Controllo di gestione: falsi problemi, metodi corretti e sbagliati e utilizzi propri di uno strumento che è sempre opportuno per lo studio e che è praticamente […]
Controllo di gestione: falsi problemi, metodi corretti e sbagliati e utilizzi propri di uno strumento che è sempre opportuno per lo studio e che è praticamente obbligatorio per l’ambulatorio gestito in forma societaria.
Sul controllo di gestione si parla molto e troppo spesso non proprio a proposito.
Questo avviene per tante ragioni, compresi gli interessi di coloro che lo propongono: ma il risultato finale è che molti dentisti sono portati a snobbare questo importante strumento, anche perché sono convinti che per costruirlo occorra un numero imprecisato di giornate a pagamento, che alla fine non servono a nulla, perché appare una questione ostica e incomprensibile e comunque non porta certo pazienti a studio.
Quest’ultima costituisce platealmente una critica senza senso, perché neanche un riunito porta pazienti da solo in studio, tuttavia senza è abbastanza improbabile curarli; quando e se arrivano.
Ci sono poi alcuni consulenti che veicolano conoscenze sbagliate sul costo orario dello studio o della poltrona e altri che dicono che si tratta di cose assolutamente inutili, perché non le conoscono, non le capiscono e/o non le propongono.
I conti potranno essere ostici, ma è difficile vendere fumo quando si parla di queste materie. Si vede subito se il consulente padroneggia la questione o meno.
Voglio sottolineare che al di fuori del contesto dentale, non esistono questi problemi o quantomeno non al livello in cui li osserviamo al suo interno. E’ nel settore dentale che per ragioni a me oscure si sono purtroppo materializzati troppi consulenti improvvisati e venditori di fumo, con tutte le conseguenze del caso.
In questa grande confusione, nel suo guardare a questo processo con diffidenza, il dentista è quindi e spesso più vittima che protagonista.
Quello che mi propongo oggi è quindi di fare un po’ di ordine, senza entrare troppo nel tecnico, ma cercando di far capire cosa si può ottenere con questo fondamentale strumento e cosa no.
Intanto, il controllo di gestione non riguarda solo i costi, ma la produzione e ricavi oltre che altre grandezze di fondamentale importanza per la gestione dello studio, soprattutto nella situazione di oggi, ove i margini si sono molto assottigliati rispetto a tanti anni fa e l’equilibrio economico e finanziario è divenuto meno scontato da raggiungere e mantenere.
In senso lato, il controllo di gestione serve anche a misurare l’efficacia delle azioni di marketing, a costruire un tariffario congruo rispetto alla peculiare situazione dello studio o dell’ambulatorio, a comprendere quali e quanti sconti si possono praticare, a verificare la convenienza di aderire a tariffari di terzi paganti, a tenere sotto controllo eventuali sprechi e persino ruberie ad opera di dipendenti e collaboratori e a monitorare momento per momento le previsioni di entrata, aspetto quest’ultimo non di poco conto in realtà come quelle imprenditoriali, dove questi assetti organizzativi sono stati resi obbligatori dalla Nuova Legislazione sulla crisi di impresa.
Nella nuova formulazione normativa, la crisi infatti non è più vista ed affrontata nella sua fase patologica ma si tende a prevenirla con l’intervento di soggetti esterni, che devono essere avvertiti quando i segnali non appaiono promettenti. Se l’imprenditore non si è dotato di un assetto organizzativo adatto a misurare i segnali predittivi di una crisi imminente o se, pur avendolo fatto, ritiene di poter celare tali segnali ai pompieri, ci penseranno altri soggetti ad avvertirli ( e cioè l’AdE, l’Inps, la banca magari ), il che si tradurrà in una aggravamento delle responsabilità dell’imprenditore stesso ( o dell’amministratore ) nel caso in cui la situazione vada a degenerare in una crisi vera e propria.
Il controllo di gestione, infine, serve a monitorare la produzione dei servizi sanitari erogati (e lo fa, normalmente, quantificandoli in termini di pagato paziente), produzione che non coincide necessariamente con il fatturato, in quanto, a seconda delle politiche praticate, lo studio potrà trovarsi in strutturale credito o debito nei confronti della propria clientela, e quindi le due dinamiche possono discostarsi anche in misura notevole. In un caso come nell’altro, il controllo della produzione appare come il controllo più importante, perché è sulla produzione e non sul fatturato che si sostengono i costi che maggiormente incidono sul risultato operativo della struttura sanitaria, sia essa semplice come complessa.
In realtà, quando ci si discosta dal siderale mondo dell’accademia e della tecnica contabile per scendere in quello della realtà, e della realtà pratica del consulente, cioè un professionista che per mestiere vede decine di studi al mese e comprende con esperienza diretta qual è la reale situazione degli studi nel territorio, possiamo tranquillamente affermare che la decisione di affrontare questo passaggio e di implementare questo strumento costituisce anche un’ottima occasione per far comprendere al titolare che il controllo di gestione rappresenta una svolta e una discontinuità importante che lo obbliga a prendere coscienza di una serie di questioni importantissime che riguardano la sua struttura sanitaria e l’architettura economica che la tiene in piedi.
Il Controllo di Gestione è ad esempio in grado di fargli capire questioni che aveva magari intuito ma che non era mai stato in grado di comprendere appieno, traendo da questa mancanza di pieno controllo della propria situazione anche forti motivi di ansia. E di fargli capire persino che molte sue convinzioni sbagliate erano anche il frutto di una cattiva informazione ricevuta purtroppo anche ad opera di addetti ai lavori.
Il titolare scopre così molto presto che le questioni economiche non sono poi così difficili da comprendere se spiegate da chi le ha capite veramente ed applicate con metodo (e sottolineo con l’unico metodo corretto, che è quello che deriva dagli studi ormai consolidati e prodotti dalla Finanza Aziendale e dall’Economia d’Azienda). Capisce così per quale motivo tutti coloro che gli hanno raccontato che il costo orario poltrona andasse calcolato sulle ore effettivamente lavorate invece che su quelle in cui lo studio resta aperto al pubblico non hanno un altro metodo alternativo e interessante, ma sono semplicemente in errore, mostrando di non aver minimamente compreso la natura dei costi fissi. E comprende, il nostro titolare, che questo lavoro nella pratica si può fare – a seconda della complessità della struttura e del numero dei collaboratori e dei titolare – in un tempo più o meno variabile ma che resta compreso SEMPRE tra i tre e gli otto giorni al massimo.
Alcuni dei quali da implementare in piena autonomia.
Non serve stare lì anni a cotonare la pasta e tantomeno occorre un controllo esterno di queste variabili da parte del consulente. Quello che serve è implementare ed acquisire un metodo, che poi dovrà essere anche sottoposto a controlli e verifiche di tipo consuntivo a cadenze regolari, e questo affinamento successivo delle stime sul lavoro di una struttura sanitaria rappresenta il fisiologico adattamento del metodo alla concreta realtà aziendale.
Il buon consulente, a nostro umile avviso, è sempre quello che fa in modo, nei tempi necessari per arrivare all’obiettivo, di rendersi progressivamente superfluo.
Una volta che il dentista titolare si sarà appropriato del metodo, non avrà più bisogno che di un collaboratore interno e di periodici consulti con il consulente esterno, motivati più dal piacere di rivedersi e di gustare insieme una buona cena e un proficuo scambio di idee che dalla reale necessità di ulteriori istruzioni sul processo.
Naturalmente, benchè sia in teoria possibile realizzare tale strumento anche con strumenti informatici semplici, è il caso che lo studio si doti almeno di un gestionale di fascia media e che impari ad usarlo fin quasi ad esaurirne l’intero potenziale.
Una volta realizzata la scatola, il dentista titolare sarà in grado di monitorare le seguenti variabili:
– la produzione propria e dei collaboratori
– i compensi propri e del titolare (e che i suoi compensi siano reali o figurati ha poca importanza, perché è comunque fondamentale capire quali siano per distinguerli dall’utile vero e proprio, che almeno per il professionista si confonde ed è un tutt’uno con i primi nell’imponibile ai fini fiscali). La questione compensi richiederebbe un articolo a parte, perché nella mia esperienza è proprio nella percentuale sul pagato paziente che viene assegnata ai collaboratori che si annida il problema di molti titolari di studio;
– la congruità del proprio tariffario e le eventuali modifiche allo stesso;
– i costi fissi e variabili per ogni prestazione di tariffario, il pareggio operativo dello studio e della singola prestazione, il margine di contribuzione su ciascuna prestazione e la convenienza di praticare sconti e l’esatta misura in cui la convenienza ancora esiste.
– il costo fisso effettivo che si va a sostenere per unità di tempo ( mese, settimana, giorno, ora, poltrona ) ogni qualvolta lo studio o una parte di esso è fermo.
– La percentuale di saturazione delle agende e dei riuniti.
– Le previsioni di fatturato ai sei mesi ed a un anno.
– La percentuale delle prime visite, quella della loro accettazione in prima battuta e quella dei recuperi su quelle non subite accettate.
– Una serie di altre e meno importanti ma comunque utili variabili.
Il controllo di gestione più in generale sensibilizza il titolare sulla assoluta necessità di tendere alla saturazione delle poltrone nell’unità di tempo che si è deciso di scegliere per l’apertura dello studio. E gli fornisce elementi precisi per valutare la convenienza di effettuare modifiche di tale orario, mostrando cosa accade ai conti quando si deve anche implementare il personale; gli suggerisce un metodo per valutare la convenienza di un investimento (in un nuovo strumento, in una nuova risorsa, etc.).
Il CgD poi si rivela un ottimo viatico per migliorare anche la consapevolezza delle dinamiche fiscali e il rapporto con il proprio commercialista.
Insomma, se ben condotto e strutturato il Cdg può essere descritto come quel processo che, se non ha mai arricchito nessuno quando presente, ha impoverito molti quando assente.
In particolare, in settori dove i margini vanno restringendosi e la pressione competitiva rende indispensabile il controllo delle principali dinamiche economiche.
Da solo non basta ovviamente a creare ricchezza, ma serve a fare da fondamentale spalla a tutti quei processi da cui la stessa dovrebbe derivare. E non si tratta di un facile slogan, ne parlo con tutta la serietà possibile, si tratta di uno strumento che una volta compreso e acquisito porterà il titolare a pensare di non poterne fare più a meno e lo porterà per diretta conseguenza e fatalmente a chiedersi come abbia potuto privarsene prima.
Pietro Paolo Mastinu
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