Il Dentista può vendere la clientela del proprio studio? In altre parole, può vendere i propri pazienti? I pazienti possono essere oggetto di una legittima transazione […]
Il Dentista può vendere la clientela del proprio studio? In altre parole, può vendere i propri pazienti? I pazienti possono essere oggetto di una legittima transazione economica tra un professionista che vende ed un altro che compra?
Ho più volte accennato in questo blog alla opportunità o necessità per i dentisti di vendere il proprio studio o di cederlo a qualsiasi titolo sapendo con buona approssimazione anche quanto vale: cessazione dell’attività, speculazione pura, passaggio generazionale, subentro, associazione, trasformazione in srl, conferimento, ecc…
Ebbene, parlando di compravendita di uno studio abbiamo anche fatto ampio riferimento ai beni in esso contenuti, ovvero gli asset che ne costituiscono il valore di acquisto (o di vendita). Mentre l’idea di vendere l’immobile oppure le attrezzature appare immediatamente logica a tutti, quella degli asset intangibili e, men che meno, quella di vendere la clientela, appare indigesta a molti.
Può infatti sembrare che vendere la clientela (ovvero i pazienti) costituisca una attività illecita sotto il profilo morale o deontologico, o addirittura illegale sotto quello giuridico, ma le cose stanno diversamente, si tratta solo di essere un po’ meno bacchettoni di quanto siamo abituati a fare tutti i giorni (me compreso). Pensate che esistono teorizzazioni evolute sul valore dei pazienti, che si esprimono attraverso il Life Time Value di provenienza anglosassone.
Ci sono tre passaggi mentali e culturali da compiere ed ai quali il dentista comune è poco propenso.
Il primo passaggio è quello che equipara il professionista ad una impresa. L’ Art. 2238 c.c., per esempio, prevede che “se l’esercizio della professione costituisce elemento di una attività organizzata in forma di impresa, si applicano anche le disposizioni del titolo II”, rinviando pertanto alle norme sulla disciplina dell’imprenditore (Artt. 2082 del c.c. e segg.). Il legislatore ha da tempo provveduto ad inquadrare anche l’attività odontoiatrica in una cornice costituita da:
Pensare oggi che la professione non sia equiparata ad una impresa vera e propria può significare solo tre cose: essere stupidi, essere in cattiva fede oppure essere entrambe le cose contemporaneamente.
Il secondo passaggio è quello che consente la materializzazione del concetto di clientela professionale trasformandolo in un valore che costituisce sia reddito per il dentista sia possibile oggetto di compravendita. In questo caso il riferimento giuridico più esplicito è rappresentato dalla Sentenza n. 2860 del 9/2/2010 della Corte di Cassazione che afferma: “E’ lecitamente e validamente stipulato il contratto di trasferimento a titolo oneroso di uno studio professionale, comprensivo non solo di elementi materiali e arredi, ma anche della clientela“.
Il terzo passaggio, fondamentale per un medico, è verificare che le disposizioni di legge non siano in contrasto con il codice deontologico di riferimento. In questo caso possiamo dire che le disposizioni deontologiche non fanno alcun esplicito riferimento alla cessione di uno studio professionale e della relativa clientela ma solo ad atti di concorrenza sleale o illecita. Si evince pertanto che l’operazione di trasferimento, realizzata sulla base di un regolare contratto di cessione dello studio, non costituisce un atto di concorrenza sleale in quanto chiaramente legittimata dal Decreto Bersani e dalla Sentenza della Cassazione sopra citata.
Naturalmente il contratto di compravendita, nella maggior parte dei casi, riguarda un oggetto di compravendita più ampio della sola clientela. Solitamente si tratta di un contratto di compravendita dello Studio professionale nel suo insieme, all’interno del quale la Clientela rappresenta un asset da valorizzare e trasferire. Per questo motivo, nei limiti consentiti dalla legge, è bene che il contratto preveda esplicitamente il trasferimento di questo asset.
In che modo è possibile farlo?
Ebbene, la stessa sentenza della Corte di Cassazione n. 2860 del 9.2.2010, precisa che vendere clientela, ovvero la sua cessione, non è configurabile in senso tecnico stretto (non si possono vendere le persone … !) ma in termini di un complessivo impegno da parte del cedente volto a favorire la prosecuzione del rapporto professionale tra i vecchi clienti ed il soggetto subentrante.
Tale impegno si concretizza in un vero e proprio contratto tra le parti nei quali il venditore si assume un duplice impegno:
In questo senso la cessione di clientela si configura come una prestazione di servizi resa da un professionista ad un altro professionista e come tale il corrispettivo pagato genera un imponibile soggetto ad iva ed è soggetto ad imposte dirette.
A questo punto possiamo richiamare anche l’Art. 1322 del C.c. ed il cosiddetto principio di Autonomia contrattuale, nel quale si sancisce che:
Chiarito che vendere la clientela di uno studio dentistico (o medico in genere) è lecito e legittimo, detto anche che l’istituto del Contratto privato di compravendita è ampiamente idoneo a comprendere tale oggetto, rimangono da fare alcune considerazioni di opportunità che espongo di seguito:
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