La prestazione gratuita odontoiatrica è una prassi tutt’altro che rara, spesso motivata da ragioni etiche, personali o strategiche. Tuttavia, dietro la rinuncia all’onorario si celano implicazioni complesse, che investono il piano giuridico, fiscale, gestionale e deontologico. In questo articolo analizziamo le condizioni di legittimità della gratuità, gli strumenti documentali necessari per tutelare il professionista, i rischi in caso di mancata tracciabilità e i limiti imposti dal codice deontologico. Completano il testo una serie di raccomandazioni operative, esempi concreti e indicazioni pratiche per integrare correttamente la gratuità nella gestione dello studio. L’obiettivo è fornire un quadro completo, rigoroso e subito applicabile per ogni odontoiatra.
Nel corso della vita professionale può accadere che un dentista scelga di non farsi retribuire per una prestazione gratuita odontoiatrica resa al proprio paziente. Le motivazioni possono essere molteplici: un gesto di generosità, un legame personale, una situazione di disagio economico del destinatario o, più semplicemente, un’iniziativa promozionale mirata a favorire la fidelizzazione.
Quella che comunemente viene definita prestazione gratuita odontoiatrica, sebbene animata da buone intenzioni o strategie di studio, nasconde risvolti delicati e potenzialmente rischiosi. Essa coinvolge infatti profili distinti ma strettamente connessi: giuridico, fiscale, gestionale e deontologico.
Il nostro ordinamento prevede, come principio generale, che la prestazione professionale sia eseguita a titolo oneroso. Tuttavia, la gratuità è ammessa, purché ricorrano determinate condizioni e siano rispettati criteri di trasparenza, congruità e rispetto delle norme fiscali e professionali.
Nel presente articolo analizzeremo con taglio pratico e documentato i principali aspetti legati alla prestazione gratuita odontoiatrica, facendo riferimento esclusivo a:
L’obiettivo è offrire una guida operativa e consapevole per i dentisti che intendano — per scelta etica, sociale o gestionale — erogare cure senza compenso, riducendo al minimo i rischi connessi e agendo sempre entro i confini della legalità.
Nel nostro ordinamento, la prestazione professionale resa da un dentista a favore di un paziente è disciplinata, in via generale, dall’art. 2230 e seguenti del Codice Civile, relativi al contratto d’opera intellettuale. Tale rapporto, salvo diversa pattuizione, si presume a titolo oneroso.
L’art. 2233 c.c. stabilisce che
“Il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice”.
La prestazione gratuita odontoiatrica costituisce dunque un’eccezione alla regola generale e, in quanto tale, richiede una manifestazione di volontà chiara ed esplicita da parte del professionista. In assenza di prova contraria, la giurisprudenza tende infatti a ritenere dovuto il compenso, trattandosi di elemento naturale del contratto.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 10393 del 10 ottobre 1994, ha affermato che
“La prestazione professionale può essere svolta anche a titolo gratuito, ove ciò sia giustificato da vincoli affettivi, ragioni di amicizia, rapporti di colleganza o, in generale, da motivi di benevolenza”.
Questo orientamento legittima la prestazione gratuita odontoiatrica in determinati contesti, ma evidenzia che essa non può mai essere presunta. Anche laddove esistano motivi personali o etici, la gratuità va esplicitata, preferibilmente per iscritto, per evitare che venga successivamente interpretata come simulazione o elusione.
Un’ulteriore conferma giurisprudenziale si trova nella sentenza della Cassazione n. 7003 del 4 luglio 2001, la quale precisa che
“L’onerosità non è elemento essenziale del contratto d’opera, potendo esso validamente stipularsi anche in forma gratuita, ma deve risultare da elementi certi, non potendosi desumere per implicito”.
Questo significa che il dentista può senz’altro rinunciare al proprio onorario, ma tale rinuncia deve essere chiara, consapevole e tracciabile.
Va inoltre ricordato che l’art. 9 del D.L. 1/2012, convertito nella L. 27/2012, impone a ogni professionista sanitario l’obbligo di fornire al paziente un preventivo scritto, specificando il grado di complessità della prestazione e il livello di copertura assicurativa. Tale obbligo vale anche in caso di prestazione gratuita odontoiatrica. Il preventivo, in questo caso, dovrà riportare l’espressa gratuità del trattamento, indicando eventualmente le prestazioni escluse o le condizioni particolari applicate.
In assenza di documentazione scritta, il professionista si espone a possibili contestazioni da parte del paziente, ma anche da parte dell’Amministrazione finanziaria o dell’Ordine di appartenenza. È dunque fondamentale che la volontà di non percepire un compenso sia espressa in modo inequivocabile e documentato, nel rispetto del principio di trasparenza e a tutela della posizione del dentista.
La prestazione gratuita odontoiatrica, sebbene priva di un corrispettivo in denaro, non è necessariamente irrilevante sotto il profilo fiscale. L’assenza di pagamento non comporta automaticamente l’esclusione da obblighi documentali o da valutazioni in materia di IVA, imposte dirette e deducibilità dei costi.
Dal punto di vista dell’IVA, le prestazioni sanitarie rese da professionisti abilitati sono, in linea generale, esenti ai sensi dell’art. 10, n. 18 del D.P.R. 633/1972. Tuttavia, l’esenzione presuppone l’esistenza di un rapporto sinallagmatico, ossia un contratto tra le parti, anche verbale, in cui è previsto un corrispettivo. Quando tale corrispettivo è assente, si pone il problema della qualificazione dell’operazione ai fini IVA. Secondo quanto indicato dall’Agenzia delle Entrate in diverse risposte a interpello e in circolari di prassi, le prestazioni gratuite possono rientrare in tre ipotesi distinte: operazioni escluse da IVA, operazioni fuori campo IVA o operazioni imponibili con valore normale.
Una prestazione gratuita odontoiatrica resa per ragioni personali o di liberalità, non collegata a un interesse economico o promozionale, viene di norma considerata fuori campo IVA per mancanza del presupposto oggettivo. Tuttavia, se la gratuità nasconde un intento promozionale o commerciale (ad esempio trattamenti omaggio offerti a scopo pubblicitario), può essere inquadrata come operazione imponibile a valore normale, secondo l’art. 13, comma 2, lettera c) del D.P.R. 633/1972. In questo caso, l’Agenzia delle Entrate può richiedere il versamento dell’IVA calcolata sul valore di mercato della prestazione, pur in assenza di un reale incasso.
È quindi importante che la gratuità sia reale, motivata da cause non economiche, e documentata in modo trasparente. Una semplice omissione della fattura o una prestazione “a titolo di favore” non comunicata correttamente può essere interpretata come operazione simulata o dissimulata, con conseguenti accertamenti fiscali.
Dal punto di vista delle imposte dirette, il professionista che effettua una prestazione gratuita odontoiatrica non percepisce reddito imponibile. Tuttavia, i costi sostenuti per l’esecuzione della prestazione (materiali, strumenti, personale) restano a suo carico. In linea generale, l’art. 109 del TUIR stabilisce che sono deducibili solo i costi inerenti ad attività produttive di reddito. Ne consegue che la deducibilità dei costi relativi a prestazioni gratuite può essere contestata se tali attività sono ritenute non strettamente connesse all’esercizio professionale o prive di utilità economica. In pratica, se la gratuità è occasionale e documentata, i costi connessi sono normalmente ammessi in deduzione. Se invece diventa sistematica, o se finalizzata a promozione commerciale, potrebbe essere riqualificata come operazione anomala, con perdita del beneficio fiscale.
Quanto alla documentazione, non esiste un obbligo espresso di emissione della fattura per una prestazione gratuita odontoiatrica, ma è fortemente consigliato redigere un incarico professionale o un preventivo a zero, con firma del paziente, nel quale si specifichi che la prestazione è resa a titolo gratuito, senza corrispettivo, e senza fini promozionali. Ciò serve a tutelare il professionista sia in sede di controllo tributario, sia in caso di contenzioso con il paziente o l’Ordine.
In conclusione, sotto il profilo fiscale la gratuità non esonera dagli obblighi di trasparenza. Il dentista che intende prestare gratuitamente la propria opera deve distinguere tra liberalità vera e propria e finalità di marketing, tenere adeguata documentazione, e valutare attentamente l’impatto sulla propria posizione fiscale, anche in termini di deducibilità dei costi e corretto inquadramento IVA.
La prestazione gratuita odontoiatrica, per quanto motivata da finalità etiche, relazionali o promozionali, comporta inevitabilmente un impatto sulla gestione economica e organizzativa dello studio. In assenza di una corretta pianificazione, essa può trasformarsi in un fattore di disequilibrio, sottraendo tempo e risorse a prestazioni remunerative e introducendo elementi di incertezza nella programmazione.
L’erogazione di cure gratuite, anche se occasionale, ha un costo: il tempo del professionista, l’impiego del personale di supporto, il consumo di materiali, l’usura delle attrezzature, l’occupazione delle agende e l’interferenza con i flussi ordinari di lavoro. Se queste prestazioni non vengono contabilizzate come parte integrante delle attività di studio, il rischio è che si accumulino in modo disordinato, incidendo negativamente sulla redditività complessiva e sull’efficienza operativa.
Per questa ragione, è opportuno che ogni prestazione gratuita odontoiatrica venga considerata non solo come atto clinico, ma come azione gestionale. Essa va valutata in termini di sostenibilità economica, inserita in un piano operativo, e accompagnata da strumenti di controllo. In particolare, si raccomanda che tali prestazioni siano previste nel budget annuale dello studio, sia in termini di numero che di valore stimato, e siano contabilizzate come costo volontario o, in alcuni casi, come investimento immateriale.
Se l’obiettivo è quello di contribuire al benessere sociale, la prestazione gratuita può rientrare nel piano di responsabilità etica dello studio. Se invece è orientata alla fidelizzazione del paziente, al passaparola o al rafforzamento della reputazione, può essere legittimamente trattata come azione di marketing strategico. In entrambi i casi, ciò che conta è che il professionista sia consapevole dell’impatto economico della propria scelta e che agisca in modo pianificato, evitando l’improvvisazione.
Sul piano organizzativo, è fondamentale adottare criteri interni chiari per l’erogazione delle prestazioni gratuite: definire soglie, condizioni, motivazioni accettabili, modalità di registrazione e responsabilità decisionali. Questo approccio consente di garantire equità verso tutti i pazienti e chiarezza nei rapporti con i collaboratori.
È altrettanto importante formalizzare la gratuità attraverso documentazione scritta, che includa l’incarico professionale, il preventivo a zero o una nota firmata dal paziente. Questa documentazione non solo ha valore fiscale e legale, ma rappresenta anche uno strumento di trasparenza verso l’interno e verso l’esterno dello studio.
Infine, in uno studio con più professionisti o con personale dipendente, è indispensabile che le scelte di gratuità siano condivise e coordinate. Un’iniziativa individuale del titolare, se non comunicata e regolata, può generare incomprensioni o tensioni con chi partecipa alla prestazione e si attende un compenso.
Una prestazione gratuita odontoiatrica ben gestita non è solo un gesto etico, ma anche una leva strategica, a condizione che sia sostenibile, misurabile e tracciabile. Solo così potrà portare valore allo studio, al paziente e alla comunità.
La prestazione gratuita odontoiatrica, pur rappresentando talvolta un’espressione autentica di altruismo o sensibilità sociale, non è indifferente sul piano deontologico. L’assenza di corrispettivo, in sé, non costituisce violazione etica, ma il contesto in cui essa avviene, le modalità con cui viene gestita e soprattutto le finalità perseguite possono tradursi in comportamenti lesivi della dignità della professione.
Il Codice di Deontologia Medica approvato dalla FNOMCeO non vieta in modo assoluto l’erogazione di prestazioni gratuite, e anzi ne ammette implicitamente la legittimità quando inserita all’interno di un rapporto fiduciario diretto e personale tra medico e paziente. In questi casi, la gratuità si configura come atto volontario e non finalizzato a ottenere vantaggi professionali o economici. Rientrano in questa categoria, ad esempio, le cure prestate a familiari, amici, soggetti in condizioni di bisogno o pazienti storici con cui si è sviluppato un legame particolare.
Diversa è la situazione in cui la prestazione gratuita odontoiatrica viene pubblicizzata come strumento di marketing o di acquisizione di clientela. In tali casi, il codice deontologico richiama con forza il divieto di accaparramento della clientela, considerato comportamento indegno e lesivo della concorrenza leale tra professionisti. Offrire visite o trattamenti gratuiti con finalità promozionali, oppure utilizzarli come esca per attrarre pazienti a discapito di altri colleghi, rappresenta una violazione diretta dei principi di correttezza e decoro sanciti dal codice.
Il professionista, dunque, è tenuto a evitare qualsiasi comportamento che, pur formalmente lecito, possa apparire come tentativo di svilire il valore della prestazione sanitaria per trarne un ritorno competitivo. Anche l’uso ambiguo della gratuità, ad esempio l’offerta implicita di prestazioni gratuite in cambio della continuità delle cure, può generare situazioni di conflitto con le norme deontologiche.
Un’ulteriore questione, particolarmente delicata, riguarda la gratuità che il medico concede alla struttura sanitaria presso cui opera, rinunciando al proprio compenso professionale (in quanto collaboratore o consulente) per prestazioni che il paziente ha comunque pagato alla struttura. In questi casi, pur non essendovi un rapporto diretto di gratuità tra medico e paziente, la scelta di lavorare gratuitamente può sollevare rilievi deontologici se induce la struttura ad abbassare i costi dei servizi a danno della qualità, o se altera gli equilibri economici tra colleghi che operano nello stesso contesto. Tale comportamento, se sistematico e non giustificato da ragioni sociali, può contribuire indirettamente alla deregolarizzazione del mercato professionale, incoraggiando dinamiche retributive inique e svilendo il valore della prestazione specialistica. In tutti gli altri casi è perfettamente lecita, compatibile con le norme vigenti ed ancorato unicamente e legittimamente a valutazioni di convenienza personale delle parti coinvolte.
Il principio guida, in tutti i casi, resta il decoro della professione, inteso come rispetto del valore sociale, tecnico e umano del lavoro medico. La gratuità, per non degenerare in concorrenza sleale o in strumento di svilimento dell’onorario, deve rimanere una libera scelta del professionista, espressione di una decisione individuale non orientata al profitto, e soprattutto non oggetto di comunicazione pubblicitaria.
La prestazione gratuita odontoiatrica, se esercitata con misura, discrezione e finalità coerenti con la deontologia, può rappresentare un atto di grande valore etico. Ma quando viene trasformata in leva commerciale, o utilizzata per modificare gli equilibri tra colleghi o con le strutture sanitarie, essa può compromettere il rapporto fiduciario con i pazienti, la correttezza della concorrenza e la dignità dell’intera professione.
La prestazione gratuita odontoiatrica, per essere legittima sotto il profilo giuridico, sostenibile da un punto di vista gestionale, neutra fiscalmente e coerente con i principi deontologici, deve essere accompagnata da strumenti documentali adeguati e da una strategia consapevole. Una scelta improvvisata, priva di riscontri scritti o inserita arbitrariamente nel flusso di lavoro, può infatti tradursi in un rischio per il professionista, sia sul piano tributario che disciplinare.
Per questo motivo, è consigliabile seguire alcune buone pratiche operative, capaci di dimostrare la trasparenza dell’intento, la correttezza dell’operato e l’inerenza economica dei costi eventualmente sostenuti.
La prima forma di tutela è rappresentata dal preventivo a costo zero, firmato dal paziente, in cui si indichi espressamente che la prestazione viene resa a titolo gratuito, specificando la natura della cura, la data e, se opportuno, le ragioni della gratuità (es. motivazioni personali, condizioni sociali, attività benefica). Il preventivo, se redatto con chiarezza, assolve a una duplice funzione: da un lato soddisfa l’obbligo informativo previsto dalla normativa (D.L. 1/2012), dall’altro rappresenta un documento probatorio in caso di contestazioni.
In alternativa o in aggiunta, è possibile emettere una fattura con importo scontato al 100%. Questa modalità è perfettamente legittima e consente di registrare formalmente l’avvenuta prestazione, riportando l’onorario professionale teorico, lo sconto applicato e l’importo finale pari a zero. Una fattura di questo tipo, correttamente annotata nel registro dei corrispettivi o nella contabilità professionale, dimostra la volontà di agire in buona fede, riduce il rischio di accertamenti sull’omessa fatturazione e rafforza il legame tra costo sostenuto e attività professionale, ai fini della deducibilità.
Nel caso in cui si preferisca non emettere una fattura, per evitare confusione contabile o sovrapposizioni con prestazioni imponibili, è comunque necessario conservare una scheda clinica dettagliata, in cui si riportino: la tipologia di trattamento, la data, il valore indicativo dell’onorario, la scelta di non applicarlo, e la firma del paziente. Questo documento, anche se non ha valenza fiscale, può essere utile in sede di verifica per dimostrare che la gratuità è stata reale, non simulata, e riferita a prestazioni specifiche.
La corretta documentazione ha inoltre un impatto diretto sulla deducibilità dei costi sostenuti per l’erogazione della prestazione gratuita. L’art. 109 del TUIR richiede che le spese siano inerenti all’attività esercitata. La gratuità non interrompe il nesso di inerenza se il trattamento è riconducibile alla normale attività dello studio, se è documentato, e se non rappresenta una condotta elusiva. Laddove venga meno l’inerenza (ad esempio per prestazioni rese a titolo personale e senza tracciabilità), i costi ad esse collegati possono essere esclusi dalla deduzione.
Anche sul piano dell’IVA, la presenza di documentazione chiara consente di distinguere una prestazione fuori campo per mancanza di corrispettivo da una prestazione imponibile simulata. Una fattura a valore zero o un preventivo gratuito sono strumenti essenziali per proteggersi da rilievi relativi al valore normale (art. 13, c. 2, lett. c, D.P.R. 633/1972) e per dimostrare che non si è inteso occultare un corrispettivo reale.
Dal punto di vista operativo, si possono delineare alcune situazioni pratiche in cui l’adozione di uno di questi strumenti è particolarmente raccomandata:
In sintesi, la prestazione gratuita odontoiatrica è compatibile con la prassi professionale solo se gestita con consapevolezza, formalizzata con rigore e documentata con metodo. La buona fede non basta: occorre predisporre prove oggettive della gratuità, sia per proteggersi sul piano fiscale, sia per garantire trasparenza nei confronti del paziente, dei colleghi e delle autorità competenti.
La prestazione gratuita odontoiatrica non è un’anomalia né un’eccezione illegittima, ma un’opzione che il professionista può esercitare nel rispetto delle norme, della correttezza fiscale e dei principi deontologici. Il nostro ordinamento consente la gratuità, ma impone che essa sia espressa in modo chiaro, coerente, documentato e, soprattutto, non strumentale.
Rinunciare al compenso può essere una scelta etica, relazionale o strategica, ma non può mai trasformarsi in uno strumento di acquisizione indebita della clientela o in un artificio per aggirare gli obblighi fiscali. Allo stesso modo, non può essere lasciata all’improvvisazione: anche la gratuità, se non pianificata, ha un costo e può compromettere l’equilibrio gestionale dello studio.
Per evitare rischi, è necessario adottare un approccio consapevole e documentato. Preventivi a zero, fatture con sconto totale, incarichi firmati dal paziente, note interne, piani di budget e azioni di marketing responsabile sono strumenti essenziali per inquadrare la gratuità come comportamento professionale legittimo e tracciabile.
Dal punto di vista fiscale, tali documenti rappresentano una prova utile a dimostrare la buona fede del dentista, l’inerenza economica dei costi, la non imponibilità IVA della prestazione e l’assenza di simulazione. Sul piano deontologico, offrono trasparenza e rispetto del decoro, soprattutto se la gratuità non viene esibita come leva promozionale, ma mantenuta nel perimetro della discrezione e della proporzionalità.
La libertà di donare la propria competenza è una prerogativa nobile del professionista. Ma come ogni libertà, deve essere esercitata con misura, coerenza e responsabilità. Solo così la prestazione gratuita odontoiatrica può diventare uno strumento di valore, anziché una fonte di rischio.
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