“Fare il dentista è una impresa” titolava il compianto Franco Tosco. Ma il dentista ignora che trasformare il proprio studio in una vera e propria impresa comporta anche alcuni vantaggi che nella forma tradizionale di studio professionale non si possono cogliere. In questo articolo parliamo di uno di questi e forse il meno noto: la possibilità di prendere parte ad una rete di imprese odontoiatriche.
Una rete di imprese non è un consorzio e non ha nulla a che vedere con altre iniziative di cooperazione che nel passato possono aver avuto più o meno fortuna.
Si tratta in realtà di un modello del tutto nuovo, voluto ed incoraggiato dall’Unione Europea, capace di orientare le piccole e medie imprese attraverso la variegata foresta delle norme regionali, nazionali e comunitarie.
Da quando le fonti normative hanno permesso questa nuova forma giuridica, ben 4.722 contratti di rete di imprese sono stati già stipulati con 29.422 imprese coinvolte (dati aggiornati al 3 giugno 2018).
Un po’ troppi per liquidare la faccenda con un’alzata di spalle.
La prima cosa da dire è che il contratto di rete di imprese si fa … tra imprese. Quindi, in ambito sanitario, si costituisce tra ambulatori, laboratori d’analisi, presidi sanitari e case di cura. Si fa tra srl, stp, sas, spa, etc.
Ancora una volta, è una misura per le imprese e non per il professionista. Piccole e medie, ma imprese. E anche se ultimamente la rete di imprese è stata estesa anche ai professionisti, questa espleta tutte la propria valenza solo per le imprese.
Nessuna rete di imprese esistente accetterebbe mai professionisti non imprenditori al proprio interno. E quindi tali reti di impresa dovrebbero nascere autonomamente ex novo ed aggregare solo studi professionali; ma in questo caso potrebbero avvantaggiarsi da tale aggregazione solo in misura parziale rispetto al caso in cui ad aggregarsi fossero strutture sanitarie imprenditoriali (ambulatori).
Abbiamo quindi individuato un altro e importante motivo per cui la veste imprenditoriale risulta vantaggiosa. E una volta deciso di passare alla veste imprenditoriale, l’aggregazione con altri strutture simili può rappresentare il successivo passo per raggiungere una dimensione e un potere contrattuale ben più importante di quelli che si possono raggiungere da soli, pur mantenendo la propria autonomia e individualità.
A cosa si deve rinunciare? A quello che sembra tanto, ma in realtà è poco: la voglia di fare il primario nel Vostro studio.
Una volta che quello studio è divenuto ambulatorio, una parte del Vostro lavoro andrà condiviso in un contratto di rete: una parte assai variabile e spesso proprio quella parte per cui avete meno tempo da dedicare e minore attitudine, oltre che risorse scarse da destinarvi.
In un contratto di rete di imprese si possono condividere molte cose: investimenti tecnologici e strutturali, ad esempio, in apparecchiature medicali ed elettromedicali; campagne di marketing; formazione e ricerca; condivisione di personale; accesso a fondi agevolati; ricerca e negoziazione di accordi di collaborazione con altre reti e grandi enti. E molto altro ancora. Tutta roba che da soli non si può fare o si può fare in misura sub-ottimale.
Partecipare ad una rete di imprese comporta poi altri due significativi vantaggi:
Esistono poi anche significativi vantaggi fiscali, che per un certo periodo sono stati prima pieni, poi sospesi e poi ancora una volta di nuovo riattivati e attualmente sono pienamente operativi.
L’aspetto interessante, corroborato dai risultati delle ricerche effettuate dall’Ufficio Studi di Confindustria, è che l’adesione ad una rete di imprese migliora la performance delle imprese stesse.
In ambito sanitario, la rete di imprese ha avuto una forte espansione nel Lazio per motivi che non hanno nulla a che fare con una spinta naturale. Tale istituto è figlio di un accordo Stato Regioni del 23 marzo 2011, avente per oggetto i “Criteri per la riorganizzazione delle reti di offerta di diagnostica di laboratorio”.
Questo accordo si proponeva di ridisegnare i criteri per l’accreditamento istituzionale dei laboratori di analisi (senza il quale non si può pensare di operare in questo specifico campo) e di efficientare e riorganizzare la rete nazionale dei laboratori di analisi, superando la frammentazione per garantire la qualità delle prestazioni, introducendo il concetto di “rete di laboratori” ; verificare sul campo l’idoneità delle strutture pubbliche e private, imponendo i famosi requisiti minimi strutturali, tecnologici e organizzativi del ben noto DPR del 14 01 97, di cui ci siamo già occupati a più riprese su questo blog.
Veniva richiesto alle Regioni di regolamentare il raggiungimento di una soglia minima di attività (volume di 200.000 esami/anno o 100.000 per i laboratori specialisti) che, insieme alle altre disposizioni, obbligava sostanzialmente i laboratori ad aggregarsi in rete in maniera strutturale e non formalistica.
E le Regioni hanno disegnato il sistema del “service di laboratorio” tra strutture operanti in rete, ossia la possibilità per le strutture di laboratorio di poter utilizzare altre strutture per esami che, per numerosità, complessità e/o necessità di strumentazione o personale molto qualificati, vanno consolidati all’interno di poche realtà.
E tale aggregazione in service può essere utilizzata solo tra strutture già accreditate con il SSN.
Va tenuto presente che l’erogazione di prestazioni di diagnostica di laboratorio interessava, oltre che i singoli laboratori, anche la gran parte delle altre strutture complesse polispecialistiche (poliambulatori e case di cura) che, almeno per la specialistica di Radiologia e per quella di Diagnostica di laboratorio, erano tutte accreditate, in tutto o in parte.
Non è quindi da considerare un caso se la prima rete di imprese nata nel comparto sanitario è stata la rete Sanares nel Lazio, la quale è diventata un case history nel suo genere.
A questo primo caso sono seguiti molti altri, intanto perché il Lazio è stato tra le prime Regioni a recepire il nuovo sistema, in un contesto che vedeva una forte parcellizzazione dell’offerta, situazione che ovviamente è stata subito messa in forte tensione dall’intervento deciso del Legislatore e Regolatore Regionale.
Ma anche per via di una serie di innovazioni legislative, tutte legate alla Spending Review, che hanno completamente ridisegnato il sistema dell’offerta sanitaria pubblica e privata nel nostro Paese.
Tali disposizioni sono contenute nel D.L. n. 95 del 6 luglio 2012, convertito nella Legge n. 135 del 7 agosto 2012.
Tali innovazioni erano anche fortemente dipendenti dai progressi che le tecnologie e le conoscenze avevano permesso di conseguire, in particolare nelle procedure chirurgiche e invasive (progressi che avevano permesso di considerare le strutture ospedaliere come sostanzialmente ridondanti per un crescente numero di trattamenti chirurgici).
Qualcosa di simile era avvenuto anche per un insieme abbastanza eterogeneo di trattamenti medici e sanitari, soprattutto legati alla riabilitazione post ricovero o post acuzie.
Quattro in particolare sono stati i punti di svolta decisivi:
Le nuove regole quadro introdotte dalla Spending Review nel settore sanitario in favore delle strutture private sono:
Poiché la spinta propulsiva di tale Riforma viene prioritariamente favorita dal Legislatore attraverso la “sperimentazione di nuovi modelli di assistenza”, il riferimento all’istituto delle reti di imprese risulta sempre più esplicito.
E non è un caso se il Governo Monti, pressoché in parallelo alla spending review, ha emanato anche le “Misure urgenti per la crescita del Paese”, contenute nella Legge 7 agosto 2012 n. 134, di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 84. Questa e altre modifiche del 2016 permetteranno di dare una veste riveduta e corretta e provvisoriamente definitiva all’istituto della Rete di imprese, che era stato per la prima volta disciplinato nel D.L. 10 febbraio 2009 n. 5.
Concentriamoci sull’art. 3 (nella versione ultima come novellata da leggi successive), ove viene tratteggiato per la prima volta l’istituto:
“Comma 4-ter. Con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa. Il contratto può anche prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso. Il contratto di rete che prevede l’organo comune e il fondo patrimoniale non è dotato di soggettività giuridica, salva la facoltà di acquisto della stessa ai sensi del comma 4-quater ultima parte.1 Se il contratto prevede l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e di un organo comune destinato a svolgere un’attività, anche commerciale, con i terzi al fondo patrimoniale comune si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 2614 e 2615, secondo comma, del codice civile; in ogni caso, per le obbligazioni contratte dall’organo comune in relazione al programma di rete, i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo comune; 3) qualora la rete di imprese abbia acquisito la soggettività giuridica ai sensi del comma 4-quater3, entro due mesi dalla chiusura dell’esercizio annuale l’organo comune redige una situazione patrimoniale, osservando, in quanto compatibili, le disposizioni relative al bilancio di esercizio della società per azioni, e la deposita presso l’ufficio del registro delle imprese del luogo ove ha sede; si applica, in quanto compatibile, l’articolo 2615-bis, terzo comma, del codice civile. Ai fini degli adempimenti pubblicitari di cui al comma 4-quater, il contratto deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per atto firmato digitalmente a norma degli articoli 24 o 25 del codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, da ciascun imprenditore o legale rappresentante delle imprese aderenti, trasmesso ai competenti uffici del registro delle imprese attraverso il modello standard tipizzato con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico, e deve indicare:
Già da una prima lettura si comprende agevolmente la portata innovativa di questa disposizione legislativa. Infatti la rete di imprese qui disciplinata appare subito come cosa ben diversa dai consorzi e dalle associazioni temporanee.
Partecipanti alla rete possono essere tutte le imprese, sia individuali che collettive, senza limiti di dimensioni, senza vincoli di localizzazione territoriale e/o tipologia di business. Si tratta di un contratto a struttura aperta, al quale possono aderire imprese diverse da quelle che hanno in origine dato vita alla rete di imprese originaria, secondo modalità di adesione predeterminate e stabilite nel contratto medesimo.
Il contratto di rete di imprese è differente dal raggruppamento temporaneo di imprese e dal consorzio.
Per raggruppamento temporaneo di imprese (ATI) si intende il sistema a cui le imprese ricorrono per partecipare a gare d’appalto, quando non possiedono le categorie richieste nel bando, un sistema caratterizzato da un rapporto di mandato con rappresentanza, gratuito ed irrevocabile, conferito collettivamente all’impresa “capogruppo”.
Il consorzio è invece il contratto con il quale due o più imprenditori “istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese” (art. 2602 cod. civ.).
La differenza fondamentale di tali forme di cooperazione imprenditoriale risiede nello scopo specifico dell’aggregazione e nell’assenza nel raggruppamento temporaneo di imprese e nel consorzio di un programma comune duraturo e non limitato al compimento di un affare specifico o alla disciplina delle fasi della rispettiva attività di impresa.
La formulazione appena delineata è molto ampia e apre il quadro a mille varianti possibili di questa nuova forma di aggregazione stabile.
In questa sede, tuttavia, mi interessa focalizzare la Vostra attenzione su una prima sommaria distinzione tra reti cosiddette leggere e reti pesanti o, detta in altri termini, tra reti contratto e reti soggetto; cui va ad aggiungersi la categoria residuale e più semplice di rete di scambio.
Si tratta di una distinzione fondamentale anche ai fini fiscali.
Infatti, la legge lascia alle imprese la facoltà di decidere se dotare la rete di un organo comune e di un fondo patrimoniale comune.
A queste scelte corrispondono conseguenze giuridiche molto diverse.
A seconda del tipo di governance, possiamo avere distinti modelli di rete di imprese:
Le reti di impresa pesanti, avendo soggettività giuridica, sono la forma di aggregazione potenzialmente più produttiva di benefici effetti, anche se prevedono una serie di adempimenti abbastanza impegnativi.
Il contratto di rete di imprese deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per atto firmato digitalmente a norma dell’articolo 25 del Codice dell’Amministrazione Digitale da ciascun imprenditore o legale rappresentante delle imprese aderenti.
Il fondo patrimoniale comune è costituito dai contributi delle imprese partecipanti e dai beni acquistati con questi contributi. Ad esso si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni sul fondo consortile di cui agli articoli 2614 e 2615, secondo comma, del codice civile. Vige un regime di responsabilità patrimoniale limitata al fondo comune per le obbligazioni contratte dall’organo comune in relazione al programma di rete.
L’organo comune è formato da un singolo soggetto in composizione monocratica oppure da una pluralità di membri in composizione collegiale e ha mandato per l’esecuzione del contratto o di una o più parti di esso.
L’organo comune ha potere di rappresentanza per la programmazione negoziata con le Pubbliche Amministrazioni, gli interventi di garanzia per l’accesso al credito, lo sviluppo del sistema imprenditoriale nei processi di internazionalizzazione e di innovazione previsti dall’ordinamento; l’utilizzo di strumenti di promozione e tutela dei prodotti e marchi di qualità o di cui sia adeguatamente garantita la genuinità della provenienza; ulteriori poteri di rappresentanza
La rete “soggetto” è anche un soggetto tributario (vedi circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 20/E del 18/06/2013); è assoggettabile alla procedura fallimentare ed è un ente cui può far capo la responsabilità degli enti ex d.lgs. 231/2001 ( Responsabilità penale dell’impresa ).
La rete soggetto vede oggi negata la possibilità di conseguire l’agevolazione fiscale originaria (ex Legge n. 122/2010), che è stata prorogata fino al 2013 e poi sospesa. Tuttavia può usufruire di altre agevolazioni di cui parleremo a breve.
La rete-soggetto deve: richiedere un autonomo numero di partiva IVA e adempiere a tutti gli obblighi tributari (dichiarazione dei redditi, IVA, versamenti di imposta, applicazione di regimi speciali quali ad es. quella sulle società di comodo, ecc.).
Le facilitazioni fiscali della Legge istitutiva della Rete di imprese erano state temporaneamente sospese dopo i primi tre anni di esercizio. Prevedevano una serie di adempimenti preliminari e indispensabili per usufruire dell’agevolazione, tra i quali spiccava per importanza l’Istituto dell’asseverazione del programma di Rete, effettuata da parte di Organismi appositamente abilitati. Gli incentivi consistevano nella sospensione d’imposta relativa alla quota di utili accantonati ad apposita riserva e destinati alla realizzazione di investimenti previsti dal programma di rete, preventivamente asseverato.
Le novità in termini fiscali sono però abbastanza recenti e hanno rimesso in pista i vantaggi fiscali per le reti soggetto, ma questa volta senza prevedere gli stessi vincoli del passato quali l’asseverazione, con l’evidente intento di favorire la semplificazione della procedura e lo sviluppo di tali reti anche per dar maggior forza alla ripresa economica.
E in particolare con l’articolo 1, co. 35, della Legge 23 dicembre 2014, n.190 (Legge di Stabilità 2015, che aveva sostituito l’articolo 3 del d. legge 23 dicembre 2013, n. 145) e successivamente modificata, in senso migliorativo per le imprese, dall’articolo 1, comma 15, della Legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Legge di Bilancio 2017) trova disciplina il credito di imposta in R&S.
In sintesi, il quadro dell’agevolazione è il seguente: viene riconosciuto un credito di imposta per gli investimenti effettuati a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 (2015, per le imprese con esercizio coincidente con l’anno solare) e fino a quello in corso al 31 dicembre 2020. Il credito di imposta è commisurato all’eccedenza degli investimenti effettuati rispetto alla media degli investimenti realizzati nei periodi di imposta 2014 -2015 -2016, con aliquota pari al 50 per cento, ed è subordinato alla condizione che nel periodo di imposta in cui si intende beneficiare dell’agevolazione siano sostenute spese per attività di ricerca e sviluppo, rientranti tra quelle ammissibili, di importo almeno pari a 30.000 euro. Il credito di imposta è fruibile entro un tetto massimo annuale pari a 20 milioni di euro per ciascun beneficiario.
Con intervento chiarificatore, l’Agenzia delle Entrate, con Circolare 5/E del 16.3.2016 ha precisato che “nel novero delle imprese beneficiarie sono ricompresi i consorzi e le reti di imprese, anche se il novellato articolo 3 non ripropone la previsione secondo la quale “sono destinatari del credito di imposta…anche i consorzi e le reti di impresa che effettuano l’attività di ricerca, sviluppo e innovazione”. Inoltre con Circolare n.13/E del 27.4.2017 ha fornito dettagli circa le modalità applicative del credito d’imposta.
L’Agenzia delle Entrate e il MISE, con la Circolare n.4/E del 30.3.2017, hanno fornito i chiarimenti fiscali in merito alle misure del cd. “super ammortamento” e “iper ammortamento” previsti nell’ambito del Piano Nazionale Industria 4.0.
Tra i soggetti interessati agli investimenti, sia per quanto riguarda il super ammortamento (par.5.1 della Circolare), che per quanto riguarda l’iper ammortamento (par.6.1.1 della Circolare) sono ricomprese le imprese che aderiscono ai contratti di rete.
L’Agenzia delle Entrate ha poi distinto l’ipotesi degli investimenti effettuati dalle imprese aggregate in una rete-contratto, dall’ipotesi di investimenti effettuati in una rete-soggetto: mentre nel caso della rete-contratto gli investimenti vengono effettuati dalle imprese aggregate in rete, secondo le modalità dettagliatamente illustrate a pag. 23 della Circolare, e quindi sono le imprese ad avere il diritto al super (o iper) ammortamento sulla quota parte del costo di propria competenza, invece nel caso delle reti-soggetto gli investimenti sono imputabili alla rete-soggetto, la quale pertanto è l’impresa cui spetta il super (o iper) ammortamento.
Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del 13.06 2017 è entrata in vigore dal 14.6.2017 la Legge 22 maggio 2017 n. 81 che disciplina il lavoro autonomo.
In particolare il legislatore, al fine di consentire la partecipazione ai bandi e concorrere all’assegnazione di incarichi e appalti privati consentiti, riconosce ai soggetti che svolgono attività professionale, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, la possibilità di costituire reti di esercenti la professione e consente agli stessi di partecipare alle reti di imprese, in forma di reti miste consentendo così l’accesso alle relative provvidenze in materia. Permangono ovviamente le perplessità già evidenziate sulla reale fruibilità di tali soluzioni per il contesto professionale odontoiatrico.
Cito il case history per eccellenza e cioè quello della prima Rete sanitaria, costituita nella Regione Lazio, la Sanares di cui abbiamo già parlato, e cito direttamente dal suo programma operativo:
Ho citato questo esempio per dare una prima e sommaria idea di quello che si può fare in Rete. Ovvio che si possa aggregare anche strutture diverse, quali possono essere ambulatori mono e poli specialistici, mega laboratori di analisi, centri radiologici e persino case di cura.
Una strutturazione di questo genere potrebbe avere un potenziale veramente interessante anche in chiave concorrenziale, visto che lascerebbe ad ogni struttura autonomia operativa e le proprie specifiche competenze. E permetterebbe anche di presentarsi sul mercato con strategie orientate al prezzo, sullo stesso piano dei grandi competitors ( catene comprese ) ma con ben più specifiche e importanti competenze.
Ancora una volta, appare del tutto comprensibile il motivo per il quale il passaggio alla veste imprenditoriale permetta di fronteggiare il contesto competitivo con strumenti ben più importanti di quelli che permette l’esercizio della professione in forma individuale o associata.
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