La nozione di controllo societario è piuttosto articolata e richiede un intenso sforzo di approfondimento da parte del dentista per essere compreso. Tale sforzo, in molti casi, potrebbe essere ricompensato dalla possibilità di accedere al regime forfettario, di gran lunga la più potente forma di agevolazione fiscale del nostro Paese. Diversamente il dentista deve affidarsi al giudizio di consulenti esterni con esiti che, molto spesso, sono solo “difensivisti”.
A corollario dei precedenti articoli su Regime Forfettario e Vie di accesso al regime forfettario, cui si rimanda per completezza e per tutti i riferimenti giuridici, sentiamo il dovere di approfondire la questione del Controllo Societario, come nozione giuridica e per le sue applicazioni pratiche nella Srl Odontoiatrica.
Per legge, ma anche per prassi oramai consolidata dalla Agenzia delle Entrate, la semplice proprietà di quote di una Srl non è più elemento sufficiente per stabilire se un soggetto abbia il controllo, oppure no, della società. Tale argomento, tuttavia, non dovrebbe essere utilizzato solamente in una direzione (ovvero per stabilire la presenza del controllo di chi possiede quote di maggioranza), ma dovrebbe, almeno per onestà intellettuale, essere utilizzato anche in senso opposto (ovvero per escludere il controllo di chi possiede quote di minoranza).
Proviamo a fare degli esempi per capire il concetto, con una premessa generale (riconosciuta dalla stessa Agenzia delle entrate) che solo un soggetto può avere il controllo di una Srl, giacché se lo avessero in due o più di due, non si potrebbe più parlare di controllo:
La risposta è evidentemente “no” in entrambi i casi e per gli stessi identici motivi, che dobbiamo dunque esaminare sia in un caso che nell’altro con lo stesso rigore logico.
Poiché, come abbiamo visto negli articoli citati, il controllo si declina diversamente a seconda della dimensione nella quale viene indagato, dobbiamo partire proprio da queste dimensioni per capire il tutto.
La prima dimensione che analizziamo è quella relativa alle modalità con cui il controllo viene esercitato: il legislatore distingue un controllo di diritto e un controllo di fatto.
Il Controllo societario di diritto si fonda precisamente sull’esercizio della maggioranza dei voti in sede di assemblea ordinaria deliberante nelle materie ai sensi dell’art. 2364 c.c.. In ogni caso il controllo passa attraverso la capacità di nominare e revocare l’organo amministrativo.
Pare il caso di sottolineare come il controllo di diritto non si esprima attraverso la percentuale di quote possedute in una Srl, quanto precisamente attraverso la disponibilità di voti in assemblea. Non è la stessa cosa.
Si pensi, ad esempio alla possibilità di ripartire i diritti di voto in assemblea in modo non proporzionale alle quote possedute. Molte sono le ragioni per cui ciò può essere fatto e in modo del tutto lecito all’interno dello Statuto societario. Un socio dunque potrebbe lecitamente possiede una minoranza di quote sociali (per esempio il 40%) ma, in virtù di particolari diritti di queste quote, esercitare la maggioranza dei voti in assemblea (per esempio il 60%).
La presenza di un quorum deliberativo, stabilito dallo Statuto, che fosse, per esempio al 51% ci indica palesemente se il socio ha un controllo di diritto oppure no, sulla base del potere di voto che le quote possedute gli conferiscono (e non sulla base della percentuale di quote in astratto).
Il Controllo societario di fatto è più difficile da comprendere o da contestare in modo oggettivo, e cioè senza che si possano intravvedere interpretazioni arbitrarie. In alcuni casi viene anche identificato come Controllo negoziale.
In linea generale il controllo di fatto è quello che si esercita nei casi in cui un soggetto non detiene né quote né voti di maggioranza, ma di fatto riesce ad esercitare ugualmente una influenza dominante. Il controllo di fatto si può esprimere anche attraverso la possibilità di condizionare la società in questione in termini di risultati economici, equilibrio finanziario o opportunità strategiche.
Si pensi, ad esempio, al caso frequente del socio di minoranza con ampie disponibilità economiche e che possa far mancare il proprio contributo finanziario per il successo dell’impresa, oppure che detenga il patrimonio immobiliare da cui l’impresa dipende per proseguire l’attività. Questo socio di capitale è lo stesso che può manipolare una StP odontoiatrica pur avendo solo il 30% delle quote e dei voti in assemblea.
Questo fenomeno può avvenire con tale efficienza da configurarsi addirittura un controllo esterno di fatto, definito dal legislatore come controllo che prescinde dalla partecipazione societaria e si fonda invece sull’esistenza di particolari vincoli contrattuali dai quali dipendono l’attività e la potenzialità imprenditoriale della controllata.
Altri esempi sono rappresentati dal cliente unico, dal fornitore critico e vincolante di prestazioni o di servizi, dalla presenza di patti parasociali o di particolari clausole statutarie. Tutti questi fattori possono rappresentare un fattore potenziante della partecipazione societaria o addirittura qualificante per un soggetto esterno alla compagine sociale.
Poiché il controllo di fatto (esterno o interno che sia) è aleatorio e fragile, per essere considerato tale necessita che l’influenza dominante sia continua e stabile e dotata di un sufficiente grado di certezza: il pacchetto di voti deve essere, come testualmente richiesto dalla norma, “sufficiente ad esercitare il controllo benché in assoluto risulti minoritario”.
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La seconda dimensione che esaminiamo è il luogo da dove si esercita il controllo: si parla dunque di controllo interno e controllo esterno.
Tipicamente il controllo di una società viene esercitato da un soggetto che è socio della stessa. Il caso tipico è quello in cui un socio detiene il 51% delle quote societarie e lo statuto prevede che le delibere assembleari si assumano con il voto favorevole della maggioranza assoluta del capitale sociale. Un caso analogo è quello del socio che detiene il 70% delle quote in presenza di uno statuto blindato dove le maggioranze si raggiungono, per esempio, con il 65% delle quote.
In questo caso (come nella miriade di altri casi simili a questo) il soggetto che controlla la società, essendo socio della stessa, esercita il proprio controllo dall’interno dell’assemblea stessa (o meglio, della compagine sociale).
Va da sé che, per il principio base del controllore unico, una volta individuato questo soggetto interno come controllore della società, a tutti gli altri soggetti facenti parte della compagine sociale (ma anche a quelli esterni alla stessa) non potrà essere imputato il controllo della società e, se ricorrono gli altri requisiti previsti, potranno, per esempio, entrare nel regime forfettario.
Da notare che in una società con quorum deliberativo del 65%, un socio che pur detenesse il 51% delle quote non può dirsi in controllo della società più di quanto non si possa fare per l’eventuale altro socio al 49%. La conseguenza logica di una situazione come questa, in assenza di altre variabili di contesto che di seguito esamineremo, è corretto dire che nessuno dei soci (né il 51% né il 49%) possiede il controllo interno di diritto.
Ma il controllo interno non è l’unico caso possibile, come abbiamo già visto sopra.
Come detto, infatti, è possibile che un soggetto detenga il controllo della Srl anche senza far parte della compagine sociale e, quindi, non partecipando affatto all’assemblea dei soci ed alle loro deliberazioni.
Ciò avviene quando questo soggetto agisce in forza di particolari accordi, contratti, legami, vincoli (purché siano leciti e non contrari alla legge) che sono in grado di condizionare o determinare il voto dell’assemblea dei soci e, di conseguenza, le relative deliberazioni.
In questi casi il soggetto che controlla la società, non essendo socio della stessa, esercita il proprio controllo dall’esterno dell’assemblea stessa (o meglio, della compagine sociale), sempreché i quorum deliberativi vengano raggiunti dal controllo esterno.
Analogamente a quanto già detto per il controllo interno, per il principio base del controllore unico, una volta individuato questo soggetto esterno come controllore della società, a tutti gli altri soggetti non facenti parte della compagine sociale (ma anche a quelli interni alla stessa) non potrà essere imputato il controllo della società e, se ricorrono gli altri requisiti previsti, potranno, per esempio, entrare nel regime forfettario.
A titolo riassuntivo di tutte le possibili forme di controllo, proponiamo di seguito la cosiddetta Matrice del Controllo:
Esiste una terza variabile importante che deve essere considerata: si tratta del controllo indiretto.
Il controllo indiretto si verifica ogniqualvolta un soggetto interpone, in tutto o in parte, tra sé e l’oggetto del controllo uno o più soggetti.
Un esempio tipico, nel nostro settore, è quello della Holding Odontoiatrica che detiene le quote della Srl Odontoiatrica. In questo caso il dentista, pur non detenendo affatto quote della società operativa detiene il controllo della Holding la quale esercita il controllo sulla operativa. Potremmo definire questo tipo di controllo indiretto anche come controllo esterno di diritto.
Un altro esempio è quello del socio che possiede quote di minoranza ma controlla altri soci in virtù di particolari vincoli o contratti. Se la somma complessiva dei voti è sufficiente a determinare le maggioranze in assemblea ordinaria, il socio in questione ha un controllo indiretto che potremmo definire controllo interno di fatto.
A questo punto gli esempi che potremmo fare sono infiniti, considerato che le variabili sono tante e la loro combinazione ha un valore esponenziale. C’è però ancora una questione che deve essere chiarita ed è quella relativa ai coniugi, ai familiari ed agli affini. Il tema è rilevante per almeno due motivi:
In questo senso, concordiamo perfettamente con quanto scritto dal Dott. Trisacco nel 2019:
… alla luce di quanto precede, a parere di chi scrive, la presenza di un legame familiare tra i soci non è, di per sé, elemento sintomatico della sussistenza di una situazione di controllo “di fatto” da parte di uno di questi né di un’interposizione di persona.
Si pensi, ad esempio, al caso di una Srl partecipata da 4 soci, tutti familiari, ciascuno con una quota del 25%; in questo caso e salvo che non siano rinvenibili le specifiche situazioni individuate dalle norme precedentemente analizzate, ciascuno dei soci dovrebbe poter accedere al regime forfettario con una propria partita Iva individuale.
Naturalmente l’Amministrazione finanziaria potrà, dal canto suo, ricorrere a tutti i suoi poteri di indagine per dimostrare, caso per caso, che esistono gli elementi del “controllo diretto o indiretto” della Srl.
Non si può, quindi, trarre una regola generale, valevole per tutte le situazioni ma non sembrano esservi neanche delle esclusioni automatiche dal regime forfettario per il titolare di partita Iva che sia socio, insieme ad altri familiari, di una Srl.
Non si può sottacere che in passato l’Amministrazione finanziaria ha considerato rilevanti, relativamente alla nozione di controllo e, in particolare, ai fini della perimetrazione del gruppo societario, anche le partecipazioni possedute dai familiari dell’imprenditore, individuati ai sensi dell’articolo 5, comma 5, Tuir ; è pur vero, tuttavia, che si trattava di una interpretazione finalizzata a “(…) limitare possibili potenziali situazioni in cui il valore dell’attività di ricerca commissionata, e, quindi, il benefìcio ad essa collegato, possa essere determinato non in base al reale costo di mercato della commessa, ma subisca un’alterazione in conseguenza dall’influenza di un’impresa sulle decisioni dell’altra, che può manifestarsi non solo in dipendenza di vincoli azionari o contrattuali, ma anche per effetto di fattori economici (…)” (v. risoluzione 122/E/2017).
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Da quanto esposto fino ad ora emerge una considerazione interessante, soprattutto quando passiamo dalle certezze del controllo interno di diritto alle incertezze del controllo esterno di fatto.
Ci sono casi in cui il Controllo societario è oggettivabile per tabulas: ad esempio il controllo interno di diritto si esprime attraverso una partecipazione societaria e diritti al voto che si desumono dall’Atto Costitutivo stesso della società.
Ma ci sono anche casi in cui il Controllo societario non è palesemente manifesto: ad esempio il controllo di fatto che si esplica attraverso contratti di natura privata e, quindi, senza evidenza pubblica.
Ai fini che qui ci interessano, ovvero quelli che riguardano i requisiti per l’accesso o meno al regime forfettario, è normale che il legislatore abbia emanato delle norme tali per cui non si possa dissimulare il controllo societario (comunque configurato) confidando solo nella riservatezza di alcuni documenti.
Oltre ai contratti comuni, ad esempio, un soggetto potrebbe aver concesso ad un altro soggetto una procura speciale a vendere le proprie quote societarie, con l’effetto reale che il primo potrebbe subire una influenza dominante da parte del secondo e subire un impegno o obbligo (di fatto) a recepire le indicazioni di voto provenienti da quest’ultimo.
Ma veniamo al punto vero.
Dissimulare, nascondere, occultare elementi di prova che permettano di conseguire un indebito vantaggio di natura fiscale è certamente un comportamento illecito, sanzionabile e riprovevole sul piano morale. In tutti gli altri casi però non può esistere una presunzione semplice di incompatibilità con il regime forfettario se le cause ostative non sono presenti ed opponibili.
Con questo vogliamo dire che la contestazione di incompatibilità con il regime forfettario, per un dentista titolare di Srl Odontoiatrica, laddove non ricorra in modo manifesto nessuna delle quattro possibili configurazioni descritte, e dove non esista alcuna evidenza oggettiva, è priva di fondamento. Sarà dunque onere della controparte opporre le prove necessarie ed il compito è impossibile se, effettivamente, tali prove non esistono.
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Ora possiamo tornare al punto di partenza, riprendere le domande che abbiamo posto in apertura dell’articolo ed esaminarle in modo più approfondito.
Il caso è quello di una Srl Odontoiatrica costituita da 4 soci che si ripartiscono in modo paritario le quote sociali (25% ciascuno):
Ma non è tutto.
Nell’esempio citato, se consideriamo l’ipotesi del controllo esterno (di diritto o di fatto) esiste anche la possibilità che il controllo della società sia in capo ad un soggetto esterno alla compagine sociale, la qual cosa dovrà essere sempre dimostrata da chi eventualmente invoca le relative cause ostative. Questo potrà avvenire solo se il fatto è reale, non in via meramente ipotetica.
E ancora: ribaltando il ragionamento, si aprono delle opportunità interessanti.
I quattro soci paritari, nell’incertezza di identificare correttamente un soggetto che controlla la società potrebbero concordare di concedere il controllo ad uno di loro oppure all’esterno della compagine sociale. Quando vi sia una evidenza oggettiva e reale di tale controllo su un soggetto specifico, essi avrebbero liberato, per tutti gli altri, la possibilità di accedere al regime forfettario (posto che esistano le altre condizioni oggettive e soggettive).
Per esempio, essi potrebbero:
Quella del controllo societario è una materia difficile resa ancora più complessa da continue interpretazioni e da interventi di prassi amministrativa. Tuttavia, la sua corretta individuazione ammette o preclude l’accesso al regime forfettario, è troppo importante per un dentista conoscere perfettamente la materia senza doversi affidare al parere di terzi.
In condizioni di incertezza il parere di terzi volge sempre a soluzioni negative per il contribuente, lasciando invece il consulente nella confort zone della propria massima sicurezza. Questo atteggiamento da parte di consulenti commercialisti o avvocati e noto in sanità con l’espressione “medicina difensiva”.
Oltre a ciò, a tutto svantaggio del dentista contribuente che ambisce al forfettario lavora anche una sorta di ancestrale, inestinguibile senso di colpa. Ci riferiamo al senso di colpa tipico di chi, trovando una soluzione molto vantaggiosa e percorribile, istintivamente dubita che sia certamente lecita.
Chi, per natura, è più realista del re, in questo caso, finisce per applicare a se stesso limitazioni che il legislatore non ha mai inteso stabilire attribuendosi colpe che non esistono.
Dopotutto se lo strumento del forfettario ci viene messo a disposizione, seguendo le regole scritte, non lo ha fatto certo per poi impedirci di adottarlo.
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2 Commenti
[…] biennale, dunque, rappresenta una possibilità interessante anche per i dentisti che operano in regime forfettario, offrendo vantaggi in termini di semplificazione fiscale e protezione dai controlli. Tuttavia, è […]
Bellissimo articolo Gabriele!
Finalmente qualcosa da oppure ai nostri commercialisti che spesso eccedono in prudenza.
D’altro canto non è loro il grosso vantaggio che deriva da conoscere i dettagli di questi aspetti, ma nostro!