Le linee guida della Cao Nazionale sulla pubblicità sanitaria indicano le principali caratteristiche che il messaggio informativo deve possedere per essere corretto sotto il profilo deontologico.
Da un’osservazione attenta in merito alle domande che spesso arrivano dalla Comunità dei dentisti, appare chiaro che tale linee guida sono poco conosciute ed è proprio al fine di colmare queste lacune che abbiamo scritto questo articolo.
La valutazione sotto il profilo deontologico del messaggio pubblicitario rientra tra le competenze degli Ordini Professionali. Tale competenza spetta agli stessi per esplicita disposizione di Legge. Si possono avere le più diverse opinioni possibili in merito, ma la questione si pone e resta in questi termini.
Ne deriva che un medico o un odontoiatra hanno tutta la convenienza a studiare le linee guida sulla pubblicità sanitaria emanate dalla Cao nazionale che costituiscono il minimo sindacale in materia. Ogni Cao provinciale, infatti, può decidere di interpretare tali linee guida nazionali in misura più o meno restrittiva. Non sarebbe male quindi che ogni professionista effettuasse una sia pur sommaria analisi sull’aria che tira nel proprio specifico contesto territoriale. Non occorre essere un investigatore per scoprire la presenza dei vari Torquemada, perché sono proprio loro, normalmente, a far di tutto per palesarsi come tali.
Personalmente non ho problemi a scendere in battaglia per cause che ritengo giuste. Questo tuttavia non significa andarsela a cercare in ogni occasione. Molte delle problematiche in cui si può incorrere non dipendono dal coraggio del leone ma dalla pigrizia e lentezza del bradipo.
Noi di Dentista Manager abbiamo sempre inserito una specifica sessione sulle regole deontologiche nel nostro corso dedicato al marketing sanitario. Me ne occupo personalmente.
Abbiamo anche dedicato specifici webinar all’argomento, ma pare evidente dalle domande che vengono poste nel gruppo fb che alcuni li hanno saltati e che non hanno un’idea chiara di quali siano le regole nel contesto attuale. Questa mancata conoscenza costituisce una pessima base per iniziare ad utilizzare il marketing.
Premesso che tale conoscenza costituisce solo uno degli elementi sulla cui base iniziare a costruire una strategia di marketing, appare il caso di tratteggiare il tema delle regole deontologiche dedicate alla tematica, nella fondata speranza che ciò possa servire ai membri del gruppo digiuni della materia. E anche che possa servire a fornire, implicitamente, qualche utile consiglio.
In primis, va ricordato che l’obbligo di parere preventivo per la regolarità del messaggio non è più vigente nell’attuale ordinamento.
Si può comunque chiedere un parere all’Ordine volontariamente. Tuttavia, non credo che sia una prassi consigliabile esattamente per lo stesso motivo per cui non è consigliabile interpellare l’Agenzia delle Entrate per farsi dire dal controllore quale sia la prassi fiscale che non pone problemi. Non vigendo più l’obbligo, tale richiesta di parere può facilmente assumere carattere confessorio.
Si deve tenere presente che gli Ordini normalmente si muovono a censurare i messaggi solo dopo che tali messaggi sono stati a loro segnalati (quasi sempre da altri colleghi). Questo è il motivo per il quale si assiste molto spesse a contesti territoriali in cui si reiterano – ad opera di un numero più o meno alto di professionisti e/o strutture sanitarie – comportamenti ritenuti scorretti agli occhi della Comunità dei dentisti; comportamenti che non vengono neanche in automatico censurati dagli ordini, magari solo perché nessuno ha ancora pensato a denunciarli come tali agli Ordini stessi. Il fatto che il tale comportamento non sia stato ancora censurato non significa tuttavia che sia corretto e che possa restare impunito per sempre.
Personalmente vedo più utile studiare le norme deontologiche, capire cosa è concesso e cosa no e comportarsi di conseguenza. Contando sul fondamentale fatto che peraltro tali norme non censurano un marketing basato sui contenuti, bensì principalmente l’approccio pubblicitario di stampo puramente commerciale.
Con un po’ di fatica, si riesce a costruire un messaggio deontologicamente corretto e persino efficace.
Il professionista non può lasciar fare tutto al marketer e in particolare non può affidare a lui, senza effettuare una supervisione, la redazione dei contenuti del messaggio. Il marketer ha una mentalità normalmente diversa da quella del controllore e non si rende necessariamente conto dei rischi che si corrono quando si costruisce un messaggio che ai suoi occhi appare efficace e magari persino lo è.
Alcuni elementi possono servire a comprendere cosa non va veicolato.
Le linee guida della Cao nazionale contengono molte indicazioni operative e l’invito è quello di andare a leggerle; queste ultime si propongono di interpretare gli art. del Codice Deontologico dedicati alla materia.
Pare quindi opportuno partire dal testo di tali articoli per poi commentarli.
Art. 55. Informazione sanitaria.
«Il medico promuove e attua un’informazione sanitaria accessibile, trasparente, rigorosa e prudente, fondata sulle conoscenze scientifiche acquisite e non divulga notizie che alimentino aspettative o timori infondati o, in ogni caso, idonee a determinare un pregiudizio dell’interesse generale.
Il medico, nel collaborare con le istituzioni pubbliche o con i soggetti privati nell’attività di informazione sanitaria e di educazione alla salute, evita la pubblicità diretta o indiretta della propria attività professionale o la promozione delle proprie prestazioni.»Art. 56. Pubblicità informativa sanitaria.
«La pubblicità informativa sanitaria del medico e delle strutture sanitarie pubbliche o private, nel perseguire il fine di una scelta libera e consapevole dei servizi professionali, ha per oggetto esclusivamente i titoli professionali e le specializzazioni, l’attività professionale, le caratteristiche del servizio offerto e l’onorario relativo alle prestazioni.
La pubblicità informativa sanitaria, con qualunque mezzo diffusa, rispetta nelle forme e nei contenuti i principi propri della professione medica, dovendo sempre essere veritiera, corretta e funzionale all’oggetto dell’informazione, mai equivoca, ingannevole e denigratoria.
È consentita la pubblicità sanitaria comparativa delle prestazioni mediche e odontoiatriche solo in presenza di indicatori clinici misurabili, certi e condivisi dalla comunità scientifica che ne consentano confronto non ingannevole.
Il medico non diffonde notizie su avanzamenti nella ricerca biomedica e su innovazioni in campo sanitario non ancora validate e accreditate dal punto di vista scientifico, in particolare se tali da alimentare attese infondate e speranze illusorie.
Spetta all’Ordine professionale competente per territorio la potestà di verificare la rispondenza della pubblicità informativa sanitaria alle regole deontologiche del presente Codice e prendere i necessari provvedimenti”.
Dalla lettura combinata degli articoli del codice e dei commenti più significativi prodotti dalla Dottrina, appare chiaro che:
Il codice deontologico prosegue poi meglio qualificando il concetto, stabilendo che la comunicazione informativa in ambito sanitario potrà (dovrà) contenere: i titoli e le specializzazioni professionali dei medici; le caratteristiche del servizio offerto; e le condizioni economiche delle prestazioni.
Tale descrizione lascia quindi ampie possibilità di descrivere il cv dei medici, le caratteristiche della struttura sanitaria e del servizio sanitario offerto e anche le tariffe cui sono offerte le prestazioni. Tutto questo tuttavia deve essere effettuato in maniera, comunque, tale da
(i) rispettare i principi di trasparenza e veridicità e
(ii) permettere agli utenti di maturare una libera e consapevole “scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte dal mercato” (art. 2 co. 1 Legge Bersani).
L’informativa al pubblico che indichi anche l’applicazione di eventuali scontistiche non sembrerebbe porsi in contrasto con la disciplina vigente, in quanto inerente alle condizioni economiche applicate, elemento ritenuto rilevante affinché l’utente possa maturare una “libera e consapevole determinazione” in merito alla scelta terapeutica (art. 1 co. 525 del DEF). Attenzione tuttavia al fatto che sullo specifico punto le Linee Guida Cao si palesano meno possibiliste (torneremo sul punto a tempo debito).
Specifiche istruzioni sono dettate in merito all’oggetto della comunicazione, che deve essere tale da restituire una indicazione completa del trattamento.
Difendibile è certamente una qualsiasi comunicazione che sia improntata su informazioni vere e comprensibili, finalizzata a permettere al potenziale paziente una comprensione integrale e non lacunosa del trattamento e/o dell’intervento promosso. Rappresentare, invece, in modo generico il trattamento, magari al fine di evitare che la descrizione di alcune fasi dell’esecuzione del medesimo possano dissuadere il potenziale paziente, lederebbe il principio fondamentale del consenso informato. Tale strategia di marketing, infatti, si porrebbe in contrasto con il tema – in ultimo sancito dall’art. 1 co. 525 del DEF, relativo alla tutela ad “una corretta informazione sanitaria”.
Il contenuto deve essere poi veritiero e scientificamente approvato.
Una corretta informazione sanitaria si ottiene anche impedendo che la comunicazione sia non veritiera e/o scientificamente non corretta.
Pertanto, si dovrà evitare di inserire informazioni non testate. Parimenti, ci si dovrà esimere dal promettere risultati che, invero, non possano essere garantiti.
A tal riguardo, ad esempio, una campagna che prevedesse l’inserimento di fotografie e dati “prima e dopo il trattamento” certamente richiederebbe un’attenta valutazione del messaggio proposto, alla luce dell’indirizzo giuridico in materia. Tale comparazione, scevra dei dovuti accorgimenti tecnici e giuridici, potrebbe essere giudicata idonea ad ingenerare nel paziente un’aspettativa di risultato. Tale conseguenza, contraria ad ogni cautela scientifica, renderebbe la comunicazione in esame “suggestiva”, priva di valenza informativa e, quindi, illecita.
Particolare attenzione dovrà poi essere posta nella scelta degli elementi grafici e di quelli visivi del messaggio.
L’elemento visivo e comunicativo deve essere funzionale alla presentazione del trattamento e non deve rispondere a strategie di suggestione.
La particolare enfasi utilizzata dal Legislatore del DEF nel vietare il carattere suggestivo della comunicazione sembrerebbe richiamare art. 4 comma 2 del DPR n. 137/2012, a mente del quale la pubblicità informativa “dev’essere funzionale all’oggetto”, ovverosia deve essere scevra di contenuti e immagini che, appunto in modo suggestivo, abbiano un’attinenza indiretta (se non, addirittura, inesistente) con il trattamento presentato.
Il messaggio e/o l’immagine utilizzati dovrebbero, pertanto, essere selezionati al fine di far immediatamente comprendere all’utente che sia riferibile ad una prestazione sanitaria, senza rimandi a strategie di marketing commerciale. Il potenziale paziente dovrebbe, infatti, all’istante percepire il contenuto come atto ad informarlo sul dato medico e/o terapeutico; la comunicazione, insomma, non deve essere finalizzata a sollecitare altre emozioni primarie dell’utente, al fine di ottenerne il convincimento inconscio.
Utilizzare immagini piacevoli, stimolanti e/o rilassanti (appunto, suggestive) per ben predisporre il consumatore configurerebbe una potenziale violazione dei divieti del DEF. Anche in tal caso, quindi, appare necessaria una valutazione preventiva della proposta pubblicitaria, che indirizzi i creativi e i responsabili di marketing alla luce dei precedenti giurisprudenziali e delle passate decisioni dell’AGCM.
Considerazioni a parte merita la questione prezzo.
La comunicazione può contenere indicazioni sul prezzo applicato. Ciò non solo risponderebbe al dettato della Legge Bersani e successive norme di settore, ma garantirebbe anche il rispetto delle norme del Codice del Consumo, applicabile alla fattispecie in esame.
Ciò che, piuttosto, andrebbe evitato è: che l’indicazione delle condizioni economiche rappresenti l’elemento cardine e traino della comunicazione informativa.
Come già evidenziato in precedenza, l’oggetto della comunicazione deve, infatti, essere la descrizione, veritiera e trasparente, del trattamento. Cercare di suggestionare la scelta del potenziale paziente tramite un particolare rilievo dato alle condizioni economiche appare, dunque, condotta difficilmente difendibile. Sul punto, la CCEPS (Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie) ha chiarito che “come già affermato dalla Commissione Centrale in analoghe occasioni, è consentito diffondere messaggi informativi contenenti le tariffe delle prestazioni erogate, fermo restando che le caratteristiche economiche di una prestazione non devono costituire l’aspetto esclusivo del messaggio informativo” (CCEPS – decisione n. 30 dell’11 maggio 2015); che la comunicazione possa generare equivoci tra il prezzo indicato e il relativo trattamento proposto.
Altra campagna che certamente presenta elementi di criticità giuridica sarebbe quella in cui l’indicazione del prezzo sia volutamente ambigua (ad esempio, laddove il prezzo fosse preceduto dalla parola “fino a € …” o “a partire da € …”) senza ulteriori indicazioni che permettano una facile determinazione dei costi complessivi effettivamente applicati.
Potenzialmente vulnerabile sarebbe, poi, una campagna in cui venga indicato, insieme alla descrizione del trattamento, anche lo sconto applicato. In tal caso, sarà necessario un vaglio legale dell’informativa al fine di predisporre, nel caso concreto, una comunicazione, comunque, corretta e non ingannevole.
Non rispondente ai parametri di legge, poi, sarebbe anche una comunicazione in cui vi fosse l’indicazione di un prezzo con riferimento a prestazioni solo genericamente descritte. Una siffatta pubblicità sarebbe, infatti, potenzialmente generatrice di costi aggiuntivi non preventivati dall’utente in buona fede. Anche in tale caso sarà necessario coniugare l’efficacia e la sinteticità del messaggio con l’esigenza di completezza dell’informazione imposta dalla norma di settore.
Non corretto è che la scontistica sia condizionata a determinate condotte del paziente. Si fa riferimento in questo caso a promozioni atte a fidelizzare il cliente, sollecitandolo a tenere determinati comportamenti non rispondenti a logiche di prevenzione. Ad esempio, concedere scontistiche solo in caso di prenotazione di più visite e/o trattamenti non necessari e arbitrariamente abbinati, ovvero solo allorquando il paziente riesca a far sottoporre ad un trattamento anche un parente e/o un conoscente, configurerebbe una strategia potenzialmente non conforme ai limiti di cui alla normativa di settore.
Le linee Guida della Cao Nazionale introducono ulteriori elementi utili a farsi un’idea delle condotte non ritenute corrette.
Li riportiamo di seguito, in ordine sparso.
Qualsiasi prestazione professionale offerta in carenza di una preliminare visita diagnostica configura messaggio promozionale e quindi è sanzionabile.
Qualunque forma di pubblicità commerciale finalizzata a potenziare la “vendita” di un servizio (nel caso specifico la prestazione odontoiatrica) oppure diretta ad acquisire un rapporto di clientela è esplicitamente vietata perché diretta ad incrementare la “vendita” di un prodotto quindi, nel nostro caso, nella promozione della prestazione odontoiatrica con finalità esclusivamente commerciali (sconti, offerte speciali, utilizzo di testimonial, organizzazione e partecipazione ad eventi privi di carattere scientifico, banchetti/volantinaggio in luogo pubblico con evidente finalità commerciale, campioni gratuiti, offerte on-line).
In questa formulazione appaiono evidenti gli antichi vizi della Cao Nazionale che si fa finta di aver dimenticato ma che come voce dal sen fuggita rientrano in campo dalla finestra. Per quale altro motivo si dovrebbe effettuare una comunicazione informativa se non per vendere un servizio? Lasciamo perdere e passiamo oltre.
La struttura (caratteristiche strutturali) dello studio può essere oggetto del messaggio dell’informazione sanitaria purché le indicazioni siano obiettive e verificabili.
La comunicazione può dirsi trasparente quando risulta assolutamente chiara e palese e non induce il cittadino a credere ad aspetti della prestazione professionale non comprovati o comprovabili. A titolo esemplificativo si può menzionare l’utilizzo improprio di termini non conformi alla norma autorizzativa (ad es. studio o clinica per definire un ambulatorio, o centro odontoiatrico per definire uno studio).
La comunicazione può dirsi veritiera quando corrisponde alla realtà in maniera dimostrabile. A titolo esemplificativo possono indicarsi come non veritiere quelle comunicazioni in riferimento al possesso di diplomi di specializzazione mai acquisiti o il possesso di specializzazioni non esistenti a livello accademico. Esempio: specialista in implantologia o specialista in protesi.
La comunicazione può dirsi veritiera quando risulta in linea con i principi specificati nella normativa di legge e nel Codice Deontologico. Non lo è la forma di pubblicità informativa che, essendo priva di contenuti relativi all’ attività professionale, risulta lesiva del decoro e della dignità della professione.
Quest’ultima notazione possiede se non altro il merito di dirci finalmente come qualificare il decoro della professione, rifuggendo da vizi passati di usare tale concetto in modalità generica e indeterminata. Prassi quest’ultima che si presta anche a facili abusi del potere di controllo dell’Ordine che nel passato non sono certo mancati, provocando la ferma reazione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
La comunicazione può dirsi funzionale all’oggetto quando, in tema di trattamenti sanitari, riguarda esclusivamente l’oggetto dell’informazione, senza sconfinare in aspetti che non siano direttamente attinenti allo stesso. A titolo esemplificativo non risultano funzionali all’oggetto messaggi pubblicitari che utilizzano slogan o immagini che non hanno nulla a che vedere con la professione odontoiatrica.
La comunicazione può dirsi equivoca quando può indurre in errore il paziente mediante un messaggio fuorviante, falsato e distorto al fine di condizionarne la scelta. Tipico esempio di pubblicità ingannevole in questo campo è la promessa di interventi atti a risolvere patologie senza basarsi su evidenze scientifiche comprovate o la pubblicità mascherata con articoli di carattere giornalistico. Altro esempio: indicazione della singola rata, in assenza dell’onorario complessivo e/o della durata del finanziamento, al fine di condizionare la consapevolezza del paziente.
Il professionista può sempre prestare gratuitamente la propria opera purché tale comportamento non costituisca concorrenza sleale o sia finalizzato a indebito accaparramento di clientela (art. 54 ultimo comma del Codice di Deontologia medica). Deve essere chiaro che la prestazione gratuita e formule equivalenti (es. visita senza impegno) risultano non consentite nel momento in cui vengono pubblicizzate. Non è quindi vietato prestare gratuitamente il proprio servizio, è vietato farne l’oggetto di un messaggio informativo.
La visita in odontoiatria deve essere considerata una fase di fondamentale importanza nell’iter diagnostico-terapeutico. Pertanto, pubblicizzarne la gratuità o riferirla ad un impegno economico o ad un preventivo-spesa (ad es. “visita senza impegno”) risulta elemento affatto promozionale e quindi vietato.
L’OPEN DAY è consentito, purché limitato a presentare l’attività e i servizi offerti, senza pubblicizzazione di marchi o aziende.
Di elementi utili per la costruzione di un messaggio corretto ne abbiamo indicati a sufficienza. Ora tocca a voi fare la Vostra parte, applicandovi per studiarli e approfondirli. Prima di passare all’azione con strategie di marketing.
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