L’articolo approfondisce il tema della documentazione clinica del paziente, distinguendo chiaramente tra la proprietà dei dati personali e la proprietà dei documenti che li contengono. Viene analato il divieto di ritenzione previsto dall’art. 2235 c.c. e il quadro normativo europeo in materia di protezione dei dati (GDPR), con particolare attenzione ai diritti del paziente e agli obblighi del professionista. L’articolo esamina due differenti contesti operativi: il dentista libero professionista, titolare del trattamento, e il consulente che opera per conto di uno studio, responsabile del trattamento. Attraverso casi pratici, Q&A e una sezione di clausole contrattuali tipo, il testo offre uno strumento concreto per orientarsi tra responsabilità, restituzione dei dati, e legittime forme di tutela.
Nel rapporto tra professionista sanitario e paziente, la documentazione clinica del paziente riveste un ruolo centrale sia sul piano operativo che giuridico. Essa rappresenta non solo un elemento essenziale per la continuità e la qualità delle cure, ma anche un insieme di dati personali e sensibili la cui gestione è rigidamente disciplinata dalla normativa italiana ed europea.
Uno degli aspetti più delicati riguarda la possibilità per il professionista di trattenere o meno i documenti ricevuti o prodotti nello svolgimento dell’attività sanitaria, soprattutto in presenza di controversie, crediti insoluti o cessazione del rapporto. In tale ambito, l’articolo 2235 del codice civile stabilisce il divieto di ritenzione delle cose e dei documenti ricevuti dal prestatore d’opera, se non per il tempo strettamente necessario alla tutela dei propri diritti e solo secondo le leggi professionali applicabili.
A ciò si affiancano gli obblighi derivanti dal Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR), che attribuisce al paziente in qualità di interessato una serie di diritti inderogabili in materia di accesso, rettifica, limitazione e portabilità dei dati, e impone al titolare o al responsabile del trattamento precisi doveri di custodia, tracciabilità e restituzione della documentazione clinica del paziente.
Inoltre, l’applicazione della Legge 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. Legge Gelli-Bianco) introduce importanti distinzioni in merito alla responsabilità dell’esercente la professione sanitaria, distinguendo tra profili contrattuali e extracontrattuali a seconda della natura del rapporto instaurato con il paziente.
In questo quadro normativo complesso, è fondamentale distinguere tra due differenti figure professionali:
Il professionista titolare del trattamento e consulente diretto del paziente, operante in virtù di un contratto d’opera.
Il professionista collaboratore dello studio odontoiatrico, responsabile del trattamento per conto del titolare e soggetto a un regime di responsabilità diverso.
Nelle sezioni che seguono, analizzeremo separatamente queste due fattispecie per rispondere alle domande più frequenti su: chi è il legittimo titolare della documentazione clinica del paziente, chi può detenerla e per quanto tempo, e in che modo sia possibile tutelare i diritti di entrambe le parti senza violare le disposizioni legislative vigenti.
Il tema della documentazione clinica del paziente coinvolge una pluralità di fonti normative che agiscono su piani distinti ma convergenti: quello civilistico, quello del diritto europeo in materia di protezione dei dati personali e quello della responsabilità professionale sanitaria.
Il punto di partenza è l’articolo 2235 del codice civile, che disciplina il comportamento del prestatore d’opera intellettuale in relazione alle cose e ai documenti ricevuti nell’ambito dell’esecuzione dell’incarico:
«Il prestatore d’opera non può ritenere le cose e i documenti ricevuti, se non per il periodo strettamente necessario alla tutela dei propri diritti secondo le leggi professionali.»
Questo principio generale vieta al professionista di trattenere atti o beni del cliente/paziente, salvo nei limiti di una legittima tutela dei propri diritti e sempre nel rispetto delle norme di rango superiore (in primis, quelle sulla privacy e sulla deontologia professionale). Ciò si applica anche alla documentazione clinica del paziente, qualora il professionista ne sia venuto in possesso nell’ambito di un contratto d’opera.
L’attività di conservazione, accesso, trasmissione e restituzione della documentazione clinica del paziente è considerata, a pieno titolo, trattamento di dati personali ai sensi del Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR, Reg. UE 2016/679).
Nello specifico, il paziente – in quanto “interessato” – gode di una serie di diritti inderogabili:
Il titolare o responsabile del trattamento (a seconda della posizione contrattuale) è tenuto a garantire questi diritti senza ingiustificato ritardo, e comunque a rispettare i principi di liceità, correttezza, trasparenza, limitazione della conservazione e minimizzazione (art. 5 GDPR).
Trattenere la documentazione clinica del paziente oltre quanto necessario o impedire l’accesso all’interessato può configurare una violazione del GDPR, con possibili conseguenze sanzionatorie da parte dell’Autorità Garante e risarcitorie ex art. 82 del Regolamento.
La Legge Gelli-Bianco ha introdotto un importante spartiacque nella disciplina della responsabilità dell’esercente la professione sanitaria, distinguendo tra:
Questa distinzione ha implicazioni dirette sulla disponibilità e gestione della documentazione clinica del paziente: nel primo caso il professionista è tenuto a custodire, restituire o trasmettere i documenti come titolare; nel secondo, ne risponde nei limiti dell’incarico ricevuto e secondo le istruzioni fornite dallo studio (titolare del trattamento), salvo il risarcimento per fatto illecito extracontrattuale (art. 2043 c.c.).
Nel dibattito sulla documentazione clinica del paziente, è essenziale distinguere due concetti giuridicamente distinti ma spesso confusi:
Questa distinzione è riconosciuta e disciplinata dalla normativa europea e nazionale in materia di privacy e di obbligazioni civili.
Ai sensi dell’art. 4, par. 1, n. 1 del GDPR, i dati personali sono qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile. Quando un professionista sanitario raccoglie informazioni sanitarie (es. impronte dentali, immagini radiografiche, referti, piani di trattamento), egli tratta dati personali di cui il paziente è il “titolare originario” in quanto soggetto interessato.
Il paziente, pertanto, ha:
Tali diritti si esercitano sul contenuto informativo, non sul supporto materiale che li contiene.
Discorso distinto è quello relativo alla materialità del documento che contiene i dati.
Secondo la giurisprudenza consolidata e in mancanza di disposizioni contrarie, il documento – inteso come supporto fisico – è di proprietà del professionista che lo ha redatto o prodotto, anche quando contiene dati personali del paziente.
Esempi tipici:
In sintesi: i dati sono del paziente, il documento è del professionista.
Il paziente ha diritto a una copia dei dati, ma non ha diritto alla consegna dell’originale, né può pretenderla salvo obblighi legali o accordi contrattuali espliciti.
Inoltre:
L’inadempimento contrattuale da parte del paziente (es. morosità) non legittima la ritenzione della documentazione clinica, ma può giustificare azioni legali per il recupero del credito.
Questa distinzione ha ricadute operative rilevanti:
Quando il rapporto tra dentista e paziente è regolato da un contratto d’opera professionale diretto, il professionista assume una posizione di titolare del trattamento ai sensi dell’art. 4, n. 7 del GDPR ed è al tempo stesso contraente nei confronti del paziente, secondo quanto previsto dagli articoli 2222 e seguenti del codice civile.
In questa configurazione, il paziente è titolare dei dati personali che lo riguardano, mentre il documento che li contiene – redatto, prodotto o generato dal professionista – rimane nella disponibilità materiale del professionista stesso. Si tratta di un bene giuridicamente distinto: il paziente non è proprietario del documento, ma è titolare del contenuto informativo in esso contenuto.
Pertanto, il paziente ha il diritto di ottenere una copia della documentazione clinica che contiene i suoi dati personali, ma non ha diritto all’originale né può pretenderne la restituzione, salvo diversa previsione di legge o accordo contrattuale.
Il professionista è tenuto a garantire l’accesso, la copia e la portabilità dei dati, come previsto dagli articoli 15 e 20 del GDPR. Non può quindi negare o ritardare il rilascio di una copia della documentazione clinica, anche in presenza di inadempimenti economici da parte del paziente.
Il diritto di ritenzione è escluso dall’art. 2235 del codice civile per i prestatori d’opera intellettuale. Trattenere la copia dei dati per ragioni estranee alla tutela dei propri diritti e in assenza di una base giuridica è illegittimo. Il documento originale resta nella disponibilità del professionista, ma egli non può impedirne la riproduzione né rifiutare l’invio della copia, in formato cartaceo o digitale.
Nel caso di inadempimento del paziente, il professionista può agire nelle sedi opportune per il recupero del credito, ma non è autorizzato a subordinare il rilascio della copia della documentazione clinica al pagamento delle prestazioni.
Resta fermo che il professionista ha comunque il diritto di conservare i dati personali contenuti nella documentazione clinica, anche senza il consenso dell’interessato, qualora ciò sia necessario per esercitare un diritto in sede giudiziaria, ai sensi dell’art. 17, paragrafo 3, lettera e del GDPR. Tale conservazione, tuttavia, non può mai giustificare il rifiuto di consegnare una copia dei dati al paziente che ne faccia richiesta.
Negare la copia della documentazione clinica del paziente può comportare responsabilità contrattuale (art. 1218 c.c.), sanzioni amministrative previste dal GDPR (art. 83) e, in taluni casi, anche responsabilità disciplinare o penale, se ne derivano danni al paziente o ostacolo alla prosecuzione delle cure.
Nel prossimo capitolo si analizzerà il caso in cui il professionista opera come collaboratore dello studio odontoiatrico e non come titolare del trattamento.
Quando il professionista sanitario opera in forza di un contratto di collaborazione con uno studio odontoiatrico, senza un rapporto diretto con il paziente, la sua posizione giuridica assume una fisionomia completamente diversa da quella del libero professionista. In questo contesto, è lo studio odontoiatrico a essere il titolare del trattamento dei dati personali, mentre il professionista assume il ruolo di responsabile del trattamento, come definito dall’art. 4, punto 8 e dall’art. 28 del Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR).
In qualità di responsabile, il professionista è autorizzato a trattare i dati personali del paziente esclusivamente per conto del titolare e sulla base di istruzioni documentate. I dati rimangono nella titolarità del paziente, e la documentazione clinica – intesa come supporto materiale, digitale o fisico – resta nella disponibilità giuridica dello studio odontoiatrico. Il collaboratore non può in alcun modo considerarsi proprietario dei documenti redatti o acquisiti nell’ambito dell’attività, anche se materialmente generati da lui.
Il paziente ha diritto di ottenere una copia della documentazione clinica che lo riguarda. Questo diritto può essere esercitato solo nei confronti del titolare del trattamento, cioè lo studio. Il professionista collaboratore non è legittimato a fornire o trattenere tale copia per propria iniziativa: ogni richiesta deve essere gestita dal titolare. La consegna al paziente dell’originale o della copia della documentazione rientra dunque tra gli obblighi giuridici esclusivi dello studio odontoiatrico.
Nel rapporto contrattuale tra lo studio e il consulente, lo studio assume una posizione giuridicamente analoga a quella del paziente, nel senso che è il committente dell’opera professionale. Da ciò discende che gli obblighi contrattuali che il titolare ha verso il paziente – diligenza, lealtà, rispetto della normativa – si riflettono, in modo proporzionale e speculare, negli obblighi che il collaboratore ha verso lo studio. Il professionista risponde infatti contrattualmente nei confronti dello studio, e non verso il paziente, salvo il caso di illecito extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 del codice civile.
In caso di cessazione della collaborazione, il professionista è tenuto a restituire integralmente tutta la documentazione ricevuta o generata, e non può conservarne copia, salvo nei casi previsti dalla legge. In particolare, il GDPR ammette una sola deroga alla cancellazione o restituzione dei dati: l’art. 17, paragrafo 3, lettera e autorizza il titolare o il responsabile a conservare i dati, anche senza il consenso dell’interessato, quando ciò sia necessario per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria.
Pertanto, se il professionista ritiene di dover tutelare i propri interessi nei confronti dello studio – ad esempio per il mancato pagamento del compenso, per contestazioni professionali o altre controversie – egli può conservare i dati che ha trattato, ma non può trattenere i documenti. È ammessa esclusivamente la conservazione selettiva e proporzionata dei dati necessari, limitata nel tempo e finalizzata a comprovare l’attività svolta o a predisporre la propria difesa. Non è mai legittimo l’uso dei dati del paziente come strumento di pressione o ritorsione.
In conclusione, il professionista che collabora con uno studio odontoiatrico:
Ogni comportamento contrario espone il professionista a violazioni contrattuali, illeciti nel trattamento dei dati e responsabilità civile. È pertanto fondamentale che le condizioni contrattuali tra studio e collaboratore siano chiare, documentate e fondate su una rigorosa conformità alla normativa vigente.
A chi appartiene la documentazione clinica del paziente?
La titolarità dei dati personali contenuti nella documentazione clinica è sempre del paziente, mentre il documento materiale (referto, radiografia, impronta, file digitale) è di proprietà del professionista che lo ha redatto, se agisce come libero professionista, oppure dello studio odontoiatrico, se il documento è stato prodotto nell’ambito di un rapporto di collaborazione.
Il paziente può pretendere l’originale della documentazione?
In linea generale, il paziente ha diritto a una copia della documentazione clinica che lo riguarda, ma non può pretendere l’originale se questo è stato redatto o prodotto dal professionista nell’ambito dell’incarico ricevuto, e dunque rientra nella disponibilità materiale di quest’ultimo.
Tuttavia, fa eccezione il caso in cui il documento sia stato fornito dal paziente stesso, o sia stato acquisito da fonti esterne (es. radiografie eseguite in altra struttura), oppure sia comunque di proprietà originaria del paziente. In queste ipotesi, la restituzione dell’originale è dovuta, anche in caso di cessazione del rapporto.
Il professionista può trattenere la copia della documentazione in caso di morosità?
No. Il diritto alla copia dei dati personali è garantito dal GDPR e non può essere subordinato al pagamento delle prestazioni. L’art. 2235 c.c. esclude espressamente il diritto di ritenzione da parte del prestatore d’opera intellettuale. Il dentista potrà eventualmente agire in giudizio per il recupero del credito, ma non potrà bloccare l’accesso ai dati o il rilascio della loro copia.
Il collaboratore dello studio può trattenere documenti o dati del paziente?
No. Il documento è sempre nella disponibilità giuridica dello studio, che è titolare del trattamento. Il collaboratore può conservare solo i dati strettamente necessari per tutelare un proprio diritto (es. controversie professionali o economiche), ma non può trattenere o duplicare i documenti clinici senza l’autorizzazione del titolare.
Il diritto alla copia vale anche per impronte, modelli in gesso, scan digitali o radiografie?
Sì. Qualsiasi dato personale del paziente, a prescindere dalla forma o dal supporto in cui è rappresentato, rientra nel perimetro del trattamento disciplinato dal GDPR. Il paziente può sempre chiedere una copia, ma non l’originale del modello fisico, della scansione o della radiografia, se il supporto appartiene al professionista.
Per quanto tempo il professionista può conservare i dati?
Il tempo di conservazione dipende dalla finalità. Se i dati sono necessari per la continuità clinica o la difesa in sede giudiziaria, il professionista può conservarli per tutto il tempo necessario al perseguimento di tali scopi, come previsto dall’art. 17, par. 3, lett. e del GDPR. Tuttavia, i dati devono essere limitati, pertinenti e non eccedenti, e devono essere cancellati o anonimizzati appena viene meno la base giuridica per conservarli.
Il consulente può fornire una copia della documentazione direttamente al paziente?
No. Il collaboratore responsabile del trattamento non può rispondere autonomamente al paziente. Le richieste devono essere indirizzate allo studio odontoiatrico, che è il titolare del trattamento. Il professionista collaboratore deve attenersi esclusivamente alle istruzioni documentate ricevute dal titolare, come previsto dall’art. 28 del GDPR.
Che cosa deve fare il professionista alla fine del rapporto di collaborazione?
Alla cessazione del rapporto, il professionista è obbligato a restituire tutta la documentazione ricevuta o prodotta nello svolgimento dell’incarico. Può conservare solo i dati che risultino necessari alla tutela dei propri diritti, ad esempio per finalità contabili, fiscali o legali. Non può duplicare o archiviare per proprio conto la documentazione clinica originale.
Come può il professionista tutelare i propri diritti senza violare quelli del paziente?
La tutela dei propri diritti deve avvenire nel rispetto della proporzionalità, della liceità e della minimizzazione. Il professionista può conservare copia dei dati rilevanti per dimostrare l’attività svolta o per difendersi in giudizio, ma non può ostacolare il paziente nell’esercizio dei propri diritti. L’equilibrio tra le due posizioni è garantito proprio dai limiti e dalle finalità specifiche previsti dal GDPR.
È opportuno regolare questi aspetti nel contratto di collaborazione?
Sì. È fortemente consigliato che il contratto tra studio e collaboratore contenga clausole chiare sulla titolarità dei documenti, sull’accesso e restituzione dei dati, sulla gestione delle richieste dei pazienti e sulle responsabilità in caso di violazione. Un contratto ben strutturato tutela entrambe le parti e previene contenziosi futuri.
La gestione della documentazione clinica del paziente rappresenta uno dei punti più delicati dell’attività professionale in ambito sanitario, non solo per gli obblighi legati al trattamento dei dati personali, ma anche per le possibili implicazioni civilistiche e deontologiche in caso di contenzioso, inadempimento o cessazione del rapporto.
Dall’analisi delle due principali fattispecie operative – il professionista titolare del trattamento e il consulente esterno dello studio – emergono alcuni principi giuridici fermi e non derogabili.
Il primo è che i dati personali del paziente appartengono sempre e comunque al paziente stesso, anche se contenuti in documenti redatti o conservati dal professionista. Il secondo è che il documento che incorpora i dati – sia esso cartaceo, digitale o fisico – è di proprietà del professionista che lo ha prodotto, oppure dello studio odontoiatrico se il professionista opera come collaboratore. Questo significa che, in linea generale, il paziente ha diritto a ottenere una copia della documentazione clinica, ma non l’originale, salvo che questo fosse originariamente di sua proprietà.
Un ulteriore punto fermo è il divieto di ritenzione della copia dei dati come forma di autotutela o pressione economica. Il professionista non può mai subordinare il rilascio della copia dei dati personali al pagamento del compenso. La tutela dei propri diritti avviene per le vie legali ordinarie, non tramite il blocco dell’esercizio dei diritti dell’interessato.
Nel caso del professionista che opera in qualità di responsabile del trattamento per conto dello studio, la gestione della documentazione e dei dati deve sempre avvenire nel rispetto delle istruzioni documentate del titolare. In caso di cessazione del rapporto, ogni documento deve essere restituito, e il collaboratore può conservare solo i dati strettamente necessari per l’eventuale esercizio di diritti in sede giudiziaria, nei limiti dell’art. 17, paragrafo 3, lettera e del GDPR.
Per evitare fraintendimenti, omissioni o comportamenti illeciti, si raccomanda di:
Un ultimo aspetto da non sottovalutare è l’importanza della formazione documentata di tutto il personale sanitario e amministrativo, affinché sia pienamente consapevole dei limiti di legge e dei comportamenti corretti nella gestione della documentazione clinica del paziente. La responsabilità per violazioni del GDPR o per condotte illecite può colpire tanto il professionista quanto la struttura, rendendo essenziale l’adozione di procedure formalizzate e verificabili.
Il rispetto di questi principi non solo tutela il paziente, ma protegge anche il professionista da contestazioni infondate, sanzioni e danni reputazionali.
Le seguenti clausole possono essere inserite all’interno di contratti di collaborazione professionale, lettere d’incarico o accordi interni tra studio odontoiatrico e professionisti esterni. Le formule sono orientative e personalizzabili.
Il Professionista prende atto che i dati personali dei pazienti trattati nello svolgimento dell’incarico rimangono nella titolarità degli interessati e che lo Studio è titolare del trattamento ai sensi dell’art. 4, n. 7 del Regolamento (UE) 2016/679.
Il Professionista agisce in qualità di responsabile del trattamento, nel rispetto delle istruzioni documentate fornite dallo Studio, ai sensi dell’art. 28 del medesimo Regolamento.
Tutta la documentazione clinica e amministrativa prodotta o acquisita durante l’esecuzione dell’incarico resta di proprietà dello Studio, anche se redatta o generata materialmente dal Professionista.
Il Professionista si impegna a non trattenerne copia dopo la cessazione del rapporto, salvo quanto strettamente necessario per l’adempimento di obblighi di legge o per finalità difensive.
Al termine dell’incarico, per qualsiasi causa esso cessi, il Professionista si impegna a restituire allo Studio ogni documento, cartaceo o digitale, relativo all’attività svolta, senza trattenere alcuna copia, salvo diversa autorizzazione scritta da parte dello Studio.
La restituzione dovrà avvenire entro e non oltre 10 (dieci) giorni dalla cessazione del rapporto.
È fatto salvo il diritto del Professionista di conservare, per un periodo di tempo proporzionato, i dati personali strettamente necessari all’esercizio o alla difesa di un proprio diritto in sede giudiziaria, ai sensi dell’art. 17, par. 3, lett. e del Regolamento (UE) 2016/679.
In tal caso, il Professionista si impegna a garantire la sicurezza dei dati conservati e a cancellarli o anonimizzarli una volta cessate le finalità che ne giustificano il trattamento.
Queste clausole costituiscono una base contrattuale di tutela reciproca, utile a prevenire fraintendimenti e violazioni normative nella gestione della documentazione clinica del paziente.
Si consiglia di integrarle in un modello di accordo personalizzato, eventualmente con l’assistenza di un consulente legale.
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