Come superare il problema della deduzione del relativo costo dal reddito del professionista L’immobile strumentale ove collocare lo studio o l’ambulatorio odontoiatrico presenta una serie di […]
L’immobile strumentale ove collocare lo studio o l’ambulatorio odontoiatrico presenta una serie di profili fiscali, urbanistici, patrimoniali e dipendenti dalla regolamentazione sanitaria in vigore nello specifico contesto territoriale, che è il caso di conoscere a fondo prima di intraprendere iniziative che potrebbero rivelarsi sbagliate.
Intanto, per quanto riguarda l’immobile adibito a studio, va sottolineato che per il professionista – quando lo stesso è di Sua proprietà – non è deducibile dalle imposte sul reddito, sotto forma di quote di ammortamento, quando è interamente strumentale, per natura o per destinazione (immobile abitativo), se è stato acquistato dopo il 2010 o se non forma oggetto di un contratto di leasing immobiliare.
Lo è – pro-quota – solo se è ad uso promiscuo e la percentuale dell’immobile adibito a studio deve essere prevalente (non tanto sotto il profilo fiscale quanto sotto quello catastale ed urbanistico).
Chi invece stipula un leasing immobiliare con una durata abbastanza lunga può dedurre interamente i canoni di leasing.
Si tratta tuttavia di una forma di finanziamento cui non tutti possono agevolmente accedere e che prevede tempi di istruttoria molto lunghi rispetto ad un mutuo.
Un’altra questione importante è quella della categoria catastale e urbanistica che tali studi devono avere.
E qui abbiamo una casistica ampia e variegata: infatti, se esistono Regioni – quali ad esempio la Sicilia – che ammettono lo studio in locali ad uso abitativo, quasi tutte le altre obbligano ad avere l’A/10 o al massimo il C/1. Anche perché, qualora la norma non venga derogata dalla normativa regionale come nel caso della Sicilia, esiste una Legge – il DL 78/2010 – che impone, nella richiesta di registrazione dei contratti di locazione, che vengano citati i dati catastali in mancanza dei quali viene erogata una sanzione dal 120% al 240% dell’imposta di registro. Questa norma poi vieta di locare come uffici o studi unità immobiliari accatastate come abitazioni e viceversa.
Ne deriva che – in mancanza di esplicita e contraria norma regionale o comunale – l’unico modo di utilizzare un abitativo come strumentale resta il comodato gratuito – o l’utilizzo diretto dello stesso suo immobile – da parte del professionista.
Il C/1 sarebbe anche conveniente rispetto all’A/10, sia sotto il profilo delle imposte indirette (tributi locali ed IMU) che sotto quello dei redditi da locazione, che sono stati ammessi di recente – Legge Bilancio 2019 – al beneficio della cedolare secca (si paga il 21% flat il luogo dell’IRPEF marginale e si risolve la pratica), anche se tale beneficio non è stato poi prorogato.
Ma è difficile che le Regioni e soprattutto i comuni ammettano questa categoria catastale per gli studi e in qualche caso persino per gli ambulatori.
Ovviamente, A/10 e C/1 convengono meno rispetto alle categorie catastali abitative, sotto ogni profilo: peccato che ben raramente sono adatti all’utilizzo professionale, per le ragioni già esposte.
A complicare il quadro, infatti, ci si mettono proprio i Comuni, i quali possono derogare alla normativa regionale, imponendo per gli studi, attraverso il proprio piano regolatore e regolamento edilizio, di modificare la categoria catastale dello studio da abitativo a strumentale, con il pagamento contestuale di esosa gabella. Cosa che fanno molto spesso, anche per fare cassa.
Il problema nasce in particolare per quegli studi che non presentano domanda per l’autorizzazione all’esercizio, ma si limitano a presentare una autocertificazione alla locale Asl di piena rispondenza ai requisiti minimi (studi cosiddetti “non invasivi” e cioè studi che dichiarano di non effettuare procedure chirurgiche e diagnostiche invasive o che possano mettere a rischio il paziente).
Magari non subito, ma nel corso del tempo, quando i Comuni effettuano le verifiche e inviano le cartelle per il pagamento della differenza rispetto ai tributi locali, come sta accadendo ora nel Lazio, possono nascere problemi di non poco conto, sia dal punto di vista delle cartelle per tutto il pregresso con interessi e sanzioni spesso salatissimi che per i problemi che possono nascere nel cambio destinazione d’uso. Mentre nel caso degli studi con autorizzazione il problema si pone subito all’atto della presentazione della domanda, che se la categoria catastale non è quella giusta, viene subito rigettata.
È chiaro che se questo è il quadro, è inutile in questa sede soffermarsi su questi particolari, che cambiano da Regione a Regione e persino da Comune a Comune. Andrà vista la situazione del singolo dentista in consulenza e studiate le opportune soluzioni su misura.
Quello che è certo è che, con condotte non sempre illuminate dalle giuste valutazioni anche di medio termine, i dentisti proprietari dell’immobile strumentale per natura o per destinazione (abitativi), al fine di ovviare a queste problematiche di tipo urbanistico/fiscale nel secondo caso o di tipo fiscale nel primo, optano per un utilizzo gratuito o diretto dello stesso.
In questo modo, almeno evitano di pagare imposte sul reddito sui proventi della locazione.
Ma nel fare questo, ovviamente, si privano di una serie di vantaggi importanti e in particolare: 1) non riescono ad evitare la confusione del patrimonio professionale con quello personale, esponendosi ad azioni sullo stesso patrimonio da parte di terzi, siano essi pazienti come anche – e soprattutto – creditori vari; 2) non mettono concretamente a frutto il proprio immobile strumentale, allo scopo di evitare che i relativi proventi rientrino nella imposizione sul reddito e innalzino la relativa aliquota marginale cui sono altrimenti sottoposti, con il correlato esborso aggiuntivo in termini di tassazione sul reddito; 3) non riescono comunque mai – se hanno comprato in qualità di professionisti – a sfuggire alle plusvalenze su una eventuale futura cessione dell’immobile, attuata una volta cessata l’attività, perché al professionista, a partire dal 2007, non è permesso quello che è concesso ad altri ( esenzione dalla plusvalenza trascorsi cinque anni dall’acquisto ).
È per questo motivo che alcuni optano per far acquistare l’immobile ad altri membri del nucleo familiare ab origine, in modo che i relativi redditi da locazione vadano a confluire su un imponibile meno alto rispetto al loro, già gravato dai proventi della professione.
L’operazione funziona meglio se si tratta di acquisto originario.
Infatti, una cessione successiva all’acquisto comporta il pagamento di imposte indirette che, nel caso dello strumentale per natura, possono andare dal 10% al 26% del valore venale dell’immobile (26% se c’è anche l’iva ed è subito il caso di dire che un professionista non dovrebbe MAI acquistare un immobile strumentale con IVA, perché non la scaricherà praticamente mai: acquistare immobili strumentali per natura in esenzione iva è operazione possibilissima, anche se ancora capita di vedere errori di questo genere da parte di alcuni professionisti, magari perché mal consigliati ), mentre nel caso dell’abitativo variano su aliquote molto più variegate e sempre calcolate sul valore catastale.
Quello che è certo è che un immobile abitativo non potrà mai diventare uno strumentale per un ambulatorio e anche questa minus va considerata nel calcolo di convenienza, in quanto la soluzione ambulatorio permette al professionista di conseguire notevoli vantaggi sotto il profilo fiscale, successorio e patrimoniale, quando lo stesso supera un certo livello di imponibile. Scegliere quindi un abitativo come sede del proprio studio può essere accettabile solo se si sa già che in caso di trasformazione della forma di esercizio dell’attività si è pronti a cambiare locale.
Più in generale, le operazioni di re-intestazione successiva all’acquisto originario dell’immobile non trovano convenienza economica in tutti i casi in cui l’immobile non è deducibile attraverso le quote di ammortamento, cosa che capita per tutti quelli acquistati dopo il 2010: l’esborso iniziale in termini di imposte indirette, infatti, non potrà mai permettere un recupero successivo, neanche in tempi lunghi.
L’unica eccezione potrebbe essere rappresentata dal caso di un C/1 affittato dal coniuge al professionista con la cedolare secca, ma occorrono comunque molti anni per recuperare – sia pur indirettamente – l’esborso iniziale, per cui in qualche modo ritorniamo al caso precedente.
Una soluzione molto più indicata può essere invece quella di far acquistare lo stesso immobile per il tramite di una società o di re-intestarlo ad una società.
Per quest’ultima, infatti, si rileva subito una fondamentale differenza rispetto al caso precedente: l’immobile strumentale è direttamente e sempre deducibile (in 33 anni, per l’esattezza) dal reddito di quest’ultima.
Tale società – se vediamo il caso dell’esercizio tramite la srl odontoiatrica di gestione dell’ambulatorio e non più dello studio – non deve essere la stessa che gestisce l’attività sanitaria ma un’altra società: questo perché l’immobile, se conferito alla società che gestisce l’attività, entra a far parte del suo patrimonio e quindi diventa nuovamente attaccabile dai creditori.
La società operativa – srl di gestione dell’ambulatorio – potrebbe comunque e almeno farselo affittare – se non da quest’altra società – dal professionista e dedurre comunque i canoni di locazione; ma se non parliamo di un C/1 e di cedolare secca, o quell’immobile è intestato ad altro membro del nucleo familiare, oppure torniamo al punto di partenza: va ad aumentare i redditi del professionista, con tutte le conseguenze del caso.
Siamo quindi arrivati a definire un ventaglio di soluzioni per lo studio e per l’ambulatorio e ci siamo arrivati cercando di quadrare allo stesso tempo più obiettivi: contenimento della tassazione, tutela del patrimonio del professionista e più facile pianificazione successoria, soprattutto se gli eredi non seguono le orme del genitore/coniuge.
Nel primo caso, potremmo avere una società di mezzi.
Una società cioè che si limita a servire l’attività del professionista, che resta titolare dell’attività e dell’autorizzazione ad operarvi – e che si intesta l’immobile, lo attrezza per l’attività e lo affitta al professionista.
Questa soluzione va attuata con tutte le cautele del caso per evitare la norma antielusione e cioè non deve avere come unica attività quella di affittare l’immobile al professionista.
Oppure potremo avere una società immobiliare (una srl o una snc), che andrà a gestire tutto il patrimonio immobiliare del nucleo familiare del professionista, con soci tutti i membri del nucleo familiare; e che andrà ad affittare l’immobile strumentale – facente parte del proprio patrimonio immobiliare – al professionista stesso, che a sua volta potrà dedurre dal proprio reddito i relativi canoni.
Il reddito della società immobiliare – o di mezzi – , decurtato dal peso degli ammortamenti, andrà poi splittato su più teste (nel caso della snc) e più basse aliquote marginali rispetto a quella che avrebbe il professionista ricevendo personalmente l’intero importo della locazione, oppure verrà tassato con IRES al 24% (o per trasparenza e cioè in modo simile a quanto capita nella snc di cui sopra, con l’utile della società diviso tra i soci in proporzione alle quote sociali e relativo contenimento delle imposte rispetto alla situazione ex ante).
In un modo o nell’altro, si sarà comunque ottenuto di assoggettare i redditi di locazione ad una tassazione più bassa rispetto a quella della persona fisica e del professionista senza l’intermediazione della società veicolo; e – cosa più importante – si sarà anche separato nettamente il patrimonio personale da quello professionale, in quanto l’immobile non è più del professionista e non potrà quindi mai divenire oggetto di attacchi personali da parte dei pazienti e creditori dell’attività.
Ai propri eredi poi si potrà lasciare le quote di una società e non l’immobile, con tutta una serie di effetti positivi che non è qui il caso di indagare perché ci porterebbe troppo lontano.
Lo stesso meccanismo può trovare attuazione esercitando l’attività non con uno studio, ma con un ambulatorio gestito da una srl, e allora avremo individuato un’altra configurazione possibile ma con esiti abbastanza simili.
La società immobiliare si intesta l’immobile e lo affitta alla srl odontoiatrica.
Anche in questo caso, se l’acquisto originario non è avvenuto attraverso la società immobiliare, un successivo conferimento comporterà un ulteriore onere di cui sopra per le imposte indirette. Ma questa volta la società potrà portare in deduzione questi oneri in aggiunta al costo dell’acquisto e quindi recuperarli in un tempo lungo (in 33 anni), attraverso il meccanismo dell’ammortamento immobiliare.
È evidente che per poter valutare una opzione come questa, si deve avere un periodo di lavoro molto lungo ancora da effettuare (dal professionista o dai suoi figli).
Quando si utilizzano società, ci si può poi avvalere della possibilità di estromettere l’immobile dal patrimonio della società per riportarlo in quello del professionista a condizioni agevolate (il che è possibile nell’ambito di operazioni di pianificazione fiscale pre-determinate quando si aprono delle finestre ad hoc che periodicamente vengono aperte dal Legislatore Tributario) o di cedere l’immobile stesso in esenzione di imposta di plusvalenza (trascorsi cinque anni dall’acquisto ), cose che il professionista non può fare, come ben illustrato in apertura di quest’articolo.
Non esiste quindi una soluzione valida per tutti, ma occorre una valutazione complessiva della situazione del professionista, che richiede una conoscenza approfondita della normativa nazionale e locale, sia sotto il profilo fiscale che da quello sanitario ed urbanistico.
Resta comunque importante sottolineare che tali strumenti servono a permettere per via indiretta la deduzione dell’immobile al professionista, deduzione che nel regime classico non gli è concessa per gli immobili acquistati dopo il 2010 (eccettuato il caso del leasing, naturalmente). E dedurre l’immobile non è questione di poco conto quando la si va a considerare nell’ambito della tassazione del reddito che normalmente subisce il professionista.
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