Ieri sera mi è capitato di leggere questa domanda provocatoria sul profilo fb di un dentista, lo stesso che, nel porre la domanda di cui al titolo di questo articolo, faceva riferimento alla differenza tra benefici fiscali dell’una o l’altra forma di esercizio per l’acquisto di un riunito. Il dentista in parola si chiedeva perchè mai per usufruire dei benefici legati alla forma imprenditoriale si fosse obbligati a ricorrere ad un “trucchetto” come la stp. Quei benefici dovevano – sempre secondo lui – essere concessi anche alla professione.
Normalmente lascio perdere e non replico perchè ognuno ha pieno diritto di pensarla come crede, ma siccome la domanda non nasce dal nulla e non è neanche un caso isolato, figlia come sicuramente è di un ben determinato contesto in cui abbonda la disinformazione su queste tematiche, ho deciso di rispondere con questo articolo. Civilmente e pacatamente, ma con tutti gli argomenti del caso e la forza della ragione.
Proviamo a guardare la questione da una prospettiva diversa.
L’abbiamo detto e scritto tante volte in questo blog, nei nostri libri e nei nostri corsi e ripetuto fino allo sfinimento anche nelle nostre pagine social, ma pare che non sia bastato.
Medici e odontoiatri lo devono accettare perchè gli stessi sono praticamente l’unica categoria professionale protetta a cui il nostro ordinamento giuridico ha permesso, fin dalla promulgazione del Testo Unico Leggi Sanitarie negli anni ’30 del ‘900, di esercitare l’attività in forma professionale o imprenditoriale.
Questa possibilità non è stato concessa al Notaio, nè al commercialista e nemmeno all’avvocato. Il promotore finanziario, per cercare un altro esempio a conferma, pur essendo un agente di commercio e quindi un imprenditore sotto il profilo fiscale, può esercitare solo con un impresa individuale e non societaria.
Inutile dire che queste categorie darebbero volentieri un braccio per poter fare quello che è concesso fare al medico. La cosa grottesca è che su queste possibilità sono proprio i medici e loro rappresentanti quelli che spesso ci sputano sopra.
Nella parentesi del Ventennio, era stato vietato al medico di esercitare in forma professionale utilizzando le società – cosa ben diversa dalle società commerciali che gestiscono un ambulatorio, sia detto per inciso – salvo poi rimuovere anche questo vincolo con i decreti bersani e la legge istitutiva della stp nel 2011.
Il che significa che oggi un medico o un odontoiatra possono scegliere tra esercitare come professionisti ( e persino come dipendenti ) collaborando con strutture sanitarie di altri; come professionisti, con un proprio studio mono o associato o ancora con una stp, costituita in forma societaria qualunque ( società di persone o di capitale o società cooperative ); oppure come imprenditori, costituendo un’impresa individuale o una impresa societaria nelle forme concesse dall’ordinamento ( ancora una volta società di persone, di capitale o cooperative ) per la gestione di un proprio ambulatorio.
Lo ripeto, a costo di annoiarvi: tra tutte le professioni protette ciò è concesso solo al medico e all’odontoiatra ( con pochissime altre eccezioni ). Ed è concesso a lui perchè già da un secolo lo Stato ha capito che i medici (e gli odontoiatri) non sono tutti uguali. Alcuni vedono prevalere l’aspetto intellettuale e mettono in opera pochi investimenti e quindi possono operare in qualità di professionisti senza troppi problemi. Altri invece sono costretti ad investire parecchio e quindi sono di fatto degli imprenditori. Quindi è logico ed equo fornire loro tutte le opzioni possibili come anche i regimi tributari possibili. Ed è esattamente quello che è stato fatto.
Che altro deve fare lo Stato. Spazzare pure per terra ?
Ogni odontoiatra è quindi libero di decidere quale forma di esercizio preferire, tranne in alcune regioni ove è stato impedito di operare alcune di queste scelte per via di certi pregiudizi puramente ideologici che sono tipici di certe lobbies, casualmente proprio quelle degli odontoiatri.
Ma resta comunque la soluzione stp, che non costituisce alcun trucchetto ma una delle scelte possibili e che apre (quasi) alle stesse opportunità fiscali delle imprese pur richiedendo – quasi sempre – lo stesso profilo autorizzativo di una studio professionale.
Dal punto di vista del legislatore quindi, ogni pretesa di applicare alla professione le opzioni concesse alle imprese è semplicemente incomprensibile in ambito medico e odontoiatrico. A maggior ragione se proviene dall’unica professione che è libera di scegliere.
Ne deriva che ogni tentativo di sfondamento non potrà che sfociare in un sicuro insuccesso. E questa è la seconda fondamentale ragione che spiega perchè si deve sopportare questa disparità. Perchè non esiste alcuna possibilità di spuntarla, date queste premesse.
Se inquadrata in questo modo, la questione appare quindi assai semplice.
Quando diventa complicata ?
Quando si ascolta coloro che deformano la realtà indicando nello stato o nel legislatore il cattivo che vuole a tutti i costi vessare il dentista, obbligandolo ad operare in modi poco convenienti. Fino a quando non ci si deciderà a capire che questa narrazione non serve al professionista ma a coloro che, nell’indicare un nemico inesistente, traggono benefici che valgono solo per loro, si continuerà in una battaglia che prima che essere senza senso sarà anche inutile e destinata all’insuccesso.
Del resto, che questa sia una polemica strumentale è pienamente confermato dal fatto che fino ad oggi sono state propugnate troppe falsità per giustificarla. Proviamo a farne un breve e non completo elenco:
- le società non possono fatturare al paziente;
- le società non possono fatturare in esenzione iva anche quando autorizzate come ambulatori;
- le società sono illegali e abusive ( attualmente ce ne sono circa 7000 autorizzate dallo Stato, i cui statuti sono stati omologati da un notaio e iscritti alle Camere di Commercio );
- le società autorizzate non possono utilizzare il codice ateco 86.23 che è riservato ai professionisti;
- le società possono essere solo in mano ai medici;
- l’esercizio professionale è l’unico ammesso dal nostro ordinamento ed è anche l’unico che garantisca il rispetto della deontologia professionale;
I primi cinque punti sono stati puntualmente smentiti dalla realtà oltre che da leggi e giurisprudenza. Quanto all’ultimo punto, la realtà è ben altra.
La professione è solo un idolo mentale e non sta scritto da nessuna parte che debba costituire l’unica via per fare il medico. Non ha alcuna relazione reale con le caratteristiche dell’agire medico, da nessun punto di vista e tantomeno da quello deontologico o quantomeno non più e non meno di tutte le altre forme alternative. E solo la forma tradizionale di esercizio dell’attività. Tradizionale non significa certo quella giusta, quella ideale o l’unica.
La verità è che lo Stato ha dato a ciascun dentista o medico la possibilità di scegliere la forma che preferisce o che gli conviene per fare il proprio mestiere. Tanto è vero che il medico potrebbe persino essere un dipendente. E se può essere sia un professionista che un dipendente come anche un imprenditore, vuole dire che può esercitare in qualunque forma ammessa dal nostro ordinamento giuridico; ne deriva, inevitabilmente, che la forma di esercizio della sua attività non qualifica certo la sua natura. Direi di più: ne è completamente indipendente.
Ecco un altro valido motivo per cui lo Stato lascia libero il medico di scegliere praticamente qualunque forma giuridica di esercizio esistente.
Chi rema contro al medico professionista non è certo lo Stato che quella libertà ha concesso, bensì tutti coloro che quella libertà vogliono limitare con motivazioni che non hanno alcun reale fondamento e che lo fanno nella pretesa di tutelarlo ( mentre nella realtà tutelano solo sè stessi, il proprio potere e i propri previlegi ).
Lo dico con molto rispetto per le idee altrui, ma con altrettanta convinzione.