Il contesto competitivo che vede ancora oggi il dentista al centro dell’offerta di servizi sanitari può confermare questa centralità solo a precise condizioni: comprendere il contesto in cui si opera e si opererà nel prossimo e più remoto futuro, analizzare i punti di forza e di debolezza dei competitor principali e utilizzare le forme di aggregazione più consone per operare con le necessarie economie di scala e di scopo senza nel contempo snaturare il proprio ruolo di medici: per paradosso, non è certo il rapporto personalissimo tra medico e paziente a dover essere messo in discussione ma semplicemente il modello di offerta di servizi sanitari. Con entrambi gli strumenti, il dentista può continuare a non temere nessun competitor nella misura in cui quel competitor non potrà mai seguirlo su una strada che è e rimane solo ed esclusivamente sua.
Il settore dentale italiano è da tempo caratterizzato dall’ingresso di nuovi operatori e anche di nuove dinamiche di offerta di servizio che ne stanno trasformando in buona parte la natura, in modo non dissimile da quello che si è verificato in tutta la Sanità privata e persino in quella pubblica.
Il dentista non ha perso la sua storica centralità all’interno del settore e ancora oggi lo studio o l’ambulatorio da lui condotto e gestito è tuttora la formula più gradita per la gran parte dei pazienti. Ciò non toglie che anche tale tipologia di dentista debba prendere atto dei cambiamenti in essere e soprattutto che ne debba analizzare la portata, in modo tale da reagire nella modalità più opportuna al fine di restare competitivo anche in futuro. L’informazione di settore – quasi tutta di regime – non lo aiuta nel compito e anzi spesso lo porta a tirare conclusioni completamente errate.
Proveremo in quest’articolo a spiegare le ragioni della nostra visione del settore e della nostra “ricetta”, partendo dall’analisi disincantata dei fattori di contesto; una ricetta, quella di Dentista Manager, che oggi ha avuto come ultima tappa evolutiva quella della Rete di Imprese Dentista Manager ma che si è sempre caratterizzata in modo chiaro e circostanziato anche prima di arrivare a questa forma di aggregazione evoluta. In particolare, incoraggiando e aiutando tutti i dentisti che ne avevano le potenzialità e che ce ne facevano richiesta a trasformare la natura giuridica di esercizio della loro attività, passando da quella professionale a quella imprenditoriale. Il nostro è stato il primo libro dedicato alla Srl Odontoiatrica mai pubblicato in Italia. E a distanza di pochi anni, abbiamo pubblicato altri libri dedicati alla Holding odontoiatrica e sanitaria e alla http://Stp odontoiatrica così come alla Economia e controllo di gestione dello studio dentistico. E abbiamo tenuto corsi su questi e altri argomenti oltre ad effettuare informazione gratuita e consulenze a parcella che sono stati fruiti da migliaia di dentisti in questi ultimi dieci anni.
Questa esperienza e dettagliata conoscenza dei fattori in gioco oltre che delle caratteristiche organizzatibe ed economiche dei principali protagonisti del settore, unita alla siderale distanza dai soliti cerchi magici che fingono di tutelare la categoria degli odontoiatri ma che si contraddistinguono per la totale incapacità di analizzare il contesto con la lucidità e lungimiranza necessarie, ci autorizza e per certi versi ci obbliga a dire come vediamo la situazione e come pensiamo di poterla affrontare.
La verità è che non esiste alcun complotto ai danni del dentista tradizionale, non più di quanto possa esistere ai danni di qualunque figura diversa dalla grande impresa. Dobbiamo invece registrare la concomitanza di una serie di fattori di contesto, alcuni dei quali non hanno diretta relazione con gli altri ma che sono tutti insieme capaci di spingere il settore in una determinata direzione; una direzione non certamente favorevole alla forma di esercizio tradizionale e alle dimensioni micro che questa normalmente assume, in mancanza di azioni opportune ma che può sortire effetti deleteri se alla reazione strategica con gli opportuni strumenti operativi si sostituisce il piagnisteo e la lotta contro i mulini a vento del Grande Capitale e del Grande Complotto Pluto-giudaico-massonico.
Iniziamo con l’analizzare questi elementi di contesto.
Negli ultimi due decenni, lo Stato italiano ha gradualmente modificato il proprio atteggiamento nei confronti del Sistema Sanitario Nazionale (SSN). Pur non dichiarandolo apertamente, la direzione intrapresa è chiara: contenere la spesa sanitaria pubblica, riducendo il perimetro degli interventi finanziati con risorse statali e trasferendo una parte crescente della responsabilità economica sui cittadini.
Tale politica si fonda su una strategia silenziosa ma efficacissima, che sfrutta leve indirette e difficilmente contestabili:
A questa strategia fa da contraltare un dato impressionante: secondo le ultime stime GIMBE, la spesa per prestazioni sanitarie private pagate direttamente dai cittadini ha superato i 15 miliardi di euro annui. Questa cifra non transita né per assicurazioni né per fondi integrativi: si tratta di denaro pagato a mano, con carta o bonifico, direttamente alla struttura privata.
È una cifra enorme. Ma ancor più significativo è il suo significato sistemico: la sanità privata si regge ormai su una “domanda forzata”, alimentata da un sistema pubblico che, per scelta politica, non risponde più in modo adeguato ai bisogni di salute della popolazione.
Questa condizione ha trasformato radicalmente la natura della sanità privata: da alternativa complementare al pubblico, si è progressivamente trasformata in un sostituto necessario, non sempre accessibile e non sempre qualificato.
In questo contesto, il ruolo del professionista sanitario si complica: da un lato, si trova ad assumere una funzione sociale che non gli competerebbe, supplendo alle mancanze del sistema pubblico; dall’altro, deve confrontarsi con dinamiche di mercato spietate, dove il prezzo diventa il primo criterio di scelta per un paziente sempre più disorientato.
Il rischio? Che la qualità venga percepita come bene di lusso, accessibile solo a chi può permetterselo. E che i professionisti sanitari, se non adeguatamente organizzati, vengano sopraffatti dalle logiche del mercato, privati del loro ruolo di garanti della salute.
Questo effetto indotto dalle scelte politiche non riguarda il settore dell’odontoiatria in maniera diretta, perlomeno se si guarda al peso rispetto a quello che ha avuto in altri settori. Tuttavia, l’impoverimento di larghe fasce della popolazione potrebbe comportare anche nel nostro settore, e di fatto sta già comportando, un trasferimento di pazienti verso le strutture con le tariffe più basse che sono anche quasi sempre quelle che erogano prestazioni di bassa qualità.
Una delle caratteristiche più evidenti della sanità privata contemporanea – ma anche una delle più sottovalutate – è la crescita esponenziale degli adempimenti burocratici, legali e organizzativi imposti alle strutture sanitarie. Questa pressione regolatoria si manifesta su più fronti e interessa ogni aspetto dell’attività, ben oltre la dimensione clinica.
Oggi, anche una piccola struttura odontoiatrica è chiamata a gestire, senza alcuna pretesa di esaustività e completezza, almeno questi adempimenti principali:
Questa vera e propria ipertrofia normativa e regolamentare, spesso pensata per tutelare il cittadino a spese del privato, finisce per colpire in modo sproporzionato le strutture più piccole, che non dispongono delle risorse – economiche, umane e professionali – per fronteggiare da sole questi obblighi.
Al contrario, i grandi gruppi sanitari, forti di economie di scala e strutture manageriali complesse, assorbono e metabolizzano più facilmente questi vincoli, trasformandoli in barriere all’ingresso per i concorrenti più piccoli. In sostanza, la burocrazia diventa una leva competitiva per chi può permettersi di gestirla.
Il paradosso è evidente: il legislatore, spesso in nome della sicurezza e della trasparenza, contribuisce alla selezione darwiniana del mercato, favorendo l’accentramento dell’offerta e scoraggiando le piccole realtà professionali.
Un dentista libero professionista, per quanto competente e scrupoloso, non può più bastare a sé stesso, né sotto il profilo tecnico né sotto quello normativo.
In questo scenario, il problema non è la presenza di regole – necessarie e spesso condivisibili – ma la sproporzione tra chi deve applicarle e chi può sostenerle. Ed è proprio qui che l’aggregazione tra professionisti, a parità di valori e impostazione etica, diventa non solo utile, ma necessaria.
Quasi tutto quanto già descritto non bastasse, dobbiamo anche registrare il fatto che Il settore odontoiatrico, un tempo dominato da liberi professionisti e da studi organizzati attorno alla figura del titolare, è oggi uno dei segmenti della sanità privata maggiormente sotto pressione competitiva.
La causa principale non è una contrazione della domanda, bensì l’ingresso aggressivo di nuovi soggetti economici, estranei alla professione sanitaria, ma attratti dalla redditività storica del comparto.
Ecco i principali protagonisti di questo cambiamento:
Fondi integrativi, assicurazioni sanitarie e network convenzionati hanno progressivamente ampliato il proprio raggio d’azione, passando:
Oggi, in molti casi, il terzo pagante non si limita a intermediare, ma entra direttamente nel capitale delle strutture sanitarie, fonda centri odontoiatrici propri o stringe accordi vincolanti con operatori subordinati alla logica assicurativa.
Alcune aziende che storicamente producevano o distribuivano beni e servizi per gli studi odontoiatrici (materiali, impianti, software gestionali) hanno iniziato a verticalizzare il loro modello di business, fondando o acquisendo strutture sanitarie.
Questo fenomeno ha un impatto particolare: chi fornisce la tecnologia entra nel mercato della cura, sovrapponendo la logica del prodotto a quella del paziente, con evidenti conflitti d’interesse.
Modelli organizzativi tipicamente aziendalistici, che replicano lo stesso format in diverse città, con:
Le catene offrono accessibilità economica e semplicità ai pazienti, ma spesso al prezzo di una standardizzazione radicale, in cui la figura del medico è subordinata alla direzione commerciale.
Soggetti estranei alla sanità, come fondi di private equity o holding multisettoriali, vedono nell’odontoiatria un settore scalabile e ad alta marginalità, nel quale entrare con logiche di rendita industriale: acquisizioni, taglio dei costi, moltiplicazione dei centri, controllo dei ricavi.
La presenza di questi operatori modifica profondamente il mercato: la concorrenza non è più tra professionisti, ma tra professionisti e capitali.
In questo contesto, parlare di “concorrenza sleale” o lamentarsi della situazione non basta più.
La realtà è cambiata. E, per certi versi, è anche irriversibile.
Ma ciò non significa che i dentisti debbano subire questa trasformazione. Al contrario: è proprio in questo scenario che aggregazioni intelligenti come la Rete di Imprese Dentista Manager possono permettere al professionista di:
La Rete rappresenta l’unica forma di reazione strutturata, capace di contrastare lo strapotere economico di soggetti che nulla hanno a che fare con la medicina.
Non è una difesa nostalgica: è una controffensiva moderna, efficiente, giuridicamente solida.
Perché oggi il medico, per sopravvivere, deve restare medico quando cura, ma diventare imprenditore quando organizza e persino su larga scala. E ciò non si può più fare da soli.
Tuttavia esiste un elemento che gioca a favore del dentista e che ben difficilmente può essere utilizzato da soggetti che non siano medici: e cioè il fatto che la qualità delle cure è fortemente legata alla personalizzazione delle stesse.
Ebbene, uno dei grandi equivoci che si stanno radicando nel sistema sanitario contemporaneo – e in particolare nel settore odontoiatrico – è quello secondo cui la qualità delle cure aumenterebbe proporzionalmente con la dimensione della struttura.
Più grande è la clinica, più moderno il suo arredamento, più numeroso il personale, più articolato l’organigramma… maggiore sarebbe, per definizione, la qualità del servizio sanitario erogato. Ora, è sicuramente vero che la grande dimensione favorisce investimenti di elevato costo e livello così come consente più agevolmente di attrarre le risorse migliori e di investire nella loro professionalità. Tuttavia tutto ciò aiuta ma non è certamente sufficiente e nemmeno così determinante al fine di assicurare ai pazienti della struttura cure di elevato livello. Per arrivare a garantire cure di qualità occorre lasciar spazio alla discrezionalità del clinico in modo tale da permettergli di personalizzare il percorso di cura con ciascun paziente. Non si può pensare di erogare prestazioni sanitarie di qualità quando il driver organizzativo principale è rappresentato dalla standardizzazione. Eppure è esattamente quella l’impostazione dell’approccio su larga scala alle cure che va per la maggiore nell’attuale contesto.
Questa illusione di tipo industriale poggia su una logica mutuata da altri settori: la standardizzazione, la scalabilità, l’ottimizzazione dei costi.
Eppure, la medicina non è un processo industriale. Non si producono prestazioni, si curano persone. Non si gestisce una filiera, ma una relazione fiduciaria.
Nel diritto civile esiste una nozione che descrive perfettamente l’essenza del rapporto medico-paziente: si chiama intuitu personae e trova il suo terreno di coltura ideale nel contratto di prestazione d’opera intelletuale disciplinato dagli art. 2230 e ss. del Cod. Civ..
Questa espressione latina indica un vincolo contrattuale che si fonda sulla fiducia, sulla reputazione e sull’identità personale di chi presta la prestazione. Il contratto in intuitu personae è, per definizione, non delegabile, perché è la persona del prestatore – e non l’ente o l’organizzazione che lo rappresenta – ad essere determinante. E non è nemmeno standardizzabile proprio perchè fondato sul presupposto di una stretta personalizzazione che rimane possibile solo all’interno di quella ben determinata coppia: quella rappresentata del professionista intellettuale e dal suo cliente.
Nel contesto sanitario, questo principio non è solo una costruzione giuridica: è la base etica della professione.
Un paziente non si affida a una struttura, ma a un medico. Vuole sapere chi lo prende in carico, con quali competenze, con quale esperienza, con quale sensibilità.
Questo legame è il contrario della rotazione forzata dei professionisti, della standardizzazione dei piani terapeutici, della logica della prestazione anonima.
Le strutture più grandi, per loro natura, sono obbligate a razionalizzare i processi: hanno bisogno di protocolli omogenei, di sistemi di controllo dei costi, di previsioni economiche attendibili, di percorsi diagnostici e terapeutici standardizzati per quanto possibile.
Spesso, anche se non sempre, hanno bisogno di praticare tariffe basse ‘per intercettare la clientela target oppure quando le tariffe che praticano non sono basse hanno comunque bisogno di massimizzare i margini a beneficio degli azionisti e finanziatori e quindi di contenere i costi. Il risultato finale non è troppo dissimile: quando si ricerca il contenimento dei costi come valore assoluto, è spesso la qualità della prestazione a farne le spese.
Non è raro, quindi, che l’obiettivo economico della struttura prevalga su quello clinico del medico. E quando questo accade, il medico si trova a dover scegliere tra:
La verità è che non esiste un legame necessario tra dimensione e qualità. Ciò che conta non è quanto è grande la struttura, ma quanto è libera e competente la persona che cura.
Le case di cura private di eccellenza del passato – quelle che hanno lasciato un segno nel nostro immaginario – non erano semplicemente grandi o ben arredate. Il loro successo derivava dalla coesistenza virtuosa tra:
Il medico, insomma, era il centro e non una pedina.
A dimostrazione del fatto che la disputa tra professione e impresa in ambito prettamente clinico è tutto tranne che teorica, basta osservare la realtà: nel panorama odierno della sanità privata – e in modo ancora più marcato in odontoiatria – si stanno sempre più chiaramente delineando due modelli organizzativi alternativi e inconciliabili, entrambi perfettamente riconoscibili e ormai ben radicati.
Quello che distingue i due modelli non è tanto il tipo di soggetto giuridico coinvolto (studio professionale, SRL, clinica, fondo, rete…), ma la direzione nella quale scorrono le decisioni: chi comanda? Il medico o l’impresa?
Questa domanda non è retorica, né astratta. Anzi, rappresenta oggi la scelta strategica più importante che ogni professionista sanitario è chiamato a compiere.
Modello A: l’impresa al servizio del medico
In questo modello, l’obiettivo è chiaro: rendere il medico libero di curare nel miglior modo possibile, sollevandolo dagli oneri organizzativi, normativi e gestionali che ostacolano la sua attività.
L’impresa, in quanto struttura, ha una funzione servente: fornisce strumenti, regole, supporto, ma non detta le scelte cliniche, né ne condiziona i contenuti.
Le caratteristiche di questo modello sono:
Questo modello ha una radice etica forte: pone la persona del medico al centro della cura e riconosce al paziente il diritto di essere curato da chi ha scelto e di cui si fida, non da chi risponde meglio alle esigenze di costo della direzione.
Nel secondo modello, l’impresa assume la guida, e il medico diventa una pedina nella catena del valore.
L’obiettivo principale non è la qualità della cura, ma la redditività dell’organizzazione. Di conseguenza, tutte le scelte – incluse quelle cliniche – vengono filtrate attraverso le esigenze economiche e gestionali dell’impresa.
Le caratteristiche tipiche di questo modello sono:
Nel tempo, questo modello produce alienazione professionale, perdita del senso del mestiere e, spesso, deterioramento del rapporto fiduciario con il paziente, che si sente trattato come cliente più che come persona.
Chi opera nel settore sa bene che non esistono vie di mezzo stabili.
Può esserci una fase intermedia, di ambiguità o compromesso, ma alla lunga ogni struttura è costretta a scegliere da che parte stare:
In questa scelta, la forma giuridica è neutra: non è la SRL o la STP a fare la differenza, ma la governance effettiva, cioè chi prende le decisioni cliniche, economiche, strategiche.
Fin dalla sua nascita, Dentista Manager ha sempre sostenuto e promosso il primo modello: quello in cui il medico guida, l’impresa supporta, e il paziente riceve una cura personalizzata e responsabile.
La creazione della Rete di Imprese Dentista Manager è stata la naturale conseguenza di questa visione: offrire a ogni dentista la possibilità di gestire la propria attività con solidità imprenditoriale, senza rinunciare alla propria identità clinica e professionale.
In questo modo, la Rete permette di organizzare il lavoro come un’impresa, ma restare medici nel senso più pieno e nobile del termine.
Ma allora qual è la via? La Rete di Imprese Dentista Manager è stata concepita esattamente per rispondere a questa esigenza: offrire ai singoli dentisti gli strumenti per diventare imprenditori efficienti, senza dover rinunciare al proprio profilo professionale.
Grazie alla Rete, ogni dentista può e sempre più potrà:
Il tutto senza mai diventare una catena, senza perdere il nome sulla porta, senza uniformare le cure, senza negare l’identità del medico.
Una volta compreso che l’equilibrio tra autonomia clinica e solidità organizzativa è la chiave per affrontare le sfide della sanità privata contemporanea, resta una domanda fondamentale: come si costruisce questo equilibrio?
La risposta non può più essere individuale.
La singola struttura professionale, per quanto ben gestita e dotata di valore umano e clinico, non è sufficiente – da sola – a sostenere le pressioni normative, tecnologiche, economiche e concorrenziali che caratterizzano oggi il mercato sanitario.
E proprio per questo Dentista Manager ha promosso e fondato la Rete di Imprese Dentista Manager:
non come progetto teorico, ma come modello operativo concreto, dotato di una forma giuridica autonoma (rete soggetto), di un fondo di dotazione patrimoniale, di un comitato di gestione, e oggi composto da oltre 220 strutture sanitarie in tutta Italia.
Il panorama sanitario italiano è ricco di esperimenti aggregativi, molti dei quali falliscono o degenerano.
Catene, franchising, consorzi, STP multi-socio, forme di collaborazione più o meno vincolanti.
Ma la Rete di Imprese, così come concepita da Dentista Manager, presenta caratteristiche distintive e strategiche:
Ogni studio aderente mantiene la propria autonomia giuridica, clinica, organizzativa, ma si impegna in un progetto comune con obiettivi condivisi e regole condivise.
Non è solo un contratto tra aziende. È un’entità autonoma che può stipulare contratti, gestire beni comuni, offrire servizi e rappresentare i partecipanti verso terzi.
Non vive di teoria, ma di risorse reali, investite per produrre valore collettivo: consulenze, formazione, servizi condivisi, strumenti informatici, soluzioni organizzative.
Le decisioni strategiche sono prese in modo collegiale, trasparente, rappresentativo, evitando logiche verticistiche o personali.
Aggiungiamo un elemento fondamentale: è una aggregazione tra imprese ed stp e non tra studi professionali monocratici o associati, al fine di sfruttare tutte le migliori opportunità sotto il profilo fiscale, successorio e patrimoniale che queste forme giuridiche di aggregazione comportano.
La forza della Rete non è solo giuridica o ideologica: è concretamente operativa.
Ogni aderente può beneficiare di:
In altre parole: tutto ciò che una struttura da sola non potrebbe permettersi, o non avrebbe il tempo e le risorse per costruire, diventa accessibile, sostenibile e strategico.
Il più grande errore che un dentista possa fare oggi è quello di cercare soluzioni temporanee a problemi strutturali: delegare la compliance, rincorrere bandi, inseguire mode digitali, copiare soluzioni aziendali non compatibili con la propria natura professionale.
La Rete, invece, è una risposta strutturale a un cambiamento sistemico.
Non è una “scorciatoia” per avere qualche servizio in più, ma un modo diverso di stare nel mercato, di costruire un’identità professionale, di dare un futuro sostenibile alla propria attività.
È, a tutti gli effetti, una forma moderna di mutualità professionale organizzata, capace di coniugare:
In un mondo in cui essere piccoli è spesso sinonimo di vulnerabilità, e essere grandi significa rischiare di snaturarsi, la Rete Dentista Manager è la terza via:
una forma di grandezza collettiva che non rinnega la singolarità clinica di ciascun medico.
È lo strumento che permette di essere imprenditori insieme, senza diventare dipendenti di un sistema che non ci appartiene.
Nel confronto competitivo tra i dentisti organizzati in forma tradizionale e i nuovi operatori della sanità privata – grandi gruppi finanziari, fondi, catene, assicurazioni – si tende spesso a sottovalutare un aspetto cruciale: la differenza non è solo nelle risorse disponibili, ma nella natura stessa del modello organizzativo.
Molti dentisti, comprensibilmente preoccupati dalla forza economica e comunicativa di questi soggetti, finiscono per pensare che la vittoria dei grandi gruppi sia inevitabile.
Eppure, non solo questa vittoria non è inevitabile: è tutt’altro che scontata.
Anzi, esiste un vantaggio competitivo che i grandi gruppi non possono né replicare né comprare: quello fondato sul rapporto personale, sulla libertà clinica e sul valore non replicabile della fiducia tra medico e paziente. La loro è una logica di tipo industriale che prevede come elemento unificante la standardizzazione.
Questo tipo di organizzazione detesta il professionista o nella migliore delle ipotesi lo tollera a malapena: tutto quanto lui rappresenta – la personalizzazione dell’approccio al cliente, l’artigianalità delle soluzioni, la libertà da qualunque condizionamento di tipo gerarchico – rappresenta la negazione del modus operandi della grande impresa.
I grandi operatori che si affacciano sul mercato sanitario – e su quello odontoiatrico in particolare – non nascono dalla medicina, ma da altri mondi: finanza, retail, assicurazione, logistica.
Di conseguenza, applicano alla cura gli stessi principi organizzativi che usano altrove:
In questo schema, la clinica è solo una variabile economica da controllare, non un atto professionale da rispettare.
Il medico, per quanto formalmente libero, opera dentro un perimetro rigido: nei tempi, nei materiali, nelle opzioni terapeutiche. E il paziente è un cliente da convertire, non una persona da curare.
Questa impostazione funziona bene su larga scala, ma produce una qualità clinica omogenea e media, raramente eccellente. E impedisce la personalizzazione, che è invece il cuore stesso della medicina.
La Rete di Imprese Dentista Manager così come ogni altro modello simile che aggrega dentisti caratterizzati da valori e atteggiamenti comuni, al contrario, è costruita esattamente sull’opposto:
Questa impostazione non è compatibile con il modello economico dei grandi gruppi, che hanno bisogno di:
Il nostro modello è troppo umano, troppo clinico, troppo libero per essere copiato. E questo non è un limite, ma il nostro principale vantaggio competitivo.
Uno dei miti più pericolosi importati dal mondo del marketing è l’idea che il paziente scelga una struttura sanitaria come si sceglie un brand di abbigliamento. Ma questo vale solo in una fase iniziale.
Nel tempo, ciò che fidelizza davvero il paziente è la relazione personale, l’efficacia percepita, la continuità terapeutica, la reputazione del medico.
Tutti elementi che le catene faticano a garantire, ma che sono connaturati alla pratica clinica del dentista indipendente. La Rete, in questo senso, non cancella la relazione, ma la rafforza, dandole una cornice più forte, più stabile, più attrezzata.
La concorrenza dei grandi gruppi è quindi reale, pervasiva, spesso aggressiva. Ma non è invincibile.
Al contrario, si può contrastare con successo, purché si usino strumenti adeguati.
La Rete Dentista Manager è quello strumento: un modello non imitabile dai gruppi finanziari, perché si fonda su valori, pratiche e relazioni che il capitale non può acquistare né replicare.
Dove loro devono standardizzare, noi possiamo personalizzare.
Dove loro devono controllare, noi possiamo responsabilizzare.
Dove loro devono fidelizzare alla struttura, noi possiamo rimanere fedeli al paziente.
Arrivati a questo punto, la riflessione si fa netta e irreversibile: non possiamo limitarci a descrivere ciò che non funziona, né possiamo accontentarci di denunciare le distorsioni del sistema.
Per quanto legittime, le lamentele – isolate e disorganizzate – non costruiscono alternative.
Oggi più che mai, il mondo odontoiatrico è chiamato a una scelta di campo consapevole e concreta:
continuare a subire passivamente le trasformazioni del mercato sanitario oppure diventare protagonisti di una nuova stagione professionale, fondata su modelli alternativi, sostenibili, credibili.
Per troppo tempo, una parte del mondo medico ha reagito ai cambiamenti con insofferenza e nostalgia: l’arrivo delle catene, la pressione delle assicurazioni, la burocrazia crescente, l’ingerenza della finanza.
Tutto vero. Ma nulla di tutto questo scompare da solo. E soprattutto: nulla si risolve con lo sdegno.
Ciò che serve non è un nuovo nemico contro cui scagliarsi, ma una nuova strategia da mettere in campo.
Dentista Manager ha scelto, fin dall’inizio, di non cavalcare l’indignazione, ma di costruire soluzioni. E la Rete di Imprese è la più importante di queste: una struttura concreta, giuridicamente solida, economicamente sostenibile, strategicamente lungimirante, capace di restituire al dentista il ruolo che gli spetta: quello di medico e di imprenditore.
Il segreto di questo progetto sta proprio nel suo equilibrio:
rimanere medici nel momento in cui si cura,
diventare imprenditori nel momento in cui si organizza.
La buona notizia è che non si tratta di un’utopia da costruire: la Rete esiste già, funziona, cresce.
Conta oltre 220 strutture aderenti e rappresenta la più avanzata esperienza di aggregazione professionale della sanità privata in Italia.
Chi aderisce alla Rete non cede il controllo del proprio studio, ma acquisisce una struttura di supporto e una rete di relazioni che amplifica le sue possibilità e protegge la sua libertà.
Non è un compromesso, è un potenziamento.
Non è una fusione, è una federazione.
Non è un “rifugio”, è una strategia competitiva vincente.
Ed è una una forma aggregativa aperta ad altri dentisti che ne vogliano far parte quando questi dentisti hanno la stessa visione e gli stessi valori che ci contraddistinguono da tempo.
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