si rileva come il veicolo più adatto a permettere la collaborazione e la divisione dell'utile tra i membri del gruppo familiare del dentista in tutti i casi possibili e anche quando tali familiari non operano all'interno della società in qualità di lavoratori.
E la principale differenza è individuabile nella possibilità di far partecipare al lavoro e alla ripartizione del reddito i familiari anche in via residuale, possibilità quest’ultima che solo la società consente di realizzare.
L’imprenditore individuale che vede partecipare i propri familiari al lavoro dell’impresa, esattamente come il professionista che vede collaborare propri familiari nel proprio studio, non possono infatti instaurare con essi un contratto di lavoro dipendente. E questa costituisce già una prima e importante differenza rispetto a quanto è possibile fare in una società e in particolare in quella società di capitali cui noi siamo non solo affettivamente legati: e cioè la srl.
Un dentista che operasse tramite una srl potrebbe benissimo assumere un familiare in qualità di dipendente.
E potrebbe, come in altra sede già rilevato, persino attribuire a quel dipendente la qualifica di amministratore, a determinate condizioni. E cioè a patto che non sia un socio di maggioranza, che non sia l’amministratore unico e che, nel caso sia un componente di un consiglio di amministrazione, non abbia deleghe illimitate.
Naturalmente per evitare censure da parte dell’Ispettorato del Lavoro, quel familiare dovrà poi comportarsi come un lavoratore dipendente e cioè rispettare il potere gerarchico dell’imprenditore e rispettare tutte le regole del rapporto di lavoro (presenze, permessi, etc.).
Ancora, il citato familiare potrebbe anche partecipare in qualità di socio e quindi guadagnarsi il diritto a percepire dividendi (ipotesi del tutto teorica ai nostri fini, ma tant’è); potrebbe percepirli persino in misura non proporzionale alle quote (agendo in modalità opportuna sullo statuto societario); potrebbe essere anche o solo un amministratore e percepire compensi ordinari e differiti, rimborsi spese e a determinate condizioni persino benefit ex art. 51 TUIR.
E, infine, se fosse anche un professionista protetto in ambito sanitario, potrebbe anche percepire compensi per collaborazione professionale.
In ultima analisi, la società permette quindi di remunerare a vario titolo un socio familiare in ogni caso; e cioè sia quando la sua attività lavorativa all’interno della società fosse continuativa e prevalente, come anche quando fosse del tutto residuale.
Per completezza, dobbiamo persino aggiungere che tale socio familiare potrebbe in teoria persino percepire redditi in totale assenza di qualunque apporto lavorativo (come nel caso in cui agisse in qualità di socio di puro investimento).
Tale abnorme versatilità della srl si traduce nella possibilità di dividere il reddito prodotto dal titolare dentista su più teste appartenenti al suo nucleo familiare, con evidenti e positivi risvolti sotto il profilo della pressione fiscale cui è sottoposto lo stesso reddito. Prima della trasformazione in srl, l’intero reddito veniva tassato al aliquota marginale IRPEF + addizionali. Dopo la trasformazione in srl, lo stesso reddito verrebbe suddiviso in più parti e il gioco dell’aliquota marginale farebbe il resto. Quest’ultima infatti punisce in misura più che proporzionale i redditi alti e premia quelli più bassi. Ne deriva che lo stesso reddito diviso su più persone comporta una imposta in valore assoluto più bassa rispetto al caso di quello stesso reddito concentrato in una sola persona.
Spesso i titolari di impresa individuale – cosa ben diversa dalla attività individuale del professionista – cercano di arrivare agli stessi obiettivi costituendo presso un Notaio una impresa familiare. Anche in questo caso è possibile attuare una ripartizione del reddito su più teste (nel limite del 49% di quel reddito).
Tuttavia, la differenza con il caso società è assai sensibile. Vediamo di comprenderne i motivi.
Intanto esiste una differenza sostanziale tra la normativa civilistica dell’impresa familiare (che si costituisce anche per fini fiscali, ma non solo per motivi fiscali) e quella – ben diversa – dettata per il suo regime fiscale all’interno del Testo Unico Imposte sui redditi.
Esaminiamo la prima:
Art. 230 bis, comma 1, cod. civ.“Salvo che sia configurabile un diverso rapporto [2094,2251], il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato[36 Cost]. Le decisioni concernenti l’impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all’impresa stessa. I familiari partecipanti all’impresa che non hanno la piena capacità di agire sono rappresentati nel voto da chi esercita la potestà su di essi [316]”.
Si noti il “campo largo” dettato dalla normativa civilistica: si parla di attività in modo continuativo prestata nell’impresa familiare o nella famiglia. Appare evidente che anche il lavoro di una familiare casalinga rientra a pieno titolo nella partecipazione agli utili dell’impresa, sia pur in proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato.
Peccato che la formulazione prevista nel TUIR sia ben più restrittiva:
D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (“Testo unico delle imposte sui redditi o TUIR.”):Art. 5, comma 4 e 5 [Redditi in forma associata]Comma 4. I redditi delle imprese familiari di cui all’articolo 230-bis del codice civile, limitatamente al 49 per cento dell’ammontare risultante dalla dichiarazione dei redditi dell’imprenditore, sono imputati a ciascun familiare, che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la sua attività di lavoro nell’impresa, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili. La presente disposizione si applica a condizione:a) che i familiari partecipanti all’impresa risultino nominativamente, con l’indicazione del rapporto di parentela o di affinità con l’imprenditore, da atto pubblico o da scrittura privata autenticata anteriore all’inizio del periodo di imposta, recante la sottoscrizione dell’imprenditore e dei familiari partecipanti;b) che la dichiarazione dei redditi dell’imprenditore rechi l’indicazione delle quote di partecipazione agli utili spettanti ai familiari e l’attestazione che le quote stesse sono proporzionate alla qualità e quantità del lavoro effettivamente prestato nell’impresa, in modo continuativo e prevalente nel periodo di imposta;c) che ciascun familiare attesti, nella propria dichiarazione dei redditi, di aver prestato la sua attività di lavoro nell’impresa in modo continuativo e prevalente.Comma 5. Si intendono per familiari, ai fini delle imposte sui redditi, il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado”.
Sotto il profilo fiscale, che è quello che più interessa ai nostri fini, le regole dettate dal Legislatore sono evidentemente più stringenti di quelle dettate dalla normativa civilistica. Intanto non si parla più solo di continuità ma anche di prevalenza della prestazione lavorativa. E si specifica che tale attività deve essere prestata all’interno dell’impresa e non più dell’impresa e della famiglia.
La Suprema Corte (Cass. 24/11/2022, nn. 34699 e 34702, e Cass. 25/11/2022, n. 34837) ha poi specificato il senso che deve essere attribuito al concetto di prevalenza:
“In tema di imposte sui redditi, ai fini dell’applicabilità del regime fiscale dell’impresa familiare, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, commi 4 e 5, è richiesto, tra l’altro, che il lavoro prestato dal collaboratore all’interno dell’impresa familiare sia prevalente rispetto alle altre attività eventualmente svolte”.
Ne deriva che la soluzione dell’impresa familiare può essere perseguita solo in quei casi in cui i familiari prestino effettivamente e continuativamente la propria opera lavorativa all’interno della società e quando tale attività risulti prevalente rispetto a qualunque altra attività lavorativa esercitata altrove.
Si tratta, come è facile comprendere, di condizioni ben più restrittive di quelle dettate per la srl e che poco si adattano alla soluzione del problema della ripartizione del reddito su più teste a quelle situazioni in cui i familiari non lavorano o non lavorano in via residuale all’interno dell’impresa. Situazioni che sono anche quelle che ricorrono con maggiore frequenza e che con la srl possono essere invece affrontate e risolte con relativa serenità.
Pietro Paolo Mastinu
Classe 1964. E' laureato con lode in Economia e Commercio e si è perfezionato in Discipline Bancarie e Finanziarie. Fondatore e Presidente di ANTAMOP (Associazione Nazionale Soci e Titolari Ambulatori Odontoiatrici e Polispecialistici), che federa e tutela gli ambulatori singoli, non appartenenti a grandi gruppi economici. Da anni collabora in esclusiva con Dentista Manager, si dedica alla consulenza extraclinica per gli studi dentistici e svolge una incessante attività di formazione.
