Le società ricorrenti contro il contributo dello 0,5% sul fatturato delle società odontoiatriche sono arrivate alla sentenza di secondo grado. Il giudice della corte d’Appello respinge il ricorso con la motivazione che i ricorrenti non hanno alcun motivo di doglianza, posto che l’Ente non ha chiesto il pagamento del contributo. Prima ancora di entrare nel merito, dunque, la partita sembra già chiudersi. Alla luce di questa disposizione è molto probabile che le società decidano di non pagare, in attesa che tale richiesta di pagamento venga formalizzata ufficialmente.
La vicenda Enpam 0,5 % comincia ad assumere contorni più chiari, grazie alle sentenze di primo e di secondo grado.
In passato ci siamo dedicati ad analizzare il delicato rapporto tra Enpam, Odontoiatri e società odontoiatriche, tra cui la Srl Odontoiatrica, la Stp Odontoiatrica e la Holding Odontoiatrica. In particolare si veda l’articolo Enpam: contributi per i dentisti e balzelli per le società.
Dopo aver messo in luce tutte le incoerenze e le distorsioni relative al contributo obbligatorio dello 0,5% sul fatturato, siamo ora giunti al secondo pronunciamento da parte del giudice (Corte d’Appello di Roma).
Nel respingere l’appello delle società ricorrenti, il Giudice produce una motivazione estremamente interessante. Senza neppure entrare nel merito della questione, egli afferma che i ricorrenti sono privi di legittimazione attiva ad agire, dal momento che nessuno ha chiesto loro di pagare il contributo in questione.
Vista da questa prospettiva, e lasciando del tutto inalterate e impregiudicate le contestazioni sostanziali, appare evidente che non c’è motivo di contendere: non puoi ritenerti danneggiato da una azione inesistente, quindi il ricorso appare infondato.
Se non vi è alcuna pretesa contributiva da parte dell’Ente in ordine al contributo 0,5% perchè le società dovrebbero sentirsi obbligate a pagarlo? Conseguentemente, in cosa dovrebbero ritenere di aver subito una ingiustizia?
Di seguito riportiamo lo stralcio più significativo della sentenza, che, ictu oculi, è sbalorditiva per la nostra categoria.
Difetta un interesse ad agire, attuale e concreto non avendo presentato l’Enpam alcuna effettiva richiesta di pagamento, tantomeno di sanzioni, non risultando neppure individuato il regime sanzionatorio applicabile alla fattispecie.
Invero, la lettera di risposta alla diffida inviata dall’Enpam non contiene alcuna pretesa contributiva, limitandosi ad illustrare la disciplina normativa ed il generico termine di legge per la comunicazione del fatturato imponibile (relativo alle sole prestazioni odontoiatriche) e per il pagamento del contributo, fissato al “30 settembre di ogni anno”.
Neppure viene individuato il regime sanzionatorio applicabile in caso di ritardo od omissione, richiamando genericamente la risposta in esame il regime di cui all’art. 116, commi 8 e ss. della legge 388/2000, senza nulla specificare sull’applicabilità della lett. a) o b) della suddetta norma.
Nessun accertamento risulta essere stato effettuato dall’Enpam sull’esistenza di un imponibile contributivo e sulla conseguente irregolarità della società odierna appellante. L’invio di generici chiarimenti a riscontro di una diffida della società non è idoneo a fondare la sussistenza di un interesse ad agire attuale e concreto al momento del deposito degli originari ricorsi introduttivi, né può ritenersi che tale interesse possa insorgere in corso di causa in relazione alle concrete vicende processuali.
Appaiono dunque pienamente condivisibili le argomentazioni del giudice di prime cure secondo cui, in carenza di alcuna concreta richiesta di pagamento da parte dell’Enpam, non è ravvisabile alcun interesse ad agire. Tale carenza di interesse deve essere rilevata anche in relazione alle questioni di legittimità costituzionale prospettate in via principale. Invero, in assenza di una richiesta di pagamento, la società appellante non ha alcun concreto ed effettivo interesse all’accertamento della incostituzionalità dell’art. 1 comma 442, L. 205/2017, non essendo mai stato adottato alcun atto impositivo da parte dall’ente previdenziale.
Peraltro, è incontroverso che nessun atto applicativo dell’art. 1, comma 442, l. 205/2017 è stato inviato dall’Enpam alla società appellante, né la stessa è stata mai individuata quale obbligata al versamento del contributo in esame.
Che conclusioni dovremmo trarre da queste parole?
Se facciamo la somma, nelle motivazioni del giudice di primo grado e quelle di secondo grado, il passaggio in cui si dice che i ricorrenti non hanno nessun motivo di doglianza sono decine e decine. Manca interesse ad agire perchè non esiste alcuna richiesta di pagamento da parte di Enpam.
E’ molto probabile che tutti coloro che nel frattempo hanno pagato si sentiranno offesi nella loro intelligenza e diligenza, mentre gli altri si asterranno ulteriormente dal farlo.
Peraltro, in entrambi i gradi, i giudici sono concordi nell’affermare che non sono neppure individuabili profili sanzionatori per chi non ha versato il contributo.
Riteniamo che sia auspicabile una transazione stragiudiziale tra le parti allo scopo di non sperperare inutili risorse e fatiche in una vicenda che potrebbe trovare la propria naturale ricomposizione semplicemente attraverso il buon senso.
Ad esempio:
Definiti questi punti si potrebbe tranquillamente soprassedere sugli ampi profili di incostituzionalità residui, su cui si potrebbe stendere un velo pietoso per amore di patria.
Quando la legge è ingiusta, obbedire è obbligatorio.
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