Come tutte le invenzioni umane, il debito di per sé stesso non è né buono né cattivo. Può essere utilizzato per realizzare obiettivi pienamente degni sia […]
Come tutte le invenzioni umane, il debito di per sé stesso non è né buono né cattivo. Può essere utilizzato per realizzare obiettivi pienamente degni sia in ambito personale che aziendale.
E tuttavia il ricorso al debito dovrebbe essere intrapreso ricordando che quest’ultimo deve essere onorato nel corso del tempo.
Questa banale osservazione rischia di non apparire più come tale se si riflette con la dovuta attenzione al ruolo e soprattutto alla percezione diffusa che si conserva in merito allo stesso nell’Economia contemporanea.
Visione, sia detto per inciso, che è stata costruita nel tempo da un certo modo di divulgare le questioni economiche e che si pone pienamente al servizio di interessi condivisi da una cerchia alquanto ristretta di portatori di interesse e cioè le classi economiche dominanti e il comparto finanziario dell’economia internazionale.
Spesso tale visione è pienamente supportata da certa teoria economica e si fa di tutto per ammantare i risultati di questa ricerca da una patina di scientificità che agli occhi di coloro che l’Economia l’hanno studiata e approfondita con onestà intellettuale appare alquanto carente quando non del tutto presunta.
Peraltro, anche a voler ammettere che di scientificità si possa parlare in materia economica, sia pur nel senso che può assumere tale qualificazione in una scienza sociale quali sono l’Economia Politica e l’Economia dei mercati finanziari, le conclusioni alle quali le stesse sono giunte si sono profondamente modificate nel tempo. Ai tempi dei miei studi universitari (anni ’80) si considerava ad esempio virtuoso un rapporto debito/capitale proprio pari a 40/60. Nei decenni successivi pareva quasi normale andare a leva sul capitale proprio raddoppiando o triplicando i debiti rispetto allo stesso.
Non parliamo poi dei comparti bancari e finanziari dove – solo in parte per le caratteristiche tipiche del settore, che fisiologicamente tende ad utilizzare il debito in percentuali molto più alte rispetto al normale e ad altri settori economici – la leva finanziaria è arrivata a raggiungere e superare il rapporto di 100 a 1.
Queste degenerazioni, fatte passare da molti economisti mainstream come una normale evoluzione dei mercati e delle prassi finanziarie, potevano giustificarsi solo in funzione della piena consapevolezza che quei debiti non sarebbero mai stati restituiti al primo evento finanziario catastrofico; nel frattempo e fino a che fosse stato possibile si potevano privatizzare gli utili ben sapendo che al momento buono si sarebbero socializzate le perdite. Ed è esattamente quello che è capitato, ad esempio, nel corso della crisi iniziata nel 2008, che ha visto tra le altre cose la gran parte dei banchieri che hanno creato quella crisi con una disinvoltura finanziaria da manuale mantenere i propri ruoli di vertice all’interno del sistema anche dopo che gli effetti delle loro condotte avevano comportato abnormi esborsi a carico delle finanze pubbliche di quasi tutti i paesi sviluppati. E infatti anche oggi sono quasi tutti al loro posto e siedono in importanti board dei grandi conglomerati finanziari che dominano i mercati internazionali. Appare quindi certo e definitivamente provato che certo ricorso sconsiderato al debito può stare in piedi solo scaricandone gli effetti sulla collettività e potendo contare su una praticamente certa impunità.
Naturalmente tutto questo è vero solo per un comparto, quello attualmente dominante e vincente dell’Economia e cioè quello finanziario. Per tutti noi persone normali e per la gran parte delle piccole e medie imprese, valgono ben altri criteri per accedere al credito, criteri che sulle nostre richieste di finanziamento vengono applicati eccome dal sistema bancario e finanziario.
Deve essere anche chiarito che non tutta la ricerca economica e non tutti gli economisti si sono resi complici di questa deriva, cercando di puntellare con motivazioni scientifiche e pseudo tali la sconsiderata adozione di prassi operative che apparivano folli anche all’uomo della strada. Ma di queste voci contrarian la gran parte delle persone comuni non sa nulla o poco ci manca.
Quello che le persone comuni però hanno acquisito nel tempo dopo l’invenzione e lo sviluppo altrettanto sconsiderato del credito al consumo è la ben poco sana abitudine di finanziare qualunque acquisto anche quando non se lo possono permettere, forse immaginando che per loro sarebbero potuti esistere gli stessi paracadute riservati ai grandi operatori del comparto finanziario. Nella migliore delle ipotesi, tale visione forzata ha comportato una spirale perversa nei loro comportamenti d’acquisto che li ha nel tempo trasformati da cittadini a consumatori coatti, costretti ad incrementare gli sforzi per pagare i debiti contratti per consumare i beni e i servizi superflui, in mancanza dei quali sentivano mancare un chiaro e condiviso profilo identitario. In pochi decenni, si è assistito al mutamento più impensabile per i nostri nonni e i nostri padri. Dal contrarre debiti per acquisire una casa in cui vivere a farlo per pagarsi le vacanze in luoghi esotici e resort a 4 o 5 stelle.
L’Italia ha resistito più di altri Paesi a queste derive e conserva ancora un forte stock di risparmio privato, ma si tratta di una realtà tutt’altro che trasversale alle classi sociali e che vede solo una porzione della popolazione quella capace di risparmiare sulla base di rendite di posizione e di forte capacità reddituale.
Lo scopo di questo post è tuttavia duplice: per quanti saranno gli economisti e operatori a dirvi il contrario, la ricerca economica è tutt’altro che priva di poche voci contrarian e di evidenze che delegittimano il mantra dominante e potete stare certi che se il grosso degli operatori continua a magnificare le doti del sistema lo fa quasi sempre perché ciascuno degli studiosi, professori e intellettuali che compongono questa ciarliera quanto poco affidabile maggioranza incarna un conflitto di interesse grande come una balena. Difficile trovare oggi anche uno solo di questi – e persino se lo cercate in tutte le università di economia del globo – che non percepisca laute prebende per consulenze e collaborazioni varie da quel mondo che gli conviene puntellare anche mentendo spudoratamente, se occorre.
Alla ricerca economica seria e indipendente appare chiarissimo quale sia il ruolo sano del comparto finanziario e cioè quello di porsi al servizio dell’economia reale; e il debito in particolare può essere considerato utile e sano allo sviluppo del sistema economico solo quando è sostenibile e quando serve a tradursi in investimenti all’interno dell’Economia reale. Sotto questo profilo, i dentisti e i medici come anche la gran parte della piccola e media imprenditoria italiana mostrano di aver capito queste dinamiche molto meglio di tanti esperti, economisti e sedicenti tali. I dentisti, in particolare, fanno mediamente scarsissimo ricorso al debito ( sicuramente anche troppo poco rispetto alle potenzialità, ma tra i due estremi, allo stato attuale delle cose, pare preferibile quello da loro presidiato rispetto all’altro ) e preferiscono operare con una larga prevalenza di risorse proprie.
La seconda questione che appare interessante illuminare è il carattere illiberale di questa deriva intellettuale e sociale, che vede nel ricorso estremo al debito il segno distintivo di ogni pretesa evoluzione. Non di evoluzione si tratta, se esaminata con occhi puri ed aperti, ma di una vera e propria spinta verso la privazione della libertà personale. E non appaia un caso che siano proprio i professionisti e i piccoli e medi imprenditori coloro che resistono a questa deriva con le unghie e con i denti.
Questo post è per tutti loro o meglio sarebbe dire per tutti noi. Con tutti i difetti e vizi che si può voler attribuire alle categorie professionali e imprenditoriali, resiste all’interno di esse una forte esigenza di indipendenza e di creatività sana e un altrettanto sentito anelito di libertà. E’ importante coltivarlo quell’anelito e resistere alla mistificazione che pretende di far passare per scienza quello che in realtà nasconde esclusivamente interessi di parte e per di più di una parte relativamente piccola dell’Umanità. La quale ultimamente sembra voler ripetere a tutti costi l’esperienza dell’Isola di Pasqua e potrà evitare quel poco desiderabile esisto solo a condizione che quei pochi o tanti che mantengono acceso il cervello si impongano di usarlo con tutta la forza e l’ostinazione di cui sono capaci.
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